ABBATI, Nicolò

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 1 (1960)

ABBATI (dell'Abate), Nicolò

Armando O. Quintavalle

Nacque a Modena nel 1509 (secondo il Forciroli) o nel 1512 (secondo il Lancellotti, che però - Cronaca modenese, XI, p. 233 - lo diceva, al 25 marzo 1552, non ancora quarantenne) da Giovanni, che fu certo il suo primo maestro; passò poi presso lo scultore modenese Antonio Begarelli. Secondo la tradizione, avrebbe fatto per qualche tempo il soldato; ma già dal 1537 lo troviamo a dipingere con Alberto Fontana, alle Beccherie di Modena, affreschi (ora nella Galleria Estense) con S. Geminiano, allegorie della Vendemmia, della Fede e della Speranza e Concerti di dame e cavalieri, nei quali, sull'esempio del Dosso, trasferisce i concerti cari alla pittura veneta del Cinquecento, ambientandoli in "un'atmosfera rustica", "in una piena e calda realtà quotidiana" (Pallucchini). All'incirca dello stesso tempo è la pala di S. Pietro a Modena con la Madonna col Bambino e i Santi Pietro e Paolo, ascrittagli da R. Longhi, dal paesaggio che rivela un'ascendenza ferrarese e soprattutto dossesca. A Modena ed a Reggio il pittore lavorò fino al 1547 prediligendo figurazioni classiche, eroiche ed amorose: così in un gabinetto della rocca dei Boiardo a Scandiano aveva compiuto verso il 1540 affreschi (ora nella Galleria Estense di Modena) con scene dell'Eneide, paesaggi e, in un ottagono di soffitto, tredici ritratti di personaggi della famiglia Boiardo intenti a suonare ed a cantare, così caratteristici nel tono domestico e spigliato, e nei quali è chiara l'assonanza col Parmigianino. A questo stesso periodo appartiene la decorazione della villa del Mauriziano presso Reggio, con Figure di poeti e filosofi, e, in casa Fiordibelli a Reggio, un affresco raffigurante un Appuntamento amoroso ed una Ninfa sorpresa da un Satiro (1540 ca.). Del 1546 sono, nel Palazzo del comune di Modena, il Triumvirato di Augusto, Antonio e Lepido ed episodi ad esso relativi, ora alterati da rifacimenti e restauri. Opera fondamentale di questo periodo dell'A. è la grande pala con il Martirio dei SS. Pietro e Paolo, dipinta nel 1547 per la chiesa di San Pietro di Modena (Dresda, Galleria nazionale), nella quale sono evidenti i richiami al Correggio e al Pordenone. Dal 1547 al '51 lavora a Bologna; dapprima dipinge nella palazzina della Viola e nel palazzo Leoni, ora Collegio di Spagna, una Adorazione dei pastori, affreschi di cui sussistono scarsi resti, poi le Storie di Sesto Tarquinio e Lucrezia e Scene dell'Orlando Furioso nel palazzo Zucchini-Solimei già Torfanini e, quindi, nell'attuale Biblioteca universitaria (già palazzo Poggi), un vero florilegio dei generi da lui prediletti: concerti, giuochi, conviti, paesaggi, storie classiche. Qui egli rivela più da vicino e più approfondite le assonanze col Parmigianino, così nel fregio, con putti che vendemmiano e raccolgono frutta, o nelle Scene di concerto, ove i protagonisti agghindati e solenni sono personaggi veri e reali del loro tempo, nel quotidiano esercizio della musica e della lettura. Le composizioni appaiono quasi costrette in un ritmo lineare entro una bassa cornice ed uno spazio ristretto alternate a siepi di fiori, mentre altrove campeggiano spaziosi paesaggi: un castello diroccato, un mulino e nel fondo delle Storie di Camilla rovine trasfigurate dalla luce al tramonto. Quella libertà viva del paesaggio fu certamente, come pensa R. Longhi, esemplare per i giovani Carracci, così come, prima, per il parmigiano Iacopo Bertoja. Al Bertoja si avvicina, anche nel ritmo lineare delle figurine, il Paesaggio della galleria Borghese, il Paesaggio con S. Gerolamo nella collezione Pallavicini a Roma ed il Ritrovamento di Mose da poco ascrittogli, nella galleria del Louvre. Sempre di questo tempo è il Colloquio amoroso nel Museo nazionale ad Algeri.

