NICOLÒ Corso

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 78 (2013)

NICOLO Corso

Massimiliano Caldera

NICOLÒ Corso (Nicolò di Lombarduccio). – Figlio di un Lombarduccio, originario della Corsica, nacque, probabilmente in Liguria, intorno al 1446, come si ricava da un atto genovese del 1486, nel quale il pittore dichiarava di avere quarant’anni (Alizeri, 1873, pp. 46 s.; Martini, 1984, pp. 51-55).

La prima testimonianza d’archivio nota risale al 15 settembre 1469 quando, a Genova, «Nicola Corsus de Plebe Vici Corsice q. Lombarducii» risultaassociarsi per un anno con il pittore e cofanaio Gaspare dell’Acqua da Pavia (Alizeri, 1873, pp. 415 s.), partecipando per un terzo alle spese e ai guadagni; solo poche settimane dopo, il 26 ottobre, i due pittori decisero di sciogliere la società (ibid., pp. 105 s.).

Non sono finora emerse tracce di una possibile attività inizialedi Nicolò per la Corsica. Il problema della sua formazione si salda con quello dell’anonimo Maestro della Madonna Cagnola, attivo fra la Liguria e la Francia meridionale verso il 1460, che attesta una precoce e originale ricezione di elementi legati a Jan van Eyck e a Rogier van der Weyden, riletti attraverso la ‘pittura di luce’ provenzale. Si è tentato diriconoscere gli esordi di Nicolò in un gruppo di tavole, risalenti al settimo decennio e connesse al problema delMaestro della Madonna Cagnola: un S. Gregorio (Toledo, Ohio, Museum of art) che sembra meglio convenire allo stesso Maestro; un S. Girolamo (La Spezia, Museo civico Amedeo Lia) e un S. Nicola (già Firenze, collezione Volterra; ripr. in Martini, 1984, p. 44) che spettano a un suo seguace, già attento alle esperienze di Vincenzo Foppa. La cifra stilistica di Nicolò emerge con sicurezza nella Madonna con il Bambino Lanz (Maastricht, Bonnefantenmuseum), databile verso il 1465-70 e proveniente dalla parrocchiale di Turbia (La Turbie, Nizza), che cita alla lettera la Madonna Cagnola (Gazzada, Varese, Fondazione Paolo VI), collocandosi in continuità con quella tradizione di rapporti fra la Liguria e le Fiandre avviata, nei primi decenni del secolo, da Donato de’ Bardi.

Il 15 giugno 1478, ricevette dall’Ufficio delle Compere di Genovaun pagamento di 33 lire per aver eseguito gli stemmi del doge e del Comune di Genova a Pietrasanta, in Versilia (Alizeri, 1873, p. 41). Nel 1481 risulta al quindicesimo posto della matricola dei pittori genovesi (Spotorno, 1827, p. 208). Tra il 1483 e il 1484 lavorò ad Alessandria, insieme con Galeotto Nebbia da Castellazzo Bormida e l’intagliatore Giovanni Pietro «de Abiate», per conto di Giovanni Mazone; i due pittori abitarono presso la casa del padre di Giovanni, Giacomo, attendendo all’esecuzione di un trittico, come emerge dal succitato atto del 1486.

Nel 1489, per la prima volta, è menzionato negli elenchi degli oblati del monastero olivetano di S. Gerolamo a Quarto (Genova), dove poi compare ininterrottamente dal 1491 al 1494 (Martini, 1984, p. 47). I legami privilegiati che poté intessere con gli olivetani, in un momento in cui i monasteri liguri di questa Congregazione portavano avanti una vivace strategia di promozione figurativa, si riflettono nei suoi interventi per l’insediamento di Quarto, articolati in più fasi.

