Novità giurisprudenziali in materia di stupefacenti

Libro dell'anno del Diritto 2014

Novità giurisprudenziali in materia di stupefacenti

Luisa Romano

Diverse sono le novità, in particolare giurisprudenziali, che, tra l’ultimo scorcio del 2012 e l’anno in corso, hanno interessato il settore degli stupefacenti. Tra di esse, innanzitutto, merita segnalare le sentenze con cui le Sezioni Unite si sono pronunciate sulle dibattute questioni attinenti alla circostanza aggravante dell’ingente quantità, alla vendita di semi di piante da cui sia ricavabile sostanza drogante ed alla rilevanza penale o solo amministrativa del cd. consumo di gruppo. Di indubbio rilievo, inoltre, la sentenza della Corte costituzionale con cui è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 69, co. 4, c.p. a motivo della irragionevole sterilizzazione, prodotta dalla previsione censurata, degli apporti mitiganti riconnessi all’attenuante del fatto di lieve entità dall’art. 73, co. 5, d.P.R. 9.10.1990, n. 309.

La focalizzazione

In base alla precedente carrellata, è agevole evidenziare che le novità che hanno interessato il settore che ci occupa hanno riguardato in massima parte il fulcro della disciplina sanzionatoria degli stupefacenti, rappresentato dalle fattispecie, base e circostanziate, di cui agli artt. 73 e 80 del d.P.R. n. 309/1990.

Per quanto attiene alla prima, l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite sul cd. consumo di gruppo si ascrive a pieno titolo nel più ampio novero delle pronunce di legittimità con cui, all’indomani dell’introduzione del comma 1-bis nell’art. 73, si è cercato di fare luce sulla reale portata della novella, che era parsa (voler) ridefinire il cippo confinario tra condotte a rilevanza penale o solo amministrativa, offrendo spunti, di carattere non solo testuale, per una revisione dell’opzione ermeneutica in precedenza accolta dalla giurisprudenza, in particolare in merito al rilievo da riconoscere all’uso di gruppo.

A dispetto, tuttavia, della univoca presa di posizione della Cassazione in ordine al ruolo rivestito dai riproposti limiti-soglia, che ha rigettato le più rigoristiche soluzioni abbracciate da una parte della giurisprudenza di merito e che risulta confermata dalle più recenti pronunce4, per quanto riguarda la discussa riannessione all’area penalistica del consumo collettivo gli approdi esegetici sono stati divergenti. Nello specifico, per un primo orientamento, la diversa locuzione impiegata dal legislatore nel riformato testo dell’art. 73 per connotare finalisticamente le condotte ivi elencate e, in virtù di quella finalizzazione, attrarle all’ambito penalistico, avrebbe dovuto far propendere per un’interpretazione più restrittiva e, in particolare, per un ribaltamento dell’impostazione per cui tanto l’acquisto ed uso di gruppo quanto il cd. mandato ad acquistare da e per il gruppo avrebbero integrato illeciti di carattere meramente amministrativo. Viceversa, secondo un’opposta ipotesi ricostruttiva, una restrizione dell’area di esenzione penale non avrebbe potuto essere affidata ad un fragile ed equivoco dato di natura testuale e reputarsi scaturire, in definitiva, dall’inserzione di un avverbio prima assente, sicché i dubbi sollevati dalla modifica dell’espressione normativa si sarebbero dovuti fugare, in omaggio al principio del favor rei, considerando immutata, per il profilo in discorso, la situazione pregressa e confermata, dunque, la soluzione della rilevanza solo amministrativa del consumo di gruppo abbracciata dalle Sezioni Unite nella sentenza Iacolare del 28.5.1997, n. 4.

