BIANCHI, Nicomede

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 10 (1968)

BIANCHI, Nicomede

Maria Fubini Leuzzi

Nato a Reggio Emilia il 15 sett. 1818 da Gaetano, farmacista, e da Maria Laurenti, frequentò le scuole dei gesuiti, manifestando al termine degli studi secondari particolari interessi letterari.

Lo attestano la recensione ad un volume di commedie di P. Calderón de la Barca per l'Annotatore piemontese (IX [1839], pp. 23-30), una raccolta di sonetti di A. Cagnoli (Quattordici sonetti di A. C., Piacenza 1838) e alcune esercitazioni letterarie, come l'Elogio funebre di Verrenna Lanzoni (All'Amicizia,Strenna Reggiana, Reggio Emilia 1839, pp. 79-93, 95-99) e, più tardi,Virtù civili di donna. Longum iter per praecepta,breve et efficax per exempla (Colle 1842), con cui attraverso le eroine dell'età classica, oltre a Cinzica Sismondi e Giovanna d'Arco, si proponeva di offrire esempi di forti animi femminili. Le sue preferenze andavano alla letteratura classicista, e fra i suoi corrispondenti ed amici si trovano Pietro Giordani e Prospero Viani. È pure di quel periodo il progetto, non attuato, di curare un epistolario del Foscolo, per il quale si rivolse al Pellico (cfr. S. Pellico,Epistolario, Firenze 1856, pp. 194 s., 198 s.).

In quegli stessi anni, però, il B. chiedeva l'iscrizione alla facoltà di medicina di Parma; la prima domanda (18 nov. 1840) veniva respinta, per essere stato indicato dalla polizia di Reggio Emilia "amico di giovani di sentimenti liberali", ma il 19 nov. 1841 riuscì nell'intento. Conseguì la laurea presso l'università parmense il 24 luglio 1844, nonostante le ristrettezze economiche sopraggiunte per la morte del padre, e un anno dopo poté andare a Vienna a perfezionare i suoi studi con un modesto sussidio ducale e l'appoggio dell'arciduca Massimiliano, fratello di Francesco IV, a cui era giunto attraverso i buoni uffici del conte F. Malaguzzi, suo aiutante di campo. A Vienna cominciò a scrivere un trattato, pubblicato solo in parte (Delle malattie fisico-morali,ossia della pazzia,della ubbriachezza e sonnanbulismo,sordomutismo e suicidio,considerate in ordine ai bisogni della individualità umana,al cattolicesimo,alla civiltà,alle passioni,ai delitti,all'imputazione giuridica,al diritto romano e canonico ed alle leggi civili e criminali dei presenti Stati d'Italia,libri cinque, I, Reggio 1848), in quanto i suoi studi di medicina vennero interrotti dagli avvenimenti politici del '48 che lo richiamarono in patria.

Dopo la fuga di Francesco V da Modena il B. fu aggregato alla municipalità cittadina (21 marzo) e incaricato da questa insieme con G. Paglia di una missione esplorativa a Torino, a Voghera e a Pavia presso il quartier generale sardo (27 marzo). Durante tale missione si incontrò con Carlo Alberto e si entusiasmò della causa sabauda: tornato a Reggio, si dimise dall'incarico di segretario del governo provvisorio delle Provincie unite di Modena e Reggio, Costituitosi il 2 aprile, professando il bisogno di tornare "politicamente affatto libero" per entrare "in campo... a sostegno di quel partito, che unicamente credo vantaggioso al rimedio non bugiardo dei lunghi mali della mia patria" (G. Sforza,Uno storico..., p. 220).

Non era l'integrale moderatismo del governo a spingerlo a quel passo - egli stesso aveva manifestato in vari modi di non essere un rivoluzionario, non esimendosi per esempio dall'incarico di incontrare e condurre a Reggio le duchesse di Parma, Maria Teresa e Luisa, di cui era stato negato il passaggio attraverso il territorio milanese -, ma si trattava se mai del desiderio di poter svolgere propaganda annessionistica con una maggiore libertà.

Il 3 maggio il B. venne nominato dal municipio di Reggio a far parte della commissione incaricata di raccogliere le sottoscrizioni per l'annessione, che egli stesso con un'istanza aveva sollecitato. Non poche furono le critiche suscitate da tale iniziativa, specialmente da parte dei mazziniani, di cui G. Grilenzoni si fece portavoce, accusando il B. di opportunismo. Pur rimanendo l'episodio momentaneamente senza conseguenze, esso segnava l'inizio di una lunga inimicizia. Il B. proseguì nella sua propaganda, e in un rapporto per il governo (Rapporto per la commissione incaricata a raccogliere le iscrizioni..., in Jannaco, p. 834) delineò gli umori della popolazione.

