SEMITECOLO, Nicolò

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SEMITECOLO, Nicolò (

Fabrizio Biferali

Nicoletto). – Attivo a Venezia e a Padova nel terzo quarto del Trecento, Semitecolo figura in un atto notarile redatto a Venezia il 7 marzo 1353 in cui sono citati «Donatus et Nicoletus Simithecollo pictores Santi Luce» (Archivio di Stato di Venezia, Cancelleria inferiore, Notai, Rizzo Nicolò, ad annum, c. n.n.), attivi cioè nella parrocchia di S. Luca, mentre la sua nascita veneziana è attestata dalla firma su una delle tavolette con Storie di s. Sebastiano, datate 1367, provenienti dalla sagrestia dei Canonici della cattedrale di Padova e oggi custodite nel Museo diocesano d’arte sacra (Bettini, 1930; Pallucchini, 1964; Da Giotto a Mantegna, 1974; Bellinati, 1991-1992; Sgarbi, 2000b, pp. 338 s.).

La famiglia Semitecolo possedeva una casa a Padova in via Altinate, non distante dalla chiesa degli Eremitani in cui avrebbe lavorato Nicolò; Marco Semitecolo era stato pievano della chiesa di S. Agnese a Venezia tra il 1315 e il 1334, carica ricoperta anche dal pittore nel 1364, e lo aveva forse messo in contatto con i Falier, dei quali il futuro doge Marino era stato podestà di Padova nel 1337-39 e nel 1350 (Calore, 1977-1978, pp. 62 s.).

La formazione di Semitecolo, considerando sia l’impiego del verdaccio per gli incarnati delle figure e di colori preziosi e smaltei per le vesti, sia la sapiente impostazione scenica delle opere, dovette avvenire a contatto con Paolo Veneziano e con il padovano Guariento, anche se non sono da escludere contatti – oltre che con il Donato ricordato nel documento del 1353 – con i pittori Catarino e Stefano pievano di S. Agnese, i quali con Lorenzo Veneziano raccolsero l’eredità di Paolo (Skerl Del Conte, 1989-1990, pp. 9 s.). Artista di corte dei Carraresi, Guariento era stato convocato a Venezia nel 1361 per decorare la tomba del doge Giovanni Dolfin ai Ss. Giovanni e Paolo e nel 1365 per affrescare il Paradiso nella sala del Maggior Consiglio in palazzo ducale, opera poi distrutta durante l’incendio del 1577 (Flores d’Arcais, 1992, pp. 53 s.; Poli, 1999, pp. 525 s.). Semitecolo fu tra i collaboratori di Guariento nella decorazione degli Eremitani a Padova, databile alla prima metà del settimo decennio e incentrata su Storie dei ss. Filippo, Giacomo, Agostino e Guglielmo d’Aquitania sulle pareti del presbiterio e sul Giudizio universale in alto, la Passione di Cristo in basso ed Episodi dell’Antico Testamento negli sguanci delle finestre del catino absidale. Al pittore veneziano, che in questo cantiere avrebbe appreso il rigore prospettico divenuto poi un suo elemento caratteristico, sono state attribuite le quattro Storie di s. Agostino (Coletti, 1930, pp. 370 s.) e la grande Croce stazionale (550×300 cm) nell’abside, un’opera che esibisce un espressionismo accostabile a quello delle tavolette di Padova (Flores d’Arcais, 1986a, pp. 160 s.; Ead., 1992, p. 66; Spiazzi, 1992, pp. 122 s.).