Chiamata a dirimere la dibattuta questione, la Corte, nella sua massima composizione, ha condiviso gli argomenti addotti a favore della tesi della perdurante irrilevanza penale del consumo di gruppo5. In particolare, le Sezioni Unite hanno giudicato che l’aggiunta dell’avverbio «esclusivamente» non consenta di ritenere superata la conclusione, consolidata nel diritto vivente all’epoca della novella, secondo cui l’uso di gruppo avrebbe integrato un’ipotesi di uso personale e ciò per il fatto che la modifica normativa non avrebbe scalfito i due assunti a sostegno della stessa, in virtù dei quali l’uso personale è configurabile allorquando non vi sia cessione di stupefacente a terzi e una cessione a terzi, neppure parziale, non sia ravvisabile nell’uso di gruppo. Né sarebbe valso ad irrobustire la scarsa pregnanza dell’argomento letterale il riferimento ai lavori parlamentari dai quali, secondo l’opposta opzione interpretativa, sarebbe emersa l’intenzione del legislatore storico di inasprire la reazione punitiva per le condotte di spaccio, ad essa al contempo assoggettando tutte quelle non direttamente ed immediatamente collegate con l’uso personale, tra cui l’acquisto e la detenzione per un uso di gruppo. Da un lato, infatti, sarebbe possibile avanzare dubbi circa l’univocità della predetta intenzione, vista la notevole ristrettezza della discussione parlamentare, che pure registrava l’emersione di prese di posizione differenziate, e, dall’altro, è certo che la presunta voluntas legislatoris non abbia ricevuto adeguata e coerente traduzione normativa, posto che lo stesso declamato obiettivo di assicurare un maggiore rigore sanzionatorio ha poi trovato parziale smentita nella mitigazione della risposta punitiva riservata alle condotte aventi ad oggetto droghe ex-pesanti. La stessa necessità di dover evincere la nuova incriminazione da un nient’affatto robusto dato testuale e da una volontà non chiaramente esplicitata, d'altronde, sarebbe indicativa di una fattispecie tipizzata in maniera non ossequiosa del principio di legalità dei reati e delle pene, che, a monte, richiede che «la formulazione, la struttura ed i contenuti delle norme penali siano tali da rendere le stesse precise, chiare e contenenti riconoscibili direttive di comportamento»6 e, a valle, esclude che la loro enucleazione sia rimessa, in definitiva, al giudice. L’opzione ermeneutica condivisa dalle Sezioni Unite meglio si concilierebbe pertanto con le norme ed i principi costituzionali, compreso quello che esige un’omogeneità di contenuti tra decreto-legge e legge di conversione tale da comportare l’inammissibilità di emendamenti del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del primo. Ciò posto, la Corte chiarisce poi le condizioni in presenza delle quali sia dato ravvisare un consumo collettivo, individuandole – ancora una volta in sintonia con i precedenti approdi giurisprudenziali − nel fatto che l’acquirente sia uno degli assuntori; che l’acquisto avvenga sin dall’inizio per conto degli altri componenti il gruppo, al cui uso personale la sostanza è destinata; che sia certa sin dall’inizio l’identità di tali altri soggetti i quali abbiano per di più in un qualunque modo manifestato la volontà sia di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi sia di concorrere ai mezzi finanziari occorrenti all’acquisto7.

Venendo all’ambito delle circostanze che possono accedere alle condotte di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, come già anticipato, si segnala per la sua importanza la sentenza della Corte costituzionale con cui quest’ultima ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 69, co. 4, c.p., censurando il divieto di subvalenza della recidiva reiterata di cui all’art. 99, co. 4, c.p. – qualora ritenuta ed applicata – rispetto alla concorrente attenuante del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5,8 per la quale, com’è noto, l’ordinamento contempla un notevolissimo abbattimento di pena e, a date condizioni, financo la possibilità di una sostituzione della sanzione custodiale con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del d.lgs. 28.8.2000, n. 274 e secondo le modalità ivi previste9. La pronuncia – con cui sono state giudicate fondate perplessità che erano emerse invero sin dall’indomani della novella10 e che, da parte di qualche giudice di merito, si era pure cercato di cauterizzare attraverso un’applicazione dell’aumento di pena previsto per la recidiva reiterata solo successiva a quella della attenuante in discorso11 − è senz’altro ascrivibile al novero delle decisioni frutto di quel «nuovo interventismo in punto di ragionevolezza delle sanzioni»12, con le quali la Corte accenna a smarcarsi da pregresse ed imperanti logiche di deferenza verso le scelte legislative concernenti il trattamento sanzionatorio. In effetti, gli argomenti addotti a sostegno dell’intervento demolitorio hanno riguardato, in particolare, la manifesta irragionevolezza delle conseguenze scaturenti, sul versante punitivo, dal divieto di prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 73, co. 5, conseguenze in grado di comportare un radicale disconoscimento – per effetto della «abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata»13 – della ben più modesta portata offensiva della fattispecie circostanziata e capaci, come tali, di concretare una violazione del principio di uguaglianza. Ancora, i giudici costituzionali hanno ritenuto di dover stigmatizzare il meccanismo preclusivo di cui all’art. 69, co. 4, c.p. in quanto esso, annullando la divaricazione delle cornici edittali previste per la diminuente, finiva con l’attribuire alla risposta punitiva per fatti di minima offensività penale, (ancorché) posti in essere da recidivi reiterati, i connotati di una pena palesemente sproporzionata, con gli intuibili riverberi sul fronte del finalismo rieducativo della pena. Il sindacato di proporzione – per come declinato dalla Corte – sembrerebbe peraltro caratterizzato da una inusuale emancipazione dal prisma della ragionevolezza-eguaglianza14, che, per quanto resa possibile dalla peculiarità della disposizione censurata15, schiude prospettive di un certo interesse e delinea schemi che forse potrebbero essere fecondamente replicati16. Indubbiamente forte, ad ogni modo, è l’impatto che la pronuncia sarà destinata ad avere al cospetto di una categoria naturaliter recidivante quale quella dello spacciatore (o del tossicodipendente), vieppiù propiziato da una giurisprudenza di legittimità che, quanto ai processi in corso, non ne subordina l’invocabilità ad una censura ad hoc17, reputando rilevabile d’ufficio la nullità sopravvenuta della sentenza impugnata18.