La Caduta di S. Paolo ora nel Kunsthistoriches Museum di Vienna (ascritta dal Freedberg al Parmigianino) appartiene all'inizio del suo soggiorno in Francia, ove non si sa con precisione quando sia giunto, ma certo prima del 25 marzo 1552,quando suo padre Giovanni riferiva al Lancellotti - Cronaca modenese, XI, pp. 232-233 - il desiderio del figlio di avere con sé in Francia, dove aveva "bona provisione della Maestà del Re", moglie e figli, allora a Bologna. In questa occasione lo stesso Lancellotti ne ricordava le pitture di pochi anni prima nella "residentia delli Signori Conservatori della.., città di Modena".

Lavorava, come collaboratore di F. Primaticcio, a Fontainebleau, e ben presto dovette entrare in relazione anche più diretta con la corte, come provano i ritratti di Enrico II e Caterina de' Medici in uno smalto eseguito per la Sainte-Chapelle (1553), ed ora al Louvre, presi certamente dal vero. E con la corte ebbe certo continui contatti; lo attesta la raccomandazione del Primaticcio (1555) al duca Francesco di Guisa perché gli faccia eseguire, come al migliore dei dipintori alla corte francese" in quel tempo, le pitture della volta nella cappella del suo palazzo. Fece anche, per ordine di Caterina de' Medici, la decorazione della "Laiterie" (1561-68) e di altri castelli reali (1570). Il 3 marzo 1571 è affidata a lui ed a Germain Pilon la costruzione e la decorazione di archi di trionfo per l'entrata del re Carlo IX e della sua sposa Elisabetta d'Austria; il 25 dello stesso mese, per l'altra entrata di Carlo IX, gli vengono commissionati sedici quadri storici per la gran sala del Vescovado, secondo le invenzioni dei poeti Ronsard e Daurat. A questo periodo appartiene tra l'altro la Continenza di Scipione (al Louvre) e la Presa di Cartagine (Roma, propr. Sestieri), con ricordi del Parmigianino. Dell'A. sono poi numerosi ritratti, alcuni dei quali già ascritti ad altri pittori: tra i più significativi il Giovane con il pappagallo del Kunsthistorisches Museum di Vienna, quello della Galleria nazionale d'arte antica a Roma, quello della collezione Wallace a Londra e, tra gli altri, la Giovane signora al Prado, all'Istituto Städel di Francoforte ed alla Borghese a Roma, in cui l'ispirazione del Parmigianino si fa più discorsiva e superficiale. In questo tempo l'A. continuò a dipingere paesaggi, come si rileva dagli inventari di Fontainebleau, ma se è suo quello ascrittogli dal Bodmer al Louvre, col Ratto di Proserpina, già nella collezione del duca di Sutherland, mostra di seguire soprattutto "le orme della pittura paesaggistica olandese, dando una visione la più alta possibile di cielo, terra, mare, montagne e città" (Bodmer).

Morì a Fontainebleau nel 1571.

Dei figli di Niccolò, Giulio Camillo (Camille de l'Abbé), nato a Modena e recatosi col padre in Francia nel 1552, collaborò con lui agli affreschi del castello di Fontainebleau (1561-77), dipingendo soprattutto fiori, grottesche, ecc. Collaborò all'erezione degli archi di trionfo per l'entrata a Parigi di Carlo IX e della regina Elisabetta d'Austria sua sposa (1571) ed ai sedici grandi quadri storici, secondo le invenzioni dei poeti Ronsard e Daurat, per la sala del Vescovado a Parigi. A Fontainebleau aveva nel 1571 la carica di "sovrintendente" alle pitture del castello. Stilisticamente vicino al padre di cui imitò la maniera, è difficile distinguerlo da lui nelle opere di collaborazione. Morì prima dell'agosto 1582, come risulta da una quietanza citata dal Thoison. Pure figli di Niccolò sembrano essere stati Cristoforo (Christophle Labbé), pittore che lavorò a Fontainebleau ed è citato a Parigi in una lista di pittori del 1561, e Giovanni, pittore, del quale si hanno notizie dal 1585 al 1593 a Parigi.

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