NIKE

Enciclopedia dell' Arte Antica (1963)

NIKE (Νίκη; dorico Νίκα; tardo-greco: Νείκη)

W. Fuchs
C. Bertelli

Dea della vittoria, innanzitutto colei che dà la vittoria. Probabilmente come dea, al pari della Vittoria (Victoria) romana (v. più avanti; Kretschmer, in Glotta, xiii, 1924, 105) essa è più antica dello stesso concetto astratto della vittoria, benchè in Omero compaia sicuramente il concetto, e forse anche N. in qualità di dea (Il., iii, 457). La concezione fondamentale degli studiosi del XIX sec., che la N. come personificazione del concetto di Vittoria sia nata da un'astrazione, va accolto con molte riserve perché, in complesso, sappiamo davvero troppo poco sulle origini delle figure di divinità greche (v. per esempio hestia).

1. Fonti. - In Esiodo (Theog., 383), N. è catalogata nella genealogia dei Titani come figlia di Pallante e di Stige, accanto a Zelos, Kratos e Bia. Anche in Bacchilide (Epigr., 1 Snell) N. è chiamata κούρα Πάλλαντος. L'Inno omerico viii, 4, cita Ares come suo padre. All'inizio dell'epinicio per Alexidamos di Metaponto di Bacchilide (11 Snell) si dice: Νίκα γλυκύδωρε ... ἐν πολυχρύσῳ δ᾿ ᾿Ολύμπῳ Ζηνὶ παρισταμένα κρίνεις τέλος ἀϑανάτοισί τε καὶ ϑνατοῖς ἀρετᾶς ... (Nike dispensiera di dolcezze...., nell'Olimpo dorato, ritta accanto a Zeus, stabilisci il premio per il valore degli dèi e degli uomini....).

I suoi appellativi sono: γλυκύδωρος (dispensatrice di dolcezze), πολυώνυμος (dai molti nomi) in Bacchilide; εὔδοξος (famosa) in Simonide; μεγαλώνυμος (gloriosa) in Sofocle (Antigone, 148). Inoltre: καλλίσϕυρος (dai bei malleoli) in Esiodo (Theog., 384); κυανοπλόκαμος (dai riccioli neri), σεμνή (augusta), πότνια (augusta, signora) χρυσέα (aurea).

N. è apportatrice di vittoria tanto in guerra che nelle gare di lotta (Aristoph., Equit., 581 ss.); come N. di guerra essa è delineata chiaramente soltanto in Esiodo, sicché gli agoni di Olimpia contribuirono forse a determinare la sua rappresentazione, tanto più che le prime raffigurazioni si trovano su monete dell'Elide e solo più tardi nell'Occidente greco.

Come portatrice di vittoria, N. si può affiancare a tutte le divinità che concedono la vittoria, così per esempio a Demetra (Cic., Verr., 4, 49, 110), ad Afrodite Urania (Compte rendu, Pietroburgo 1877, 246). N. è strettamente collegata particolarmente con Zeus ed Atena.

Non si conosce per i tempi più antichi un culto particolare dedicato alla sola Nike. In Atene è venerata almeno fin dal VI sec. a. C. come Atena-N. (cfr. vol. i, 788; A. Raubitschek, Dedications from the Athenian Acropolis, n. 329), analoga alle altre forme particolari di Atena come Atena Ergàne e Atena Hygièia. L'antica statua cultuale dell'Atena-N. nel tempio a lei dedicato sul pyrgos dell'Acropoli, era raffigurata senz'ali ed è chiamata da Pausania (1, 22, 4) semplicemente Νίκη ἄπτερος, sebbene a causa della mancanza delle ali risulti chiaro in questa raffigurazione proprio il carattere della dea Atena. Come attributi aveva l'elmo nella sinistra e la melagrana nella destra (Harp., s. v. ᾿Αϑηνᾶ Νίκη). Probabilmente l'introduzione del culto di Atena-N. è da connettere all'inizio dei giochi panatenaici (556 a. C.: Welter, Arch. Anz., 1939, c. 12 ss.). Il culto di Atena-N. esisteva anche a Megara (Paus., i, 42, 4) e a Eritre e, per il III sec. d. C., è documentato anche a Rodi.

Ad Olimpia, Pausania (v, 14, 8) ricorda un'ara di Zeus Kathàrsios e di N.; nel periodo adrianeo è testimoniato lo stesso culto in Atene dall'iscrizione sul sedile del sacerdote della N. olimpica, nel teatro di Dioniso (C. I. A., iii, 1; 245). In Olimpia e nell'Elide sembra si possa far risalire il culto di N. fino agli inizî del V sec. a. C. Culti di N. quale divinità a sé stante sembrano sorgere, del resto, appena dall'epoca di Alessandro Magno in poi e sono documentati per Ilio, Tralles, Afrodisiade, Olbia e per l'isola di Carpato (Karpathos).

In complesso N. svolge Liti ruolo di secondaria importanza nell'ambito del culto e della mitologia dei Greci. Le sue caratteristiche sono espresse e messe in luce principalmente dalle arti figurative e dalla poesia.

2. Arte greca. Già attraverso il linguaggio stesso, N. si presenta come un personaggio femminile ed ugualmente in arte essa viene rappresentata come una figura femminile alata, che compare sempre con vesti lunghe, e dotata inizialmente di quattro, più tardi di due, ali falcate. L'attributo è costituito per lo più dal dono che essa porta al vincitore: bende, rami, corone; dal IV sec. a. C. in poi anche il ramo di palma. Inoltre compare come nobile ancella sacrificale degli dèi e come tale può portare un boccale, una phiàle, un thymiatèrion, un canestro da sacrificio e la fiaccola. In qualità di veloce messaggera della vittoria essa presenta affinità con altre figure alate dell'arte greca come Iride (v.), la vera e propria messaggera degli dèi, che però appare per lo più in vesti corte, Eos dalle lunghe vesti, come pure le Keres (v.), démoni della morte che rapiscono velocemente, e le Arpie (v.).

a) Periodo arcaico. - Secondo la tradizione antica che risale a studiosi dell'arte pergamena (Sch. ad Arist., Aves, 574), la prima N. alata sarebbe stata rappresentata nelle arti plastiche da Archermos di Chio, mentre il pittore di Taso Aglaophon l'avrebbe per primo dipinta con le ali. Per mancanza di denominazioni epigraficamente documentate non è possibile stabilire di conseguenza se la N. esistesse già prima di allora come figura non alata; va considerato a tale proposito che la stessa Iride compare senza ali nella prima metà del VI sec. a. C., come ci è tramandata dalle rappresentazioni del cratere attico a figure nere di Kleitias ed Ergotimos. Ma nel momento in cui nell'arte greca N. appare per noi chiaramente identificabile, essa si presenta come una figura alata, a prescindere da poche eccezioni di cui più sotto.

Plastica. Nella plastica arcaica la più antica e la più importante opera conservataci è la N. in marmo di Delo, la quale, nonostante sia stata contestata la sua connessione con la base di Archermos, rinvenuta nello stesso luogo, ci dà in ogni caso la rappresentazione della più antica figura di N.; la rapidità del volo è espressa mediante l'antico motivo del balzo in avanti, il cosiddetto "schema della corsa in ginocchio". Le quattro ali falcate sono un motivo dell'arte fenicia. Mentre la parte inferiore del corpo (probabilmente con ai piedi i calzari alati) è raffigurata nettamente di profilo, la parte superiore ed il volto conservano una rigida frontalità. La N. indossa una lunga veste con cintura, che probabilmente era anche connessa alla base. Ha un diadema fra i capelli. L'opera appartiene alla metà del VI sec. a. C. e, a quanto pare, era situata in cima ad un pilastro o ad una colonna.

Il tipo originato dalla N. di Delo viene ripreso durante il corso del VI sec. a. C. da una serie di altre opere delle quali si citano qui soltanto i torsi in marmo dell'acropoli di Atene (anch'essi con vesti lunghe, ma con mantello e chitone ionico) e le statuette di bronzo provenienti dallo stesso luogo. Persino la N. dedicata da Callimaco, eretta, a quanto pare, dopo Maratona per adempiere al voto del polemarco morto (dopo il 490 a. C.), risente ancora dell'influsso del tipo della N. di Delo.