Tale scritto richiamava l'attenzione del generale Menabrea, inviato del governo piemontese per Modena, Reggio, Parma e Piacenza, che si rivolse al B. premendo perché l'annessione divenisse presto un fatto compiuto. Il 21 giugno gli Stati già estensi entravano a far parte del Regno sardo.

Capovoltesi le sorti della guerra e tornato Francesco V a Modena, il B. si rifugiò con la moglie, Carolina Bertolini, sposata il 29 aprile di quell'anno, negli Stati sardi assieme ai suoi amici politici, fra cui P. Viani, F. Selmi e L. Chiesi. Con decreto del 29 nov. 1848 gli venne assegnata la cattedra di storia e geografia nel collegio nazionale di Nizza; tuttavia, pur dedicandosi all'insegnamento, continuò nell'attività politica. Fece parte del comitato di Parma, Piacenza, Modena e Reggio, che doveva preparare gli animi dei cittadini estensi alla ripresa della guerra che il Piemonte apparecchiava; in conseguenza di ciò, con chirografo dell'8 genn. 1849, tutti i rappresentanti del comitato torinese furono imputati di lesa maestà e resi passibili di incriminazione qualora si fossero presentati negli Stati estensi.

A Nizza il B. attese all'insegnamento e allo studio della storia contemporanea. Pubblicò un manuale scolastico di Geografia comparata degli Stati antichi e dell'Italia per le scuole secondarie (Torino 1850; 2 ed., ibid. 1860; 3 ed., Milano 1861), con l'intento di fare della geografia una scienza che mantenendo "un'intima e costante unione con la storia" la aiutasse nel dare spiegazione dei fatti, ed esordì come storico della sua età con l'opera I ducati estensi dall'anno 1815 all'anno 1850 con documenti inediti (Torino 1852) in due volumi, il cui materiale per gli ultimi anni aveva raccolto attraverso le notizie di amici e conoscenti, mentre sullo stesso argomento erano già usciti Gli ultimi rivolgimenti italiani del Gualterio.

Gli scopi che il B. si prefigge con quest'opera sono diversi, indipendentemente dalle affermazioni di imparziale ricerca della verità poste nella premessa. In primo luogo vuole giustificare l'operato del governo provvisorio di Modena - e particolarmente l'annessione votata nel '48 - anche se non è alieno dal criticarlo, specialmente per l'organizzazione militare e per la preoccupazione di cercare un accordo tra mazziniani e retrivi che portò all'inazione. Inoltre egli assume un atteggiamento di netta polemica antimazziniana: dipinge Mazzini come un visionario (II, pp. 69 s.) e lo accusa apertamente di essere stato "una delle precipue ragioni per cui la bandiera tedesca tornò a sventolare in Italia" (II, p. 93). La polemica anti-repubblicana si fa anche più personale, non esitando il B. ad attaccare G. Grilenzoni personalmente, memore dei precedenti rapporti (II, pp. 108 ss.). Né si astiene dall'emettere giudizi e definizioni di spirito conservatore anche rispetto alle posizioni più moderate (II, p. 113). Pronto a difendere sempre l'operato piemontese si attirò le critiche dei suoi stessi compagni di esilio (v. lettera di L. Chiesi a F. Selmi, 21 nov. 1853, in G. Canevazzi, p. 173). Anche Pio IX, contrariamente all'atteggiamento che il B. assumerà qualche anno dopo, è giustificato. Di maggiore obiettività storica sono invece i primi capitoli dell'opera, in cui dà per la prima volta, senza essere poi ripreso da altri - talché la sua opera rimane di necessaria consultazione per quel periodo, come del resto anche per il '48 - informazioni sulle condizioni economiche e finanziarie degli Stati estensi sotto Francesco IV e sulle condizioni dell'istruzione, ammettendo, nel pur totale oscurantismo, l'esistenza di quei sussidi per gli studi scientifici, di cui egli stesso aveva beneficiato (I, p. 147).

Di grande importanza per la stesura delle Vicende del mazzinianesimo politico e religioso dal 1832 al 1854(Savona 1854), e non solo per quest'opera, fu per il B. il ritrovamento dell'archivio segreto del conte Antonio Tonduti della Scarena, già ministro di Carlo Alberto, nel collegio nazionale di Nizza, dove nella fuga del '48 era stato abbandonato dai gesuiti, a cui era stato affidato.

Con quest'opera il B., inserendosi nella già nutrita pubblicistica anti-mazziniana proprio all'indomani del fallimento dei moti di Milano del '53, intende sviluppare quegli stessi argomenti già usati contro Mazzini nei Ducati estensi (velleitarismoispirato alla filosofia tedesca, errore nell'aver combattuto le riforme, incapacità di considerare la potenza della polizia, isolamento rispetto agli stessi compagni di confessione), con un preciso scopo propagandistico a favore della politica piemontese. A questo proposito si raccomandava al direttore dell'Opinione, G. Dina, perché attraverso il suo foglio si adoperasse a diffondere "nelle serve provincie" il contenuto del libro, in quanto v'era il pericolo di moti mazziniani in preparazione proprio nell'Italia centrale.

