Non punibilità per particolare tenuità del fatto

Libro dell'anno del Diritto 2016

Non punibilità per particolare tenuità del fatto

Giulia Alberti

Con il d.lgs. 16.3.2015, n. 28, in attuazione di una legge delega di riforma del sistema sanzionatorio penale, è stata introdotta nell’ordinamento una nuova causa di non punibilità: la particolare tenuità del fatto. Attraverso il nuovo istituto, ispirato a finalità di deflazione del sistema penale, il legislatore ha messo a disposizione del giudice uno strumento in grado di evitare l’inflizione della pena per fatti caratterizzati in concreto dall’esiguità dell’offesa, senza che ciò si traduca in una generale ‘impunità’ della criminalità bagatellare, soprattutto se caratterizzata dall’abitualità. Il contributo che segue delinea i tratti della nuova disciplina, mettendo in luce i principali problemi interpretativi e le maggiori criticità, emerse in dottrina e nelle prime applicazioni da parte della giurisprudenza.

La ricognizione

Con il d.lgs. 16.3.2015, n. 28 è stato configurato nell'art. 131 bis c.p. il nuovo istituto della «Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto». Si tratta di una delle principali riforme del sistema sanzionatorio penale realizzate in esecuzione della legge delega 28.4.2014, n. 67.

La rinuncia alla sanzione penale a fronte di offese esigue non è una novità: è da non pochi anni alla base di istituti presenti in due sottosistemi della giustizia penale.

Il riferimento è all’«esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto» (art. 34 d.lgs. 28.8.2000, n. 274), nel procedimento penale di fronte al giudice di pace, e alla «sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto» (art. 27 d.P.R. 22.9.1988, n. 448), nel processo penale minorile. Si tratta di istituti che, pur connotati da significative differenze rispetto alla non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p., con essa condividono la logica di fondo e, in parte, le funzioni.

La nuova disciplina, ispirata a finalità di “deflazione del sistema penale” nel suo complesso, è peraltro coerente con i principi di “proporzione” e di “sussidiarietà”, che notoriamente impongono, nell’ottica di un diritto penale inteso come ultima ratio, di rinunciare alla pena al cospetto di condotte che, per la loro esiguità, risultano “non meritevoli”, per l’appunto, di sanzione penale1. Va peraltro notato che, a differenza di quanto avviene con interventi di depenalizzazione, che operano sul piano astratto, la rinuncia alla pena, ispirata alla logica del “de minimis non curat praetor2, è stata realizzata in questa occasione – con una sorta di ‘depenalizzazione in concreto’ – introducendo un istituto che rimette al giudice la concretizzazione della valutazione legislativa di immeritevolezza di pena.

L’istituto disciplinato dall’art. 131 bis c.p. è d’altra parte applicabile già nella fase delle indagini preliminari, potendo condurre, sussistendone i presupposti, ad un decreto di archiviazione; ed è per questa ragione che proprio nelle fasi iniziali del procedimento l’effetto deflattivo perseguito dal legislatore potrà manifestarsi nella sua massima espressione, evitando la celebrazione del processo penale per fatti che, per quanto bagatellari, sono astrattamente previsti dalla legge come reato.

La focalizzazione

Il d.lgs. n. 28/2015 disciplina l’istituto in esame sotto il profilo tanto sostanziale, quanto processuale. Per quanto concerne i profili di diritto sostanziale, la disposizione chiave è contenuta nell’art. 131 bis c.p., che disciplina i presupposti applicativi della nuova causa di non punibilità.

Quanto ai profili processuali, il legislatore delegato ha introdotto disposizioni di coordinamento con la disciplina: a) dell’archiviazione; b) del proscioglimento predibattimentale; c) degli effetti civili della sentenza di proscioglimento ex art. 131 bis c.p. pronunciata all’esito del dibattimento e d) del casellario giudiziale.

In particolare, con riferimento alla fase delle indagini preliminari è stata introdotta una nuova ipotesi di archiviazione per particolare tenuità del fatto (art. 411, co. 1, c.p.p.), corredata da una disciplina specifica per la partecipazione della persona offesa e dell’indagato (art. 411, co. 1-bis, c.p.p.). Nella fase predibattimentale è stata poi prevista la possibilità per il giudice di pronunciare sentenza di non doversi procedere, previa audizione della persona offesa, se compare (art. 469, co. 1-bis, c.p.p.). Nel nuovo art. 651 bis c.p.p. è infine previsto che la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto pronunciata all’esito del dibattimento ha efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi di danno. Per ragioni che saranno illustrate oltre, con una modifica al d.P.R. 14.11.2002, n. 313 (t.u. sulle disposizioni in materia di casellario giudiziale) è stata infine prevista l’iscrizione dei provvedimenti «che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131bis del codice penale».

2.1 Natura giuridica dell’istituto

Il d.lgs. n. 28/2015 delinea un istituto di natura sostanziale – inquadrabile tra le cause di non punibilità in senso stretto – che presuppone la sussistenza di un reato (di un fatto antigiuridico e colpevole) e riflette considerazioni di opportunità circa la non applicazione della pena, lasciando peraltro impregiudicati gli effetti civili derivanti dal reato stesso.