Pittura vascolare ed arti minori. La N. non è finora epigraficamente nota nella pittura vascolare attica a figure nere del VI sec. a. C. Ma alcuni esseri alati del tardo VI sec. si possono interpretare con una certa verosimiglianza come figure di N. (H. Kenner, in Osterr. Jahresh., 31, 1938, 90 ss.). Si può senz'altro ravvisare una N. nella raffigurazione all'interno di una coppa laconica di Cirene (v. lagonici, vasi) al British Museum (B. 1), dove, vestita di un breve chitone, con una corona in ciascuna mano, essa segue volando un cavaliere. In modo simile N. è rappresentata anche su uno sköphos tardo-corinzio. Questa interpretazione è documentata dai rilievi incisi sui bordi di bacili e dei pìthoi tardo-arcaici della Sicilia e dell'Italia meridionale e dalle monete siciliane, dove una N. con corona segue l'auriga di una biga o di una quadriga vittoriosa o gli vola incontro.

b) Periodo severo classico. - Pittura vascolare. Già dal periodo attorno al 500 a. C. la N. alata è un soggetto molto familiare ai pittori vascolari attici. A prescindere dalla figura alata (difficilmente identificabile, sulla coppa di Sosias a Berlino, che versa da bere a Zeus: Nike? Ebe? Iride?), sembra evidente che quale figura alata N. sia stata introdotta nella pittura vascolare dal Pittore di Berlino (v.), il quale si ricollega anche altre volte in modo evidente alle invenzioni della grande pittura (v., a questo proposito, aglaophon), che naturalmente precede la pittura vascolare. Ce ne può dare un'idea la raffigurazione di N. dipinta all'interno di uno scudo di marmo (A. Rumpf, Handb., iv, 1, 88, tav. 22, 2): lo stile assomiglia a quello del ceramografo Douris, che presenta anch'esso le prime rappresentazioni di Nike. Già nelle prime opere del Pittore di Berlino, circa fra il 500 ed il 485 a. C., la N. compare per lo meno dieci volte come una significativa figura singola o in connessione ad altre divinità e ancora di frequente compare nella sua produzione media e tarda. Qui, come figura singola, essa porta spesso un thymiatèrion ed un ramo, una phiàle e la cetra, che essa porterà ad un citaredo vittorioso. È essenziale che, in connessione ad altre divinità, N. appaia per lo più in atto di fare offerte o di mescere in qualità di addetta al sacrificio o rispettivamente coppiera. È così che il Pittore di Argo la rappresenta tra gli dèi Zeus e Posidone in trono, con la coppa ed il kerykèion (caduceo) preso in consegna da Iride (J. D. Beazley, Red-fig., 176, 5-6); è così che versa da bere a Hera (J. D. Beazley, op. cit., 956-157); è così che viene connessa a Posidone e a Dioniso (J. D. Beazley, ap. cit., 145). Probabilmente, anche a causa delle sue vesti lunghe, è N. che offre per lo più la libagione a Zeus e a Hera, anche se talvolta è sostituita da Iride.

Come dea della vittoria in senso vero e proprio essa appare ad un guerriero sulla coppa di Douris, Berlino 2283 (J. D. Beazley, op. cit., 281, 19, 957); può portare inoltre l'elmo e lo scudo, infine innalza essa stessa il segno della vittoria (J. D. Beazley, op. cit., 718, 2) o conduce i tori destinati al sacrificio o fa abbeverare il toro sacrificale (J. D. Beazley, op. cit., 684, 5; 793, 13). Queste attività di N. elaborate nella pittura già fin dalla metà del V sec. a. C., culminano alla fine del V sec. nei grandiosi fregi della balaustrata del tempio di Atena-N. (cfr. sotto).

Però, ancor prima che la N. venga introdotta dal Pittore di Berlino come dea della vittoria, alata e con lunga veste, sembra, secondo l'interessante supposizione di Beazley, che già alla fine del VI sec. a. C. esista una N. senz'ali, su una coppa del Pittore di Euergides (J. D. Beazley, op. cit., 62, 6o; id., Potter and Painter, 8, tav. i, 2-3): poiché la figura femminile senz'ali in chitone ed himàtion che sembra incoronare un pittore vascolare alla presenza di Atena, può essere denominata veramente soltanto così; tanto più che più tardi il Pittore di Leningrado fa incoronare alcuni dei pittori vascolari da Nikai alate (J. D. Beazley, Red-fig., 376, 61; id., Potter and Painter, ii ss.). Esiste inoltre già nella metà del V sec., sulla pyxis di Agathon in Berlino (J. D. Beazley, Red-fig., 520, 1), una N. senz'ali definita tale dall'iscrizione.

La N. come figura librata nell'aria, che ha ormai abbandonato lo schema arcaico della "corsa in ginocchio", venne anch'essa introdotta nella pittura vascolare dal Pittore di Berlino (J. D. Beazley, Red-fig., 142, 176). Il movimento del volo si è sviluppato con l'andare del tempo analogamente ai movimenti del nuoto: il corpo è sospeso come se avesse lo stesso peso dell'aria.

Riepilogando, della N. nella pittura vascolare del V sec. si può dire: dapprima N. appare come coppiera nella cerchia degli dèi e può stare accanto a Zeus ed Hera, ad Atena, a Posidone e Dioniso e fare parte anche della cerchia delle divinità eleusine (coppa di Brygos, Francoforte; J. D. Beazley, Red-fig., 258). Appare inoltre tra gli esseri umani: erige trofei, conduce i tori destinati al sacrificio, versa da bere a guerrieri in procinto di partire (J. D. Beazley, Red-fig., 278, 95; 684, 5; 690, 3) ed appare con doni sacrificali sulla tomba di un guerriero caduto (Studniczka, Siegesgöttin, fig. 47). Raffigurata in proporzioni minori, è seduta sopra un pilastrino in palestra, e osserva pensosamente i lottatori (Oxford 288, J. D. Beazley, Red-fig., 722, 12). N. come dea della vittoria si inserisce dunque nell'ambito dei dipinti a soggetto divino ed umano, dei pittori vascolari attici.

Plastica. Ancora all'inizio del V sec. l'influenza del tipo arcaico della N. di Delo, va rintracciata nella N. di Callimaco, che esprime il rapido movimento del volo mediante la lunga falcata del passo. Non è più possibile accertare se il torso di Eleusi, che appartiene anch'esso al periodo dopo il 490 a. C., abbia già abbandonato lo schema della corsa. Dopo le guerre persiane si annunciano nuove forme di superamento del problema del volo. Rivestite di peplo, le Nikai sono raffigurate, ora mentre discendono in volo, come testimoniano due importanti originali, la N. di Paro e la N. italiota in Roma, Palazzo dei Conservatori, di tipo ancora un po' arcaico. In quanto a quest'ultima, senz'altro un acroterio, la N. sfiora il suolo con ambedue le punte dei piedi, le mani afferrano la parte superiore del manto che a guisa di un paracadute frena il volo radente. Nella N. di Paro, che ormai ha un piede solidamente poggiato a terra, il volo è reso evidente dalla veste fluttuante e dalla leggera torsione del corpo. Nella piena classicità Fidia raffigura la N. più e più volte: sulla mano della Atena Parthènos, sul frontone orientale del Partenone, tra Zeus e Hera sul fregio del Partenone (l'interpretazione della figura come Iride va esclusa a causa della veste lunga), sulla mano della statua di Zeus a Olimpia. Sembra anche che nei rilievi del trono del simulacro di Zeus, Fidia abbia raffigurato una serie di Nikai, le cui riproduzioni divennero così numerose in seguito (Paus., v, ii, 2). Nelle raffigurazioni cultuali N. è intesa sempre come colei che giunge o come l'inviata che ritorna. Il suo costume è costituito nuovamente dal chitone e dal mantello, però la N. del fregio del Partenone porta il peplo con la cintura. La N. della Parthènos aveva in capo una corona d'oro, che si poteva togliere; e così quella dello Zeus (Paus., v, ii, i).

Per l'audacia dell'inventiva, Fidia è di gran lunga superato da Paionios di Mende con la sua N. che era il dono votivo e di vittoria dei Messeni e Naupatti in Olimpia e che, probabilmente, era stata anche ripetuta e dedicata in Delfi. La consacrazione avrà avuto luogo in seguito a una vittoria sugli Spartani, durante la guerra archidamica, circa il 421 a. C. La N. discende in volo su un pilastro di 9 m d'altezza e si regge con le mani al mantello che si gonfia come una vela. Sotto ai suoi piedi una massa di marmo rappresenta l'aria attraverso cui un'aquila passa volando di lato. Oltre il mantello, la N. porta un peplo sottile, che le lascia scoperto il seno e la gamba sinistra. La leggera inclinazione della figura rispetto all'asse principale sulla verticale serve a esprimere che essa non risente della forza di gravità. Del tipo della testa di questa N. esistono copie romane.