Negli anni seguenti il B. da Nizza mantenne contatti con Torino e particolarmente con F. Selmi, rappresentante presso il comitato di liberali modenesi della Società nazionale, offrendo la propria opera con l'approssimarsi della nuova guerra, ma non desiderando al tempo stesso "fare in Torino la figura miserabilissima di que' vanitosi che ad ogni costo si vogliono fare innanzi dove non sono chiamati". (G. Canevazzi, p. 131). Di interesse particolare, in quegli anni, era stata una nuova pubblicazione che rendeva pubblici per la prima volta i documenti diplomatici relativi ai rapporti fra Austria e Sardegna dopo la pace del '49 Con questa Storia della politica austriaca rispetto ai sovrani e ai governi italiani dall'anno 1791 al maggio 1857(Savona 1857) il B., in forma sintetica e quasi annalistica, anticipava la Storia documentata, e diffondeva in un momento particolarmente propizio idee anti-austriache. Senza più intenti benché minimamente storici è invece la pubblicazione, a Torino nel '59, di una serie di documenti del periodo pietroburghese di J. de Maistre (Question italienne. La maison de Savoie et l'Autriche. Documents inédits extraits de la correspondence diplomatique du comte J. de M.), "legati in modo da formare un'aperta adesione del de Maistre all'attuale politica del conte di Cavour" (G. Canevazzi, p. 130). E questa, insieme con un opuscolo scritto in occasione dei plebisciti negli Stati estensi (La réstauration du duc de Modène François V,Archiduc d'Autriche et la tranquillité de l'Italie, Nice 1859), fu la partecipazione più concreta del B. ai fatti del '59-60. Egli si mosse da Nizza, dove da qualche mese era anche direttore del collegio, solo quando venne chiamato a far parte della commissione incaricata di redigere i programmi e le norme delle scuole e degli istituti tecnici del Regno sardo (29 genn. 1860); dopo qualche mese (14 luglio) era chiamato alla presidenza del liceo del Carmine a Torino. Intento a raccogliere materiale per la sua Storia documentata, si recò a Napoli nell'estate del '61, non tralasciando di seguire gli avvenimenti meridionali di cui parla con una franchezza, che invano cercheremmo nelle sue opere, in una lettera all'amico Dina (A. Colombo, p. 159). Mentre si trovava a Napoli lo raggiunse la notizia della nomina a preside del collegio di quella città, ma si affrettò a tornare a Torino per sottrarsi a questo nuovo incarico, che fra l'altro lo avrebbe portato lontano dalle sue fonti di studio.

In quello stesso anno pubblicò le Memorie del generale Carlo Zucchi (Milano 1861), che dall'autore aveva ricevute manoscritte, con lo scopo di giovare alla chiarificazione della "controversia romana", dalla cui causa in senso anti-garibaldino fu tutto preso in questo periodo (si cfr. anche Nuovi documenti diplomatici sulla questione romana, Torino 1861, ma estratto dall'Opinione, 1861, nn. 342, 343, 344). Dedicatosi poi allo studio di Cavour, di cui aveva frequentato la cerchia, pubblicava nel 1863 a Torino l'opera Il conte Camillo di Cavour. Documenti editi ed inediti, di cui nello stesso anno si possono contare cinque edizioni.

Si tratta di una biografia, basata su ricordi, memorie e documenti personali, che, apparsa fra le prime, è volta a proporre un esempio agli uomini politici, specialmente nella lotta contro lo straniero, ma in cui soprattutto il B. si preoccupa di cancellare "le screziature postume apportate alla grande figura istorica di questo glorioso italiano", sia dai nemici sia dai falsi continuatori (pp. 4 ss.). Più precisamente con questa opera egli si pone tra i continuatori del mito di Cavour, ossia di colui grazie al quale "tutte le esigenze valide della democrazia, una volta fallito il suo programma negli errori e nella politica del '48, vengono raccolte e appagate dal liberalismo nazionale" (R. Romeo, p. 166). L'attenzione del lettore è particolarmente richiamata sul decennio che si conclude con l'apogeo del '59-60, quando Cavour con la sua accortezza risolse ogni contrasto e pose la sua bandiera "così in alto e al sicuro d'ogni rancore e d'ogni diffidenza, da poter esser vista da tutti e da dare a tutti gli Italiani che volessero sul serio l'attuazione del concetto nazionale, facoltà piena di venire a prendervi sotto un posto onorato" (p. 64). Alla luce di questa impostazione, si tace su tutte le opposizioni incontrate da Cavour durante il decennio, si tiene a sottolinearne l'autonomia di iniziativa rispetto a Napoleone, e infine si conclude sottolineando il perfetto accordo tra Cavour e Garibaldi in Sicilia e a Napoli. Ugualmente desideroso di attenuare ogni contrasto fra destra e sinistra appare il B. in una più tarda raccolta di lettere di Cavour a Emanuele d'Azeglio ambasciatore a Londra, volta ad illustrare lo stesso periodo su cui si era soffermato nell'opera precedente (La politique du Comte Camille de Cavour de 1852 à 1861. Lettres inédites avec notes, Turin 1885). Qui spesso sono omessi nomi, sono tralasciate parole, senza darne avviso, o sono sostituite da altre.