La natura di “causa di non punibilità” dell’istituto – riconosciuta da autorevole dottrina3 – trova d’altra parte più di una conferma. In questo senso depongono:

a) il tenore letterale della norma («la punibilità è esclusa …»;

b) la rubrica dell’art. 131 bis c.p. –«Esclusione della punibilità …»;

c) la collocazione all’interno del Titolo V, Libro I, del codice penale (Modificazione, applicazione ed esecuzione della pena), relativo a valutazioni che il giudice deve effettuare dopo aver accertato la sussistenza di un reato e la sua attribuibilità all’imputato;

d) la Relazione allo schema di decreto legislativo4, che sottolinea ripetutamente come l’applicazione del nuovo istituto presupponga l’esistenza di un reato, che tuttavia non viene punito;

e) il nuovo art. 651 bis c.p.p., che ricollega alle sentenze di proscioglimento, pronunciate in applicazione dell’art. 131 bis c.p. all’esito del dibattimento, efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi di danno, quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso.

È d’altra parte importante sin d’ora precisare che l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto presuppone l’esistenza, non solo di un fatto tipico antigiuridico e colpevole, ma anche di un’”offesa”, che deve essere tenue, ma pur sempre presente5. La particolare tenuità del fatto va infatti tenuta distinta – dal punto di vista logico e delle conseguenze giuridiche – dall’inoffensività6, che ha il suo referente codicistico nella disciplina del reato impossibile (art. 49, co. 2, c.p.). Tale precisazione è gravida di conseguenze: in presenza di un “fatto inoffensivo” il giudice non potrà pronunciare una sentenza di assoluzione basata sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto, ma dovrà motivare in ordine all’assenza dell’offesa e assolvere l’imputato con la relativa formula, ben più favorevole (“il fatto non sussiste”). Lo impone, ancor prima dell’art. 49 c.p., il principio di offensività, che ha notoriamente rango costituzionale e rappresenta un ineludibile vincolo per l’interprete.

Sulla base di queste premesse si rende allora necessario, per il giudice, individuare la “linea di confine tra l’inoffensività e la particolare tenuità del fatto”. A tal proposito va segnalato come, fino al recente passato, ragioni di giustizia sostanziale – non punire fatti talmente poco offensivi da essere equiparabili a fatti inoffensivi – hanno indotto una parte della giurisprudenza ad estendere l’ambito della categoria dell’inoffensività alle ipotesi di offesa esistente, ma minima7. Simili casi, già ricondotti a torto o a ragione nell’ambito di applicazione dell’art. 49 c.p., possono oggi rientrare a pieno titolo nel campo di operatività del nuovo istituto di cui all’art. 131 bis c.p.

Ancora, va segnalato che la causa di esclusione della punibilità ex art. 131 bis è applicabile a fatti non già semplicemente tenui, bensì particolarmente tenui. L’ambito di applicazione della disciplina in esame è dunque, a ben vedere, segnato da due diverse linee di confine: la prima – verso il basso – che fa da spartiacque tra la nuova causa di non punibilità e le ipotesi di inoffensività (cioè di insussistenza del fatto tipico di reato); la seconda – verso l’alto – che separa l’ipotesi della particolare tenuità del fatto (non punibile) da quella della mera tenuità del fatto (punibile, seppur in misura ‘attenuata’ all’esito del procedimento di commisurazione della pena e/o dell’applicazione di circostanze del reato).

2.2 Ambito di applicazione

L’istituto di nuovo conio può in via di principio trovare applicazione in relazione a qualsivoglia reato, nel rispetto però dei limiti edittali che ne segnano i confini. La nuova causa di non punibilità, infatti, riguarda i soli reati – delitti e contravvenzioni – per i quali è prevista la pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva.

La scelta di individuare l’ambito di applicazione dell’istituto sulla base del massimo edittale della pena detentiva comminata è parsa a taluni criticabile. Si è infatti osservato come sarebbe stato più opportuno fare riferimento, anziché al massimo, al minimo edittale8, indicativo della «minima gravità necessaria» e quindi realmente rappresentativo del disvalore riconosciuto al reato nella sua «minima espressione offensiva». L’individuazione del massimo edittale quale limite all’ambito di applicazione della nuova causa di non punibilità può portare, infatti, a conseguenze incongrue, come l’esclusione di fattispecie che nella loro minima portata offensiva sono addirittura meno gravi di altre, alle quali la nuova causa di non punibilità risulta, invece, applicabile. Si pensi ad esempio al caso del parcheggiatore abusivo che, minacciando anche solo implicitamente l’automobilista, richieda il pagamento di una somma di denaro irrisoria (uno o due euro), ipotesi di lieve entità riconducibile al delitto di estorsione9, che è punito con una pena (la reclusione da 5 a 10 anni) ben superiore nel massimo al limite di 5 anni previsto dall’art. 131 bis c.p. D’altra parte – come è stato esattamente osservato – l’attitudine di un comportamento a manifestarsi in forma tenue non ha a che fare con l’astratta gravità della fattispecie astratta – riflessa dalla cornice edittale –, ma con la concreta graduabilità dell’offesa10.