Se appaiono scarni i dati documentari sull’artista, altrettanto esile risulta il suo catalogo, che ruota inevitabilmente intorno alle Storie di s. Sebastiano di Padova, l’unica sua opera documentata con sicurezza e tuttora in buono stato conservativo. Facenti parte in origine di un armadietto collocato sopra un altare (Da Giotto a Mantegna, 1974, scheda 36, p. 126), o di una cassetta per le reliquie con il coperchio dipinto su entrambi i lati (Bettini, 1930, p. 172; Flores d’Arcais, 1992, p. 63; Ead., 2009, p. 671), o di una pala che si apriva ribaltandone il registro superiore e ispirata alla Pala d’Oro di Paolo Veneziano (Rossi Scarpa, 2000, p. 388), le quattro tavole su fondo oro rappresentano: i Ss. Sebastiano, Marco e Marcellino davanti agli imperatori Diocleziano e Massimiano (65×72 cm), dove in basso a sinistra è stata apposta la firma «Nicholeto Simitecholo da Veniexia inpe[n]se»; S. Sebastiano trafitto dalle frecce (64×69 cm); S. Sebastiano bastonato e ucciso (65×72 cm), in cui l’edificio circolare in alto allude all’ippodromo del Palatino dove il santo sarebbe stato ucciso (Da Giotto a Mantegna, 1974, scheda 38, pp. 128); il Seppellimento di s. Sebastiano (65,5×70 cm), recante in basso al centro la data «MCCCLXVII adì XV d[e] dece[m]bre». Facevano parte di questo complesso pittorico, anch’esse già nella sagrestia dei Canonici e ora nel Museo diocesano: altre due tavolette su fondo oro di dimensioni pressoché sovrapponibili e con identici margini punzonati raffiguranti la Trinità (64×69 cm) e la Madonna dell’umiltà (65×72 cm); le due mezze figure di S. Daniele e S. Sebastiano, entrambe su tavola e con fondo rosso e al centro delle quali era stata con ogni probabilità dipinta anche la mezza figura della martire Giustina, di cui si conserva un frammento (Da Giotto a Mantegna, 1974, schede 36, 40-41, pp. 126, 131-133); la tavola con il Cristo in pietà tra la Vergine e s. Giovanni Evangelista, già in una collezione privata svizzera e ora nella Fondazione Luciano Sorlini a Calvagese della Riviera (Brescia), anch’essa su fondo rosso e dalle misure molto simili a quelle della Trinità (Art vénitien, 1978; Polacco - Martini, 2000).

Le immagini dipinte da Semitecolo, commissionate quando l’aristocrazia di Padova era molto attiva nel donare alla cattedrale le reliquie di santi particolarmente venerati in città, avevano una precisa funzione cultuale e liturgica, in una fase che avrebbe registrato una drammatica sequenza di epidemie di peste (Elston, 2012, pp. 118 s.). Quanto alla scelta di dedicare un intero ciclo narrativo a s. Sebastiano, essa si spiega con il notevole valore taumaturgico attribuito all’epoca al martire romano, il cui culto avrebbe goduto in tutta Europa di un vasto successo popolare dopo la peste del 1348 (pp. 122 s.). Come è stato osservato, dal punto di vista formale «le storiette in particolare mostrano una vivacità fantasiosa nella resa degli episodi, impaginati contro fondali di architetture a vivi colori, memori di quelle guarientesche degli Eremitani», anche se «il preziosismo dei colori, accostato con lacche smaglianti e arricchito nelle vesti di ornamentazioni dorate» e l’uso del fondo rosso rivelano le origini veneziane del pittore (Flores d’Arcais, 1986a, p. 161).

Affini alle tavolette padovane sono altre opere assegnate a Semitecolo dalla storiografia artistica, quali il Crocifisso su tavola in una collezione privata romana, dipinto su entrambi i lati e con una sagomatura tipicamente veneziana, connotato da un’«unione d’una narrazione popolana e di un’espressività caricata» (Gamulin, 1970, p. 199), e la tavola con la Nascita del Battista, già nella collezione Wildenstein e ora in una collezione privata a Londra, caratterizzata dalla «compresenza del naturalismo bolognese [...] e dell’astrattismo lagunare-bizantineggiante» (Skerl Del Conte, 1989-1990, p. 9).

Ricordata nella sua guida di Venezia del 1581 da Francesco Sansovino, secondo il quale «fu dipinta la historia del Volto santo, nella fraterna, da Nicoletto Semitecolo l’anno 1370» (1581, p. 59), l’altra opera documentata del pittore veneziano, la Storia del Volto Santo, decorava la doppia volta a crociera dell’oratorio dei Lucchesi, oggi difficilmente giudicabile a causa delle ridipinture ottocentesche (Poli, 1999, p. 524).

Nei frammenti con teste di Santi, Simboli degli Evangelisti e Dottori della Chiesa è stato riscontrato «il grafismo insistito e preciso che deforma i volti in espressioni caricaturali, già caratterizzante le figure della Croce degli Eremitani» (Flores d’Arcais, 1986b, p. 658). Unica parte ancora integra della chiesa gotica di S. Maria dei Servi, l’oratorio dei Lucchesi era stato eretto da alcune famiglie originarie di Lucca che, rifugiatesi a Venezia tra il 1309 e il 1317 durante una difficile fase politica della loro città, si ritrovarono in laguna all’insegna della devozione all’immagine cristologica della loro cattedrale di S. Martino (Zorzi, 2001).