La N. come auriga ci è tramandata (Paus., vi, 18, 1) dal gruppo dedicato da Kratisthenes di Cirene, di stile severo, a Olimpia, opera di Pythagoras e dovrebbe essere il primo esempio di questo tema così popolare nella pittura vascolare e nelle arti minori sin dal tardo V sec. a. C. Secondo testimonianze epigrafiche, una serie di Nikai dorate fu eretta sull'acropoli di Atene tra il 434-33 (ancora incompiute) ed il 426-25, l'ultima coppia forse nel 410. Gli artisti di nome Deinokr[ates], ... atides, Timodemos, sono per altro sconosciuti. Anche questa serie avrà influito sulla molteplicità delle raffigurazioni di N., di cui le più significative ci sono conservate sui fregi della balaustrata del tempio di Atena-N.: qui le Nikai conducono i tori destinati al sacrificio, sacrificano personalmente il toro, una di esse è inginocchiata sul dorso dell'animale, ornano ed erigono trofei, sacrificano sulle are, mentre Atena siede su una roccia. La balaustra glorifica le vittorie per terra e per mare di Alcibiade; i rilievi vanno datati tra il 409 e 406 a. C. e rappresentano l'apogeo dello stile fiorito. È notevole l'influenza esercitata da questi motivi sulle arti minori contemporanee, come pure sui rilievi neoattici e sull'arte romana. In un rilievo del tardo V sec., nel Museo dell'Acropoli di Atene, N. conduce Ebe come sposa ad Eracle.

Alla fine del V sec., o all'inizio del IV sec. a. C., sono stati eseguiti in Atene gli acroteri della Stoà di Zeus Eleuthèrios (?) che rappresentano Nikai in vesti fluttuanti, che avanzano frettolose, audaci anticipazioni dello stile dell'ara pergamena. Una N. arcaizzante si trova sul rilievo di Thasos, del tardo V sec. a. C., con la porta di una tomba.

Arti minori. Anche nella plastica in terracotta del V sec. a. C. si trovano spesso raffigurazioni di N. delle quali si cita qui soltanto una figura statica, ritta, con nella destra un boccale e nella sinistra una grande melagrana, nel museo di Monaco di Baviera (Roscher, iii, 1, 340, fig. 18, s. v.). Fin dal tardo V sec. N. compare anche nella toreutica e si trova specie sulle monete: numerosi esempî ci offrono le monete di Elide, Siracusa, Imera e Catania. Sin dalla fine del V sec. N. appare come auriga essa stessa, a quanto risulta dalle monete di Cirene, Gela ed Agrigento. Solo da quest'epoca N. è testimoniata come auriga anche su vasi attici a figure rosse e da una splendida phiàle d'argento a New York, Metropolitan Museum.

c) Periodo tardo-classico (IV sec. a. C.). - Lo sviluppo della figura di N. nell'arte del V sec. a. C. tendeva, nelle arti del disegno e nella plastica, ad una resa realistica del volo e ad una concezione perfetta della bellezza vittoriosa nella riproduzione del corpo femminile. A ciò si ricollega l'arte del IV sec.: tutte le ulteriori formulazioni della figura di N. si possono far derivare, con determinate modificazioni, dalla geniale epoca classica greca.

Plastica. La tematica della N. di Paionios è ripresa dagli acroteri di Epidauro, che appartengono alla sfera di Timotheos. Anche le arti minori si impossessano del motivo e lo perfezionano. Su una base di Epidauro del 360 a.. C. circa, N. è a fianco di Asklepios e di Igea (Atene, Museo Naz., n. 1425). Alla metà del IV sec. appartiene un pilastro votivo a tre lati della Via dei Tripodi in Atene, su cui è rappresentato Dioniso circondato da due Nikai ritte in atteggiamento solenne, le quali riproducono ovviamente motivi del fregio del Partenone. Sembra che si possa attribuire al tardo IV sec. un rilievo in Tespi, che rappresenta una N. a busto scoperto, ritta accanto ad una colonna.

Pittura vascolare ed arti minori. Viene continuata la tematica del V secolo. Nella gigantomachia della celebre anfora di Milo nel Louvre (J. D. Beazley, op. cit., 852, 6), N. come auriga è ora a fianco di Zeus. Moltissime volte è rappresentata come auriga nell'apoteosi di Eracle, o accanto ad Eracle nel giardino delle Esperidi o mentre lo accoglie con una coppa nell' Olimpo (aröballos di Milo, Atene: ancora fine del V sec.). Essa incorona Eracle o consegna una benda ad Atena. È sorprendente che nell'esplicare tutte queste attività essa sia raffigurata spesso di proporzioni minori delle altre divinità o figure: talora sembra vi domini l'influsso delle creazioni di Fidia che, nelle sue grandi statue cultuali in oro e avorio e sul frontone orientale del Partenone, aveva eseguito N. in proporzione rispettivamente minore, talaltra l'influsso delle raffigurazioni di Eros volante o degli Eroti che circondano Afrodite. Ora N. fa parte anche della cerchia di Afrodite e può guidare il cocchio della dea nel viaggio intrapreso per recarsi al giudizio di Paride e può diventare, al pari di Eros, ancella della dea. Di conseguenza N. può comparire accanto a donne mortali quale personificazione della bellezza femminile vittoriosa. Inoltre N. compare spesso in cerimonie religiose attiche e negli agoni: così nelle Lampadedromìe (gare di corse con fiaccole), nelle gare ippiche in occasione delle Panatenee e nelle gare degli Apobati. Nella pittura vascolare dell'Italia meridionale si sviluppa ora quel tipo di testa di N. con ali sulle spalle, che poi servì da modello alle teste alate dei cherubini dell'arte cristiana. Nella toreutica e sulle monete continua la popolarità della figura di Nike. Monete e vasi della seconda metà del IV sec. testimoniano che, a glorificazione delle vittorie navali, N. appare ora sulla prora stessa della nave invece di reggere in mano una parte di questa (àphlaston).

d) Ellenismo. - Plastica. L'opera più importante della plastica ellenistica è la N. di Samotracia, la cui datazione oscilla tra la fine del III sec. e il primo ventennio del Il, ed è posta ritta sulla prora della nave a glorificazione di una vittoria per mare. Un tipo analogo di N. che compare sulle monete di Demetrio Poliorcete, suonava la tromba della vittoria (salpinx) ed aveva nella sinistra una croce di legno necessaria all'erezione del trofeo. Qui N. è di nuovo completamente vestita e mai il rapido incedere vittorioso è stato reso nel fluttuare della veste con tanta potenza e così meravigliosamente come nella N. di Samotracia. Il tipo di N., vestita solo nella parte inferiore del corpo, ci è tramandato da statuette del Vaticano, Galleria dei Candelabri n. 9, e del Louvre. Come acroteri esistono una N. del Monumento dei Tori in Delo e alcune Nikai tardo-ellenistiche del tempio più tardo in Samotracia, del III sec. a. C.

Fra le Nikai volanti la grande N. di Megara in Atene sembra appartenere al periodo ellenistico in cui il calmo volo dell'epoca classica si è trasformato in un movimento dall'energica spinta in avanti che supera, per impetuosità, la più semplicistica soluzione di Paionios. Affine è una statuetta in bronzo da Pompei a Napoli, che presenta lo stesso chiasmo delle membra e la stessa impetuosità del movimento. La figura era sospesa in aria, appesa con ganci e reggeva nelle mani una corona ed un piccolo trofeo. Lo stesso motivo di movimento presenta la grande N. che incorona Atena vittoriosa sul fregio della gigantomachia della grande ara pergamena (v. pergamo).

Risale alla tradizione classica la N. arcaizzante dei rilievi dei Citaredi, la quale appare accanto ad Apollo come dea del sacrificio. Per caratteristiche formali, questa N. appartiene già all'arte arcaistica (v.) del classicismo tardo-ellenistico. Altrove l'interpretazione classica della N. come addetta al sacrificio, scompare completamente.

Arti minori e monete. N. perde ora la sua importanza come personaggio attivo ed assume un ruolo puramente decorativo o piuttosto di figura simbolica, che incorona Zeus od i guerrieri vittoriosi. Talora si appropria gli attributi di altre divinità: il fulmine di Zeus (monete di Taranto e del Bruttium), il tridente di Posidone (monete della Beozia). Ma i suoi attributi di gran lunga più frequenti sono ora la corona e la palma o piccoli trofei.

