Nomenclatura

Enciclopedia on line

Il complesso sistematico dei termini relativi a una determinata scienza o disciplina, ordinati e predisposti secondo norme convenzionali, atte a evitare ogni possibile confusione fra gli oggetti di una disciplina.

Botanica e zoologia

Nella sistematica zoologica e botanica per designare una specie si usa la n. binomia o binomiale, una convenzione standard ideata da Linneo (1753) e in seguito rifinita e modificata, che ha oggi validità internazionale. Il nome scientifico, con cui è indicata ogni specie, è composto da due nomi in latino, dei quali il primo si riferisce al genere (➔ classificazione), è un sostantivo e va scritto con l’iniziale maiuscola; il secondo è l’epiteto specifico, un sostantivo o, più spesso, un aggettivo e si scrive con l’iniziale minuscola. A volte l’epiteto specifico consta di due parole; in tal caso queste sono unite con un trattino: per es., Adiantum capillus-veneris. Segue il nome, spesso abbreviato, del primo autore che ha descritto la specie e talvolta l’anno in cui è stata descritta: per es. Panthera tigris L. (che sta per Linneo), 1758, Martes foina Erxleben, 1777, Abutilon avicennae Gaertn. (Gaertner). Le sottospecie si indicano con una n. trinomia: per es. Panthera tigris sumatrae Pocock, 1929, Phalacrocorax carbo novaehollandiae Stephens.

In botanica una specie può essere suddivisa in altre categorie (varietà, forma, cultivar, ecc.) oltre che in sottospecie. Quindi il nome del taxon infraspecifico deve essere preceduto da una abbreviazione che indichi a quale categoria si riferisca (subsp., var., f. ecc.): per es. Pinus nigra subsp. salzmannii, Pinus nigra var. caramanica; nel caso si tratti di cultivar, deve invece essere racchiuso tra virgolette: per es. Eriobotrya japonica ‘Golden Ziad’.

Quando una specie è stata indicata con vari nomi, per la legge di priorità prevale quello pubblicato prima, gli altri si considerano come sinonimi (➔ sinonimia). Per la maggioranza delle piante si parte dal 1753; per gli animali dalla decima edizione del Systema naturae di Linneo (1758). Se una specie viene trasportata in un altro genere, conserva l’epiteto specifico, e il nome del primo autore viene messo tra parentesi, seguito dal nome dell’autore che ha proposto il mutamento: per es., Satureia graeca L. = Micromeria graeca (L.) Benth. Perché un nome sia valido deve essere conforme ai Codici internazionali di n. botanica (ICBN) e zoologica (ICZN), approvati dalle Commissioni internazionali per la n. (botanica o zoologica).

In zoologia il nome delle famiglie si indica con la desinenza -idi, quello delle sottofamiglie con -ini (per es., da Culex, Culicidi e Culicini). In botanica la desinenza degli ordini è -ali, quella delle famiglie -acee (es. da Malva, Malvali e Malvacee), quella delle sottofamiglie -oidee. Per la n. dei gruppi superiori (per es., Mammiferi, Uccelli, Gimnosperme, Dicotiledoni ecc.) e degli organi e delle funzioni, si segue per lo più l’uso anziché regole fisse.

Il termine nomen, accompagnato da una opportuna determinazione, serve a individuare alcuni casi previsti dai codici di n.: nomen nudum è il nome proposto per una nuovo taxon, ma pubblicato senza l’adeguata descrizione dei caratteri differenzianti, necessaria affinché sia accettato ufficialmente come nome scientifico; nomen dubium è un nome la cui applicazione è dubbia, perché la descrizione che lo accompagna è diventata desueta o insuffuciente; nomen novum è il nome istituito per rimpiazzare un nome già stabilito ma da rigettare perché ambiguo o invalido.

Chimica

Dal 1957, l’organismo internazionale preposto alla denominazione delle sostanze in chimica, la IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry), ha riformato radicalmente la n. tradizionale, soprattutto tenendo conto sia del principio di non ambiguità delle denominazioni sia degli sviluppi delle ricerche chimiche più avanzate. Il riferimento fondamentale delle regole di n. introdotte dalla IUPAC è quello della formula, strutturale o configurazionale, considerata il sistema più semplice e più chiaro per la designazione delle sostanze. In precedenza, infatti, le sostanze venivano nominate sulla base delle loro proprietà morfologiche, del metodo di preparazione, del materiale da cui avevano origine, del comportamento chimico.