Artista di cui si conosce poco sia dal punto di vista biografico sia della produzione pittorica, Semitecolo appare comunque una «personalità interessante e complessa, capace di coniugare il linguaggio veneziano più tradizionale con le mode di terraferma, con un gusto particolare per l’elemento narrativo e per la caratterizzazione espressiva dei personaggi» (Flores d’Arcais, 1992, p. 67). Se appare corretto sostenere che egli «non è stato un protagonista di prima linea» della pittura veneta del Trecento, ma «si è limitato ad aggiornare la propria formazione d’origine sulla base delle migliori novità, di Guariento principalmente, senza mai smentire del tutto la radice tardobizantina della sua arte» (Sgarbi, 2000a, p. 186), è altresì condivisibile il giudizio di chi ha riconosciuto nel suo stile «un superamento, nello spirito di Venezia, degli schemi esteriori di Bisanzio» (Bettini, 1930, p. 173). La sua parabola pittorica costituì uno tra i più fecondi punti di contatto tra la maniera postgiottesca di Padova e quella di Venezia, in un periodo storico in cui i rapporti politici tra le due città, a causa delle mire espansionistiche di Francesco da Carrara il Vecchio, sfociarono in una serie di conflitti armati terminati con la guerra di Chioggia e con la distruzione della Signoria carrarese da parte della Serenissima.

Fonti e Bibl.: F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare descritta in XIII libri, Venezia 1581, p. 59; S. Bettini, Contributo al Semitecolo, in Rivista d’arte, XII (1930), pp. 163-174; L. Coletti, Studi sulla pittura del Trecento a Padova. Guariento e S., ibid., pp. 323-380; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Trecento, Venezia-Roma 1964, pp. 120 s.; G. Gamulin, Una proposta per il S., in Commentari, XXI (1970), pp. 198-200; Da Giotto a Mantegna (catal., Padova), a cura di L. Grossato, Milano 1974, schede 36-41, pp. 126-133; A. Calore, La casa trecentesca dei S. in via Altinate a Padova, in Atti e memorie dell’Accademia Patavina di scienze, lettere ed arti, XC (1977-1978), pp. 53-65; Art vénitien en Suisse et au Liechtenstein (catal., Ginevra), a cura di M. Natale, Milano 1978, p. 87; F. Flores d’Arcais, Pittura del Duecento e Trecento a Padova e nel territorio, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, a cura di E. Castelnuovo, I, Milano 1986a, pp. 150-171; Ead., S., N., ibid., II, 1986b, p. 658; S. Skerl Del Conte, Proposte per N. S. plebano di Sant’Agnese, in Arte veneta, XLIII (1989-1990), pp. 9-19; C. Bellinati, Le tavolette del S. (1367) nella Pinacoteca dei Canonici di Padova, in Atti e memorie dell’Accademia Patavina di scienze, lettere ed arti, CIV (1991-1992), pp. 139-146; F. Flores d’Arcais, Venezia, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, a cura di M. Lucco, I, Milano 1992, pp. 17-87; A.M. Spiazzi, Padova, ibid., pp. 88-177; G. Poli, S., N., in Enciclopedia dell’arte medievale, X, Roma 1999, pp. 524-526; R. Polacco - E. Martini, Dipinti veneti: collezione Luciano Sorlini, Carzago di Calvagese della Riviera 2000, pp. 32 s.; G. Rossi Scarpa, N. S. nel duomo di Padova, ibid., pp. 385-395; V. Sgarbi, Un veneziano nella Padova “postgiottesca”: N. S., in Giotto e il suo tempo (catal., Padova), a cura di V. Sgarbi, Milano 2000a, pp. 186-189; Id., Storie del martirio di san Sebastiano, ibid., 2000b, pp. 338-343; A. Zorzi, Venezia scomparsa, Milano 2001, p. 239; F. Flores d’Arcais, Le casse della memoria, in Medioevo: immagine e memoria, Atti del Convegno... Parma... 2008, a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2009, pp. 668-674; A. Elston, Pain, plague, and power in Niccolò Semitecolo’s reliquary cupboard for Padua cathedral, in Gesta, LI (2012), pp. 111-127.

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