Mette poi conto ricordare la recente pronuncia delle Sezioni relativa all’aggravante speciale di cui all’art. 80, co. 2, del d.P.R. n. 309/199019.

Nel tentativo di comporre un contrasto giurisprudenziale che, da più di un biennio, vedeva contrapposte, in specie, la IV e la VI Sezione della Cassazione20, il giudice della nomofilachia, nella sua massima composizione, ha infine enunciato il principio di diritto per cui la circostanza dell’ingente quantità non sarebbe di norma ravvisabile «quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata»21. Mettendo da canto riflessioni di altro tipo che pure la decisione solleciterebbe22, è da evidenziare come la soluzione abbracciata dalle Sezioni Unite non si limiti ad un mero aggiornamento, alla stregua delle indicazioni contenute nella richiamata fonte ministeriale, di parametri, di natura quantitativa, pur in precedenza fissati da una parte della giurisprudenza. La Corte, infatti, non assume a criterio di riferimento le dosi medie singole fissate dal decreto, ma i quantitativi massimi detenibili ivi contemplati e a loro volta ottenuti, come è noto, dalla moltiplicazione delle prime con un fattore variabile, indicativo delle diverse caratteristiche di ciascuna sostanza e, segnatamente, del relativo potere di indurre alterazioni comportamentali e scadimento delle capacità psicomotorie. In tal modo e a tacere ulteriori perplessità23, la decisione, da un lato, finisce per riconoscere importanza alla natura dello stupefacente anche in relazione all’art. 80, co. 2, del d.P.R. n. 309/1990, acuendo la divaricazione tra la declamata parificazione di tutte le droghe ed il rilievo accordato, a fini di disciplina, all’essere la sostanza una droga leggera o pesante24 e, dall’altro, ad attribuire peso significativo, altresì in sede di accertamento dell’ingente quantità, ad un dato − il moltiplicatore variabile – della cui plausibilità scientifica sarebbe lecito dubitare25. La giurisprudenza, nondimeno, per quel che è dato riscontrare in base alle pronunce successive alla sentenza Biondi, si starebbe allineando alla posizione espressa dalle Sezioni Unite26, correggendo peraltro l’erronea indicazione di queste ultime circa il valore-soglia relativo alla cannabis27.

Di rilievo, ancora, l’ulteriore sentenza con cui le Sezioni Unite si sono pronunciate sulla qualificazione giuridica dell’offerta in vendita di semi di piante dalle quali siano ricavabili sostanze droganti28. Nell’ultimo periodo29, infatti, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che, sulla base della asserita equivalenza tra promozione della produzione di stupefacenti e promozione del loro uso, riconduceva all’ambito di operatività del delitto di istigazione all’uso di stupefacenti la condotta di pubblicizzazione e messa in vendita di semi, laddove accompagnata ad una specifica attività divulgativa concernente le modalità di coltivazione degli stessi, è stato messo in discussione da una differente ipotesi ricostruttiva dei rapporti fra le finitime fattispecie di cui agli artt. 82 e 84 del d.P.R. n. 309/1990. In una vicenda che aveva a protagonisti gli stessi imputati di cui alla successiva pronuncia delle Sezioni Unite, la Corte aveva affermato che non è possibile parlare di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope in difetto di una propalazione e di un’esaltazione delle qualità delle sostanze ricavabili dalla coltivazione dei semi offerti in vendita, quand’anche l’offerta si sia accompagnata all’illustrazione delle modalità e tecniche di coltivazione degli stessi e, più in generale, ad un’attività divulgativa avente ad oggetto istruzioni e consigli per una migliore resa, in una tale ipotesi dovendosi ravvisare, viceversa, gli estremi dell’illecito amministrativo di propaganda pubblicitaria di sostanze o preparazioni stupefacenti di cui all’art. 84.

Le Sezioni Unite, tuttavia, hanno disatteso entrambe le opzioni ricostruttive, addivenendo ad un distinto esito riguardo alla qualificazione della condotta di pubblicizzazione ed offerta in vendita di semi da cui sia ricavabile sostanza stupefacente. Nello specifico, esse non hanno condiviso l’argomentazione su cui si incardinava l’opzione ermeneutica sino ad allora prediletta, per cui, come si è detto, tra pubblicizzazione di semi, coltivazione degli stessi ed utilizzo di sostanze stupefacenti si sarebbe potuta cogliere una interconnessione tale da considerare l’induzione alla coltivazione praticamente sovrapponibile alla induzione all’uso, con conseguente riconducibilità della condotta all’ipotesi di cui all’art. 82 del d.P.R. n. 309/1990. Viceversa, l’apprezzabile autonomia delle due condotte − secondo la diversa impostazione delle Sezioni Unite − non consentirebbe, a pena di un’inammissibile interpretazione analogica del predetto art. 82, di ricondurne al perimetro applicativo l’ipotesi della pubblicizzazione ed offerta in vendita di semi, la quale, sussistendone i presupposti, sarebbe piuttosto sussumibile nella sfera di operatività della distinta fattispecie di istigazione alla coltivazione di stupefacenti, di cui al combinato disposto degli artt. 414 c.p., 26 e 73, co. 1, del d.P.R. n. 309/199030. In tal modo definita l’attività considerata, le Sezioni Unite hanno precisato che, in omaggio al principio del nullum crimen sine iniuria, occorrerà in ogni caso verificare se la condotta contestata all’agente ed accertata sia assolutamente inidonea a mettere a repentaglio il bene giuridico protetto, risultando in concreto inoffensiva. Ipotesi che ricorrerà – in base a quanto affermato dal massimo Consesso – quando la sostanza ricavabile dalla coltivazione non produca un effetto drogante rilevante31.