3. N. - Vittoria. - a) Arte etrusca ed italica. - I tipi di N. creati dai Greci furono ripresi dagli Etruschi (nelle iscrizioni su specchi etruschi è già denominata Victoria) e rappresentati in gran parte in stretta dipendenza dai modelli greci; in parte però si fondono con la figura indigena di Lasa (v.). Talvolta, per influsso del tipo Lasa, N. appare completamente nuda. A quanto pare, le dee italiche della vittoria, Vacuna e Vica Pota, non hanno lasciato traccia nelle arti figurative.

b) Arte romana. - I Romani riprendono dal periodo ellenistico il tipo della N., senza elaborare ulteriormente i suoi tratti fondamentali. Diventa frequente ora la Vittoria che su un piede solo si regge in equilibrio sul globo terrestre, motivo veramente nuovo in certo qual senso, coniato (monete di Augusto e simili) certamente in seguito alla consacrazione di una Victoria nella Curia Iulia di Augusto, dopo la vittoria di Azio. Nella destra reggeva una corona, nella sinistra talora una palma, talora una insegna militare. A partire da Probo (276-282 d. C.), gli imperatori portano in mano la Vittoria assieme al globo terrestre, come è testimoniato dalle monete. Da Valentiniano III (424-450) in poi la Vittoria è sostituita sul globo dalla croce. La più bella e stilisticamente anche più fedele riproduzione della Vittoria di Augusto, pare sia la statuetta in bronzo di Cirta nel museo di Costantina. Purtroppo le mancano gli attributi ed il globo. Varianti di questo tipo ci sono tramandate dalle statuette di bronzo a Kassel e da altre. Nelle raffigurazioni secondo forme ellenisti che è innegabile un certo classicismo.

Nell' arte romana, con l'aggiunta di ali, qualsivoglia figura viene trasformata in una Vittoria: come esempio si cita qui la Vittoria di Brescia, rappresentata in atto di scrivere sullo scudo, che si serve del motivo dell'Afrodite di Capua, di Lisippo, che invece si specchiava nello scudo di Ares. Allo stesso modo le saltantes Lacaenae di Kajlimachos (v.) vengono trasformate, su corazze e candelabri romani, in Vittorie per la aggiunta di ali. La Vittoria di Brescia è utilizzata nei rilievi della Colonna Traiana e pare sia una creazione del periodo di Vespasiano. Popolare diventa ora l'uso della Vittoria come figura dei pennacchi degli archi di trionfo, dove è raffigurata a coppie volanti. Anche qui compare come motivo precursore delle Vittorie cristiane. Fra gli attributi della N.-Vittoria, oltre alla corona e la palma, compare ora assai spesso un piccolo trofeo portatile o le insegne militari.

Fra i nuovi tipi di rappresentazione vanno citati: coppie di Vittorie in piedi che reggono un grosso scudo, che siedono ai piedi di un prigioniero o, come tipo prettamente romano, una Vittoria che trascina personalmente un prigioniero. Nella religione, come già era avvenuto nell'ellenismo, essa è spesso accostata a Nemesi e si infiltra anche nel culto di Mithra.

Monumenti considerati. - N. di Delo: G. Lippold, in Handb., iii, p. 62 ss., tavv. 7, 4; J. Marcadé, in Bull. Corr. Hell., lxxiv, 1950, p. 182, tav. 31; H. Gallet de Santerre, Délos primitive et archaïque, in Bibl. Écoles Françaises, 1958, p. 254 ss. Torsi dell'Acropoli: Schrader, Langlotz, Schuchhardt, Die archaischen Marmorbildwerke der Akropolis, nn. 67-83, tavv. 88-92; (la serie che va dal 540-30 circa fino a prima del 480 a. C.). La N. del polemarca Callimaco: Schrader, Langlotz, Schuchhardt, op. cit., n. 77, tav. 91; R. Hampe, in Die Antike, xv, 1939, p. 168 55., Ripr. 1-4; A. Raubitschek, Dedications from the Athenian Acropolis, fl. 13. Statuette di bronzo dell'Acropoli ed opere della Magna Grecia: A. De Ridder, in Bibl. Écoles Françaises, 74, 1896, nn. 793-802, 805-814; liste di U. Jantzen, Bronzewerkstätten in Grossgriechenland und Sizilien, in 13. Ergänzungsheft des Jahrbuch, 1937, pp. 69-70. Vasi attici a figure nere: J. D. Beazley, Black-fig., 565, n. 597; H. Kenner, in Osterr. Jahresh., xxxi, 1938, p. 90 ss. Coppa laconica di Cirene: Roscher, iii, i, 318, fig. 2; E. A. Lane, in Annual Brit. School Athens, xxxiv, 1933-34, p. 150, n. 2, p. 159 ss., tav. 45 b (Brit. Mus. B 1). Rilievi siciliani di pìthoi e terrecotte: R. Kekulé, Terracotten von Sizilien, p. 49, fig. 105, tavv. 55, 2, 56, 1; E. Pottier, Vases du Louvre, Parigi 1901-04, D 355, tav. 38; S. Mollard-Besques, Cat. raisonné des Figurines et Reliefs en Terre-cuite... du Louvre, ii, n. B 568, tav. 54; C. V. A., Copenaghen, tavv. 225, 4-5. Monete siciliane del V sec. a. C.: Agrigento, Catania, Siracusa ecc.: G. E. Rizzo, Monete greche della Sicilia, passim; W. Schwabacher, in Röm. Mitt., xlviii, 1933, p. 121 ss., tav. 19 (Catania); E. Boehringer, Die Münzen von Syrakus, 1929, passim. Vasi attici a figure rosse: Pittore di Berlino: J. D. Beazley, Red-fig., p. 132 ss., nn. 6, 15, 33, 42, 104, 105, 147, 148, 154, 176 (prime produzioni). Produzione media e tarda: nn. 25, 31, 44, 45, 46, 59, 6o, 61, 64, 73, 90, 94, 116, 168-169, 175. N. sullo scudo di marmo: A. Rumpf, in Handb., iv, Monaco 1953, p. 88, tav. 22, 2. Torso di N. in Eleusi: F. Willemsen, in Ath. Mitt., lxix-lxx, 1954-55, p. 33 ss., tavv. 1-2. N. di Paro: G. Lippold, in Handb., iii, Monaco 1953, p. 114, tavv. 39, 2; Einzelauf., 2395-98. N. in Roma, Palazzo dei Conservatori: H. S. Jones, Cat., Oxford 1926, p. 222, n. 16, tav. 80; W. Helbig, Guida, n. 981; G. Lippold, op. cit., p. 134. Fidia: G. Becatti, Problemi fidiaci, Milano 1951, passim; E. Berger, Parthenon-Ostgiebel, p. 18 ss., tavv. 5-7. Figura sul fregio accanto a Hera e Zeus: E. Simon, Opfernde Götter, 63. In generale: G. Lippold, op. cit., p. 142 ss. N. di Paionios di Mende: G. Lippold, op. cit., p. 205, tavv. 71, 2. Le Nikai dorate dell'acropoli di Atene: I. G., xii, n. 369 ss.; G. Lippold, op. cit., p. 192. Balaustrata di Atena-N.: R. Carpenter, The Sculpture of the Nike Temple Parapet, Cambridge (Mass.) 1929; G. Lippold, op. cit., i, 193 ss. Influenze: H. Schoppa, in Arch. Anz., 1935, p. 33 ss.; U. Hausmann, Hellenistische Reliefbecher aus attischen und böotischen Werkstätten, p. 83 ss. Cfr. inoltre per le arti minori del IV sec.: W. Fuchs, Die Vorbilder der neuattischen Reliefs, in 20. Ergänzungsheft des Jahrbuch, Berlino 1959, p. 6 ss., tavv. 1-2. Rilievi nel Museo dell'Acropoli: O. Walter, Beschreibung der Reliefs, nn. 38-40, 55-75, 244, 398-400. Acroterî in Atene, Agorà: Am. Journ. Arch., xxxvii, 1933, p. 307, tav. 36, 1; A. Rumpf, in Jahrbuch, liii, 1938, 124; G. Lippold, op. cit., p. 227. La N. arcaizzante sul rilievo della porta di Thasos: G. Mendel, in Bull. Corr. Hell., xxiv, 1900, p. 560 ss., tav. 15; H. Bulle, Archaisierende griech. Rundplastik, in Abhandlungen Bayer. Akademie, 30, 2, 1917, p. 23 ss., fig. 45; G. Lippold, op. cit., p. 116, nota 8. Acroterî di Epidauro: J. F. Crome, Die Skulpturen des Asklepiostempels von Epidauros, Berlino 1951, 27, n. 6, tav. 11 (interpretata come Iride); G. Lippold, op. cit., p. 220. Del tempio di Artemide: id., op. cit., p. 248, nota S. Arti minori del V sec.: phiàle d'argento a New York, Metropolitan Museum: G. M. A. Richter, in Amer. Journ. Arch., xlv, 1941, p. 364 ss., figg. 1-9. Base di Epidauro: Brunn-Bruckmann, tav. 564; U. Hausmann, Kunst und Heiltum, p. 105, n. 129, ripr. 18. Pilastro votivo a tre lati: O. Benndorf, in Osterr.Jahresh., ii, 1899, p. 255, tavv. 5-7; H. K. Süsserott, Griech. Plastik des IV. Jahrhunderts v. Chr., p. 115, tav. 19, 1 e 3; W. Fuchs, op. cit., p. 53. Rilievo in Tespi: G. Körte, in Ath. Mitt., iii, 1873, p. 415, n. 195. Pittura vascolare ed arti minori del IV sec.: H. Metzger, Les représentations dans la céramique attique du IVe siècle, in Bibl. Écoles Françaises, 172, pp. 216 ss.; 351 s., tavv. 45-47; W. Züchner, Griechische Klappspiegel, in 14. Ergänzungsheft des Jahrbuch, p. 47 ss.; R. A. Higgins, Cat. of the Terracottas in the British Museum, 1, nn. 866-867. Teste su vasi dell'Italia meridionale: A. Cambitoglou, in Journ. Hell. Stud., lxxiv, 1954, iii ss. N. di Samotracia: G. Lippold, Handb., iii, p. 360, tav. 126, 4; J. Charbonneaux, in Hesperia, 21, 1952, p. 44 ss. N. del Vaticano (Gall. dei Candelabri): G. Lippold, Vatican-Katalog, iii, 2, Berlino 1956, p. 277 ss., n. 9, tav. 12. N. del Monumento dei Tori in Delo: J. Marcadé, in Bull. Corr. Hell., lxxv, 1951, p. 55 ss., tav. 17. Acroterî in Samotracia: G. Lippold, Handb., p. 318, nota 8; K. Lehmann, in Hesperia, xx, 1951, p. 25 ss., tavv. 15-16. N. di Megara: G. Lippold, op. cit., p. 259, nota 10. Statuetta di Pompei: F. Studniczka, Die Siegesgöttin, tav. 7, ripr. 36. Grande fregio di Pergamo: id., op. cit., ripr. 37; G. Lippold, op. cit., p. 354 ss., tav. 128, 2. Rilievi arcaizzanti dei Citaredi: Th. Schreiber, Hellenistische Reliefbilder, tavv. 34-36; W. Fuchs, op. cit., 151 ss. Influenza della N. sui rilievi a stucco della Farnesina: G. Becatti, in La Critica d'Arte, vi, 1941, 46, tavv. 23, 13. Vittoria di Brescia, - Afrodite di Capua, - N. del rilievo della Colonna Traiana: F. Studniczka, op. cit., tav. 12, ripr. 57-59. Arti minori di epoca romana: Dragendorff-Watzinger, Arretinische Reliefkeramik, Reutlingen 1948, pp. 64 ss., 125 ss., 151 ss. Rilievi: Vaticano, Scala: G. Lippold, Vatican-Katalog, p. 52, n. 602, tav. 26. Base dei Decennali: H. P. L'Orange, in Röm. Mitt., liii, 1938, p. 7 s., tav. 1.

