Nullità del contratto e impugnative negoziali

Libro dell'anno del Diritto 2016

Nullità del contratto e impugnative negoziali

Sergio Menchini

È esaminata la disciplina della nullità del contratto in presenza di azioni di impugnativa negoziale. In particolare, sono analizzati i temi della rilevabilità officiosa della questione di nullità del contratto nei processi in cui è esercitata un’azione di impugnativa negoziale; della rilevabilità officiosa delle nullità speciali; del vincolo promanante dalla pronuncia che accoglie o rigetta la domanda di impugnazione, in ordine alla nullità/non nullità del contratto. La giurisprudenza su questi temi ha avuto nel corso degli anni orientamenti non omogenei, che hanno dato luogo a interventi ravvicinati delle Sezioni Unite della Corte di cassazione: una prima volta nel 2012 e, poi, nel dicembre 2014, con le fondamentali pronunce nn. 26242 e 26243.

La ricognizione. La giurisprudenza anteriore al 2012

La disciplina della nullità del contratto in presenza di azioni di impugnativa contrattuale è stato oggetto di considerazione in più occasioni, in tempi ravvicinati, da parte delle Sezioni Unite: una prima volta, con la sentenza 4.9.2012, n. 14828 ed una seconda volta con le sentenze gemelle 12.12.2014, nn. 26242 e 262431. I problemi che si pongono sono i seguenti:

a) rilevabilità d’ufficio, ex art. 1421 c.c., della nullità del contratto quando siano state proposte domande di risoluzione, di annullamento, di rescissione, di simulazione o revocatorie;

b) rilevabilità d’ufficio di fattispecie di nullità speciali;

c) potere del giudice di sollevare una causa di nullità diversa da quella posta dall’attore a base della domanda di nullità;

d) vincolo promanante dalla pronuncia che accoglie o respinge la domanda di impugnazione contrattuale circa la nullità/non nullità del titolo costitutivo.

Secondo l’orientamento dominante anteriormente al primo intervento delle S.U., il potere di dichiarare d’ufficio la nullità di un contratto, ai sensi dell’art. 1421 c.c., deve essere coordinato con il principio della domanda di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c., con la conseguenza che il giudice è tenuto a rilevare, in qualsiasi stato e grado del giudizio, l’eventuale nullità del negozio, sempre che risultino acquisiti al processo gli elementi che la fondano, solo nella controversia promossa per far valere diritti presupponenti la validità del contratto stesso (ossia, in caso di domande di adempimento), non anche, invece, nelle diverse ipotesi in cui la domanda sia diretta a far dichiarare l’invalidità del contratto oppure a farne pronunciare la risoluzione per inadempimento ovvero la rescissione o l’annullamento2.

Nelle azioni di adempimento, la validità del negozio giuridico (rectius, la sua non nullità) rappresenta un elemento della fattispecie costitutiva, una questione, sia pure implicita, pregiudiziale; per tale ragione, se il giudice solleva la nullità del contratto non travalica il perimetro dell’oggetto del processo tracciato dalla domanda, la non nullità dell’atto è già implicitamente dedotta quale fatto costitutivo del diritto fatto valere3.

A conclusioni opposte si giungeva allorché la domanda fosse diretta a far dichiarare la risoluzione oppure l’annullamento o la rescissione del contratto; l’esclusione del potere officioso si fondava, in definitiva, su più argomenti:

a) essendo l’oggetto del processo costituito non dal rapporto giuridico ma dal diritto potestativo all’impugnazione contrattuale, la validità del negozio non è ricompresa tra i fatti costitutivi;

b) l’eventuale pronuncia di nullità, in assenza di domanda di parte, la quale tende alla risoluzione o all’annullamento, viola gli artt. 99 e 112 c.p.c., in quanto attribuisce all’attore un bene della vita da lui non richiesto e diverso da quello domandato;

c) la nullità non opera come eccezione, in quanto il suo effetto è non di contrastare la pretesa dell’attore, impedendone l’accoglimento, ma di favorire la tutela della stessa, sia pure in termini diversi da quelli prospettati con la domanda4.

Peraltro, non mancavano pronunce di segno opposto, che riconoscevano al giudice il potere di pronunciare la nullità del contratto anche nelle azioni di risoluzione, di annullamento e di rescissione: da un lato, anche in questi casi, non meno che nelle domande di adempimento, la validità del contratto si pone come pregiudiziale per il riconoscimento del diritto fatto valere; dall’altro lato, la categoria della nullità si fonda sull’esigenza di tutela di interessi generali, esprime il disvalore per un assetto negoziale contrario ai principi di ordine pubblico, il quale non può essere conservato ed attuato dal giudice, in nome del rispetto, meramente formalistico, di valori quali il divieto di extrapetizione5.

