NUDO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1963)

NUDO

G. Becatti

Nell'arte antica, come nell'arte di tutti i tempi, il n. non può considerarsi quale un aspetto a sé stante del fenomeno estetico, così come non possiamo isolare quello del panneggio, perché ambedue si identificano con la creazione artistica in se stessa, e analizzare e valutare un n. e un panneggio equivale ovviamente sempre a definire criticamente una determinata opera d'arte. Ma come il panneggio nell'arte antica può costituire un interessante campo di ricerche antiquarie per lo studio e la ricostruzione del costume nelle sue varie parti, nella sua struttura e nella decorazione, attraverso il mutare dei tempi, offrendo anche preziosi dati cronologici, mentre nel suo sviluppo stilistico si identificherà con le innovazioni dei vari maestri e con le diverse correnti artistiche, così anche il n. può esser considerato come un problema particolare, soprattutto rispetto alle concezioni, agli usi, ai riti, alla vita e alla mentalità dei varî popoli, illuminando così l'ambiente spirituale in cui nasce l'opera d'arte. La rappresentazione poi del n. eroico, che costituisce uno degli aspetti originali e fondamentali dell'arte greca, nella ricerca della sua genesi e del suo significato, chiarisce il contenuto estetico di quest'arte, che sta a fondamento di tutta quella europea.

1. - L'Egitto con il suo clima che portava all'uso di vesti succinte poteva offrire agli artisti un largo campo di osservazione e di studio del n., ma preconcetti religiosi fecero sì che nell'arte, creata per un prevalente scopo funerario, si sentì vivissima l'esigenza di fissare le fattezze individuali nel volto perché l'anima potesse riconoscere facilmente il proprio corpo, ma non si ebbe interesse per la rappresentazione del corpo e quindi del nudo. Accanto a tanti penetranti, vivi, realistici ritratti egizî troviamo membra viste come formule schematiche e tipizzanti che non trovano uno sviluppo, una evoluzione sostanziale nel corso millenario dell'arte egizia; anzi è significativo che già in opere della prima dinastia, come la paletta di schisto verde di Atothis (Narmer) da Hierakonpolis (circa 2850) si trovino notazioni anatomiche nelle braccia e nelle gambe che sono ad un notevole grado di sviluppo e che appaiono anche più progredite di altre schematizzazioni in cui si fissa l'anatomia delle immagini posteriori. All'artista egizio basterà modellare e segnare ad esempio le clavicole, che rappresentano un punto importante nella costruzione della figura umana perché nelle larghe spalle di prospetto si venga ad innestare nel rilievo e in pittura il torso rappresentato di profilo con una schematica e sforzata articolazione tipica di quest'arte che non conobbe lo scorcio. Così il collo, che sostiene la testa-ritratto, è spesso rappresentato con cura, mentre il torso si schematizza ed assume la vita sottile; le braccia e le gambe avranno partizioni muscolari ed ossee essenziali soprattutto in funzione di render l'idea della forza del faraone. Si crea per il corpo un canone astratto e fisso da cui ci si allontanerà raramente in casi particolari, quando uscendo dalla glorificazione idealizzata del faraone si vorrà caratterizzare alcuni aspetti naturalistici. Esempî più significativi saranno le gambe tozze e il ventre prominente del Sindaco del villaggio della IV-V dinastia, il collo secco, i carnosi pettorali, le grosse ginocchia rotonde dello Scriba accoccolato, la struttura deforme del nano Khumhotpe della V-VI dinastia, insieme ad altre rappresentazioni di nani, fino ai nudi di una esasperata magrezza o di una esagerata grassezza in figure illustranti la vita quotidiana. Si rappresenterà così il corpo scheletrito e quello segnato da molte pieghe adipose nell'addome, segno di benessere e di ricchezza; si accentueranno le curve e i volumi del n. femminile dalle membra sottili e dalla struttura carnosa, ma più generalmente l'arte egizia mirerà ad appiattire, ad arrotondare, a livellare il n. in formule atone. Studia con interesse illustrativo e narrativo tutte le varie posizioni degli atleti in lotta con una cinematografica successione di immagini che potrebbero costituire un figurato trattato di atletica, come nelle pitture di Benī Ḥasan della XII dinastia dove si contano 400 gruppi, ma questa osservazione, se porta a una vivace rappresentazione ritmica, non suscita ed alimenta uno studio e un rendimento anatomico, che esulava dagli interessi artistici egizi.