Bibl.: Bulle, in Roscher, III, i, 1897-1909, p. 305 ss., s. v.; F. Studniczka, Die Siegesgöttin, in Jahrbücher für das klass. Altertum, 1898; B. Schweitzer, in Jahrbuch, XLVI, 1931, pp. 183 ss., 217 ss.; Bernert, in Pauly-Wissowa, XVII, 1936, c. 285 ss., s. v.; H. Kenner, in Österr. Jahreshefte, XXXI, 1938, p. 81 ss.; Elderkin, in Am. Journ. Arch., XLII, 1938, p. 227 ss.; L. Alscher, Die fliegende Nike, Diss., Monaco 1942, non stampato; C. Cumont, in Comptes Rendus Ac. Inscr., 1947, p. 303 ss.; B. Eckstein-Wolf, in Mitt. Deut. Arch. Inst., V, 1952, p. 54 ss. Arte copta: T. Whittemore, The Winged Victory, in Bull. of Byzantine Institute, I, 2, 1950, pp. 555-57.

(W. Fuchs)

4. Cristianesimo. - Benché l'ultimo grande scontro fra l'antica religione di Roma e la nuova avvenisse proprio intorno al culto celebrato davanti alla statua della Vittoria nella Curia (v. Symmach., Relationes, iii; Ambros., Epist., i, 17; i, 18; cfr. Symmach., i, 6, 48), la rappresentazione di N. non fu estranea al repertorio cristiano. È stato osservato che la contesa sollevata nel 383 verteva sul culto, non sulla statua in sé, che probabilmente rimase nella Curia, ma senza più l'ara, ancora dopo la vittoria del partito cristiano (secondo la testimonianza di Claudian., De sexto consul. Honorii, 505: per la statua di N., ora nell'Antiquarium comunale, proveniente, sembra, dalla casa dei Simmachi sul Celio, confronta R. Lanciani, Ruins and Excav., p. 347). La rappresentazione di N. era infatti, malgrado tutto, il modo più efficace di esprimere figurativamente il concetto di Vittoria, e anche se non deve essere interpretata come N. la figura alata in uno dei pannelli della porta di Sant'Ambrogio a Milano (consacrata nel 386, negli anni della polemica con Simmaco), esplicite raffigurazioni di Vittoria non mancano nell'arte successiva alla pace della Chiesa.

Naturalmente a un simile tema rimaneva particolarmente legata l'arte vicina all'imperatore, l'arte del trionfo e della vittoria per eccellenza. Come provano i dittici (di Areobindo, 506; di Anastasio, 517; il dittico Barberini, anche esso del VI sec.) la statuetta di N. rimaneva tra gli ornamenta palatii, quale insegna di potere; nella monetazione, se con Teodosio la N. tropaiophora assumeva la croce al posto del trofeo, era soltanto con Giustino I (v.) che la dea scompariva definitivamente per far posto all'angelo cristiano. Più raro l'antico tema glorioso dei medaglioni, proprio perché emissioni propagandistiche e celebrative, non tenute alle restrizioni di corsi meno limitati.

Un medaglione di Costanzo II, nel 333-35, aveva già mostrato Costantino, incoronato dalla Dextera Domini, stante fra i suoi due figli, incoronati l'uno da una personificazione femminile loricata (Virtus ?), l'altro da una figura di N. (o di Nemesi ?). Probabilmente il ricordo di una composizione imperiale di questo tipo ci serbano due celebri cammei di Federico Il, già ritenuti antichi, con l'imperatore in trono incoronato da due Vittorie: l'uno al Louvre, l'altro nella Residenza di Monaco. Nella Sardonice di Romolo, all'Ermitage, il piccolo Valentiniano III è incoronato da Onorio e da Costanzo III, a loro volta incoronati da due Vittorie volanti come nei cammei di Federico II.

Ancora il successore di Giustino, Giustiniano (v.), il cui regno svela all'inizio allarmanti sintomi iconoclastici, con conseguente rivalutazione del patrimonio figurativo imperiale, usa liberamente la figura di N. nel medaglione coniato per la vittoria di Belisario sui Vandali (534), riprendendo uno schema già noto in un piatto d'argento di Costanzo II da Kerč (v. costanzo ii). Nella placca centrale del dittico Barberini - da alcuni attribuito a Giustiniano -, N. ha senz'altro un ruolo di protagonista; un frammento di dittico a cinque parti nella Bayrische Staatsbibliothek di Monaco, occidentale, del V sec., ripete il tipo della N. che solleva in alto un busto entro una corona d'alloro, come sfondo alla scena della consegna dei codicilli.