Per espressa previsione normativa (art. 131 bis, co. 4, c.p.), il massimo edittale della pena, rilevante per delimitare l’ambito di applicazione della causa di non punibilità, deve essere individuato senza tenere conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge prevede una pena diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale. Nel caso ricorrano circostanze di questo tipo, il giudice non potrà effettuare il giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 c.p., ma dovrà tenere conto di tutte le circostanze aggravanti presenti, che incideranno pertanto sulla individuazione del massimo edittale11.

L’art. 131 bis non menziona il “tentativo”; tuttavia la nuova causa di non punibilità è da ritenersi applicabile al delitto tentato, che costituisce una figura autonoma di reato, con una propria cornice edittale. Rientrano, in tal modo, nell’ambito di applicazione dell’art. 131 bis, ad esempio, le ipotesi tentate di furto aggravato ai sensi dell’art. 625 c.p. – escluse nella forma consumata –, quale il furto in supermercato con mezzo fraudolento12, che nella prassi spesso si caratterizza per essere integrato da condotte di scarsa offensività (ad es. il furto di una lattina di birra).

In relazione poi alle ipotesi in cui il legislatore ha previsto, per mezzo di una circostanza attenuante o di una fattispecie autonoma di reato, una diminuzione della pena in presenza di fatti di reato connotati da ridotta offensività, si pone il problema della compatibilità con la nuova causa di non punibilità. A titolo di esempio si possono citare l’art. 62 n. 4 c.p., circostanza attenuante operante in presenza di un danno patrimoniale di speciale tenuità; l’art. 648, co. 2, c.p., che prevede una diminuzione di pena per la ricettazione se «il fatto è di particolare tenuità»; l’art. 323 bis, che a proposito di alcuni delitti contro la p.a., prevede una pena diminuita in ragione della «particolare tenuità» del fatto; l’art. 73, co. 5, d.P.R. 9.10.1990, n. 309, oggi fattispecie autonoma di reato, che punisce con una pena inferiore i fatti, previsti dal co. 1 della stessa norma, che, per le modalità concrete di realizzazione, per le circostanze dell’azione, ovvero per la qualità o quantità delle sostanze, siano di «lieve entità». L’art. 131 bis c.p., al co. 5, in merito alla questione in esame, dispone l’applicabilità dell’istituto anche «quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante». La disposizione, a ben vedere, non contempla l’ipotesi in cui la tenuità del fatto sia “elemento costitutivo” di una fattispecie autonoma di reato (è la citata ipotesi dell’art. 73, co. 5, d.P.R. 9.10.1990, n. 309). Tale omissione sembra però superabile in via interpretativa: a fronte di una lieve entità del fatto, che integra la figura di reato di cui si tratta (ad es., la cessione di un piccolo quantitativo di marijuana), è pur sempre concepibile una “particolare” tenuità di quello stesso fatto (ad es., la cessione di un quantitativo ancor più piccolo di quella sostanza).

2.3 Presupposti applicativi: tenuità dell’offesa

I presupposti applicativi del nuovo istituto sono due: la “particolare tenuità dell’offesa” e la “non abitualità del comportamento”. Si tratta di requisiti – il primo (di natura oggettiva) riguardante il fatto di reato e il secondo (di natura soggettiva) inerente all’autore – che devono necessariamente sussistere congiuntamente. Pur in assenza di un’esplicita gerarchia fra i due “indicicriteri”13, il presupposto relativo all’offesa è da ritenersi l’elemento fondante la particolare tenuità, che giustifica la non punibilità, mentre il requisito della non abitualità del comportamento sottende la volontà del legislatore di prendere in considerazione esigenze di prevenzione speciale in funzione delimitativa dell’operatività dell’istituto14.

A sua volta, la sussistenza del presupposto della particolare tenuità dell’offesa deve essere desunta, ai sensi dell’art. 131 bis, co. 1, c.p., sulla base di due “indicirequisiti”: le “modalità della condotta” e l’”esiguità del danno o del pericolo”, da valutarsi ai sensi dell’art. 133, co. 1, c.p.

Le principali difficoltà interpretative sorte in relazione a questa disposizione concernono la rilevanza di valutazioni attinenti all’elemento soggettivo e, nello specifico, la possibilità che nel giudizio sulla particolare tenuità dell’offesa il giudice tenga conto anche del criterio di cui all’art. 133, co. 1, n. 3 c.p., inerente all’intensità del dolo e al grado della colpa. Di fronte al dato letterale – il richiamo all’art. 133, co. 1, c.p. nel suo complesso e non ai soli numeri 1 e 2 –, che parrebbe consentire una simile valutazione, vi è però la volontà del legislatore delegato di ‘sganciare’ il giudizio di particolare tenuità del fatto da «accertamenti di tipo psicologicosoggettivistico»15, in ragione della difficoltà di tali valutazioni, soprattutto nelle fasi che precedono il dibattimento. Il quadro risulta poi complicato dal fatto che lo stesso legislatore, che da un lato ha esplicitamente scelto di non annoverare tra i requisiti della particolare tenuità del fatto il “grado della colpevolezza”, ha, dall’altro, lasciato aperta la strada a considerazioni inerenti al profili di tipo soggettivo, precisando, nella Relazione, che questo tipo di valutazioni si prestano ad essere effettuate nel contesto del giudizio sulle modalità della condotta16.