Il 13 ott. 1864, formatosi appena il ministero La Marmora, il B. veniva chiamato come segretario generale dell'Istruzione Pubblica dal ministro G. Natoli, e fu pure segretario generale per il ministero dell'Interno, tenuto provvisoriamente ad interim dal Natoli, nell'anno seguente (1º settembre-14 dic. 1865). Il 31 dic. 1865 diede insieme con quel ministro le dimissioni e, rifiutata la carica di consigliere di Stato, tornò a Torino. Proprio negli ultimi mesi del suo incarico si riaccese intanto la vecchia polemica col Grilenzoni.

Il pretesto fu offerto dalla elezione del Grilenzoni in Parlamento a cui cercò di opporsi con tutti i mezzi il gruppo monarchico più retrivo, che il B. aiutò, senza molti scrupoli, giovandosi dell'alta carica ricoperta, col fornire al giornale di Reggio (L'Italia Centrale, 6 dic. 1865) documenti privati tratti dagli archivi segreti di Modena e volti a gettare discredito sulla personalità del vecchio mazziniano; si trattava di due suppliche al duca Francesco V per il ritorno in patria, di due lettere del '48 anti-annessionistiche e, infine, di una lettera del 16 maggio 1862, con cui Grilenzoni rinunciava al domicilio nella sua città. Pur rimanendo il B. in ombra, fu facile risalire fino a lui, che, anche se rifiutò l'accusa ufficialmente, non distrusse nel proprio archivio privato le prove dell'atto compiuto (C. Jannaco, p. 841).

Pure nel 1865 cominciò ad uscire l'opera che diede maggior fama al B.,Storia documentata della diplomazia europea in Italia dall'anno 1814 all'anno 1861(Torino 1865-71, voll. 8). Incoraggiato alla ricerca fin dal 1856 dallo stesso Cavour, che gli aprì gli archivi segreti piemontesi, e, dopo l'unità, agevolato da Ricasoli e Minghetti nelle ricerche a Napoli e a Firenze, con tale opera offre una ricchissima messe di materiale, nella maggior parte inedito, e soprattutto un quadro d'insieme, dal punto di vista diplomatico, del Risorgimento italiano, tentato per la prima volta. Si tratta ancora di un'opera che appartiene più alla pubblicistica politica che alla storiografia, quando si considerino l'evidenza della tesi, la mancanza di rielaborazione critica, l'empiricità usata nel vagliare e riportare i documenti. Si tratta di un tipo di indagine che precede di poco la metodologia positivista e che, per un altro verso, risentendo del nuovo clima etico-politico, si allontana dalla storiografia a sfondo filosofico-religioso, pur conservandone, meno per convinzione che per ossequio, alcuni motivi costanti, massimo fra i quali quello dell'Europa cristiana e di un diritto pubblico ad essa inerente (I, pp. 88, 329; II, pp. 252 s.).

La tesi fondamentale dell'opera è così riassunta dal Maturi (p. 503): "Il B. concepiva la storia diplomatica del Risorgimento come un grandioso duello iniziato all'indomani del congresso di Vienna tra la diplomazia sabauda e la diplomazia austriaca tendente sempre all'egemonia nella penisola, duello terminato con la vittoria della diplomazia sabauda diretta dal genio di Cavour". Naturalmente si tratta di una visione del tutto astratta della diplomazia, indipendente da qualsiasi orientamento dell'opinione pubblica, gioco di astuti governanti. Non solo, ma la politica diplomatica dei paesi stranieri non appare giustificata dai loro più veri interessi, - economici, militari, politici - e viene invece giudicata dal B. sia buona sia cattiva a seconda che sia condotta da spirito reazionario o liberale, filo-italiano o meno. Così che particolarmente contro la Francia, oltre che contro l'Austria, si appuntano gli strali del B., e particolarmente contro la Francia repubblicana del '48, Bastide e Cavaignac (dove invece si salva la figura incoerente e immaginifica di Napoleone III: VIII, p. 456); in altre parole, come è stato scritto più volte (Moscati, Valsecchi), il B. manca di prospettiva europea, per ragioni critiche, ideologiche, ma anche di documentazione, dal momento che egli ha visto solo gli archivi italiani. Di qui anche lo sproporzionato rilievo dato alla diplomazia piemontese, che assume senz'altro il ruolo di protagonista in Europa, per ciò che aveva saputo compiere, grazie all'occhio vigile dei suoi uomini (De Maistre è il predecessore di Cavour). Ma essi purtroppo non sempre avevano potuto agire nel modo più adatto alle circostanze, per gli impedimenti loro posti da alcuni sovrani, verso cui il B. non si astiene da critiche (I, pp. 60 ss.), attento però a non infrangere miti consacrati. Così che a Carlo Felice viene, con abile spostamento di date, attribuito un accordo militare con l'Austria stretto da Carlo Alberto (IV, pp. 44 ss.; cfr. A. Luzio, p. 693), coerentemente con l'altro mito tutto negativo, che la pubblicistica degli ultimi trent'anni aveva costruito per Carlo Felice, allo scopo di favorire il suo erede. Ed ecco anche un Carlo Felice attento nel perseguire la volontà austriaca, particolarmente quando si tratta di mantenere il governo di forma reazionaria (II, p. 229); dove invece Carlo Alberto è l'eroe del '49, che col proprio sacrificio permette agli eredi di risolvere il problema del Risorgimento italiano (IV, p. 130).