I profili problematici

Quanto agli aspetti che si connotano per la loro attuale problematicità, è dato distinguere tra questioni dischiuse da talune delle recenti sentenze passate in rassegna, profili controversi emergenti da orientamenti di giurisprudenza non univoci e problematiche al vaglio della Corte costituzionale.

In relazione alla prima categoria, viene senz’altro in rilievo la questione della possibile incidenza delle pronunce di cui s’è detto sui rapporti già definiti con sentenza passato in giudicato. Invero, per gli interventi chiarificatori delle Sezioni Unite risulta difficile immaginare proiezioni sui rapporti già esauriti e ciò a motivo delle recenti prese di posizione dei giudici costituzionali in ordine all’incapacità del mutamento giurisprudenziale a travolgere il giudicato32. Diversamente, invece, sarebbe dato concludere rispetto alla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 69, co. 4, c.p. Anche in tal caso sorgono, tuttavia, delle perplessità che, per come puntualmente segnalato33, attengono ai poteri che sia consentito o meno riconoscere al giudice dell’esecuzione, questione che, pur rinvenendo, quanto a soluzione prospettabile, un sicuro aggancio nei pronunciamenti della Cassazione che hanno fatto seguito alla dichiarazione di illegittimità dell’aggravante della cd. clandestinità34, parrebbe riproporsi quantomeno per i casi in cui non sia possibile desumere dalla sentenza di condanna elementi inequivocabili circa un eventuale giudizio di prevalenza dell’attenuante di lieve entità sulla recidiva reiterata, «ma appaia comunque del tutto irrazionale, anche alla luce di altri dati della motivazione in ordine al giudizio sul fatto, il trattamento sanzionatorio ‘coatto’, eccessivo rispetto alla ‘tavola’ dei valori costituzionali relativi alla ‘proporzionalità’ della pena inflitta»35.

Sul diverso fronte delle questioni in ordine alle quali è dato registrare pronunce dissonanti, viceversa, occorre segnalare la diversità di esiti cui si è giunti in merito alla possibilità che la circostanza aggravante prevista dall’art. 80, co. 1, lett. b) del d.P.R. n. 309/1990, nella parte in cui richiama l’art. 112, co. 1, n. 4, c.p., sia applicabile all’ipotesi, introdotta solo nel 1991, di chi si sia avvalso di un minore degli anni diciotto per la commissione del reato. Diversità di esiti che, come è facile intuire, dipende dalla qualificazione del rinvio operato alla disposizione codicistica come rinvio recettizio36 o formale37.

Al momento attuale, nondimeno, è sul terreno del rispetto delle previsioni costituzionali che emergerebbero le maggiori criticità per quanto riguarda la vigente legislazione antidroga. Nel corso dell’ultimo anno, infatti, sono state sollevate − e la circostanza rappresenta in sé un dato di novità38 − diverse questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 bis e dell’art. 4 vicies-ter, co. 2, lett. a) e co. 3, lett. a), n. 6 del d.l. 30.12.2005, n. 272, così come modificati dalla legge di conversione 21.2.2006, n. 4939.

Gli aspetti su cui si concentrano i dubbi denunciati nelle ordinanze di rimessione sono diversi40, ma sembra chiaro come, nell’economia complessiva dei provvedimenti, rivesta un ruolo protagonistico l’asserita estraneità delle norme inserite in sede di conversione – che hanno apportato le più incisive e caratterizzanti modifiche al Testo Unico − rispetto all’oggetto, alle finalità ed alla ratio dell’originario decreto-legge, che, ad opinione dei giudici a quibus, porterebbe a far ritenere concretata, nel caso di specie, una violazione dell’art. 77, co. 2, Cost. Sono note, d’altronde, le prospettive fortemente innovative dischiuse da taluni recenti arresti della Corte costituzionale in fatto di giustiziabilità del divieto di radicali dissimmetrie contenutistico-funzionali tra decreto-legge e relativa legge di conversione41, prospettive al cospetto delle quali le modalità di riforma della disciplina penale degli stupefacenti, che bene esprimono il carattere “compulsivo” delle scelte che l’hanno caratterizzata42, non potevano non apparire immediatamente problematiche.