Le prime linee guida predisposte in materia da alcune procure della Repubblica17, così come talune delle prime pronunce dei giudici di merito18, lasciano spazio a valutazioni inerenti all’intensità del dolo e al grado della colpa, ai fini del giudizio di particolare tenuità dell’offesa ed in particolare in sede di valutazione delle modalità della condotta.

D’altra parte, la questione della rilevanza di componenti soggettive del reato nella valutazione di esiguità dell’offesa non è di poco conto: è suscettibile di incidere sulla natura – oggettiva o soggettiva – della causa di non punibilità di cui al nuovo art. 131 bis c.p., portando con sé importanti conseguenze, tra l’altro in tema di concorso di persone nel reato19.

Con riferimento all’indicerequisito dell’esiguità del danno o del pericolo, vi è poi un aspetto particolarmente problematico, concernente la possibilità, per il giudice, di tenere in considerazione, nel giudizio di particolare tenuità, condotte risarcitorie o riparatorie successive al fatto reato. Nonostante il dato letterale della norma, che pare escludere tale possibilità, in ragione del mancato richiamo al co. 2 dell’art. 133 c.p., che al n. 3 da rilievo alla condotta susseguente al reato, si segnalano alcune pronunce di merito che prendono apertamente posizione in senso opposto20.

Sempre in relazione al presupposto attinente all’entità dell’offesa, l’art. 131 bis, co 2, c.p. precisa che quest’ultima non può essere ritenuta di particolare tenuità quando l’autore ha agito per “motivi abietti o futili”, con crudeltà anche in danno di animali21, quando ha adoperato “sevizie” o ha profittato delle condizioni di “minorata difesa” della vittima, ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Si tratta di ipotesi introdotte nel tentativo di circoscrivere la discrezionalità del giudice, da ritenersi tuttavia superflue, in quanto, per la gravità che le connota, in concreto insuscettibili di dar luogo a offese di particolare tenuità22.

2.4 (Segue): non abitualità del comportamento

Il secondo presupposto per la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto – ispirato a esigenze di prevenzione speciale – è la “non abitualità del comportamento”. L’art. 131 bis non definisce tale concetto. Sembra peraltro evidente la scelta del legislatore delegato di ricorrere, in linea con la legge delega, ad un concetto diverso da quello di “occasionalità”, utilizzato altrove ed in particolare, con riferimento al procedimento penale davanti al giudice di pace, nell’art. 34 d.lgs. n. 274/2000 e, in relazione al procedimento penale minorile, nell’art. 27 d.P.R. n. 448/1988.

La volontà del legislatore delegato, espressa anche nella Relazione, pare quella di adottare un criterio più ampio23 di quello della “occasionalità”, in modo che «la presenza di un ‘precedente’ giudiziario non sia di per sé sola ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto». Non sono peraltro mancate, in dottrina, posizioni di senso contrario, fondate sull’idea di una differenza ‘qualitativa’ fra i due concetti. In particolare, secondo alcuni24, la non abitualità si riferirebbe solo al passato, ovverosia ai «precedenti criminali reiterati e specifici», mentre nell’occasionalità sarebbe insito un giudizio prognostico, inerente a valutazioni personologiche dell’autore di reato.

Sempre in relazione al presupposto della non abitualità, il co. 3 menziona una serie di ipotesi in cui il comportamento è considerato abituale:

a) l’autore è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza;

b) ha commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, è di particolare tenuità; c) si tratta di reati che hanno ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

La scarsa precisione del dato normativo non aiuta l’interprete nell’individuazione dei casi da ricondurre alle ipotesi di abitualità del comportamento menzionate al co. 3, soprattutto rispetto a quella che abbiamo indicato con la lettera c). Problematica, in particolare, risulta l’attribuzione di un significato univoco alle espressioni “plurime” e “reiterate”: non è chiara la differenza tra le due tipologie di condotte, né se ad esse debba ricondursi l’ipotesi del reato continuato25 o del concorso formale di reati26. Sulla compatibilità del reato continuato con la causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p., si è d’altra parte espressa in senso negativo la Corte di cassazione (Cass. pen., sez. III, 28.5.2015, n. 29897). Secondo la S.C. la commissione di più reati unificati ex art. 81 cpv. c.p. esclude il presupposto della non abitualità del comportamento. Diversa è peraltro la linea seguita in sede di prima applicazione dell’istituto da una parte della giurisprudenza di merito27.

