NOMADISMO

Enciclopedia Italiana (1934)

NOMADISMO (dal gr. νομάς "che pasce greggi")

Renato Biasutti

Designazione comune per i popoli che mutano spesso il luogo della loro dimora. Originariamente, nomadi si dicevano i pastori, che si spostavano periodicamente con i loro animali, secondo le stagioni, fra le pianure costiere e le alteterre dell'interno, e ancora oggi, varî autori, quando parlano dei nomadi, si riferiscono essenzialmente al nomadismo pastorale. Il nomadismo si accompagna in realtà, con forme distinte, a varî stadî più o meno primitivi di economia, e anche in relazione alla pastorizia può assumere forme molto diverse. Su esso, inoltre, agiscono in senso stimolante o regolatore le condizioni dell'ambiente climatico e biologico. La prima forma di nomadismo da considerare è quello dei gruppi umani che non praticano l'allevamento né l'agricoltura e per i quali la caccia rappresenta una fonte principale o importante di sussistenza: in questa fase la tribù o il clan dispone di un territorio ben definito, la cui ampiezza dipende dall'intervento di varî fattori: abbondanza della selvaggina e suoi spostamenti, abbondanza o scarsità di popolazione sull'intera regione sfruttata con la caccia, ecc. In generale l'estensione del territorio a disposizione di ciascun gruppo elementare è molto grande, tanto nelle regioni aperte (steppe, praterie, ecc.) dove la fauna selvatica è molto abbondante, ma anche molto mobile, quanto nelle regioni umide, calde e boscose, dove essa è più stabile, ma più scarsa. In ogni caso il gruppo umano elementare deve spostare le sue sedi secondo le necessità del momento, quali possono cioè essere determinate dai movimenti della fauna utile a cacciarsi. Non esistono in tal caso cedi fisse né spostamenti regolari come percorso o secondo le stagioni. Possiamo dire che il cacciatore primitivo, entro al territorio che gli spetta, più che nomade è "errante" (Boscimani, indigeni dell'Australia, Pigmei). Anche in questa fase economica, tuttavia, gli spostamenti possono divenire regolari in certe condizioni d'ambiente e di cultura. Nelle parti più fredde delle zone temperate, p. es., il ciclo stagionale è fortemente sentito dalla vegetazione e quindi dalla fauna: molte specie animali, oggetto della caccia o anche della pesca, sono migranti. Taluni prodotti vegetali, ricercati dall'uomo a complemento della sua dieta, si presentano solo a intervalli e in determinati luoghi. Si delinea quindi per quei gruppi umani un ciclo stagionale di lavori, che richiede di necessità frequenti e notevoli spostamenti, a volte di tutto il gruppo, ma in certe epoche dell'anno o per certi lavori, di una parte soltanto di esso (i soli uomini per la caccia invernale nel Nord, le sole donne con qualche vecchio o i giovanetti per la raccolta, ecc.).

La massima varietà e alternanza di lavori si ha nelle regioni polari o sub-polari, dove il ciclo stagionale climatico è più accentuato (Eschimesi, Iperborei dell'Asia di NE.). Ma molto spesso la varietà delle occupazioni e la complessità dei prodotti rendono utile l'esistenza di una sede stabile o preferita per una almeno delle stagioni, che è di solito l'inverno (Siberiani, Indiani delle praterie), ma può essere anche l'estate (villaggi di pescatori artici). Comunque, in rapporto con le condizioni descritte, è già caratteristica la presenza di un duplice tipo stagionale di abitazione e la diffusione della tenda. L'analisi particolare mostrerebbe poi una grande varietà di tipi nel nomadismo periodico o nel seminomadismo dei primitivi viventi di caccia, pesca e raccolta nelle zone temperate fresche e fredde.

Il nomadismo pastorale non differisce essenzialmente da quello dei cacciatori, sebbene non ne derivi direttamente (v. domesticazione). La pastorizia si pratica essenzialmente su specie animali erbivore originarie dalle zone temperate, con istinti gregarî e migranti. Il bove, la pecora, la capra, il cavallo, la renna conservano, come animali domestici, i rapporti di dipendenza con il ciclo stagionale della vegetazione steppica o montana, e delle tundre. Il pastore subisce di necessità tali rapporti, e un elemento essenziale del suo lavoro consisterà nel regolare gli spostamenti periodici (nel senso della latitudine o in quello dell'altezza) delle mandrie o delle greggi alla ricerca dei pascoli freschi. Se l'allevamento è l'unica o la principalissima fonte di esistenza, il nomadismo pastorale sarà completo, comporterà cioè spostamenti periodici o occasionali di tutto il gruppo, l'assenza di sedi stabili e anche di un'abitazione stabile; avremo invece la capanna trasportabile degli Ottentotti o dei Somali, oppure la tenda di feltro dei Turco-Mongoli o degli Arabi.

