NICOPOLI dʼepiro

Enciclopedia dell' Arte Antica (1963)

NICOPOLI d'epiro (Νικόπολις; Actia Nicopolis)

C. Bertelli

Città greca sul promontorio settentrionale epirota che divide il golfo di Ambracia dal Mar Ionio, opposto al promontorio settentrionale acarnano, presso una pescosa laguna (Μάξωμα). Il suo nome attuale è Paleoprevesa, dalla cittadina di Prevesa, che è circa 3 km a S.

Il seno di Gomaros, che si addentra a O nella terraferma, ha conservato l'antico nome di κόμαρος di uno dei due porti della città, e vi si vedono ancora i resti di un molo. Verso S, in opposizione alla penisola di Azio il promontorio era scavato da un altro seno di mare, dove era situato l'altro porto, più grande, di βαθί, dove si trovano ancora numerosi avanzi archeologici. La cerchia più interna delle mura, i cui resti sembrano risalire al più presto al V sec. d. C., tracciano un perimetro esagonale di circa 2 km; cinquecento metri più a S sono i resti della cerchia più esterna che circoscrive il limite della città qual'era verso il I sec. d. C.

N. fu fondata da Augusto dopo la vittoria di Azio: Cassio Dione (li, 12) racconta che Ottaviano eresse un tempio sul luogo in cui aveva piantato la tenda prima della battaglia.

Intorno al santuario si sviluppò poi la città, indicata da elementi provenienti dai centri vicini. La favorevole situazione tra lo Ionio e il golfo di Ambracia, la proverbiale pescosità delle sue acque, il favore degli imperatori, (particolarmente Adriano e Diocleziano che ne fece la capitale dell'Epiro), ne fecero presto una città di notevole importanza, ammessa al consiglio anfizionico accanto ad Atene e a Delfi. Fioriva ancora sulla prima età dell'impero cristiano malgrado alcuni terremoti del IV sec.; il suo vescovo intervenne al Concilio di Nicea e il vescovo di N., fu il metropolita di tutto l'Epiro. Nella sua lettera a Tito (3, 12) Paolo parlava del suo desiderio di svernare a N., e anche se il suo soggiorno nella città non può essere provato, appare tuttavia evidente che fin da età apostolica essa era stata concepita come centro di missione del cristianesimo.

Fu saccheggiata dai Vandali di Genserico nel 475, nel 551 se ne impadronì Totila, ma fu restaurata da Giustiniano; assediata dai Bulgari nel 929, che alla fine vi entravano nel 1040, chiamati dagli stessi abitanti. Ma allora N. era già ridotta a un villaggio e il metropolita e lo stratega si erano trasferiti già nel X sec. a Naupattos. Numerosi scavi condotti dal Philadelpheus hanno messo in luce monumenti importanti specialmente per i primi tempi cristiani, e hanno chiarito la pianta della città.

A O della cinta interna si trova il piccolo teatro (oggi Σκοιτεινή) di cui sussistono le rovine delle mura e circa una ventina di gradini per gli spettatori. Più a O alcuni ruderi detti popolarmente μπούϕη, constano in una sala con nicchie per le statue, forse un palazzo (Leake) o piuttosto un bouleutèrion (Philadelpheus), vicino a cui sorgono ancora alcuni archi dell'acquedotto, che portava l'acqua dal vicino colle di Michalitzi ai cui piedi è il grande teatro (detto κιλιϕί), struttura romana di notevole interesse. Non lungi è lo stadio, con le gradinate che poggiano su arcuazioni e con le due estremità del campo terminanti a semicerchio. Sono stati tentativamente identificati con il ginnasio le rovine di un edificio nei pressi (cfr. Strab., vii, 7, 4, p. 352). Tutti gli edifici ricordati si trovano nel προάστειον, cioè fuori del centro cittadino. Poiché Strabone dice che N. era divisa in due quartieri, il primo, ἐν ἄλσει, con lo stadio per le gare atenaiche, l'altro, sul colle di Apollo, si deve ritenere che quest'ultimo si estendesse intorno all'attuale collina di Michalitzi, già ricordata. Appunto su questo colle, dominante sul golfo, Augusto aveva piantato la tenda, e aveva in seguito lastricato una piazza ornata dei trofei navali. Quivi aveva consacrato ad Apollo un ἕδος ὕπαίθιον (Dio, li, i, 3). Secondo Svetonio la piazza sarebbe stata consacrata a Marte e a Nettuno dopo che Augusto aveva ingrandito il tempio di Apollo, probabilmente il tempio di Apollo ad Azio (Oct., 18, 2); ma lo stesso Strabone parla altrove (96, 2) di un tempio.

