Malebranche, Nicolas de

Dizionario di filosofia (2009)

Malebranche, Nicolas de


Filosofo francese (Parigi 1638 - ivi 1715). Oratoriano dal 1660, fu ordinato sacerdote nel 1664.

Cartesianismo e agostinismo

Veniva pubblicato nel 1664, a Parigi, L’homme di Descartes nella trad. franc. curata da Clerselier e annotata da L. de La Forge. Lo studio di tale opera condusse M. a una convinta adesione alla filosofia cartesiana intesa come ‘filosofia cristiana’ congruente con l’agostinismo. Tale prospettiva orientò la Recherche de la vérité (1674-75; trad. it. La ricerca della verità), opera il cui ripensamento e approfondimento, protrattosi fino al 1712 (6a ed.), motivò numerose riedizioni e l’aggiunta degli Éclaircissements (a partire dal 1678). Con il precisarsi del pensiero di M. le tesi agostiniane guadagnarono terreno fino a prevalere su quelle cartesiane rispetto a temi centrali quali la teoria delle idee e delle verità eterne. M. pervenne a esiti estranei ai nuclei teorici originari del cartesianismo riguardo allo statuto della realtà materiale, l’efficacia delle cause seconde, l’interazione causale, la composizione della materia sottile, la libertà umana, l’origine del male, il peccato e la grazia. Significative, in tal senso, sono le polemiche con cartesiani quali Arnauld e con P.-S. Regis; dalla contrapposizione con il primo nacquero sia il Traité de la nature et de la grâce (1680) di M. sia l’opera Des vraies et fausses idées contre ce qu’enseigne l’auteur de la Recherche de la vérité (1683) in cui Arnauld stesso criticò il radicalismo della teoria della visione delle idee in Dio perché fondata su «false idee» che sono, in realtà, «esseri rappresentativi» erroneamente considerati come «entità» autonome dalla percezione, risiedenti in Dio. Nel 1683 M. pubblicò le Méditations chrétiennes e l’anno successivo il Traité de morale, mentre del 1688 sono gli Entretiens sur la métaphysique et la religion (trad. it. Colloqui sulla metafisica), esposizione matura della propria filosofia (sempre più agostiniana). Nel 1697, intervenendo nel dibattito sul quietismo che opponeva Bossuet e Fénelon, e in polemica con Lamy, M. pubblicò il Traité de l’amour de Dieu (trad. it. Trattato sull’amore di Dio), cui fecero seguito, in conseguenza delle repliche di Lamy, le Trois lettres au R.P. Lamy (1698); M. vi sostenne la necessità di concordare l’amore di Dio con un atteggiamento attivo di fruizione dell’amore, di felicità e di appagamento, ove non si dava frizione fra l’utile del soggetto che ama e la gloria di Dio, contrapponendosi, in tal modo, sia alle tesi quietiste (inclini alla passività del soggetto) sia alla posizione ‘mediana’ di Bossuet (ove il soggetto è attivo, ma per la sola gloria di Dio). Grazie alle protratte ricerche fisiche e matematiche concernenti l’ottica, la teoria dei colori (la cui causa identificava con la frequenza delle vibrazioni), la comunicazione del movimento e il calcolo infinitesimale, nel 1699 M. fu accolto come membro onorario nell’Académie des sciences. Nel 1708 pubblicò l’Entretien d’un philosophe chrétien avec un philosophe chinois sur l’existence de Dieu (trad. it. Conversazione di un filosofo cristiano e un filosofo cinese sull’esistenza e la natura di Dio), confronto polemico con il pensiero di Spinoza; nonostante ciò fra 1714 e 1715 P. de Tournemine, nella prefazione alla Démonstration de l’existence de Dieu di Fénelon, lo accusò di inclinare allo spinozismo e di favorire l’ateismo. La problematica ricezione della filosofia di M. da parte cristiana aveva motivato già nel 1709 la messa all’Indice della Recherche de la vérité e successivamente, nel 1715, la condanna del Traité de morale e degli Entretiens sur la métaphysique. In quello stesso anno M. pubblicava le Réflexions sur la prémotion physique originate dalla polemica sulla grazia con L.-F. Boursier, sostenitore delle tesi tomiste, in cui si protraeva inoltre il confronto critico con Bayle.