All’interno della chiesa, nella cappella già dedicata a S. Chiara, edificata fra il 1475 e il 1478, eseguì la decorazione ad affresco, in gran parte perduta durante il XVII secolo (Soprani, 1674, pp. 23-25; Soprani - Ratti, 1768): sopravvivono, deteriorati, il S. Sebastiano e il S. Lorenzo sui pilastri dell’arco d’accesso, databili ancora entro gli anni Settanta, in dialogo con le coeve esperienze di Giovanni Mazone. Il rapporto fra Nicolò e quest’ultimo va inteso nei termini di una collaborazione all’interno di un atelier affermato, dove il capo bottega indicava una linea stilistica ma i collaboratori operavano con ampio margine di autonomia, senza eccessive preoccupazioni di uniformità, come d’altronde si osserva nei coevi cantieri pittorici lombardi; di qui i ripetuti tentativi di circoscrivere filologicamente gli interventi dell’uno o dell’altro pittore all’interno delle opere uscite dall’officina mazoniana tra il penultimo e l’ultimo decennio del Quattrocento. La mano di Nicolò è riconoscibile, accanto a quella del maestro più anziano, nella pala con la Crocifissione con s. Lorenzo, una santa e un donatore benedettino, già nella chiesa di S. Giuliano d’Albaro a Genova (oggi nel Museo di S. Agostino): a Nicolò si possono ricondurre sia il paesaggio sullo sfondo, sia gli angeli piangenti intorno alla croce, contraddistinti da una drammatica tensione espressiva e da panneggi con snodi replicati e profili taglienti. Queste osservazioni si possono estendere a un’altra tavola con la Madonna con il Bambino e gli angeli (Firenze, coll. priv.;ripr. in Zanelli, 2007, p. 31): se i volumi massicci del gruppo centrale sono quelli tipici di Mazone, le figure angeliche sono riferibili al collega. In questa partita fra i due artisti potrebbe rientrare anche la bella Madonna con il Bambino in trono con s. Francesco (Mentone, Musée des beaux-artsduPalais Carnolès) che presenta un impianto senz’altro riferibile a Mazone, mentre l’assidua indagine sulle superfici e la stesura lucida e brillante del colore sembrano meglio convenire a Nicolò.

Tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta risale la campagna decorativa nel refettorio di un altro importante monastero olivetano, quello delle Grazie nei pressi di Portovenere.

Lungo le pareti dell’ambiente si dipana un fregio con motivi decorativi all’antica intervallato da oculi dai quali si affacciano i titolari dei diversi insediamenti italiani, celebrando così il loro espandersi nella penisola. Sulla parete di fondo Nicolò eseguì una monumentale Crocifissione, in parte lacunosa: la bella ambientazione paesistica, la tensione patetica e il rilievo plastico delle figure indicano un momento di rinnovata attenzione alle esperienze figurative settentrionali, non solo pittoriche, come suggerisce il rapporto fra i personaggi della scena e quelli negli stalli intagliati del coro iniziato nel 1491 da «Johannes Gallicus» (M. Bartoletti, Gli stalli dell’oratorio del Cristo Risorto: un mancato coro flamboyant per la Cattedrale del Priamàr?, in Il coro ligneo della cattedrale di Savona, a cura di M. Bartoletti, Cinisello Balsamo 2008, pp. 109-117) per il duomo savonese (oggi nell’oratorio del Cristo Risorto).

Il 24 dicembre 1491, sempre a Genova, Francesco de’ Ferrari s’impegnò per sé e per il suo socio, Nicolò Corso, a eseguire una pala con l’Annunciazione e santi per la chiesa di S. Maria della Passione: l’opera, irreperibile, era destinata alla cappella di Agostino Zoagli. Il 3 marzo 1493, il solo de’ Ferrari, che aveva lavorato anche alle distrutte pitture murali, fu multato per non avere consegnato il lavoro (Alizeri, 1873, pp. 101-105).

Intorno al 1492, l’anno della consacrazione del coro, risale il polittico per l’altar maggiore della chiesa degli Olivetani di Quarto, di cui restano oggi gli scomparti che componevano il registro principale: il S. Girolamo in trono con gli angeli (Philadelphia Museum of art), i Ss. Sebastiano e Agostino e i Ss. Eusebio (?) e Agnese (Genova, Museo dell’Accademia Ligustica di belle arti).