Del resto nessun altro popolo, prima e più dell'egizio, aveva scrutato il corpo umano nelle sue fibre più riposte per l'uso dell'imbalsamazione, che portava a conoscerne anche la struttura interna come in una vivisezione; e tanto più significativo appare quindi che, pur preoccupandosi tanto di conservare il corpo, non lo si sia fatto un tema di rappresentazione anatomica artistica.

Rarissima è inoltre la nudità completa, limitata a qualche figura di sacerdote, ad una rappresentazione interpretata come le cinque età dell'uomo nella tomba di Ramesses IX, all'immagine di Bes e di alcuni dèmoni, oltre al n. erotico in qualche papiro o in danzatrici. Queste eccezioni dimostrano la concezione egizia contraria alla completa nudità del corpo umano, della donna e dell'uomo, che coprirà sia con le vesti ricche del faraone sia con il modesto panno legato intorno ai fianchi nell'operaio, anche veduto nelle sue quotidiane fatiche.

2. - Anche nell'arte sumerica, babilonese e assira si ha qualche caso di nudità rituale (specialmente in epoca protostorica); a volte si raffigurano nudi i prigionieri e i nemici uccisi, dove la nudità completa acquista un chiaro significato di avvilente e vergognosa condizione. Talvolta soldati che traversano un fiume nuotando appariranno nudi per contingenti necessità, ma questi rari casi di completa nudità ne rivelano in contrasto con la mentalità orientale che copre ancor più dell'egizia il corpo umano. Se Gilgamesh in lotta avrà una succinta fascia per esser più agile nell'affrontare i mostri, principi, cortigiani, soldati, sacerdoti appariranno quasi sempre soltanto con le braccia e le gambe nude, spesso dal gomito e dal ginocchio in giù. L'anatomia di queste membra appare fissata in formule che denotano una notevole conoscenza anatomica e l'artista, come rende con cura minuta. le capigliature, le barbe, i costumi, i gioielli, così segna con precisione muscoli e ossa, ma al tempo stesso li riduce in freddi schemi con un intaglio preciso, con un incisione profonda della struttura interna come in una dissezione anatomica in funzione di una espressione di forza e di vigore di cui vuole animate le sue immagini.

La concezione religiosa orientale darà la completa nudità soltanto alla rappresentazione della dea madre, come simbolo di fecondità, e a concezioni magiche e cultuali si ricollega anche la completa nudità tradotta in forme geometrizzate e schematiche negli idoli funerarî femminili e maschili marmorei dell'arte cicladica.

3. - Neanche l'arte minoico-micenea arrivò alla concezione eroica del n., alla rappresentazione della completa nudità, nonostante che conoscesse vesti ancor più succinte di quelle egizie, che per l'uomo si riducono fino a una ridotta e stretta fascia inguinale e nella donna accanto alla ricca gonna a volantini comprendono spesso un corsetto che lascia nudo il seno, e sembra che in casi di donne in esercizi acrobatici il corpo apparisse quasi completamente nudo.

Tuttavia gli artisti minoico-micenei si distaccano completamente nella concezione e nella rappresentazione del n. dalle arti precedenti e contemporanee orientali ed egizia, sentendo la struttura del corpo umano con lo stesso vivo interesse, con l'intensa osservazione, con l'immediata aderenza con cui guardano a tutto il vasto quadro della natura. Così come colgono il corpo umano nella più svariata gamma di ritmi più complessi e di posizioni più audaci, così ne rendono l'anatomia con tutto un guizzare di muscoli e di tendini, un affiorare di ossa e di vene, che non rappresentano peraltro una costruzione razionale, organica, ma un vivacissimo gioco impressionistico, ricco di vitali notazioni, che sorregge efficacemente il contenuto dinamico della figura umana fissata in un espressivo tipo atletico dalle larghe spalle, dalle membra sottili e dall'astratto sfinato vitino di vespa.