Che una storia condotta con questi criteri, passati i primi entusiasmi e affermatasi sempre più la metodologia positivistica, dovesse suscitare aspre critiche, sostenute da precisi richiami all'esattezza del documento (Poggi, Rinieri, Gabotto, Sforza, Luzio) e quindi, di volta in volta, ad una meno parziale visione storica, è evidente. Come è evidente che, evolvendosi la storiografia risorgimentale, l'assolutezza della tesi liberal-sabauda del B. dovesse scontentare. Sta di fatto tuttavia che nonostante questi rilievi l'opera del B. rimane di necessaria consultazione per il numero di documenti pubblicati; il suo esempio, d'altronde, e la necessità di correggere e integrare quanto da lui compiuto, ha stimolato gli studi recenti, che, cronologicamente più delimitati, solo da mezzo secolo a questa parte si vanno compiendo (Silva, Moscati, Valsecchi, Rosselli); né d'altra parte questa più recente storiografia ha ritenuto di dover capovolgere completamente le tesi del B. sulla diplomazia piemontese, la politica di Cavour, la Francia.

Il successo dell'opera procurava al B. nuovi onori: dopo essere stato nominato preside della scuola tecnica istituita a Roma subito dopo la sua unione al regno (14 nov. 1870), venne chiamato a dirigere l'Archivio di Stato di Torino (18 dic. 1870), carica che "per una vecchia consuetudine allora si conferiva esclusivamente a uomini politici, quasi come una ricompensa e un riposo" (G. C. Buraggi, p. 237). Nel 1874 fu nominato definitivamente sopraintendente degli Archivi piemontesi.

Sotto la direzione del B. all'Archivio di Torino, comprendente già l'Archivio di corte e quello dell'antica Camera dei conti, furono aggiunti quelli dei ministeri e degli organi statali, rimasti a Torino. Cinque sedi diverse per mancanza di spazio accolsero rispettivamente le cinque sezioni dell'Archivio (Archivio camerale, di corte, di guerra, delle finanze, del controllo generale). Fu conseguentemente compilato dal B. un nuovo Regolamento per gli Archivi di Stato di Torino (Torino 1872), in cui egli precisa i suoi criteri; per il riordinamento delle carte si attenne al raggruppamento per materia già seguito in quell'Archivio, non tenendo conto della provenienza, in un'epoca in cui già erano praticati metodi più razionali. Con la Prima relazione triennale dell'Archivio di Stato in Torino. Anni 1871, 1872, 1873 (Torino 1874) metteva il pubblico al corrente del suo operato, prefiggendosi di far seguire a questa altre relazioni senza però mantenere il proposito. Preoccupato di favorire il miglioramento degli Archivi e le ricerche degli studiosi, riaprì anche al pubblico la Scuola di paleografia e pubblicò, aiutandosi con inventari e regesti già esistenti,Le materie politiche relative all'estero degli Archivi di Stato piemontesi (Torino 1876), opera che senza essere perfetta rimane di grande utilità per un orientamento generale degli Archivi della regione.

Pur preso dalla nuova attività, non abbandonò la pubblicistica e tanto meno gli studi di storia contemporanea. Riconoscente a Carlo Matteucci, illustre scienziato romagnolo che gli aveva lasciato "per amicizia affettuosa" le sue carte, ne pubblicò la biografia (Carlo Matteucci e l'Italia del suo tempo. Narrazione di N. B. Corredata di documenti, Torino 1874).