Nelle due nècropoli, una a E l'altra a O, il Philadelpheus ha scavato oltre 150 tombe.

Notevoli sono i monumenti di età cristiana specialmente due grandi basiliche cristiane: basilica A e basilica B. La prima, dedicata a S. Demetrio (iscrizione musiva), è a tre navate, con transetto tripartito, preceduta da un atrio porticato e nartece, cui si aggiunge una sala absidata. Tranne le navate laterali, l'atrio, l'abside e, probabilmente, la parte centrale del transetto - dove presumibilmente era l'altare -, tutti i pavimenti sono coperti di mosaici. Specialmente interessanti sono quello dell'ala N e quello dell'ala S del transetto: il primo con la rappresentazione di alberi e uccelli e una cornice di motivi marini che un'iscrizione dichiara raffiguranti l'oceano, mentre il paesaggio così inquadrato dovrebbe essere la terra; l'altro con due uomini armati, forse Elia e Enoch, e intorno una larga fascia con scene di caccia. Per il Kitzinger nei due mosaici si troverebbero contrapposti la terra e il regno promesso. Secondo la cronologia ricostituita dallo stesso Kitzinger, il Διμήτιος (Domizio) vescovo che dedica i mosaici sarebbe stato Domizio I, vescovo dopo il 516 e verso il secondo quarto del VI secolo. Un altro Domizio, che si dichiara alunno e successore del primo, decorò invece di mosaici pavimentali un ambiente annesso alla già esistente basilica B, dopo il 550 circa.

Bibl.: W. M. Leake, Travels in Northern Greece, I, Londra 1835, pp. 186-199; E. Oberhummer, Akarnanien, 204-207; Th. Mommsen, Römische Geschichte, in Ges. Schr., V, Berlino 1905-13, 270-272; Bursian, Geogr. von Griechenland, I, 32-34; A. Philadelpheus, in Πρακτικὰ τῆς ᾿Αρχαιολογικῆς ῾Εταιρείας, 1913, pp. 83-112; 1914, pp. 219-242; 1915, pp. 59-95; 1916, pp. 48-64; 1918, pp. 16-18; 1921, pp. 42-44; 1922, pp. 40-44; 1924, pp. 108-115; 1926, pp. 122-130; 1927, pp. 50-51; 1928, p. 95; 1929, pp. 83-86; 1930, pp. 79-80; in ᾿Εϕημ. ᾿Αρχ., 1913, p. 235; 1914, pp. 249-260; 1916, pp. 33-45; 65-72; 1917, pp. 48-71; 1918, pp. 28-41; 1922, pp. 66-79. Cfr. Arch. Anz., 1913, c. 128; 1922, cc. 248-250; 1930, c. 122 ss.; 1931, c. 264. A. Philadelpheus, Nikopolis, Atene 1928; id., Nicopolis, Atene 1933; E. Oberhummer, in Pauly-Wissowa, XVII, c. 511 ss., s. v. (2); E. Kitzinger, Mosaics at N., in Dumb. Oaks Pap., VI, 1951, p. 83 ss. Τὸ ᾿Εργον, 1961, p. 117 ss.