La pala, ancora segnata da un realismo nordicizzante, rivela una trama di sottili connessioni con le moderne sollecitazioni di Foppa e di Carlo Braccesco: lo dichiarano la qualità argentea dei chiaroscuri e la sofisticata tensione espressiva che comportano la ricezione del grande polittico foppesco per la cattedrale di Savona (concluso nel 1490) e, soprattutto, un diretto rapporto con il trittico con l’Annunciazione del Louvre, riferito a Braccesco (anteriore al 1495-96). I transiti formali fra quest’ultima e le tavole già a Quarto hanno fatto pensare a una collaborazione dello stesso Nicolò all’opera oggi a Parigi, dove, in realtà, il ruolo-guida non necessariamente spetta a Braccesco. Sempre all’interno del rapporto fra i due artisti si è tentato di spiegare l’affresco con la Visione di s. Domenico nel convento genovese di S. Maria di Castello: l’opera, attribuita di volta in volta o all’uno o all’altro pittore, non sostiene il confronto qualitativo con i dipinti sicuri di nessuno dei due ma s’inserisce in quella produzione di area bracceschiana che include la pala con il Matrimoniodelle ss. Caterina da Siena e d’Alessandria(Genova, S. Maria di Castello), il Polittico dis. Andreanella chiesa di Borzone (1484, oggi a Chiavari, Museo diocesano) e la Madonna con il Bambino e angeli (Genova, coll. priv.;ripr. in De Floriani, 1991, p. 311), databili entro gli anni Ottanta.

Il 22 settembre 1492 a Genova, Nicolò e il collega Davide da Staglieno (Alizeri, 1873, pp. 65-67) ritrattarono a Genova la perizia, fatta l’anno precedente, sugli affreschi eseguiti da Mazone nella cappella di papa Sisto IV nel convento francescano di Savona. Nel 1501 Nicolò firmò e datò il Polittico di s. Vincenzo Ferrer per la cappella Bonifaci nella chiesa dei Domenicani a Taggia (sopravvivono lo scomparto con S. Vincenzo Martire e altri frammenti: Genova, Galleria nazionale di Palazzo Spinola), secondo quanto riporta la cronaca secentesca di Nicolò Calvi (Reghezza, 1908; Calvini, 1982, pp. 108-110). Il 22 marzo 1503 firmò e datò gli affreschi nel refettorio dello monastero di Quarto (Soprani, 1674, p. 25) che comprendevano, oltre al fregio con «gran varietà de’ Fogliami e Arabeschi» (ibid.), anche tre storie, l’Ultima Cena, il Calvario e la Consegna della regola ai monaci, l’unica rimasta.

Il fregio è scandito da clipei con i santi titolari degli altri monasteri olivetani, come a Portovenere. Alla stessa campagna decorativa appartengono anche le decorazioni affrescate del primo chiostro dello stesso monastero che presentano eleganti candelabre sui pilastri e, in una lunetta, un S. Girolamo in preghiera. Nelciclo, improntato a una più calda e avvolgente restituzione della luce e del colore e a una più semplificata costruzione delle forme da leggere in rapporto con la diffusione in Liguria delle ultime esperienze lombarde del Bergognone e, soprattutto, di Zenale,si assiste a un progressivo distacco da quel rovello formale che aveva segnato la produzione del pittore fino agli anni Novanta. Le stesse considerazioni valgono per i frammenti del polittico Bonifaci già a Taggia, così come per ilcoevo Polittico di S. Ambrogio (già nel castello di Fubine Monferrato, oggi a Torino, Galleria Sabauda).

Morì, probabilmente a Quarto, nel 1513, legando agli olivetani di S. Girolamo alcune proprietà (Martini, 1984, p. 58).