In realtà ancora una volta si tratta di un vero e proprio excursus nella storia contemporanea, come il B. stesso avverte (p. VIII), fiducioso in essa, che ritiene "la migliore per non dir l'unica scuola di ammaestramento civile... utile ai non scienziati di politica, che è quanto dir all'universale", mentre "serve a maraviglia a diffondere quell'amore obbiettivo del vero il quale torna indispensabile alle nazioni risorte a vita indipendente". I problemi che particolarmente attraverso la vita del Matteucci il B. ha interesse a sceverare sono fra i più dibattuti del momento come la questione romana e la pubblica istruzione. Al di là però di tali questioni, vissute per altro intensamente dal Matteucci - per la prima delle quali il B. aggiungeva una ricca documentazione rispetto a quanto aveva già inserito nella Storia documentata -, viene resa con vivo interesse la vita stessa dello scienziato e del cittadino. Segnaliamo particolarmente la premessa alle lezioni di elettricità (pp. 211 ss.), le lettere da Parigi (pp. 226 ss. e 246 ss.), i rapporti con Massimo d'Azeglio (pp. 317 ss.) e gli argomenti particolarmente sentiti dal B., come le opinioni sulla riforma universitaria (p. 435), la massima della gratuità relativa nell'istruzione elementare (p. 497), il compito della religione nello stesso grado di scuola (pp. 501 ss.), l'Associazione nazionale degli asili rurali per l'infanzia.

Il B., eletto consigliere comunale di Torino l'8 giugno 1876, Venne assegnato all'assessorato della Pubblica Istruzione: nel 1877 quando divenne obbligatorio l'insegnamento della religione nelle scuole, insorse in nome dei principi liberali, cercando di allontanare le ingerenze ecclesiastiche locali dalla scuola e abolendo l'obbligatorietà dell'insegnamento della dottrina cristiana nelle scuole. Sono di questo periodo articoli e opuscoli in cui il B. dibatte il problema mirando particolarmente a difendersi dalla serie di attacchi che lo colpivano nella sua vita pubblica e privata, e nella sua qualità di storico, di cui era oggetto da parte del partito clericale.

Ancora spinto da problemi educativi, aveva fondato insieme con uomini del suo stesso sentire (fra i primi collaboratori sono V. Promis e C. Rodella) le Curiosità e ricerche di storia subalpina pubblicata da una società di studiosi di patrie memorie (Torino 1874), con l'intento di "volgarizzare e popolarizzare... la storia piemontese" e "farla entrare nel sangue di tutte le classi" riempiendo quel vuoto esistente fra la cultura storica di carattere scientifico e i romanzi storici (N. B.,Le nostre intenzioni e le nostre speranze, in Curiosità e ricerche..., I [1874], pp. 6 s.).

Il periodico uscì regolarmente, formando cinque volumi, fino al 1883, quando venne assorbito dalla Rivista storica italiana, che lo stesso editore, Bocca, prendeva a pubblicare dall'anno seguente. Il B. vi collaborò con regolarità e sempre rifacendosi a inediti o a pubblicazioni poco note. Talvolta sono ripresi e completati argomenti già studiati negli anni precedenti, come ad esempio il lungo articolo su Botta (La verità trovata e documentata sull'arresto e prigionia di C. Botta verso la fine del sec. XVIII, e le sue relazioni con Carlo Alberto principe di Carignano,poi re di Sardegna. Documenti inediti, II [1876], pp. 95-146), con cui, riprendendo la pubblicazione di inediti dello storico piemontese, già iniziata nel '62 (Carlo Botta e Carlo Alberto, in Riv. contemporanea, XXVIII[1862], pp. 329-341), corregge in maniera convincente un errore di datazione di C. Dionisotti, biografo del Botta, sul periodo da quest'ultimo trascorso nelle carceri piemontesi e mette in luce l'interesse di Carlo Alberto per lo stesso Botta storico, anche nel periodo più oscurantista del suo regno. Più spesso sono affrontati argomenti nuovi suggeriti dall'opportunità di servirsi di materiali inediti. Nei Cenni e lettere inedite di Piemontesi illustri del sec. XIX (I [1874], pp. 175-208, 375-400, 505-551) dà notizia soprattutto degli interessi letterari dello scrittore saluzzese. Nell'articolo Santorre di Santarosa. Memorie e lettere inedite (III [1879], pp. 81-192), pur mancando di porsi in una prospettiva di seria critica storica, riporta dall'archivio Santarosa molti interessanti inediti in forma di diario e di lettere, che valgono assai bene a far conoscere la formazione culturale romantica del patriota piemontese. Negli Scritti e lettere del re Carlo Alberto. Indicazioni documentate (III [1879], pp. 711-783), infine, per non far cenno dei contributi minori, il B. fornisce un'ancora utilissima bibliografia degli scritti inediti e rari di Carlo Alberto.