Occasionalismo e visione in Dio

Muovendo dal dualismo sostanziale e dalla neurofisiologia dell’Homme di Descartes, M. ammette che soltanto in Dio vi sia il reale potere o efficacia causale, rispetto al quale la concatenazione di eventi secondo nessi causali, sia sul piano spirituale del pensiero sia su quello fisico del corpo, costituisce soltanto l’‘occasione’ per esplicarsi: «c’è una sola vera causa, perché c’è un solo vero Dio; […] la natura o la forza di ogni cosa si riduce alla volontà di Dio; […] tutte le cause naturali non sono cause vere, ma solo cause occasionali» (Recherche de la vérité, VI, II, 3). Le idee, se intese in senso platonico, sarebbero meri duplicati delle realtà; essendo inoltre in numero infinito (come, per es., nel caso delle idee relative agli enti matematici), esse non potrebbero essere contenute nella mente finita dell’uomo (neppure quelle idee che Descartes definiva «innate»). La mente dell’uomo le conosce non ricavandole, per ragionamento, mediante un procedimento causale autonomo (III, II, 3), ma ‘vedendole’ in Dio, ove esse risiedono, in occasione di determinati atti di pensiero (la tesi è ulteriormente sviluppata nell’Éclaircissement, X). La «ricerca della verità» è innanzitutto un’emendazione degli errori cui è soggetta la conoscenza; la critica cartesiana della memoria e dell’immaginazione quali fonti di errore si precisa come rifiuto del sapere degli eruditi e degli storici («uomini che non pensano ma possono raccontare i pensieri altrui», II, II, 4) e come rifiuto della verosimiglianza e della probabilità (VI, I, 1). M. accentua la condanna del dubbio degli ‘accademici’ e degli ‘atei’ mediante il quale «si dubita […] perché si vuol dubitare» (I, XX, 3), cui si oppone il dubbio condotto «con intelligenza e ragione» che conduce al corretto uso dell’intelletto puro, ossia «la facoltà che lo spirito possiede di conoscere gli oggetti esterni senza formarne, per rappresentarli, immagini corporee nel cervello» (III, I, 1). Mediante questo l’anima «conosce le cose spirituali, quelle universali, le nozioni comuni, l’idea della perfezione, quella di un essere infinitamente perfetto […] le cose materiali, l’estensione con le sue proprietà» (I, IV, 1; rispetto all’estensione M. chiarirà, in polemica con Foucher, che si tratta di un’«estensione intelligibile»; Éclaircissement, X). Tali conoscenze sono «pure intellezioni o pure percezioni » (ibid.) dovute alla ‘visione in Dio’, la quale comporta altresì che dell’anima stessa (che Descartes riteneva più facile a conoscersi del corpo) non si abbia un’idea, ma soltanto un «sentimento interiore», una «coscienza» e che per tale motivo essa sia conosciuta in maniera «imperfetta» (III, II, 4); allo stesso modo la percezione non attesta la reale esistenza del mondo corporeo. L’intelletto puro è tuttavia passibile di errore, ossia può essere fuorviato dai sensi e dall’immaginazione, in conseguenza del peccato di Adamo (I, V, 1); tale è la prospettiva in cui M. articola come omogenee filosofia e teologia rivelata. Coerentemente alla sua teoria delle idee M. modifica inoltre la prova cartesiana dell’esistenza di Dio, basandola sull’idea di infinito e sulla distinzione tra pensiero e rappresentazione.

Grazia e teodicea

Dio stabilisce soltanto alcune leggi generali, nell’ordine naturale come in quello della grazia, attenendosi a un criterio di semplicità che, nell’approfondirsi della riflessione di M., diviene una sorta di vincolo: «la sua saggezza lo rende, per così dire, impotente, infatti essa lo obbliga ad agire mediante le vie più semplici» (Traité de la nature et de la grace, I, XXXVIII, Additions; II, L-LI). Gli eventi particolari sono soltanto «occasioni» affinché la volontà divina, sempre generale, si manifesti. La semplicità dell’azione divina e la visione delle idee comportavano il rifiuto della teoria cartesiana della creazione delle verità eterne, che secondo M. (allo stesso modo delle leggi morali) non sono innate. Sebbene ciò orienti la creazione secondo un finalismo estraneo alla filosofia di Descartes, tale prospettiva non implica che Dio crei il ‘migliore dei mondi possibili’ (contro Leibniz) poiché egli si attiene al criterio del ‘semplice’ e non a quello dell’ottimo (ciò comporta, comunque, un rifiuto dell’arbitrarismo e dell’indifferenza del Dio cartesiano). In tale prospettiva il problema della grazia trova nella mediazione di Cristo l’articolazione fondamentale: Dio opera per vie generali e semplici e Cristo è la ‘causa occasionale’ dell’applicazione della grazia generale a casi particolari. Rispetto al problema del male, all’esistenza di mostri (Recherche de la vérité, Éclaircissement, VIII), disordini, catastrofi naturali e anche di dannati, cui potrebbero ovviare leggi più complicate di quelle attualmente esistenti nel mondo, M. riconosce esplicitamente che esso è conseguenza della semplicità dell’azione divina e proprio per tale motivo non può essere ricondotto soltanto al male metafisico (ossia all’imperfezione dello stato creaturale), ma possiede una propria consistenza: «Tutto rientra nell’ordine della provvidenza, anche il disordine. Ma il disordine rimane sempre tale». (Réponse au Livre I des Réflexions philosophiques et théologiques, 1686, III).

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