Le recenti scoperte linguistiche con il riconoscimento del carattere protogreco delle scritture lineari minoico-micenee hanno stretto ancor più i legami fra questa civiltà e quella greca, riducendo sempre più le distanze, eppure, anche per la concezione del n. come per altri aspetti, la mancanza di una nudità completa nell'arte minoico-micenea e la conquista del n. eroico integrale da parte della civiltà greca, pone quest'ultima su un piano diverso e ne illumina la vitale originalità.

Il mondo dei poemi omerici sembra gravitare sotto questo riguardo piuttosto verso la concezione micenea con il senso di pudore di cui ancora circonda con alta poesia la nudità umana. Il nudo Odisseo naufrago si copre con fronde dinanzi a Nausicaa, gli eroi omerici cingono la ζώνη quando si spogliano per la lotta e, come segno di avvilente scorno, Odisseo minaccia di spogliare della dama, del chitone e della fascia inguinale (τὰ τ᾿αἰδῶ ἀμϕικαλύπτει) il tracotante Tersite, mentre soltanto schiave e ancelle hanno l'incombenza di lavare il corpo degli eroi, tranne le eccezioni di Polikaste per Telemaco (Od., iii, 464) e di Elena per Odisseo (Od., iv, 252).

4. - Quando si consideri dunque la concezione del n. in tutte le civiltà artistiche precedenti viene ad acquistare un particolare significato la posizione che l'arte greca assume fin dalle sue origini nei confronti di questo aspetto della rappresentazione dell'uomo. Facendo dell'uomo il centro del proprio mondo intuitivo e rappresentativo e antropomorfizzando la divinità, rimanendo estranea a necessità di glorificazioni dinastiche, superando il modulo miniaturistico minoico-miceneo, rifuggendo da un disinvolto impressionismo e iniziando a costruire l'immagine umana con razionale organicità e con struttura monumentale, l'arte greca ricerca nell'individuo il tipo ideale di bellezza divina e trasferisce la nudità dalla realtà contingente su un piano eroico e universale.

Fin dal periodo geometrico quando nella rigorosa sintassi ornamentale lineare si inserisce la figura schematizzata dell'uomo trovando le espressioni più organiche ed elevate nello stile attico del Dipylon, appare la completa nudità sia nei guerrieri, sia negli altri personaggi, in genere in scene funerarie di pròthesis o di ekphorà, di duelli, di navi, di cacce; anche la donna nel tipo della piangente accanto alla salma appare nelle prime formulazioni geometriche completamente nuda con l'accenno dei due seni che spuntano ai lati del torso triangolare geometrizzato. Si è discusso se questa nudità femminile rispecchi o no un uso reale in cerimonie funebri e cultuali, ma sembra piuttosto corrispondere alla concezione astratta di quest'arte geometrica che riduce la figura umana, maschile e femminile, a uno schema ideale. Comunque nude sono le figurine femminili con pòlos modellate in avorio nell'VIII sec. a. C. raffiguranti una divinità, ma il tipo della kòre che inizia nella plastica monumentale del VII sec. a. C. sarà vestita, mentre completamente nudo sarà invece il tipo del koùros. Il n. femminile lo troveremo nel periodo arcaico con contenuto erotico in ambiente soprattutto corinzio nella pittura vascolare, come le figure di Ismene, di etere nei banchetti, di danzatrici; ed etere e danzatrici saranno nude spesso anche nella ceramica attica, a figure nere e a figure rosse, mentre legata a particolari situazioni del mito sarà la nudità di Atalanta, di Cassandra, e a rappresentazioni realistiche del bagno e della toilette femminile quella di figure di bagnanti. La completa nudità caratterizzerà sempre fin dalle origini la figura maschile apollinea ed atletica e gli artisti greci faranno del n. maschile il problema centrale con un appassionato studio anatomico, mirando dapprima a definirne la struttura entro i limiti della loro visione per piani paralleli, con notazioni essenziali di un netto modellato accompagnate da incisioni di dettagli, coordinando progressivamente piani e volumi in una visione organica fino al pieno possesso dello scorcio, della profondità, del tutto tondo.

La piena conquista dello scorcio, e quindi del ritmo e del movimento che porta ad atteggiare liberamente l'immagine nello spazio, viene accompagnata e sorretta da un'incessante analisi del particolare anatomico, che trova le più esasperate esemplificazioni nella ceramica dei maestri della fine del VI e nella plastica monumentale della scuola eginetica agli inizî del V sec., prima che queste intense ricerche di movimento e di modellato anatomico si plachino e si coordinino nell'arte dello stile severo.