Contemporaneamente a questi contributi cominciò ad uscire la Storia della Monarchia piemontese dal 1773 al 1861 (Roma, Torino, Firenze 1877-1885) in quattro volumi, che rimase interrotta al 1814 per la morte del Bianchi. Come già per le Curiosità e ricerche, anche in questo caso il B. indica come scopo del lavoro l'esigenza di servire alla storia nazionale attaverso la ricostruzione minuziosa di quella regionale.

Prendendo a narrare dall'inizio del regno di Vittorio Amedeo III, dopo che D. Carutti aveva pubblicato le storie di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III (1856 e 1859), il B. esamina ogni aspetto del Regno sardo servendosi della ricca documentazione che l'Archivio di cui era direttore gli fornisce. Pur soffermandosi inizialmente con particolare gusto sulla corte, i suoi membri, i suoi costumi, passa presto a rendere segnatamente conto delle finanze, del catasto, del clero, della religiosità, della cultura, dell'esercito, della politica estera; argomenti tutti intorno a cui, tranne l'ultimo, il B. non ebbe specifica competenza, ma a cui si interessò, sia pure estrinsecamente. I suoi giudizi, morali e storici, sono in genere quelli propri alla cultura del tempo: non fu, per esempio, l'illuminismo francese, come a torto si ritiene, il risvegliatore delle coscienze italiane (I, pp. 435 ss.); i Piemontesi in particolare, nonostante l'apparente rozzezza, avevano serbato, confrontati con il resto degli Italiani, "i loro costumi ... morali, avevano radicato nell'animo l'amore al lavoro e l'ossequio all'autorità"; non solo, ma al patriziato piemontese spetta un posto onorato nella vicenda della grande industria e della cultura (I, pp. 427 ss.). Sono questi, come si vede, tra i primi spunti della retorica intorno al "vecchio e glorioso Piemonte". Più caute se mai, anche se non originali, sono le vivaci critiche al sistema economico protettivo di Vittorio Amedeo III (I, p. 126) che, suggerite dai tempi, si inquadrano nel giudizio particolarmente severo del B. verso questo sovrano, come colui che, staccatosi dalla tradizione gloriosa dell'avo e del padre, fallì nell'ordinamento interno dello Stato, ma soprattutto nella politica estera, preferendo nel 1796, dopo la guerra con la Francia, la neutralità rovinosa all'indipendenza del paese, anziché "ordinare ai suoi soldati di precedere alla volta della Lombardia le schiere francesi" (II, p. 336). In altre parole, Vittorio Amedeo III non aveva saputo favorire il Risorgimento italiano. Né, d'altra parte è da dire che il B. sia tutto filo-francese; il suo atteggiamento rimane ambiguo, e mentre per un verso dà atto alla Francia di avere portato la libertà anche in Piemonte, dove la guerra alla Repubblica voluta da Vittorio Amedeo "non era riuscita popolare" (II, p. 521), per un altro verso, subito dopo, si asserisce che "partigiani dei francesi in Piemonte erano soltanto i patriotti" (II, p. 525); i quali patriotti il B. non riesce a capire, fermandosi ad un esame superficiale che non va oltre la pura menzione di episodi, senza considerazione alcuna dell'ideologia politica, per non dire altro (II, cap. XIV). Con tutte queste limitazioni bisogna tuttavia dare atto al B., rispetto a storie piemontesi del tempo, come quella di D. Carutti e di E. Ricotti, della novità della sua ricerca, particolarmente per i diversi campi esplorati, e ancora una volta, per i documenti diplomatici inediti di particolare interesse dell'ultimo periodo esaminato (1802-1814).

L'ultima pubblicazione rimarchevole del B. furono i due volumi riguardanti la corrispondenza di Massimo d'Azeglio a suo nipote Emanuele, ministro sardo a Londra, dal 1848 al 1859 (Lettere inedite di Massimo d'Azeglio al marchese Emanuele d'Azeglio,documentate a cura di N. B., Torino 1883, e La politica di Massimo d'Azeglio dal 1848 al 1859. Documenti in continuazione alle sue lettere al marchese Emanuele d'Azeglio, Torino 1884). Nel primo volume si limita a riportare la corrispondenza, con qualche taglio, che ritiene dover operare, di brani giudicati "troppo intimi". Nel secondo raccoglie altri documenti, integrativi del precedente. Per la bibl. completa del B., v. A. Manno,L'opera cinquantenaria della R. deput. di Storia patria di Torino, Torino 1884, pp. 176-79, integrato da E. Dervieuse,L'opera cinquantenaria della R. Deput. di storia patria di Torino, Torino 1935, pp. 116-118.

Pur nominato senatore nel 1881 (12 giugno), il B. continuò fino alla fine la sua attività di archivista. Morì a Torino il 6 febbr. 1886.

Fonti e Bibl.: L'autografoteca del B. costituisce un fondo della Biblioteca Comunale di Reggio Emilia. Il fondo Bianchi dell'Archivio di Stato di Torino comprende i documenti di quell'Archivio stesso che il B. aveva presso di sé al momento della morte.