In relazione all’accertamento del requisito della non abitualità si pone poi il problema della rilevanza del ‘precedente’ iscritto nel casellario giudiziale. Come si è accennato in premessa, infatti, il d.lgs. n. 28/2015 ha modificato l’art. 3 d.P.R. 14.11.2002, n. 313 (t.u. in materia di casellario giudiziale) prevedendo l’iscrizione, oltre che dei provvedimenti giudiziari definitivi già elencati alla lett. f), anche di «quelli che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’art. 131bis del codice penale». Un orientamento28, avallato dalla Relazione29 e, ancor prima, dalla ratio legis, esclude il presupposto della non abitualità del comportamento dando rilievo alla mera presenza di provvedimenti di applicazione dell’art. 131 bis, compresi i decreti di archiviazione. Se è vero che la soluzione è andata incontro a critiche da parte della dottrina30 ( che ha ravvisato un possibile contrasto con la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva (art. 27, co. 2, Cost.) – è altresì vero che, diversamente opinando, risulterebbero in buona parte vanificate le esigenze di economia processuale sottese all’istituto31.

2.5 La disciplina processuale

Il d.lgs. n. 28/2015 ha altresì disciplinato i profili processuali dell’istituto, in conformità con le previsioni della legge delega. Di fronte ad una disciplina processuale invero non molto articolata, si pone anzitutto il problema dell’individuazione delle fasi del procedimento nelle quali è possibile giungere ad una declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Deve a tal proposito essere segnalato, in primo luogo, che il d.lgs. n. 28/2015 prevede espressamente – mediante una modifica della disciplina dell’archiviazione – la possibilità di una declaratoria di non punibilità ex art. 131 bis c.p. nella fase delle indagini preliminari. Infatti, l’art. 411, co. 1, c.p.p. contempla oggi un nuovo caso di archiviazione, ravvisabile quando risulta che la persona sottoposta alle indagini non è punibile ai sensi dell’art. 131 bis c.p. Il successivo e nuovo co. 1-bis dell’art. 411 c.p.p. disciplina poi l’interlocuzione della persona offesa e dell’indagato rispetto alla richiesta di archiviazione. In particolare, l’archiviazione per particolare tenuità del fatto non presuppone il consenso dell’indagato, né tantomeno quello della persona offesa. Entrambi i soggetti processuali hanno, però, il diritto di essere avvisati della richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero e possono presentare opposizione.

La non punibilità per particolare tenuità del fatto può essere altresì pronunciata all’esito dell’udienza preliminare32. Nonostante l’assenza di un’espressa previsione, questa soluzione può essere argomentata richiamando l’art. 425, co. 1, c.p.p., laddove prevede che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere qualora si tratti di «persona non punibile per qualsiasi causa» (anche in questa fase si pone peraltro il problema del consenso dell’imputato).

Il d.lgs. n. 28/2015 ha, inoltre, previsto che la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto possa aver luogo con una sentenza predibattimentale, ai sensi del nuovo co. 1-bis dell’art. 469 c.p.p. A tal proposito va problematicamente segnalato come il predibattimento non rappresenti la sede più idonea per articolate valutazioni di merito come quelle sottese alla causa di non punibilità di cui all’art 131 bis c.p.: normalmente il giudice, in questa fase, si trova di fronte ad un fascicolo vuoto, o quasi. Per queste ragioni è verosimile che, nella prassi, la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità con sentenza predibattimentale assuma una veste residuale33.

In considerazione di quanto disposto dal nuovo art. 651 bis c.p.p., che attribuisce efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi di danno alla sentenza penale irrevocabile di proscioglimento ex art. 131 bis, pronunciata in seguito a dibattimento, l’istituto è da ritenersi certamente applicabile nel giudizio di primo grado.

Non paiono, inoltre, esservi ostacoli alla declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto nei giudizi di appello e di legittimità (cfr. Cass. pen. n. 15449/2015), pur residuando in quest’ultimo caso alcune criticità connesse al fatto che l’applicazione dell’istituto presuppone valutazioni di merito, normalmente precluse alla Corte di cassazione.

Ulteriore problema è infine quello della ammissibilità della declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto «in ogni stato e grado», ai sensi dell’art. 129 c.p.p.34 La soluzione affermativa ha trovato qualche apertura da parte della giurisprudenza35, rispetto alla questione più generale dell’inclusione della non punibilità nel novero delle cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.

I profili problematici

Come è già emerso dalla trattazione che precede, la disciplina della nuova causa di non punibilità pone svariati problemi interpretativi. Tra questi si segnalano, per la particolare rilevanza teorica e pratica, da un lato l’applicabilità della nuova disciplina a norme incriminatrici che prevedono soglie di punibilità e, dall’altro lato, i profili di diritto intertemporale.

3.1 Soglie di punibilità

Un primo problema riguarda la possibilità per il giudice, in relazione a fattispecie legali che prevedono soglie di punibilità, di ritenere il fatto di particolare tenuità nonostante il superamento delle soglie stesse. Fattispecie caratterizzate dalla presenza di soglie di punibilità sono largamente diffuse nel diritto penale tributario – per esempio l’omesso versamento dell’IVA (art. 10 ter d.lgs. 10.3.2000, n. 74) e nel diritto penale dell’ambiente – si pensi allo scarico di acque reflue industriali (art. 137 d.lgs. 3.4.2006, n. 2006). Soglie di punibilità sono previste anche per la guida in stato di ebbrezza (artt. 186 e 186 bis c.d.s.). Rispetto a queste ipotesi si tratta di capire se l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. sia incompatibile con l’individuazione di una soglia di offesa necessaria per la punibilità, già oggetto di una precisa scelta del legislatore, che potrebbe risultare sostanzialmente vanificata. Va rilevato, sul punto, che mentre le soglie di punibilità sono espressione di una valutazione che opera necessariamente su un piano astratto, il giudizio di particolare tenuità ex art. 131 bis c.p. presuppone la graduabilità in concreto dell’offesa anche in relazione a fattispecie astrattamente non bagatellari.