È significativo riflesso della chiara organicità della visione greca il fatto che quando si raffigura il tipo dell'oplita coperto della corazza bronzea bivalve, questa venga modellata in forme anatomiche e la decorazione incisa richiami ancora partizioni del n. in schemi ornamentali.

Si è riconosciuto nell'importanza che nella paidèia greca ha la vita del ginnasio, e nell'opportunità per gli artisti di vedervi i corpi atletici nudi nei più varî atteggiamenti, uno dei fattori fondamentali che hanno portato alla creazione del tipo del koùros e alla rappresentazione organica anatomica. La concezione originaria della figura maschile nuda deve peraltro considerarsi svincolata da ogni contingenza reale e generata soltanto dalla assoluta libertà di spirito con cui gli artisti greci impostarono i loro problemi figurativi e dalla ricerca del tipo attraverso l'individuo. La nudità del koùros nell'arte e la nudità dell'atleta nelle gare sono frutto di uno stesso atteggiamento spirituale che distingue la Grecia da tutte le altre culture ma, mentre nel campo universale dell'arte costituisce fin dall'inizio il canone ideale, in quello contingente della palestra sembra essere stata una conquista che la tradizione fissa intorno al 720 e che rappresenta un superamento della mentalità e del costume omerici. Ci sono due versioni sulla priorità dell'introduzione dell'uso di partecipare nudi alle gare olimpiche, una megarese e una spartana. La prima assegnava all'olimpionico Orrhippos (secondo la forma megarese del nome) od Orsippos, vincitore nello stadio nell'Olimpiade XV (= 720) il merito di aver corso completamente nudo, come ricordava anche un epigramma posto sotto la sua statua innalzata per l'oracolo delfico a Megara per benemerenze civiche (C. I. G., 1050; I. G., vii, 52; Kaibel, 843; Preger, 151) e che Pausania stesso vide (i, 44, 1). Secondo la versione di Pausania egli volontariamente avrebbe lasciato scivolare il perizoma sapendo che era più facile correre a un atleta nudo che ad uno che portava la fascia, in uso fino allora. Un'altra versione raccolta da Dionisio (vii, 2-4) dice invece che il primo a correre nudo fu lo spartano Akathos nella stessa Olimpiade XV. Anche Tucidide (i, 6, 4-6) dice che "gli Spartani furono i primi a mostrarsi nudi e ad apparire in pubblico senza vesti cospargendosi d'olio nelle gare sportive. Prima - soggiunge - anche per disputare le gare olimpiche gli atleti portavano una specie di cintura (διάζωμα) che nascondeva il sesso e non sono molti anni che quest'uso è cessato; anche oggigiorno certi popoli barbari, specialmente asiatici, fanno gare di pugilato e di lotta portando cinture. Infatti molti altri elementi potrebbero dimostrare che il mondo greco antico viveva in modo analogo a quello attuale dei barbari". Fonti tarde invece riferiscono ancora una diversa tradizione secondo la quale, in seguito alla caduta in gara di un atleta, che non viene nominato, a cui incidentalmente si era slacciato il perizoma intralciandone la corsa, l'arconte Hippomenes avrebbe decretato che da allora in poi gli atleti si esercitassero nudi (Isidor., Orig., xviii, 17, 2; Schol. Ven., Il., xxxiii, 638). L'ambiente spartano fu comunque quello dove questa concezione della nudità atletica poteva più facilmente aderire ai costumi e alla mentalità austera e guerresca, essendo una nudità in funzione unicamente di una più severa e integrale disciplina del corpo e dello spirito agonistico, nell'atleta che è prima di tutto il futuro guerriero. Ed a Sparta la nudità rituale era applicata per uomini e giovani nelle gimnopedie, così come l'oplita spartano appare nelle figurazioni con la corazza senza chitonisco, lasciando nudo il sesso. Nel quadro di questa mentalità spartana rientra la tradizione plutarchea (Plut., De virt. mulier., 248 B) delle donne lacedemoni che ai figli in fuga dal campo di battaglia osano mostrare crudamente il ventre nudo per chieder loro se vogliono forse rientrarvi, stigmatizzando la loro viltà. Denudamento simile che acquisterà invece significato apotropaico nelle donne dinanzi a Bellerofonte per allontanare con lui l'inondazione di Posidone, e comico nella figura di Baubo.