Sulla base della colonna di Arcadio a Costantinopoli le immagini di N. apparivano abbastanza numerose, impegnate, secondo gli schemi tipici della tradizione, in scene di trionfo - già alla base della colonna di Costantino a Costantinopoli erano scolpite le Vittorie tropaiophorae con accanto i barbari -, ma anche nell'atto di sollevare le insegne cristiane imperiali. Il definitivo sigillo cristiano sembra impresso nelle due N. che sollevano lo scudo con il monogramma di Cristo - per altro anch'esso un segno imperiale - sulla base della colonna di Marciano (v. costantinopoli, vol. ii, fig. 1168). Il gesto, privo di esitazioni e un po' brusco, delle due Vittorie sembra essere stato preceduto da una raffigurazione di N. assai più intensa e vibrante, di cui si conserva soltanto un frammento nel Museo Archeologico di Istanbul (n. 512): un'iscrizione frammentaria che vi si intravvede permetterebbe forse di individuare il monumento da cui proviene. È forse soltanto di pochi anni più tarda di questa una figura di Vittoria con la palma nella sinistra, forse originariamente sulla spalla di un arco, proveniente da Ayvansaray, presso le mura di Teodosio Il (v. vol. ii, fig. 1162). Giustamente il Kollwitz osserva che lo spessore della lastra su cui la N. è scolpita è troppo esiguo per un monumento esterno e che è quindi più probabile che il bassorilievo facesse parte di una decorazione interna. A questo proposito è interessante ricordare che la tradizione raccolta nel XVI sec. voleva che il luogo in cui si trovava la N. fosse il limite della aula magni Costantini.

Non senza dubbi, fu sciolto come monogramma di Eraclio quello sullo scudo sorretto da una Vittoria in un rilievo già a Burnonsaray.

Al di fuori dell'arte di ispirazione imperiale, anche un monumento popolare come quello di Porfirio già all'ippodromo (fine del V, inizio del VI sec.) non manca di far celebrare il trionfo del bellissimo auriga da due Vittorie che lo incoronano.

5. Nike-Angelo. - a) Cristianesimo. In molte raffigurazioni cristiane gli stessi atti delle Nikai sono trasferiti agli angeli. Angeli reggono i trofei (monete già citate di Giustino), sollevano il globo o la corona con il monogramma (cappella arcivescovile di Ravenna, San Vitale a Ravenna) o con il ritratto (dittico a cinque parti della Biblioteca di Monaco), volano sulle spalle di un arco (mosaico di S. Caterina al Sinai, affresco di Castelseprio, presso Varese), volano orizzontalmente presentando la corona (sarcofago da Sarigüzel, a Istanbul, Museo Archeologico); infine secondo un'ipotesi di G. Becatti, intervengono a decidere l'esito di uno scontro militare, come in un episodio della colonna di Arcadio a Costantinopoli. Sono monumenti che si datano specialmente dal V al VI sec., vale a dire dopo la pace della Chiesa, e in un'età in cui l'iconografia cristiana era già profondamente penetrata di concetti derivati dalla "sacralità" imperiale. Sono espressioni di una vittoria certa e piena, di un dominio sicuro e totale, assai lontane dai trepidanti simboli più antichi - la palma, la corona - che evocavano la speranza di vittoria sulla morte eterna e sul male nel nome di Cristo. Ma alcuni tratti ben definiti, nonostante gli attributi comuni delle ali, del nimbo, delle vesti fluttuanti, distinguono gli angeli cristiani dalle antiche Vittorie. Con la consolante e florida corposità di quelle, in cui spesso è tanto scoperto il lato erotico e sensuale, la loro integrità morale non ha niente in comune: sono giovani di una bellezza casta, di solito animosi e scattanti, spesso compresi in una gravità composta e cerimoniosa.

La loro appartenenza a un genere diverso da quello delle Nikai appare più evidente se si considera che gli attributi che gli angeli hanno in comune con quelle non sono originarî, ma subentrano a una fase già avanzata dell'elaborazione del tipo iconografico di "angelo".

Ancora Gregorio Magno ammoniva: sciendum quoque quod angelorum vocabolum nomen est officii; non naturae (In ev. hom., 34, 8). Nella Scrittura il nome "angelo" designa "esseri soprannaturali, originariamente tali non per la loro natura (meglio designata con il nome di spiriti o potenze), ma per la loro funzione al servizio di Dio o del diavolo" (I. Michl).

Lo stesso nome di "angelo" non era estraneo ad altre esperienze religiose. Per influsso sincretistico il Giove di Heliopolis era "angelo": a Giove Angelo Heliopolitano un certo Gaiano dedicava una colonna di granito a Ostia, durante il regno di Antonino e Commodo (176-18o d. C.); nell'ipogeo di Vincenzo e Vibia, presso le catacombe di Pretestato, è raffigurata la defunta introdotta al banchetto paradisiaco da Angelus Bonus, mentre in un affresco dello stesso ciclo è raffigurato Mercurius Nuntius; un'iscrizione ricorda Hermes ἄγγελος Περσεϕόνης (Kaibel, Epigr. Gr., 575), ed è noto il mito di Angelos, figlia di Zeus e di Hera (Sophron., Ad Schol. Theokr., 2, 12).

Infine del tutto distinti dagli angeli sono, in un primo tempo, i Cherubini e i Serafini, potenze soprannaturali che soltanto nell'ebraismo successivo all'esilio troveranno il loro posto alla sommità della gerarchia angelica (v. avanti).

Vista la mancanza originaria di attributi specifici degli angeli soltanto, il criterio migliore di ricerca e di classificazione del materiale antico, allo scopo di rintracciare le diverse forme di raffigurazione degli angeli nell'arte cristiana e di verificarvi l'influsso eventuale di forme precristiane, sembra quello adottato dal Klauser, che riunisce: a) scene ispirate a un testo biblico o apocrifo in cui gli angeli siano formalmente nominati; b) scene ispirate a un testo biblico o apocrifo, in cui, benché gli angeli non siano nominati formalmente, tuttavia l'esegesi antica abbia voluto identificarli; c) figure giovanili, con o senza ali, rappresentate in una funzione che, secondo le concezioni del cristianesimo antico, debba o possa essere riconosciuta come quella propria di un angelo.

Il catalogo così raccolto dal Klauser comprende 149 esempî (escludendo l'"angelo" come simbolo di S. Luca: cfr. filosofi). Se è corretta l'interpretazione di un affresco in un cubicolo della catacomba di Priscilla, a Roma, come rappresentazione dell'Annunciazione, l'esempio più antico risalirebbe, probabilmente, alla seconda metà del III secolo. Rappresenta un uomo sbarbato, con il pallio, privo di ogni attributo. Invariabilmente un giovane che indossa il pallio, quasi sempre sbarbato - barbato nella rappresentazione del sacrificio di Isacco su un sarcofago del Laterano, Wilpert, Sarc., i, tav. 128, 2 -, privo di qualsiasi segno particolare, ha la funzione di angelo nelle rappresentazioni successive. I primi angeli alati appaiono intorno al 380: sarcofago da Sarigüzel già citato; porta di S. Ambrogio a Milano; tarsia in opus sectile ora nel museo della stessa basilica (non è certamente un angelo quello raffigurato in una tarsia da Antinoe, in cui non compare una croce, ma un fiore). Ma alla fine del secolo o nei primi anni del seguente, il sarcofago a porte di città nella stessa basilica ambrosiana insiste nel tipo "aptero", e così il cofanetto d'argento di S. Nazaro, sempre a Milano. I mosaici di S. Maria Maggiore a Roma (v. maria; Nuovo testamento) distinguono invece fra gli angeli del Nuovo Testamento, rappresentati sull'arco trionfale con ali, pallio bianco e nimbo, e quelli dell'Antico Testamento, nelle scene bibliche della navata, privi di ali. Circa il 420-30 gli angeli della porta di S. Sabina, a Roma, sono invece tutti alati, sia che appartengano al ciclo del Nuovo Testamento, sia che facciano parte dell'Antico.

La varia funzione degli angeli come admissionales, protectores divini lateris, protospathari, esaltata in raffigurazioni in cui compaiono a lato di Cristo o della Vergine con il Bambino in trono, o di guardie del sacro palazzo, come, forse, già nella stupenda tarsia di S. Ambrogio e come nell'avorio del British Museum (vol. iii, fig. 1172, s. v. giustino i) finisce col far ricadere su di essi alcune insegne imperiali che l'arte bizantina, solitamente piena di riserbo e di autocontrollo, ha scrupolo di attribuire direttamente alle figure di Cristo o di Maria. Così attributo frequente degli angeli, e più ancora degli arcangeli, diviene la lunga asta, spesso dorata e sormontata da una o più perle; altre volte gli angeli sorreggono il globo imperiale, eventualmente sormontato dalla croce, quando non indossano addirittura il completo costume di corte, compresi il loros e il diadema, come gli angeli del mosaico absidale di S. Apollinare in Classe a Ravenna, che reggono anche il labaro su cui è iscritta l'acclamazione del trisagion.