Le chances di un accoglimento della questione di legittimità fondata sull’art. 77, co. 2, Cost., senz’altro notevoli se calibrate sul paradigma di una ortodossa decretazione d’urgenza43, debbono tuttavia misurarsi con i peculiari margini di intervento a disposizione della Corte costituzionale in ambito penale e ciò a ragione delle possibili conseguenze in malam partem che potrebbero pure scaturire da un intervento demolitorio delle disposizioni censurate, specie in relazione a condotte aventi ad oggetto droghe pesanti. È indubbio, peraltro, che al netto di tali non trascurabili risvolti, un eventuale giudizio di fondatezza circa i dubbi sollevati in riferimento all’art. 77, co. 2, Cost. invaliderebbe alcune tra le più discutibili scelte di politica criminale degli ultimi anni senza costringere la Corte a difficoltose valutazioni di merito in una heavily politicised policy area quale quella rappresentata dalla disciplina penalistica sugli stupefacenti.

Per il momento, quanto alla giurisprudenza costituzionale, ciò che merita di essere segnalato è che, nell’ultimo periodo, hanno ricevuto un sostanziale avallo talune leggi regionali, di recente adozione, volte a prevedere la fornitura a carico del Servizio Sanitario Regionale dei ccdd. “farmaci cannabinoidi”44. Un tema, quello cennato, degno tuttavia di ben altro approfondimento.

Note

1 Rilevante, per vero, anche la sentenza delle Sezioni Unite (Cass. pen., S.U., 31.1.2013, n. 18374, in Dir. pen. e processo, n. 7/2013, 763 ss., con nota critica di Fasani) in tema di rapporti tra reato associativo ed aggravante della transnazionalità di cui all’art. 4 della l. 16.3.2006, n. 146. La questione, infatti, si è posta, in prima battuta, proprio con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309/1990 (Cass. pen., sez. V, 15.12.2010, n. 1937, Dalti), disposizione, quest’ultima, che vede oggi attratta alla propria sfera di operatività anche l’ipotesi dell’associazione dedita alla commissione di delitti in materia di precursori (cfr. art. 74, co. 1, del d.P.R. n. 309/1990, come novellato dal d.lgs. 24.3.2011, n. 50, su cui, volendo, Romano, L., L’art. 74 del D.P.R. n. 309 del 1990 tra (recenti) pronunce giurisprudenziali ed innovazioni legislative, in AA.VV., La disciplina penale degli stupefacenti, a cura di G. Insolera-V. Manes, Milano, II ed., 2012, 140 ss.).

2 In merito a tale comma, cfr. Montagni, A., Le circostanze ad effetto speciale (Artt. 73, 75, 75 bis, 79, 80, 83 d.p.r. 9-10- 1990, n. 309), in AA.VV., Trattato di diritto penale, diretto da A. Cadoppi-S. Canestrari-A. Manna-M. Papa, Parte speciale, vol. IV, I delitti contro l’incolumità pubblica e in materia di stupefacenti, Torino, 2010, 668 ss.

3 Così l’art. 3 del d.l. 1.7.2013, n. 78, convertito, con modifiche, nella l. 9.8.2013, n. 94. Discutibile la latitudine della previsione nella versione precedente all’intervento di conversione.

4 Tra le ultime, Cass. pen., sez. VI, 3.7.2013, n. 30834; sez. IV, 23.5.2013, n. 27346; sez. VI, 14.5.2013, n. 23687; sez. III, 4.4.2013, n. 21142; sez. III, 27.3.2013, n. 25806; sez. VI, 10.1.2013, n. 24542. D’altro canto, il mancato superamento dei limiti tabellari non esclude, di per sé solo, la finalità di spaccio e la rilevanza penale della condotta, con l’unico limite dell’assenza di qualsivoglia effetto drogante (cfr., tra le altre, Cass. pen., sez. III, 4.7.2013, n. 40620; sez. VI, 8.3.2013, n. 23319; sez. VI, 22.1.2013, n. 8393).

5 Cass. pen., S.U., 31.1.2013, n. 25401.

6 Così Cass. pen., S.U., 31.1.2013, n. 25401, cit., richiamando C. cost., sent. 24.3.1988, n. 364.

7 Esorbita pertanto dalla nozione di consumo di gruppo il caso in cui il soggetto abbia ceduto per il consumo in comune sostanza di cui era autonomamente in possesso per averla acquistata senza alcun mandato degli altri, ovvero quello in cui egli abbia acquistato su mandato di terzi ma senza essere a sua volta assuntore ovvero abbia ceduto parte della droga a soggetti estranei al gruppo dei mandanti.

8 C. cost., sent. 15.11.2012, n. 251, in Cass. pen., n. 5/2013, 1745 ss., con nota di D. Notaro, La fine ingloriosa, ma inevitabile, di una manifesta irragionevolezza: la Consulta lima il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata; in Giur. cost., n. 6/2012, 4043 ss., con nota di C. Bernasconi, Giudizio di bilanciamento, circostanze c.d. privilegiate e principio di proporzione: il caso della recidiva reiterata. Per un commento alla pronuncia, cfr. altresì Caruso, G., Su recidiva reiterata e giudizio di bilanciamento: parola “fine” della Corte costituzionale?, in Arch. pen., n. 1/2013, 219 ss.