Non sembra, quindi, ragionevole escludere a priori l’applicabilità dell’istituto a fattispecie che prevedono soglie di punibilità. Tuttavia, pur partendo da questa premessa, se alcuni hanno affermato la generale compatibilità della non punibilità per particolare tenuità con le soglie36, sulla scorta del rilievo per cui nulla preclude che un fatto concreto che superi di poco la soglia possa essere di particolare tenuità, altri hanno sostenuto la necessità di una risposta differenziata a seconda della natura e della funzione che le soglie possono assumere in ciascuna fattispecie legale. In particolare si è sottolineato che, pur ammettendo il linea di principio una non incompatibilità dell’istituto di cui all’art. 131 bis c.p. con le soglie di punibilità, le maggiori criticità si riscontrano in presenza di soglie che hanno la funzione di definire direttamente l’offesa al bene giuridico protetto, mentre più agevole sarebbe l’applicazione dell’art. 131 bis c.p. in presenza di soglie che integrino mere condizioni di punibilità37.

Uno dei principali aspetti problematici relativi alle soglie di punibilità riguarda, poi, i rapporti con gli illeciti amministrativi aventi ad oggetto i fatti che si collocano ‘sotto soglia’ (emblematico il caso della guida in stato di ebbrezza). L’applicazione dell’art. 131 bis c.p. potrebbe portare a risultati irragionevoli, conducendo all’applicazione di una sanzione amministrativa a fatti, anche lievi, al di sotto del limite di rilevanza penale (es., guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 0,5 ma inferiore a 0,8 g/l), lasciando invece impunite le condotte che, pur superando la soglia della punibilità, sono di particolare tenuità (es., guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico di poco superiore a 0,8 g/l). Diverse le soluzioni prospettate: in un’ottica de iure condito, si è rilevato come all’applicazione dell’art. 131 bis potrebbe conseguire l’espansione ‘verso l’alto’ dell’illecito amministrativo38, soluzione che, tuttavia, contrasta con il principio di legalità dell’illecito amministrativo39. In una prospettiva de iure condendo, invece, vi è chi auspica, in presenza di fattispecie che possono dar luogo all’ipotesi in esame, l’introduzione di una disposizione, analoga a quella di cui all’art. 75, co. 14, d.P.R. n. 309/1990, che escluda anche la sanzione amministrativa in presenza di fatti che non costituiscono reato ma sono previsti come illecito amministrativo, e siano di particolare tenuità40. D’altra parte, sempre de iure condendo, potrebbe prospettarsi anche la soluzione opposta: non sarebbe irragionevole, in via di principio, prevedere sanzioni amministrative per i casi di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. Questa soluzione avrebbe il vantaggio, in relazione ai reati con limiti-soglia, di realizzare nel rispetto del principio di legalità quella ‘estensione verso l’alto’ della sanzione amministrativa già prevista per i fatti sotto soglia.

3.2 Profili di diritto intertemporale

In assenza di una disciplina transitoria, l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, in ragione della sua indubbia natura sostanziale, va ricondotto, quanto agli aspetti di diritto intertemporale, nell’ambito di applicazione dell’art. 2 c.p. La disciplina contenuta nell’art. 131 bis è pertanto applicabile in relazione a fatti commessi prima della sua entrata in vigore, se e in quanto – come normalmente accade – risulti in concreto più favorevole al reo.

Se ciò è pacifico, in via di principio, occorre però chiedersi se l’applicazione retroattiva della nuova causa di non punibilità debba essere inquadrata nella previsione del quarto ovvero del secondo comma dell’art. 2 c.p. La differenza non è di poco conto: solo l’applicazione del secondo comma dell’art. 2 c.p. – e conseguentemente dell’art. 673 c.p.p.

– può portare alla revoca delle sentenze di condanna per fatti di particolare tenuità già passate in giudicato al momento dell’introduzione della nuova causa di non punibilità.

La soluzione favorevole all’applicazione del quarto comma dell’art. 2 c.p. (con salvezza quindi del giudicato), presente in dottrina41, e adottata in un provvedimento di merito42, è stata affermata dalla Corte di cassazione (sent. n. 15448/2015). Si tratta almeno prima facie di una soluzione persuasiva: se si considera come la nuova causa di non punibilità presupponga un fatto costituente reato, sembra a dir poco arduo sostenere l’abolizione del reato stesso (fenomeno che presuppone, per l’appunto, la perdita di rilevanza penale in astratto del fatto di reato di cui si tratta).