Se si segue quest’ultima impostazione, si presenta il problema di stabilire quale sia l’efficacia oggettiva del giudicato promanante dalla sentenza di merito.

La prima questione è stabilire se la pronuncia sulla nullità rilevata d’ufficio avvenga incidenter tantum oppure con autorità di giudicato; per alcune sentenze, il vincolo del giudicato si forma soltanto se una delle parti abbia proposto domanda di accertamento incidentale, ma è stato anche affermato che l’accertamento della nullità del contratto, reso dal giudice nell’ambito della causa di risoluzione, a seguito del rilievo officioso di essa, ha in ogni caso effetto anche in successivi giudizi imperniati sul contratto nullo6.

Il secondo tema è se, ove la questione di nullità non sia stata sollevata, possa dedursi dalla decisione sulla domanda di risoluzione un accertamento implicito sulla non nullità del contratto; anche in questo caso, mentre per una sentenza la pronuncia di rigetto dell’azione di risoluzione non costituisce giudicato implicito circa la validità del contratto, ove tale tema non abbia costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice, per altra pronuncia il provvedimento di rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento del conduttore rispetto al pagamento dei canoni relativi ad un determinato periodo impedisce, nel successivo giudizio volto al conseguimento del corrispettivo della locazione, di rilevare d’ufficio la nullità del contratto per vizio di forma, per essersi formato il giudicato sulla validità dello stesso7.

Riguardo al diverso ma vicino fenomeno della rilevabilità officiosa di figure di nullità speciali, in particolare di protezione, vi era il precedente (importantissimo) della Corte di giustizia, la quale, con precipuo riferimento alle nullità di protezione, ha stabilito che il giudice abbia non la facoltà ma l’obbligo di valutare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale ed eventualmente di disapplicarla, salvo che la parte a favore della quale è prevista la misura protettiva non si opponga; ciò in quanto anche in questi casi la funzione della nullità è di tutelare interessi generali e valori fondamentali dell’ordinamento, accanto ed in aggiunta a quelli dei singoli8.

Infine, qualora la domanda sia diretta a far dichiarare la nullità del contratto, non è ammessa la deduzione ex officio di una causa di nullità diversa da quella posta a fondamento dell’istanza dell’attore, in quanto l’azione di nullità è riconducibile alla categoria di quelle relative a diritti eterodeterminati9.

1.1 Le Sezioni Unite del 2012

Con la sentenza n. 14828/2012, le S.U. sono state chiamate a risolvere e, in effetti, hanno risolto il dubbio circa la rilevabilità d’ufficio ex art. 1421 c.c. della nullità del contratto nell’ambito di una causa promossa per la risoluzione dello stesso. La Cassazione ha stabilito che:

a) la domanda di risoluzione implica l’esistenza di un atto valido, perché mira ad eliminarne gli effetti; l’azione di adempimento e quella di risoluzione presuppongono, allo stesso modo, l’applicazione del contratto, sulla base dell’assunto che esso sia valido;

b) la nullità del contratto è un evento impeditivo che si pone prioritariamente rispetto alla vicenda estintiva della risoluzione, con la conseguenza che il giudice, chiamato a pronunciarsi sulla risoluzione di un contratto, di cui emerga la nullità dai fatti allegati e provati e, comunque, ex actis, non può sottrarsi all’obbligo del rilievo, e ciò non conduce alla sostituzione dell’azione proposta con un’altra e, dunque, ad una violazione dell’art. 112 c.p.c.10;

c) a seguito del rilievo officioso, le parti hanno la possibilità di formulare la domanda di nullità che di esso è conseguenza (art. 183, co. 5, c.p.c.) e l’originaria azione di risoluzione può essere convertita in quella di nullità oppure può essere cumulata con questa; ciò, eventualmente, anche per il tramite della rimessione in termini, ex art. 153, co. 2, c.p.c.;

d) in ogni caso, il giudice, sollevata la nullità in via officiosa, deve sottoporre la questione alle parti, al fine di provocare il contraddittorio sulla stessa;

e) alla declaratoria d’ufficio della nullità, con conseguente rigetto della domanda di risoluzione, può accompagnarsi l’accoglimento di ogni richiesta formulata unitamente a quest’ultima, come avviene in caso di proposizione di domanda restitutoria.