9 In argomento, per tutti, cfr. Manes, V., Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze, in AA.VV., La disciplina penale degli stupefacenti, cit., 103 ss. Di recente, peraltro, l’art. 54 del d.lgs. 28.8.2000, n. 274 – disposizione richiamata dal co. 5-bis dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 – è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che, laddove il condannato lo richieda, il giudice possa ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità fuori dall’ambito della provincia in cui risiede (cfr. C. cost., sent. 5.7.2013, n. 179).

10 Cfr. le perplessità evidenziate in molti dei provvedimenti di rimessione che hanno portato alla ben nota sentenza della Corte costituzionale 14.6.2007, n. 192 e che subivano un deciso ridimensionamento in conseguenza dell’avallo, ad opera della Corte, dell’opzione ermeneutica favorevole alla facoltatività della recidiva reiterata.

11 Cfr., per esempio, Trib. Grosseto, 8.5.2006, giud. Compagnucci.

12 Così, testualmente, Manes, V., La Corte costituzionale ribadisce l’irragionevolezza dell’art. 569 c.p. ed aggiorna la dottrina del parametro interposto” (art. 117, comma primo, Cost.), in Dir. pen. contemp., n. 2/2013, 201.

13 Così C. cost., sent. n. 251/2012, § 5.

14 Per analoghe considerazioni, cfr. Bernasconi, C., Giudizio di bilanciamento, circostanze c.d. privilegiate e principio di proporzione, cit., 4064. Quanto, invece, ai tradizionali formanti argomentativi rivenienti nella giurisprudenza costituzionale in materia di asimmetrie sanzionatorie e dosimetria punitiva, cfr. Manes, V., Scelte sanzionatorie e sindacato di legittimità, in Il libro dell’anno del diritto 2013, Treccani, 2013, 104 ss.; Caterini, M., La proporzione nella dosimetria della pena da criterio di legiferazione a canone ermeneutico, in La giust. pen., n. 2/2012, 91 ss.

15 Cfr., per esempio, Notaro, D., La fine ingloriosa, ma inevitabile, di una manifesta irragionevolezza, cit., 1766.

16 Le argomentazioni proposte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 251/2012 sono state ampiamente valorizzate nel corpo motivazionale dell’ordinanza di rimessione della Corte d’appello di Ancona con cui è stata di recente sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, co. 4, c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648, co. 2, c.p. sulla recidiva di cui all’art. 99, co. 4, c.p. Cfr., viceversa, quanto alle attenuanti generiche C. cost., ord. 2.1.2013, n. 315, in Cass. pen., n. 4/2013, 1457 ss., con osservazioni di Aprile.

17 Contra, Cass. pen., sez. III, 27.11.2012, n. 48788.

18 Cfr., in particolare, Cass. pen., sez. VI, 19.6.2013, n. 28615; sez. VI, 16.5.2013, n. 21982, in base alla quale non sarebbe d’ostacolo la pur rilevata inammissibilità dell’impugnazione. Prive o scarne di motivazioni in ordine allo specifico punto, ma comunque dello stesso segno, Cass. pen., sez. III, 20.12.2012, n. 17718; sez. III, 31.1.2013, n. 11533; sez. VI, 23.4.2013, n. 21094; sez. III, 12.12.2012, n. 3073. Per ulteriori indicazioni giurisprudenziali in senso conforme si rinvia a Romeo, G., Giudicato penale e resistenza della lex mitior sopravvenuta: note sparse a margine di Corte cost. n. 210 del 2013, su www.penalecontemporaneo.it, 1.10.2013, 11.

19 Cass. pen., S.U., 24.5.2012, n. 36258, in Cass. pen., n. 2/2013, 515 ss., con nota di G. Cappello, Un dibattito mai sopito: a distanza di più di un decennio si riparla dell’aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80, cpv., D.P.R. n. 309/1990; in Riv. it. med. leg., n. 1/2013, 247 ss., con nota di B. Gardella, L’aggravante dell’ingente quantità di stupefacente: problemi di compatibilità con il principio di precisione e questioni interpretative al vaglio delle Sezioni Unite, in Guida dir., n. 40/2012, 40 ss., con nota di G. Amato, La scelta quantitativa operata con il moltiplicatore finisce per attribuire ai giudici poteri del legislatore.

20 In particolare, dal 2010, in seno alla VI Sezione della Suprema Corte, si è formato un orientamento secondo il quale non avrebbero potuto di regola definirsi “ingenti” quantitativi di droghe “pesanti” – in particolare eroina e cocaina – inferiori ai due chilogrammi e quantitativi di droghe “leggere” – in particolare, hashish e marijuana – inferiori ai cinquanta chilogrammi.