La tesi favorevole all’abolitio criminis – a un’applicazione retroattiva dell’art. 131 bis c.p. in grado di travolgere il giudicato43 – è stata argomentata in dottrina osservando come la tenuità del fatto, pur non avendo i caratteri formali dell’abolitio criminis, presenta caratteristiche tali da poterla assimilare ad una “depenalizzazione in concreto”. Senonché a noi pare che la configurazione dell’istituto come causa di non punibilità, fondata su valutazioni concrete, strettamente legate al caso che di volta in volta il giudice si trova di fronte, non consenta la sua assimilazione ad una abolitio criminis, che invece opera sul piano astratto. La causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. sembra, sotto questo profilo, assimilabile piuttosto alle cause di estinzione del reato, che non incidono sull’astratta previsione della norma incriminatrice, né escludono la rilevanza penale, ma comportano, semplicemente, la non punibilità del fatto di reato. E la dottrina ha da tempo sottolineato la distinzione tra i fenomeni dell’estinzione del reato, da una parte, e dell’abolitio criminis, dall’altra44.

1 Sul tema Bartoli, R., L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in Dir. pen. e processo, 2015, 661; Caprioli, F., Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, in www.penalecontemporaneo.it, 8.7.2015, 3.

2 Fondamentale a riguardo, nella letteratura italiana, Paliero, C.E., «Minima non curat preator». Ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Padova, 1985.

3 Annoverano l’istituto tra le «cause oggettive di esclusione della punibilità», Marinucci, G.Dolcini, E., Manuale di diritto penale. Parte generale, V ed. aggiornata da E. Dolcini e G.L. Gatta, Milano, 2015, 409. V. inoltre, per l’inquadramento tra le cause di esclusione della punibilità, Padovani, T., Un intento deflattivo dal possibile effetto boomerang, in Guida dir., 2015, n. 15, 20. Nella giurisprudenza di legittimità v. Cass. pen., sez. III, 8.4.2015, n. 15449 in www.penalecontemporaneo.it, 22.4.2015, con nota di G.L. Gatta, Note a margine di una prima sentenza della Cassazione in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131bis c.p.).

4 Si tratta della Relazione che accompagna lo schema di decreto approvato dal Consiglio dei Ministri il 1°.12.2014, e che può essere letta in www.penalecontemporaneo.it, 19.3.2015.

5 Fra gli altri, si veda Dies, R., Questioni varie in tema di irrilevanza penale del fatto per particolare tenuità, in www.penalecontemporaneo.it, 13.9.2015, 7.

6 Sul tema della rilevanza penale di reato caratterizzati da offese minime cfr., a proposito del reato di furto, Manzini V., Diritto penale, Torino, 1938, vol. IX, parte prima, 24 ss.

7 Cfr. Trib. Roma, 2.5.2000, in Cass. pen., 2001, 2535, con nota di C.F. Grosso, Proscioglimento per furto di cose di valore particolarmente esiguo: inoffensività o irrilevanza penale del fatto?

8 Padovani, T., Un intento deflattivo, cit., 20.

9 In giurisprudenza, fra le altre, Cass. pen., sez. II, 7.6.2012, n. 21942.

10 Caprioli, F., Prime considerazioni, cit., 11.

11 Critico in merito alla formulazione della norma Caprioli, F., Prime considerazioni, cit., 13 ss.

12 Per una prima applicazione a tale fattispecie si veda Trib. Milano, 9.4.2015, n. 3936, in www.penalecontemporaneo.it, 21.5.2015.

13 In questi termini la Relazione che accompagna lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 1°.12.2014, par. 3.

14 In questo senso Dies, R., Questioni varie, cit., 4 s. Nella dottrina precedente all’entrata in vigore della nuova disciplina, auspicava una soluzione di questo tipo Paliero, C.E., “Minima non curat praetor”, cit., 750 ss. Di diverso avviso Bartoli, R., L’irrilevanza penale del fatto. Alla ricerca di strumenti di depenalizzazione in concreto contro la ipertrofia c.d. “verticale” del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 1473.

15 Cfr. Relazione, cit., par. 3.

16 Cfr. Relazione, cit., par. 3. Critici Caprioli, F., Prime considerazioni, cit., 6, Padovani, T., Un intento deflattivo, cit., 21 e, già prima dell’entrata in vigore della norma, Palazzo, F., Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture. (A proposito della legge n. 67/2014), in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 1709.

17 Cfr. Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano, Prime linee guida per l’applicazione del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, in www.penalecontemporaneo.it, 3.4.2015, 11; Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trento, Decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28. Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Prime riflessioni, ivi, 18.6.2015, 5; Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, D.lgs. 16 marzo 2015 n. 28 “Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto”. Circolare esplicativa/applicativa, ivi, 2.7.2015, 8.

18 Cfr. Trib Milano, 29.4.2015, n. 4195, in www.penalecontemporaneo.it, 21.5.2015, Trib. Milano, 2.4.2015, n. 3805, inedita; Trib. Torino 9.4.2015, in www.archiviopenale.it.

19 Pacifici, L., La particolare tenuità dell’offesa: questioni di diritto penale sostanziale, in www.penalecontemporaneo.it, 14.7.2015. Nella giurisprudenza di merito si è affermata la natura “mista” della causa di non punibilità, con conseguente applicazione dell’art. 119, co. 1, c.p. (cfr. Trib. Milano n. 4195/2015, cit.).