Lettere del B. sono pubblicate in A. Manno,Ricordi di E. Ricotti, Torino 1886, p. 396; D. Berti,Scritti vari, II, Torino-Roma 1892, pp. 301-321; G. Canevazzi, F. Selmi,letterato,scienziato,con app. di lettere ined., Modena 1903, pp. 128-131; A. Colombo,G. Dina e la convenzione di settembre. Con doc. ined., Torino 1913, pp. 157-162; L. Madeio,Lettere di illustri italiani a Gioberti,pubbl. con proemio e note, V, Roma-Torino 1937, pp. 168-170.

Per la biografia: E. Ferrero,Necrologia di N. B., in Arch. stor. ital., s. 4, XVII (1886), pp. 414-428; G. Sforza,Uno storico del Risorgimento italiano. N. B., in Rass. stor. del Risorgimento, IV(1917), pp. 213-266 (con bibl. del B.); E. Michel, in Diz. del Risorgimento naz., II, Milano 1930, pp. 286 s.; M. Menghini, in Encicl. Ital., VI, Roma 1930, p. 868. Particolarmente sul B. e il, 48 a Reggio Emilia: L. Bonazzi,N. B. segretario del governo provvisorio di Reggio, in Il Milleottocentoquarantotto a Reggio Emilia (Ricorrendo il I centenario), Reggio Emilia, 30 maggio 1948, pp. 73-76; R. Marmiroli,Dissidio fra "moderati" e mazziniani nel "Quarantotto reggiano",ibid., pp. 25-32; O. Rombaldi,Democrazia Politica e democrazia sociale a Reggio dal 20 maggio al 7 agosto,ibid., pp. 11-24. Sul B. esule: G. Sforza,Esuli estensi in Piemonte dal 1848 al 1859, in Arch. emiliano del Risorg. naz., 1907, p. 63 n. e passim. Sui rapporti fra il B. e Grilenzoni: C. Jannaco,N. B. e la questione Grilenzoni. Schermaglie di mazziniani e monarchici, in Rass. storica del Risorgimento, XXVI (1939), pp. 829-844; R. Marmiroli,La polemica fra B. e Grilenzoni al lume di nuovi documenti,ibid., XXXIX(1952), pp. 244-259. Sul B. archivista: G. C. Buraggi,Archivisti italiani,N. B., in Notizie degli Archivi di Stato, II (1942), pp. 237-240.

Sulla complessiva opera storica del B., oltre all'articolo di G. Sforza del 1917, v. A. Luzio, Garibaldi,Cavour,Verdi,Nuova serie di studi e ricerche con la completa bibliografia dell'autore, Torino 1924, pp. 693-695; W. Maturi,Interpretazioni del Risorgimento. Lezioni di storia della storiografia, prefaz. di E. Sestan, aggiorn. bibl. di R. Romeo, Torino 1962, pp. 289-302. Particolarmente, sulla biografia di Cavour, R. Romeo,Dal Piemonte sabaudo all'Italia liberale, Torino 1963, pp. 166 s. Sull'epistolario di Cavour, F. Gabotto,Come si pubblicano le lettere di Camillo Cavour, in Il Risorg. ital., n. s., VIII (1915), pp. 505-526. Sulla Storia documentata, E. Poggi,Storia d'Italia dal 1814 all'8 agosto 1846, Firenze 1883, I, p. 553; II, p. 7; I. Rinieri,Il congresso di Vienna e la S. Sede (1813-1815), Roma 1904, pp. 35-43; M. degli Alberti,La politica estera sotto Carlo Alberto,secondo il conte Balbo Bertone di Sambuy,ambasciatore sardo a Vienna (1835-46), III, Torino 1913, pp. XII s.; R. Moscati,Austria,Napoli e gli stati conservatori italiani (1849-1852), Napoli 1942, pp. 24 s.; Id.,La diplomazia europea e il problema italiano del 1848, Firenze 1948,passim; F. Valsecchi,Il Risorgimento e l'Europa. L'alleanza di Crimea, Verona 1948, p. 124; Id., App. per una storia della storiografia sul Risorgimento. Gli inizi, in Studi storici in onore di G. Volpe, II, Firenze 1958, pp. 1068-69. Sulla Storia della Monarchia piemontese, la recensione di C. Falletti Fossati, in Arch. stor. ital., s. 4, I (1878), pp. 332-342; III (1879), pp. 98-117; V (1880), pp. 116-124; [V. Scati di Casaleggio],N. B. e la sua storia della monarchia piemontese. App. di un elettore torinese, Torino 1881. Sulle Lettere inedite di M. d'A., A. M. Ghisalberti,Un epistolario da raccogliere (con lettere di M. d'A.), in Rass. stor. del Risorgim., XXX (1934), p. 391.

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