Peraltro, la sentenza n. 14828/2012:

i) evita di prendere posizione circa i rapporti tra la domanda di annullamento o di rescissione e quella di nullità11;

ii) affronta il tema concernente gli effetti del giudicato, scaturenti dalla sentenza che definisce il giudizio avente ad oggetto la causa di risoluzione, in modo frettoloso, proponendo una soluzione contraddittoria.

Sembra opportuno soffermarsi, brevemente, su quest’ultimo aspetto.

Le S.U., con la pronuncia del 2012, hanno esplicitato anche quali siano le conseguenze, rispetto al giudicato, della soluzione accolta, affermando che:

iia) ove il giudice abbia sollevato d’ufficio la questione della nullità, sollecitando le parti a contraddire in ordine ad essa, l’accertamento avviene incidenter tantum, senza efficacia di giudicato, e ciò anche se, sul presupposto della nullità del contratto, la domanda attorea sia stata respinta; solo se la parte, dopo il rilievo officioso, abbia formulato, tempestivamente o previa rimessione in termini, domanda volta all’accertamento della nullità (e alle eventuali pretese restitutorie), la statuizione sul punto, una volta divenuta definitiva, produce effetti di cosa giudicata;

iib) dalla decisione di merito, avente ad oggetto la richiesta di risoluzione, sia essa di accoglimento oppure di rigetto, deriva giudicato implicito sulla validità del contratto, con esclusione per i soli casi in cui il contenuto della statuizione non implichi il riconoscimento della validità del negozio impugnato. Come già rilevato, questa interpretazione non è

persuasiva: in ordine alla nullità del contratto, si forma il giudicato (implicito), benché, su tale questione, sia per iniziativa di parte sia per rilievo del giudice, non si siano avuti, nel corso del processo, alcun esame e alcuna decisione, mentre, quando la nullità è stata sollevata, per cui il tema è divenuto oggetto del dibattito processuale e di una pronuncia esplicita, l’accertamento avviene incidenter tantum e senza effetti di giudicato, a meno che una delle parti abbia proposto domanda di accertamento incidentale, ai sensi dell’art. 34 c.p.c.

Un simile assetto non è ragionevole; si può accogliere una nozione ristretta oppure estesa circa l’oggetto del giudicato, ma, una volta adottata una soluzione, questa deve essere sviluppata in modo coerente. Se la domanda di risoluzione non ha ad oggetto anche la validità del contratto e se, per aversi una statuizione vincolante sul punto, occorre una domanda di parte (si tratterebbe, dunque, di pregiudizialità tecnica), la validità/nullità del titolo, in assenza di apposita domanda, non può essere interessata dal giudicato, né esplicito né implicito.

Oltre a ciò, resta anche incerto quale sia il criterio per stabilire, ai fini della produzione del giudicato (implicito) delle sentenze di rigetto, quando il contenuto della statuizione implichi il riconoscimento della non nullità del negozio del quale è chiesta la risoluzione.

La focalizzazione. Le Sezioni Unite del 2014

Sulla situazione descritta, si inseriscono le due ordinanze che stanno alla base della rimessione e che hanno originato le decisioni delle S.U. del dicembre 2014.

Con la prima (sez. II, ord. 27.11.2012, n. 21083), è posta la questione «se la nullità del contratto possa essere rilevata d’ufficio non solo allorché sia stata proposta domanda di adempimento e/o di risoluzione del contratto, ma anche nel caso in cui sia domandato l’annullamento del contratto stesso»12.

Con la seconda (sez. II, ord. 3.7.2013, n. 16630), che scaturisce dal giudizio concernente la controversia decisa dalla sentenza n. 26242/2014, è stato richiesto l’intervento delle S.U., ai sensi dell’art. 374, co. 3, c.p.c., in quanto il Collegio non ha condiviso il principio di diritto (e la relativa motivazione a sostegno) della sentenza del 2012, nella parte in cui è affermato che, per un verso, essendo la risoluzione contrattuale coerente soltanto con l’esistenza di un contratto valido, il giudice di merito, investito della domanda di risoluzione, ha il potere-dovere di rilevare ogni forma di nullità, e, per altro verso, il medesimo giudice di merito accerta la nullità incidenter tantum, senza efficacia di giudicato, a meno che non sia proposta la relativa domanda, pervenendosi, tuttavia, contestualmente, alla conclusione che il giudicato implicito sulla validità del contratto si forma tutte le volte in cui la causa di risoluzione sia stata decisa nel merito, ancorché la pronuncia, come nel caso di specie, «non abbia richiesto alcuna valutazione sulla questione concernente la validità del contratto»13.