21 Così, testualmente, Cass. pen., S.U., 24.5.2012, n. 36258, cit.

22 Partitamente in punto di prerogative del legislatore e dei giudici.

23 Vale la pena notare, per esempio, come l’opzione delle Sezioni Unite attribuisca un ruolo decisivo, quanto alla configurabilità dell’aggravante, a determinazioni ministeriali per le quali è difficile rintracciare, nel t.u. stupefacenti, criteri di marca legislativa cui esse siano chiamate a uniformarsi. Sui ccdd. valori-soglia ed il loro irrisolto rapporto con il principio della riserva di legge, cfr., volendo, Romano, L., Nota a Tar Lazio n. 2487/2007: i limiti tabellari delle sostanze stupefacenti, tra riserva di legge e (abuso) della discrezionalità amministrativa, in Ius17@unibo.it, Studi e materiali di diritto penale, BUP, n. 1/2009, 99 ss.

24 Sul fatto che la diversificazione del moltiplicatore smentisca il messaggio di medesima pericolosità tramandato dal legislatore italiano con la novella del 2006, cfr., da ultimo, Manes, V., Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze, cit., 67 s.

25 In ordine al peculiare profilo, si rinvia a Froldi, R., Problematiche tossicologico-forensi, in AA.VV., La disciplina penale degli stupefacenti, cit., 301 ss.; Tassoni, G.-Zampi, M.-Fraticelli, C.-Froldi, R., Considerazioni giuridiche e tossicologiche forensi alla luce della giurisprudenza successiva alla riforma dell’art. 73 T.U., D.P.R. 31 ottobre 1990, n. 309 in tema di sostanze stupefacenti, in Riv. it. med. leg., n. 6/2009, 1190; Froldi, R., Commento all’art. 4-vicies ter d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, in La legisl. pen., n. 2/2007, 368.

26 Tra le ultime, Cass. pen., sez. III, 12.6.2013, n. 38015; sez. IV, 6.6.2013, n. 35118; sez. III, 6.6.2013, n. 37812; sez. IV, 29.5.2013, n. 28806; sez. IV, 23.5.2013, n. 28188; sez. III, 9.5.2013, n. 22983; sez. III, 9.4.2013, n. 37129; sez. VI, 3.4.2013, n. 22460; sez. IV, 28.3.2013, n. 19380; sez. III, 7.3.2013, n. 19469; sez. VI, 6.3.2013, n. 13052. Per ulteriori estremi giurisprudenziali, cfr., volendo, Romano, L., Osservazioni a Corte di Cassazione, sez. IV, n. 34136 del 13 dicembre 2011-6 settembre 2012, in Riv. it. med. leg., n. 1/2013, 370 s.

27 Cfr., per esempio, Cass. pen., sez. IV, 4.7.2013, n. 31357; sez. VI, 19.6.2013, n. 28828; sez. V, 4.6.2013, n. 38692. Si riferiscono erroneamente a 1000 mg., invece che a 500 mg., quale valore-soglia per i tetraidrocannabinoidi anche Cass. pen., sez. VI, 11.4.2013, n. 17134; sez. I, 4.4.2013, n. 20020.

28 Così, testualmente, Cass. pen., S.U. 18.10.2012, n. 47604, in Dir. pen. e processo, n. 3/2013, 301 ss., con commento di G. Pestelli ed in Cass. pen., n. 7-8/2013, 2623 ss., con nota di V. Magnini, Sulla messa in vendita di semi di cannabis.

29 Cass. pen., sez. IV, 17.1.2012, n. 6972.

30 Si esclude, all’opposto, che possa essere pertinentemente richiamata la disposizione di cui all’art. 84 del d.P.R. n. 309/1990 che, nell’interpretazione accolta dalle Sezioni Unite, atterrebbe a fattispecie – invero poco realistiche – in cui la perpetrata condotta sia stata unicamente volta «a rendere noto al pubblico la esistenza della sostanza veicolando un messaggio non persuasivo e privo dello scopo immediato di determinare all’uso di stupefacenti» (così Cass. pen., S.U. 18.10.2012, n. 47604, cit.).

31 L’accertamento esatto dalle Sezioni Unite in punto di offensività della condotta istigatoria, parametrato all’offensività di quella istigata, solleverebbe qualche perplessità, esponendosi alle oscillazioni giurisprudenziali che talora è dato registrare in merito alla portata lesiva della condotta di coltivazione. Su tale ultimo profilo, esaminando le diverse posizioni emerse nella giurisprudenza e provando a fare il punto sui criteri alla luce dei quali condurre la verifica in ordine all’offensività di una attività quale quella di coltivazione, cfr. Cass. pen., sez. VI, 15.3.2013, n. 22459. Per un saggio dei differenti approcci, cfr., per esempio, Cass. pen., sez. VI, 2.5.2013, n. 22110; sez. III, 12.2.2013, n. 32057; sez. IV, 18.6.2013, n. 31348; sez. IV, 3.4.2013, n. 16270; sez. III, 4.4.2013, n. 21142, cit.; sez. IV, 17.2.2011, n. 25674; sez. VI, 27.4.2010, n. 16843; sez. VI, 13.10.2009, n. 49528; sez. IV, 8.10.2008, n. 44287; sez. IV, 28.10.2008, n. 1222, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 3/2009, 1529 ss., con nota di A. Gentile, Coltivazione di stupefacenti e principio di offensività: una lettura obbligata delle disposizioni dettate dal d.P.R. n. 309/90.