La completa nudità atletica sarà uno dei tratti che separerà profondamente il mondo greco da quello barbarico, come dice Tucidide, ed Erodoto (i, 10) ripete che "presso i Lidi e quasi presso tutti gli altri popoli barbari, è considerata grande vergogna anche per l'uomo l'esser stato veduto nudo". Anche l'ambiente greco orientale, ionico, microasiatico e insulare, mostra una costante riluttanza a questa nudità dorico-attica; è significativo che nell'ambiente ionico microasiatico e samio appaia il tipo del koùros completamente vestito e che la lista dei vincitori di Olimpia dia una piccola percentuale di atleti di paesi orientali.

La completa nudità femminile invece sarà considerata anche nel continente greco solo in relazione al mondo delle etere e del banchetto durante il V secolo. Al mondo delle etere appartenevano le modelle degli artisti, come Frine per Prassitele e come Theodote che posava per i pittori mostrando ὅσα καλῶς ἔχοι, come dice Senofonte (Memor., iii, 11). Anche la bellezza di Afrodite sarà sottolineata dal panneggio, che con Fidia acquista delicate trasparenze. In questa concezione un particolare significato viene quindi ad assumere la creazione del tipo di Afrodite nuda, che dopo un tenero e manierato bronzetto della fine del V sec., trova la cristallina e morbida formulazione nella Cnidia di Prassitele nella prima metà del IV sec., nata dallo spunto del bagno trasportato in una sfera cultuale e divina.

Sul modo come i Greci sentivano il problema del n. sia degli atleti, sia delle donne, sia nei riflessi della mentalità barbarica è particolarmente interessante un passo della Repubblica di Platone (v, 452 a-e) dove si discute il rapporto fra la condizione dell'uomo e quella della donna: "Se si impongono alle donne le stesse funzioni degli uomini bisogna dar loro anche la medesima educazione e impartir loro nozioni di musica e di ginnastica e l'arte della guerra; ma forse alcune cose sembrerebbero allora ridicole riguardo ai costumi, e cioè veder le donne esercitarsi tutte nude insieme agli uomini nelle palestre, e non solo le giovani, ma anche quelle anziane, come i vecchi che si esercitano nudi ancora nei ginnasi anche quando sono rugosi e non piacevoli a vedersi. D'altro canto - si soggiunge - contro gli scherzi dei comici bisogna considerare le cose seriamente e ricordarsi che non è passato molto tempo da quando i Greci trovavano vergognoso e ridicolo, come ancor oggi la maggior parte dei barbari, che gli uomini si facessero vedere tutti nudi, e che, quando dapprima i Cretesi e poi gli Spartani cominciarono la ginnastica, non era forse lecito ai cittadini di quel tempo metter in ridicolo tutte quelle novità? Ma quando esercitandosi apparve che era meglio denudare che nascondere tutte quelle parti del corpo, anche quello che gli occhi trovavano ridicolo fu fatto svanire da quello che la ragione riconobbe essere il meglio. E questo dimostra che soltanto un uomo superficiale considera ridicola qualche cosa oltre ciò che è male, e che colui che cerca di far ridere riguardando come ridicolo uno spettacolo che sia al di fuori della follia o del male mira ad uno scopo diverso dal bene".

Questa cosciente razionale libertà dello spirito greco fu la forza propulsiva e animatrice anche dell'arte e spiega la particolare posizione in cui gli artisti greci ci appaiono verso il problema del n., a differenza di tutte le altre civiltà che essi chiamarono barbariche. La figura maschile nuda sarà il tema più caro degli artisti greci, e ognuno ne darà formulazioni sempre rinnovantisi dall'arcaismo al tardo ellenismo. Kymon di Cleonai articulis membra distinxit, venas protulit (Plin., Nat. hist., xxxv, 56), Pythagoras primus nervos et venas expressit (Plin., Nat. hist., xxxiv, 59), Policleto creerà il canone delle perfette proporzioni del corpo atletico nel suo pieno fiore sia nel viriliter puer sia nel molliter iuvenis.