Sono assenti, per il periodo contemplato da questa Enciclopedia, le raffigurazioni di angeli come eroti. Eccezionale una pietra incisa del British Museum, con la scena dell'Annunciazione, attribuita al VII-VII sec., ma forse addirittura della rinascenza macedone, in cui la rappresentazione di Gabriele come erote alluderebbe - riteneva F. Dölger - all'Eros celeste che avrebbe suscitato l'incarnazione del Verbo, secondo un'interpretazione di Origene e di Arnobio il Giovane. Sconosciute anche le raffigurazioni di angeli completamente ignudi, come i genî, specialmente funerarî, dell'antichità classica; anzi talvolta si ha l'impressione che sia l'iconografia cristiana - o ebraica - a influenzare le antiche rappresentazioni di démoni: così, tra gli intagli della cattedra di Massimiano a Ravenna, il sogno del Faraone è impersonato da una figura in tutto simile a un angelo, non fosse per la lunga barba: è la personificazione di Hypnos, il Sonno, e se si pensa al valore di psicopompo acquistato da Hypnos nella tarda antichità, questa sua affinità iconografica con gli angeli non stupisce. Quasi in tutto simile a un angelo cristiano era già infatti la figura di Hypnos affrescata in una tomba sulla via Laurentina presso Ostia (Hypnos è barbato su un bassorilievo di Villa Albani). Non hanno invece rilevanza, in questo contesto, i due geni alati che sostengono il clipeo con il candelabro nel noto sarcofago "ebraico" del Museo Nazionale Romano: il sarcofago, del tipo "delle Stagioni", doveva essere infatti preparato per ricevere il ritratto del defunto, in cui vece fu scolpito il candelabro, per scrupolo religioso dell'acquirente israelita. Anche nell'arte cristiana eroti e genî continuarono ad essere raffigurati (molti esempî nelle pitture catacombali; nei sarcofagi, dove reggono, secondo la consuetudine, la tabella con l'iscrizione; nelle raffigurazioni delle Stagioni, come nel sarcofago di Giunio Basso), ma non furono confusi con gli angeli.

A loro volta gli angeli di Dio prestarono le proprie fattezze agli angeli del demonio, soltanto scegliendo un colore scuro: l'angelo azzurro, l'angelo delle tenebre, è appunto contrapposto a quello fiammeggiante, della luce, in un mosaico di S. Apollinare Nuovo con la rappresentazione simbolica del Giudizio. Simili a Vittorie alate sono i due angeli neri che seguono la caduta di Simon Mago in un affresco carolingio di Müstair, nei Grigioni.

Ricordano ancora le Horai le gracili personificazioni femminili alate nelle scene della Creazione nella Genesi Cotton al British Museum (v. bibbia), divenute angeli soltanto nelle repliche medioevali (mosaici di S. Marco, "paliotto" di Salerno) e ben distinte dalle imperiose immagini di angeli nello stesso codice (specialmente fol. 36 v e 28 r). Occorre tuttavia ricordare che il tardo giudaismo ammette anche l'esistenza di ἄγγελοι δημιουργικοί e che vi erano angeli preposti a ciascun giorno della settimana. Uno studio di M.-Th. d'Alverny ha messo bene in luce questa presenza angelica nella cosmologia, partendo appunto dalla Genesi Cotton. Nell'ordinamento dei cieli gli angeli si trovano anche connessi ai pianeti: una miniatura del Cosma Indicopleuste del Sinai (v. codice) dipinge fedelmente questa concezione.

Il culto degli angeli, e particolarmente di S. Michele, si è diffuso assai per tempo nella chiesa cristiana. Un santuario dedicato a S. Michele sorgeva a Hierapolis (v.) presso le sorgenti, una chiesa dedicata al suo nome si trovava a Costantinopoli già nel VI secolo. La leggenda data al 492 l'apparizione dell'arcangelo sul monte Gargano, e sembra che recenti indagini abbiano messo in luce graffiti che si possono far risalire intorno a quella data. Sovente S. Michele viene a sostituirsi nel culto reso ad altre divinità, particolarmente a Mercurio nel suo aspetto di psicagogo, e a divinità salutifere. Egli è il protettore dei valichi, delle torri, delle sommità e questa caratteristica si ripercuote anche sul tipo architettonico dei santuarî a lui dedicati con significativa coerenza "iconografica". È anche un protettore dell'aula imperiale e quindi dell'esercito. L'abside della chiesa di S. Michele in Africisco, già a Ravenna, consacrata nel 545, rappresenta S. Michele e S. Gabriele quali protectores divini lateris a fianco di Cristo imberbe e in vesti imperiali; sulla fronte dell'abside è raffigurato il Giudizio universale, tema eccezionale e sicuramente dovuto alla funzione particolare dell'angelo cui la chiesa è dedicata.

b) Giudaismo. Le considerazioni esposte sull'iconografia angelica nei primi tempi cristiani sono tanto più cogenti per i monumenti ebraici. Per la Bibbia gli angeli sono "figure d'uomo" ed è naturale che nelle rappresentazioni israelitiche non dovessero presentarsi diversamente dalle scene di argomento biblico in monumenti cristiani. Le pitture di Dura-Europos (v.), nella scena del Sogno di Giacobbe, li raffigurano nel costume iranico attribuito al personale di corte o del tempio, sottolineando la differenza dalle vesti drappeggiate che le stesse pitture di Dura riservano ai patriarchi.

Il tardo giudaismo fu fortemente interessato all'angelologia, sia per stabilire la natura e la potenza degli angeli, sia per definirne la posizione nel sistema teologico ed anche cosmologico, precisandone la funzione nella creazione e infine intessendo una loro particolare storia. Nacque così la complessa gerarchia angelica e sorsero i numerosi nomi particolari di singoli angeli e arcangeli più eminenti. La possibilità di invocare i nomi straordinariamente potenti degli angeli attrasse notevolmente il mondo magico delle gemme gnostiche (v. gnostiche, gemme), nelle cui iscrizioni ricorrono frequentemente Michael, Gabriel, Kustiel, Uriel e altri. Questi nomi non accompagnano raffigurazioni in cui si potrebbero identificare degli angeli: sembra piuttosto che essi fossero usati per se stessi e sono spesso accompagnati da raffigurazioni (Mercurio, in quanto psicagogo, è assai frequente: ricorda Mercurius Nuntius nell'ipogeo di Vibia e l'iscrizione su menzionata: ἄγγελος Περσεϕόνης), che probabilmente alludono allo scopo per cui la loro protezione era invocata. Specialmente importante, come già si è visto, è Michele: per gli gnostici egli ha l'aspetto di un leone (Ophiten presso Origen., Contra Cels., vi, 30), è tutt'uno con il serpente del Paradiso (Ophiten, presso Iren., Haer., i, 30, 9), è anche identificato con Maria - e porta Cristo nel grembo - se non con Osiride.

Da testi cristiani (Pietro, Ep., 2, 4; Giuda, Ep., 8, 44; Luca, 10, 18; Apoc., 12, 7-9), dalla Scrittura (Genes., 6, 2-4) e specialmente dall'apocrifo Libro di Enoch apprendiamo molte notizie sulla storia degli angeli, specialmente sulla perdizione di alcuni di essi, divenuti, secondo alcuni, desertores dei, secondo altri amatores foeminarum. Per Enoch (10, 12) si tratta di una vera ribellione al Creatore dovuta alla superbia di Lucifero, l'arcangelo che stava alla destra del Signore. Duecento miriadi di angeli ribelli furono allora sconfitte e gettate nell'inferno. Il grande scontro è un tema ricorrente della miniatura inglese e la ricchezza di particolari, la grandiosità della composizione della raffigurazione più antica, quella nel libro di Caedmon (Oxford, Bodleian Library, MS. Junius ii, sec. XI), sembrano indicare un prototipo lontano, come altre miniature dello stesso codice (confronta O. Pächt, The Rise of Pictorial Narrative in 12th Century England, Oxford 1962, p. 5 ss.).