32 Si tratterebbe, in effetti, di postulare l’efficacia retroattiva di mutamenti giurisprudenziali in mitius incapaci – per quanto stabilito di recente dalla Corte costituzionale − di travolgere giudicati di condanna già intervenuti. Cfr. C. cost., 12.10.2012, n. 230, in Giur. cost., n. 5/2012, 3440 ss., con note di O. Mazza, Il principio di legalità nel nuovo sistema penale liquido, 3464 ss. e V. Manes, Prometeo alla Consulta: una lettura dei limiti costituzionali all'equiparazione tra «diritto giurisprudenziale» e «legge», 3474 ss. Sull’argomento si rinvia altresì a Rescigno, G.U., Intorno a interpretazione, interpretazioni vincolanti, mutamenti di interpretazione della Corte di cassazione di disposizioni penali incriminatrici, principio della lex mitior in diritto penale e sentenze di condanna penali definitive, ibidem, 3795 ss. e Napoleoni, V., Mutamento di giurisprudenza in bonam partem e revoca del giudicato di condanna: altolà della Consulta a prospettive avanguardistiche di (supposto) adeguamento ai dicta della Corte di Strasburgo, in Dir. pen. contemp., n. 3-4/2012, 164 ss.

33 Cfr. Romeo, G., Giudicato penale e resistenza alla lex mitior sopravvenuta, cit., 11 ss.; Notaro, D., La fine ingloriosa, ma inevitabile, di una manifesta irragionevolezza, cit., 1766 ss.

34 Cfr., in particolare, Cass. pen., sez. I, 24.2.2012, n. 19361; sez. I, 27.10.2011, n. 977, in Cass. pen., n. 5/2012, 1660 ss., con nota di M. Gambardella, Annullamento di circostanze aggravanti incostituzionali e revoca parziale del giudicato di condanna.

35 Così Romeo, G., Giudicato penale e resistenza alla lex mitior sopravvenuta, cit., rintracciando i margini per una questione di legittimità ad hoc per l’ipotesi considerata.

36 Ha riconosciuto carattere formale al rinvio, da ultimo, Cass. pen., sez. III, 12.12.2012, n. 14409. Conformi Cass. pen., sez. VI, 3.11.2010, n. 40535; sez. VI, 13.10.2010, n. 37471.

37 Si sono pronunciate nel senso del carattere recettizio, viceversa, Cass. pen., sez. IV, 7.7.2010, n. 37924; sez. VI, ord. 17.11.1998, n. 5647; sez. VI, 17.5.1994, n. 6889. Analogamente, Trib. Napoli, sez. II, 20.1.2011, Est. Menditto, su www.penalecontemporaneo.it, 20.1.2011.

38 In precedenti occasioni, i dubbi di legittimità costituzionale della riforma del 2006, in effetti, erano stati giudicati manifestamente infondati da Cass. pen., sez. VI, 28.2.2013, n. 18804 e sez. IV, 21.5.2008, n. 22643, in Cass. pen., n. 4/2009, 1664 ss., con nota di G. Amato, La costituzionalità della parificazione delle sostanze stupefacenti e gli effetti sull’apprezzamento del fatto di lieve entità.

39 App. Roma, sez. III, ord. 28.1.2013, su www.penacontemporaneo.it, 28.5.2013, con nota di L. Romano, Art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990: la parola alla Corte costituzionale; Cass. pen., sez. III, ord. 9.5.2013, n. 25554, ibidem, 9.7.2013, con nota di C. Cupelli, Il Testo unico sugli stupefacenti alla prova del cambio di passo della giurisprudenza costituzionale.

40 In particolare, la Corte d’appello romana ha altresì lamentato la violazione degli artt. 3 e 117, co. 1, Cost. Su tali censure, volendo, Romano, L., Art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, cit., 5 ss.

41 Cfr., in particolare, C. cost., 13.2.2012, n. 22 ed ord. 6.3.2013, n. 34. Sull’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in argomento cfr. Celotto, A., Controlli sul decreto-legge, in Il libro dell’anno del diritto 2013, Treccani, 2013, 309 ss.

42 Così, testualmente, Gamberini, A.-Insolera, G., Uno sguardo d’insieme alla nuova normativa, in AA.VV., La disciplina penale degli stupefacenti, cit., 1 s., già individuando un profilo di non manifesta infondatezza di una questione di costituzionalità che replicasse i tracciati argomentativi di cui alla sentenza n. 22/2012.

43 Pronostica l’accoglimento della questione sollevata dalla Corte di Cassazione Cupelli, C., Il Testo unico sugli stupefacenti, cit., 16.

44 Cfr. C. cost., 24.6.2013, n. 141, relativa alle leggi della Liguria 3.8.2012, n. 26 e del Veneto 28.9.2012, n. 38.

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