Il n. acquisterà delicate morbidezze carnose nel IV sec. con Prassitele, guizzare di muscoli tesi in Lisippo rinnovatore del canone policleteo, le più raffinate vibrazioni epidermiche, sontuose mollezze, sommovimento turgido di volumi, nel periodo ellenistico, quando si arriverà a rappresentare con veristico virtuosismo il n. infantile e quello della più decadente vecchiaia, ritornando anche ad accademici classicismi.

5. - L'ambiente etrusco, pur imitando i motivi greci, nelle sue espressioni originali rivela la ripugnanza barbarica alla nudità completa dando un perìzoma ai suoi atleti e giocolieri locali, anche se si compiace di mettere in mostra come indice di agiatezza il nudo ventre prominente e molle dell'obesus Etruscus sdraiato sul coperchio dei sarcofagi e delle urne. Si è anzi supposto che una classe di vasi attici a figure nere con scene di palestra in cui gli atleti indossano un perìzoma bianco, sia stato appositamente creato per il mercato etrusco.

Come gli Etruschi anche i Romani accoglieranno largamente le creazioni elleniche e quindi il n. greco collegato con esse, ma nelle manifestazioni legate alla mentalità latina rifuggiranno dalla nudità considerata sul piano morale come fonte di corruzione, flagiti principium, come dirà Ennio. Puro atteggiamento erudito e non riflesso di problemi costruttivi e struttivi della immagine umana nell'arte romana è la disquisizione di Vitruvio (iii, 2-3) sul canone delle proporzioni del corpo umano inscrivibile nel cerchio e nel quadrato, riecheggiante una fonte ellenistica, e di cui Leonardo ci darà la ben nota esemplificazione grafica. Nel desiderio di emulare i Greci anche i Romani, fin dall'ultimo periodo repubblicano, arriveranno a farsi ritrattare prendendo a prestito modelli di nudi corpi eroici della grande arte greca e gli uomini assumeranno corpi di Hermes, di Ares, di Zeus, di atleti, le dame di Afrodite o di Omphale, ma la statua-ritratto che rappresenta la più genuina e tradizionale mentalità romana rimarrà sempre quella del togato e quella loricata, come esplicitamente dichiara anche Plinio (Nat. hist., xxxiv, 18) riconoscendo che: Graeca res nihil velare, at contra Romana ac militaris thoraces addere. E la lorica romana alle semplici partizioni anatomiche della corazza greca preferirà l'aggiunta di simbolici elementi fino a complesse allegorie come in quella dell'Augusto di Prima Porta.

Anche nel campo della palestra i Romani rifiuteranno la completa nudità per gli atleti come cosa vergognosa e Tacito (Ann., XIV, 20) nel ricordare i giochi istituiti da Nerone Graeco more, comprendenti, come dice Svetonio (Nero, 12), un certamen quinquennale triplex, musicum, gymnicum, equestre, li giudica uno strumento di corruzione della gioventù, chiedendosi: quid superesse nisi ut corpora quoque nudent et caestus adsumant easque pugnas pro militia et armis meditentur?

Funzione erotica acquisterà la nudità che appare negli spettacoli teatrali e nei tetimimi (spettacoli in acqua) nel decadente ambiente del tardo Impero, mentre va levandosi sempre più forte ed autorevole la voce dei Padri della Chiesa che in nome della nuova religione condanneranno senza concessioni la nudità del corpo umano, divino albergo dell'anima, e mentre si afferma la nuova iconografia dell'arte cristiana che copre ormai sotto tuniche manicate e spessi mantelli tutti i corpi dei protagonisti delle scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, con le significative eccezioni di Giona o di Daniele.

Il n. ellenico che giunge anche ad influenzare l'arte buddista del Gandhāra (v.) con nuove iconografie, tramonta con l'arte ellenistica, perché legato ad una concezione che non trovava accettazione nel mondo romano; l'arte cristiana e bizantina daranno invece nuove espressioni al panneggio che viene a coprire il n. che si preferirà nascosto anche nel periodo medievale quando le tre Grazie si avvilupperanno quasi vergognose e spaventate in ampi mantelli come in una miniatura austriaca del XII sec., e soltanto con il riavvicinamento al mondo ellenico nel Rinascimento italiano il n. riapparirà con una concezione aderente a quella classica.

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