Il Liber Antiquitatum Biblicarum dello Pseudo-Filone (lxi, 5-9) racconta che Dio mandò l'angelo che presiede alla forza (la ripartizione dei compiti fra gli angeli è un tratto essenziale dell'angelologia tardo-giudaica), Cervihel, in aiuto a Davide nello scontro con Golia; morendo, Golia riconobbe di essere stato vinto non dal pastore israelita, ma dall'apparizione che era con lui, "la cui forma non è quella di un uomo". Secondo un'acuta ipotesi di C. O. Nordström, Cervihel sarebbe appunto la figura alata che Golia guarda, morendo, in uno dei rilievi della porta di S. Ambrogio a Milano, già citato. L'angelo della forza ritorna anche su sarcofagi (uno, distrutto, già a Marsiglia: G. Wilpert, Sarcof., i, p. 57, fig. 24; altro, frammentario, a Vienna: F. Gerke, in Riv. Arch. Crist., xii, 1935, p. 129, fig. 2), ma nelle miniature del Salterio di Parigi, per attrazione del femminile Dynamis e forse per il voluto classicismo del rinascimento macedone, ha recuperato il carattere ellenistico di una personificazione femminile.

La Genesi di Vienna, Nationalbibliothek, theol. gr. 3, che in varie occasioni rivela una certa conoscenza dell'illustrazione di apocrifi ebraici, nella scena della cacciata dei progenitori dal Paradiso pone una inspiegabile personificazione, una figura di giovane molto più alta di quelle di Adamo ed Eva, dove la tradizione medievale costantemente pone un angelo. Si tratta forse effettivamente di un angelo, privo di ali, secondo la tradizione più antica, sul tipo di quello che, invece, accompagna Vibia proprio in Paradiso, nell'affresco dell'ipogeo sincretistico di Vibia a Roma (il Cumont suppose però che si trattasse dello stesso dio Sabazio con l'attributo di angelus bonus, εὐάγγελος). In tal modo l'angelo aptero si diffenzierebbe dal cherubino posto a guardia della porta del Paradiso, che la Genesi di Vienna raffigura come un angelo alato con le vesti multicolori.

Dinanzi alla porta chiusa del Paradiso la miniatura di Vienna colloca due ruote fiammanti inserite l'una nell'altra, da intendersi forse come la ῥομϕαία στρεϕομένη la "spada fiammeggiante che si vibrava in giro". Le ruote di fuoco sono un attributo essenziale, anzi un elemento costitutivo dei Cherubini, secondo Ezechiele, i, i e 10 ("il loro spirito era dentro le ruote", i, i, 20).

Le ruote, in una versione più semplificata, accompagnano così i Cherubini quasi in ogni rappresentazione: nell'Evangeliario di Rabūlā nella Biblioteca Laurenziana di Firenze, in un flabello d'argento da Stūma, ecc. Secondo alcune formule di preghiera, i Cherubini sono il "veicolo" del Signore (cfr. 2 Sam., xxii, ii; Ps., 17 [18], 10) e quando S. Girolamo rimprovera che Egli in aurigae modum super Cherubim aperte sedere ostenditur non ha forse in mente soltanto l'immagine letteraria di un inno (Te laudamus, Domine onmipotens - Qui sedes super Cherubim et Seraphim).

I Cherubini sono tra i pochi esseri viventi di cui la Scrittura consenta di scolpire le immagini: erano d'oro battuto sull'arca (Es., xxv, 18; cfr. arca); erano d'ulivo nel Sancta Sanctorum del tempio di Salomone e altri erano intagliati nelle pareti di cedro del tempio (I Re, vi, 20, 53), altri ancora erano ricamati sulla sua cortina (2 Cron., iii, 10-13). È da segnalare che, secondo 2 Cron., iii, 13, le statue di Cherubini del Santuario "erano volte verso il didentro della Casa": forse alla stessa preoccupazione risponde la singolare rappresentazione del Sacrificio d'Isacco sulla měnürāh della sinagoga di Dura-Europos. Raffigurati talvolta simili ad angeli (mosaico di St.-Germigny-des-Prés, sec. VIII); più spesso, in uno sforzo di interpretazione letteraria, come teste umane circondate da otto ali, da cui spuntano le mani e i piedi umani (già in un capitello da Çattadi Capu, a Istanbul, del V sec.), la loro descrizione nelle fonti bibliche fa pensare piuttosto alle divinità egiziane che abbracciano con le loro ali i sarcofagi o ai colossi alati, con teste umane e corpi taurini, dell'arte della Mesopotamia, oppure, nella stessa zona, alle note figure umane con più coppie di ali (v. arca dell'alleanza).

Poiché l'immissione dei Cherubini, e con essa dei Serafini, nelle gerarchie angeliche avviene con il tardo giudaismo (I Enoch, 61, 10; 71, 7), ciò può spiegare la dimenticanza dei prototipi orientali e l'interpretazione più umana, e nello spirito delle personificazioni ellenistiche, di questi esseri mostruosi nelle più antiche illustrazioni bibliche esistenti.

Monumenti considerati. - Medaglione di Costanzo Il, Vienna, Kunsthist. Museum: F. Gnecchi, I medaglioni romani, I, Milano 1912, p. 30, n. 10. Cammei di Monaco e di Parigi: H. Wenzel, Die mittelalterlichen Gemmen der staatlichen Münzsammlung zu München, in Münchner Jahrbuch für bildenden Kunst, viii, 1957, p. 37 ss., cat. n. 16. Sardonice di Romolo all'Ermitage: R. Delbrück, Spätant. Kaiserporträts, Berlino-Lipsia 1933, p. 211 ss., tav. iii. Dittico della Bayrische Staatsbibliothek: F. Volbach, Elfenbeinarbeiten der Spätantihe und des frühen Mittelalters2, Magonza 1952, n. 45. Colonna di Arcadio: G. Becatti, La colonna coclide istoriata, Roma 1960, con bibl. Colonna di Marciano: J. Kollwitz, Oströmische Plastik der theodosianischen Zeit, Berlino 1941, p. 69 ss.; cfr. G. Becatti, op. cit., p. 217 ss. sul valore cristiano della rappresentazione: il monogramma, oggi quasi invisibile, è attestato dai disegni di Spoon e Wheeler (1675). Rilievo n. 5122 del Museo Arch. di Istanbul: N. Firatli, A Short Guide to the Byzantine Antiquities, Istanbul 1955, p. ii, tav. iv, 9. N. da Ayvansaray: G. Mendel, Catal. des sculpt. grecques, romaines et byz., iii, n. 667; I. Kollwitz, op. cit., p. 77 ss. N. di Burnonsaray: G. Curtis, Broken Bits of Byzantium, 1,2. Monumento di Porfirio già nell'ippodromo: A. A. Vasiliev, The Monum. of Porphyrius in the Hippodr. at Cpl., in Dumb. Oaks Pap., 4, p. 27 ss. (sulle Nikai, p. 34). Mosaico di S. Caterina al Sinai: M. van Berchem-É. Clouzot, Mosaïques chrétiennes, Ginevra 1924. Castelseprio: G. Bognetti, A. Calderini, A. De Capitani d'Arzago, Santa Maria di Castelseprio, Milano 1948. Sarcofago da Sarigüzel: J. Kollwitz, op. cit., p. 133 ss. "Annunciazione" a Priscilla: J. Wilpert, Ein Cyclus christologischer Gemälde, 1891, tav. 6, 2; id., Pitture delle Cat., Roma 1903, tav. 49; Dict. arch. chrét., 1, 2, c. 2256, fig. 761. Porta di S. Ambrogio: C. O. Nordström, Some Jewish Legends in Byz. Art, in Byzantion, xxv-xxvii, 1955-57, p. 487 ss.; cfr. F. Reggiori, Gimeli e capi d'arte della bas. ambrosiana, in Ambrosiana, Milano 1942, op. cit., sullo stato di tutta la porta. Tarsia nel museo di S. Ambrogio a Milano: F. Reggiori, p. 165 ss., tavv. xii e xiii. Tarsia da Antinoe: H. W. Müller, Kopt. Glasintarsien mit fig. Darstell., in Pantheon, xx, 1962, 1, p. 13 ss., fig. 1. Milano, sarcofago a porte di città: C. Schonebeck, Der Mailander Sarcophag, Città del Vaticano 1935, p. 29, fig. S. Milano, S. Nazaro, cofanetto d'argento: P. Toesca, in Studi in onore di B. Nogara, Città del Vaticano 1937, p. 503 ss.; F. Volbach-M. Hirmer, L'arte paleocr., Firenze 1958, tav. 114. Roma, porta di S. Sabina: J. Wiegand, Das altchristl. Hauptportal der hl. Sabina, 1900; F. Volbach-M. Hirmer, op. cit., tavv. 104 (b-c) e 105 (g). Mosaico di S. Apollinare in Classe: M. Mazzotti, La bas. di S. Ap. in Cl., Città del Vaticano 1954. British Museum, pietra incisa con l'Annunciazione: F. 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(C. Bertelli)