Fonti e Bibl.: R. Soprani, Le vite de’ pittori, scoltori e architetti genovesi e de’ forestieri che in Genova operarono, Genova 1674, pp. 23-25; R. Soprani - C.G. Ratti, Vite de’ pittori, scultori ed architetti genovesi, I, Genova 1768, pp. 37 s.; G.B. Spotorno, Matricola de’ pittori genovesi, in Giornale ligustico di scienze, lettere ed arti, I (1827), p. 208; F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria dalle origini al secolo XVI, II,Genova 1873, pp. 40-47, 66 s., 100-102, 415 s. L. Reghezza, Appunti e notizie ricavate da documenti inediti dell’Archivio comunale di Taggia, Sanremo 1908, p. 184; G.V. Castelnovi, Il Quattro e il primo Cinquecento, in La pittura a Genova e in Liguria, I, Genova 1970, pp. 112-120, 164 s. (II ed. 1987, I, pp. 95-97); N. Calvini, La Cronaca del Calvi, il convento dei pp. domenicani e la città di Taggia dal 1460 al 1623, Taggia 1982, pp. 108-111; E. Rossetti Brezzi, Per un’inchiesta sul Quattrocento ligure, in Bollettino d’arte, s. 6, LXVIII (1983), 17, p. 20; L. Martini, Ricerche sul Quattrocento ligure: N. C. tra lombardi e fiamminghi, in Prospettiva, 1984, n. 38, pp. 42-58; M. Boskovits, N. C. e gli altri. Spigolature di pittura lombardo-ligure di secondo Quattrocento, in Arte cristiana, n.s., LXXV (1987), pp. 351-355; M. Natale, La pittura in Liguria nel Quattrocento, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, a cura di F. Zeri, Milano 1987, I, pp. 21 s.; A. Gagliano Candela, in Il Museo dell’Accademia Ligustica di belle arti, Genova 1988, pp. 46-48; A. De Floriani, Verso il Rinascimento, in G. Algeri - A. De Floriani, La pittura in Liguria. Il Quattrocento, Genova 1991, pp. 395-409, 519; M. Bartoletti, Il convento di S. Domenico a Taggia, Genova 1993, pp. 32 s.; G. Romano, Tra la Francia e l’Italia. Note su Giacomo Jaquerio e una proposta per Enguerrand Quarton, in Hommage à Michel Laclotte, Milano 1994, p. 181; C.E. de Jong-Janssen - D.H. van Wegen, Catalogue of the Italian paintings in the Bonnefantenmuseum, Maastricht 1995, p. 32; P. Donati, Gli affreschi di N. C. alle Grazie, La Spezia 2000; Id., Sul patrimonio artistico del Golfo di Spezia, in Restauri nel Golfo dei poeti, a cura di P. Donati, Genova 2001, pp. 36-39; G. Zanelli, in Galleria nazionale di Palazzo Spinola. Galleria nazionale della Liguria, a cura di F. Simonetti - G. Zanelli, Genova 2002, pp. 138-140; M. Caldera, in Tesori dal Marchesato paleologo (catal., Alba), a cura di B. Ciliento - A. Guerrini, Savigliano 2003, pp. 78 s.; Id., La pittura in Liguria nel XV secolo, Milano 2005, pp. 25, 82; A. De Floriani, N. C. e la pittura genovese in Corsica nella seconda metà del Quattrocento, in Genova e l’Europa mediterranea. Opere, artisti, committenti e collezionisti, a cura di P. Boccardo - C. Di Fabio, Cinisello Balsamo 2005, pp. 183-203; G. Zanelli, ‘Costumò Mazone di spendere il tempo tra il suo Monferrato e la nostra Liguria’: pittori da Alessandria a Genova nel Rinascimento, in Uno spazio storico. Committenze, istituzioni e luoghi nel Piemonte meridionale, a cura di G. Spione - A. Torre, Torino 2007, pp. 13-16; G. Romano, Intorno a N. C., in Il più dolce lavorare che sia. Mélanges en l’honneur de Mauro Natale, a cura di F. Elsig - N. Etienne - G. Extermann, Cinisello Balsamo 2009, pp. 69-73.