In relazione alla n. inorganica, le regole della IUPAC si basano sulla formula, cioè sulla composizione di una sostanza, partendo dal presupposto che un composto sia il risultato della combinazione di due ioni di segno opposto o radicali. Nelle formule, la parte più elettropositiva del composto viene indicata per prima ed è seguita dalla parte più elettronegativa. Su questa base, si utilizzano determinate regole per la nomenclatura delle sostanze: per es. la parte elettropositiva non muta il suo nome e va citata per ultima; nel caso in cui la parte elettronegativa sia costituita da un solo atomo, il nome del composto si completa con il nome di tale atomo con il suffisso -uro (fanno eccezione i composti dell’ossigeno, che sono chiamati ossidi); nel caso in cui la parte elettronegativa sia costituita da più atomi, viene invece attribuito il suffisso -ato all’atomo centrale; se nel composto ci sono elementi a valenza variabile possono essere usati prefissi (di-, tri-, tetra- ecc.) che designano il numero di atomi legati all’atomo dell’elemento a valenza variabile ecc.

La n. organica viene stabilita sulla base dello scheletro idrocarburico che caratterizza la struttura molecolare del composto; più precisamente questo viene considerato derivato dall’idrocarburo che forma la catena più lunga individuabile nella molecola. Il nome del composto è completato designando tutti i gruppi sostituenti legati alla catena e inserendo appositi prefissi e indici numerici che ne individuano il numero e la localizzazione.

Geologia

In cristallografia, le forme dei cristalli vengono contraddistinte ricorrendo alla n. della geometria solida (cubo, prisma, tetraedro, ottaedro). Per le classi e i sistemi di simmetria si ricorre ad altri nomi derivati dal greco (oloedria, tetartoedria, monometrico, trimetrico). Infine per i gruppi di simmetria interna non si usano nomi ma simboli.

In geologia non esistono norme precise di nomenclatura. Solitamente i nomi sono presi dal linguaggio comune, quando appaiono particolarmente adatti a esprimere un certo fenomeno o una certa idea (faglie, fosse, pieghe, gambe, cerniera), oppure sono derivati dal greco (neogene, cenozoico, anticlinale) e da nomi geografici (cambriano, elveziano). Di particolare importanza sono le regole di n. stratigrafica (➔ stratigrafia).

Medicina

La n. anatomica usata quasi universalmente è, con qualche modifica dovuta al miglioramento delle conoscenze anatomiche, quella approvata al Congresso internazionale di anatomia di Basilea (1895), che si indica con la sigla BNA (Basileae Nomina Anatomica): fa uso quasi esclusivamente di termini latini e per ogni parte del corpo ha conservato una sola denominazione, scelta prevalentemente con il criterio della brevità.

La n. nosologica non obbedisce a regole fisse: il diverso livello delle cognizioni relative ai vari processi e stati morbosi impedisce l’adozione di criteri definitori uniformi. Nei casi in cui è possibile fare riferimento al substrato anatomico, il nome della malattia risulta da quello dell’organo colpito. Se le cognizioni anatomo-patologiche non sono suscettibili di tale applicazione, il nome descrive il segno o sintomo principale (per es. ipertensione) o è sostituito dal nome dell’autore che per primo ha descritto la malattia (per es. malattia di Morgagni), oppure ricorda le località geografiche (per es. febbre di Malta) o l’ambiente (malaria: febbre delle paludi) in cui la malattia è particolarmente frequente. Le desinenze usate più di frequente sono: -ite, per i processi infiammatori (polmonite, epatite); -osi, prevalentemente per i processi degenerativi (nefrosi, artrosi); -iasi, come in parte il precedente, per malattie parassitarie (ascaridiasi, anchilostomiasi, giardiasi, teniasi); -cele, per tumefazioni non neoplastiche (meningocele, idrocele, varicocele); -oma, per neoplasie (adenoma, cistoma, epitelioma, mioma); -geno, nei due significati di ‘generatore’ e di ‘generato’ (tessuto neurogeno, sintomo neurogeno); -algia e -odinia, per indicare dolore (neuralgia, mialgia, acrodinia). I prefissi usati di frequente sono: dis- per le alterazioni di funzione (disuria, dispepsia); a- oppure an- per indicare privazione (anemia, atrofia); iper- e ipo- per le alterazioni quantitative di funzione, rispettivamente per eccesso o per difetto (iper- e ipo-ovarismo); emo-, idro-, pneumo-, per le raccolte, negli spazi naturali, di sangue, di trasudato, di aria (emo-, idro-, pneumotorace). Gli aggettivi più usati sono: acuto, cronico, subacuto, subcronico, per indicare le modalità del decorso (faringite acuta, colite cronica), funzionale e organico, per indicare l’assenza o, al contrario, la presenza di lesioni anatomiche nel sintomo o nelle malattie (soffio funzionale, soffio organico di cuore), essenziale, per indicare che la malattia non ha cause conosciute e, apparentemente, esiste per sé (ipertensione essenziale); idiopatico, criptogenetico, per precisare che di una malattia non si conoscono le cause. La presenza di componenti abnormi nei liquidi organici è indicata dalla fusione del nome del componente abnorme con quello del liquido considerato (ematuria, chiluria).

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