Fuori delle zone temperate la pastorizia nomade ha affrontato problemi particolari nell'ambiente delle steppe desertiche tropicali e dei deserti. Nelle prime il ciclo stagionale invece che dalla temperatura è dato dalla pioggia. Durante le stagioni o i periodi piovosi le mandrie (come la fauna selvatica) si possono spargere quasi dovunque: nei periodi asciutti esse dovranno affluire verso i punti d'acqua superstiti: gli spostamenti dovranno cioè presentare un certo carattere di periodicità e anche alcune località preferite di soggiorno (Kalahari). I deserti in senso proprio hanno infine potuto essere occupati dalla pastorizia nomade soltanto con il sussidio di un animale particolarmente adatto al clima arido, il cammello, o con il cavallo, originario dalle steppe, ma selezionato dall'uomo anche in razze adatte al deserto (Asia centrale, Arabia, Sahara).

La caccia, la pesca o la raccolta possono integrare l'allevamento nei mezzi di sussistenza. È il caso dei pastori di renne della zona artica e subartica: ma gli spostamenti periodici delle tribù restano sottoposti essenzialmente alle necessità della pastorizia, e soltanto quando questa è praticata in forme ridotte o rilassate (p. es., con la libertà estiva data alle mandrie da alcuni gruppi dello Jenissei) si verifica anche una tendenza a fissare le sedi in relazione a un altro lavoro, p. es. alla pesca.

Ma l'allevamento è in generale associato a un lavoro meno primitivo, e cioè all'agricoltura. Quest'associazione è anzi la regola fra le tribù nomadi dell'Arabia e dell'Africa settentrionale. In qualche caso il nomadismo si conserva tuttavia integralmente; la tribù mantiene nel territorio che le appartiene in comune, e nei luoghi più adatti, alcune coltivazioni di cereali che vengono abbandonate fra la mietitura e la nuova semina, quando i gruppi al completo seguono il bestiame al pascolo: le sedi stabili mancano del tutto e l'abitazione è sempre la tenda (Cirenaica). Ma più spesso la tribù possiede terreni in un distretto abbastanza fertile da essere coltivato con mezzi meno sommarî e dove le colture non possono essere abbandonate. Allora vi tiene anche case e magazzini per le provviste e il gruppo, con i suoi attendamenti mobili, si sposta soltanto con una parte dei suoi componenti. A volte ancora la tribù intera si mantiene nomade per gran parte dell'anno, ma gravitando intorno alle oasi con le quali ha rapporti varî di proprietà, di condominio o di commercio. Tutto il nomadismo sahariano, di un territorio cioè estremamente arido, è legato al possesso da parte dei nomadi delle oasi e dei pozzi: vale a dire, è nella maggior parte dei casi un seminomadismo.

Forme speciali di associazione fra l'agricoltura e la pastorizia si sono mantenute a lungo anche nelle zone montuose europee, sia per l'allevamento degli ovini, sia per quello dei bovini: il primo, caratteristico delle penisole meridionali dell'Europa, con il fenomeno della transumanza d'interi gruppi pastorali e il loro spostamento periodico fra le sedi estive nella montagna e le sedi invernali sugli incolti e i terreni in riposo delle pianure; il secondo, diffuso nelle Alpi e nell'Europa centrale, con il fenomeno dell'alpeggio o monticazione, cioè con gli spostamenti stagionali verso i pascoli posti a diversi livelli. Ma in quest'ultimo caso e, molto spesso anche nel primo, i nuclei in movimento sono formati da una parte soltanto della popolazione e non si tratta più di fenomeni di nomadismo. In maniera generale si può dire però che questi rientrano tutti in misura più o meno diretta nei fenomeni ciclici presentati dal clima e dalla vita vegetale e animale della terra: e in questo fatto, più che nei fatti di devastazione o di "economia distruttiva" (J. Bruhnes), è da collocare il motivo essenziale del nomadismo. Il nomadismo pastorale è stato in molte regioni abolito con le provviste dei foraggi secchi, e con l'estendersi delle colture foraggiere, mentre anche le sue forme ridotte o attenuate sono quasi dovunque in decadenza.

Del nomadismo si sono più volte additati i caratteri psicologici: il cacciatore nomade vivente in piccoli gruppi, irrequieto, astuto, diffidente, coraggioso e crudele; il pastore nomade o seminomade, invece, conservativo, gregario, ospitale, ma piuttosto falso e vile (E. Huntington). I pastori nomadi hanno mostrato in molte regioni e periodi storici grande capacità d'organizzazione e notevoli doti militari, ma anche una generale labilità politica e scarsa resistenza all'assorbimento.

Bibl.: F. Ratzel, Geografia dell'uomo, Torino 1914, pp. 145-167; J. Bruhnes, La géographie humaine, 3ª ed., Parigi 1925; E. Huntington, The Human Habitat, Londra 1928 (pp. 35-70); A. Bernard, e N. Lacroix, L'évolution du nomadisme en Algérie, Parigi 1906; E. De Martonne, La vie pastorale et la transhumance dans les Karpates méridionales, in Zu Fr. Ratzel Gedächtniss, Lipsia 1904.

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