20 Cfr. Trib. Foggia, 10.4.2015, n. 1670, inedita, nella quale il giudice ha ritenuto rilevante, per escludere la punibilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 10ter d.lgs. 10.3.2000, n. 74, il successivo pagamento integrale del debito. Cfr., inoltre, in materia di infortuni sul lavoro, Trib. Genova, 21.5.2015, inedita. In dottrina, cautamente aperto a questo tipo di valutazioni, Dies, R., Questioni varie, cit., 23, nota 51.

21 Con particolare riferimento all’ipotesi della crudeltà nei confronti di animali, è opportuno precisare che la disposizione non esclude tout court l’operatività del nuovo istituto rispetto ai delitti di maltrattamento di animali di cui all’art. 544 ter c.p. L’art. 131 bis c.p. non risulterà applicabile solamente quando tale reato sarà commesso con crudeltà. Per alcune prime applicazioni alla fattispecie in esame si veda Trib Milano, 9.4.2015, n. 3937, in www.penalecontemporaneo.it, 21.5.2015.

22 In questo senso Grosso, C.F., La non punibilità, cit., 520.

23 In questo senso Dies, R., Questioni varie, cit., 5, nota 11.

24 Caprioli, F., Prime considerazioni, cit., 16 ss.

25 In dottrina accenna, dubitando dell’esclusione di «qualsiasi forma di continuazione», all’apparente ‘doppione’ della previsione di condotte reiterate, quando già è escluso il caso della commissione di reati della stessa indole, Padovani, T., Un intento deflattivo, cit., 22.

26 In relazione al concorso formale di reati la Terza Sezione della Suprema Corte, con ord., 7.5.2015, n. 21016, in www.penalecontemporaneo.it, 27.5.2015, aveva sottoposto la questione all’attenzione delle Sezioni Unite, che però, su disposizione del Primo Presidente, non hanno esaminato il quesito.

27 Trib. Milano, n. 4195/2015, cit. e Trib. Grosseto, 6.7.2015, n. 650, in www.penalecontemporaneo.it, 5.10.2015.

28 Procura delle Repubblica presso il Tribunale di Lanciano, Prime linee guida, cit., 24, Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trento, Decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28., cit., 6, Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, D.lgs. 16 marzo 2015 n. 28, cit., 16.

29 Cfr. Relazione, cit., par. 7.

30 Perplessità si rilevano in Bartoli, R., L’esclusione della punibilità, cit., 671, Caprioli, F., Prime considerazioni, cit., 19 ss. Nettamente critico nei confronti di tale scelta Dies, R., Questioni varie, cit., 25 ss., il quale ritiene che i provvedimenti di archiviazione non vadano iscritti nel casellario, in quanto privi della natura di provvedimenti definitivi, quali, invece, quelli menzionati dall’art. 3, lett. f), d.P.R. n. 313/2002.

31 Prospetta questo scenario Caprioli, F., Prime considerazioni, 18.

32 Per un approfondimento si veda Aprati, R., Le regole processuali della dichiarazione di “particolare tenuità del fatto”, in Cass. pen., 2015, 1325 s.

33 Dies, R., Questioni varie, cit., 12, nota 26 e Caprioli, F., Prime considerazioni, cit., 25.

34 Sul tema si veda, ampiamente, Corte di Cassazione-Ufficio del Massimario, Problematiche processuali riguardanti l’immediata applicazione della “particolare tenuità del fatto”Rel. n. III/02/2015, a cura di A. Corbo e G. Fidelbo, in www.cortedicassazione.it.

35 Fra le altre cfr. Cass. pen., sez. VI, 6.12.2012, n. 48765.

36 Marinucci, G.Dolcini, E., Manuale, cit., 401, Gatta, G.L., Note a margine, cit. e Caprioli, F., Prime considerazioni, cit., 10; contra Padovani, T., Un intento deflattivo, cit., 21.

37 Dies, R., Questioni varie, cit., 21.

38 Cfr. Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, D.lgs. 16 marzo 2015 n. 28, cit. 23.

39 Dies, R., Questioni varie, cit., 23.

40 Aprati, R., Le regole processuali, cit., 1320.

41 Ritiene che non si tratta di abolitio criminis e che pertanto non sia possibile superare il limite del giudicato, Gullo, A., Art. 131bis, in Dolcini, E.Gatta, G.L., (diretto da), Codice penale commentato, IV ed., 2015, I, 1959.

42 Cfr. Trib. Milano, sez. XI, decreto 3.11.2015, Giud. Corbetta, con nota di G.L. Gatta, La particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis e il limite del giudicato, in www.penalecontemporaneo.it, 23.11.2015.

43 Dies, R., Questioni varie, cit., 12 ss.; con considerazioni inerenti al diritto processuale si veda Russo, I., Ancora sulla tenuità del fatto: la novella della sfinge, in Arch. pen., 2015, 3 ss.

44 Cfr. Gatta, G.L., Art. 170 c.p., in Dolcini, E.Gatta, G.L., (diretto da), Codice penale commentato, IV ed., Milano, 2015, I, 2364.

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