Con riferimento precipuo a quest’ultimo aspetto, il Primo Presidente, con ordinanza interlocutoria del 10.4.2013, ha assegnato alle S.U. la risoluzione della questione di massima di particolare importanza, afferente la «individuazione delle condizioni per la formazione e l’estensione dell’efficacia del cd. giudicato implicito esterno riguardante la sentenza di rigetto della domanda di risoluzione rispetto alla successiva azione di nullità concernente lo stesso contratto».

Dunque, due sono i temi sui quali le S.U. sono state chiamate a prendere posizione: quali siano lo spazio di applicazione dell’art. 1421 c.c. e il vincolo scaturente dalla decisione di merito, una volta ricondotta l’eccezione di nullità nel perimetro dell’azione, oltre che di adempimento, di impugnazione negoziale.

Le due pronunce, oltre che contestuali, sono pressoché identiche14.

Esse muovono da una premessa di carattere metodologico: ai problemi posti deve essere data una risposta “di sistema”, che passa dalla determinazione dell’oggetto del processo e del giudicato.

La Cassazione ha inteso fissare la disciplina dell’eccezione di nullità; ciò ha fatto stabilendo alcuni principi fondamentali.

In primo luogo, dopo avere ricostruito le diverse tipologie di nullità (tradizionale, relativa, speciale, di protezione), il loro fondamento e le implicazioni che ne derivano rispetto alla (non omogenea) disciplina sanzionatoria, nonché le caratteristiche e la regolamentazione delle altre azioni di invalidazione del contratto (simulazione, annullamento, rescissione), la Suprema Corte rinviene un fondamento comune a tutte le figure di nullità: questa si atteggia sempre come sanzione ordinamentale, conseguente all’irrimediabile disvalore assegnato ad un invalido assetto negoziale, in quanto contrastante con interessi generali. Da ciò è ricavata la regola che, riguardo a tutte le fattispecie di nullità, comprese quelle relative o di protezione, deve essere ammesso il rilievo officioso15.

Peraltro, ciò con una duplice avvertenza: in primo luogo, il potere del giudice è essenziale al perseguimento di interessi che sono sì generali, ma pur sempre sottesi alla tutela di una determinata classe di contraenti, per cui il rilievo officioso è riservato alla protezione del solo interesse del contraente debole ovvero del soggetto legittimato a proporre l’azione di nullità, «in tale modo restando impedito che la controparte possa sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo proprio, destinato a rimanere fuori dell’orbita della tutela»; in secondo luogo, se il giudice solleva la questione di nullità e la indica alla parte interessata, questa conserva la facoltà di non avvalersene ed il giudice, dopo avere obbligatoriamente rilevato la fattispecie di nullità, non può dichiararla, neppure in via incidentale, in sentenza.

Per dare sostegno a quest’ultima affermazione, è valorizzata la distinzione tra rilevazione/indicazione della nullità da parte del giudice e dichiarazione di essa a seguito di accertamento giudiziale: la rilevazione (obbligatoria) della nullità ex art. 1421 c.c. «deve più propriamente intendersi come limitata all’attività di rilevazione/indicazione alle parti, ad opera del giudice, del vizio» ma «la rilevazione potrà non trasformarsi necessariamente in una dichiarazione di nullità». In questo modo, la Cassazione concilia, riguardo alle nullità di protezione, il rilievo officioso della nullità con la necessità di rispettare la volontà della parte protetta di avvalersene o meno, pervenendo così ad una conclusione simile a quella raggiunta dalla Corte di giustizia, con la sentenza Pannon, cit., la quale ha sì ammesso il potere-dovere del giudice di rilevare il carattere abusivo di una clausola, ma, contestualmente, ha riconosciuto al consumatore il potere di opporsi e, così, di impedire la disapplicazione della clausola abusiva nulla. Tuttavia, quando si richiede, per il riconoscimento del potere del giudice di dichiarare d’ufficio la nullità, l’ulteriore elemento che non vi sia opposizione della parte protetta, si pone in discussione la premessa, ossia che il contratto nullo, in quanto contrario ad interessi di ordine generale, deve essere rimosso dall’ordinamento ad opera del giudice, pur nell’inerzia dell’interessato.

In secondo luogo, e per il processualista è questa la parte di maggior impatto sistematico, le S.U. affrontano il tema dell’oggetto del processo, prima in termini generali e poi con riguardo specifico alle azioni di impugnativa del contratto.

Sul presupposto che l’ordinamento positivo non indica soluzioni obbligate, è detto con estrema chiarezza che la scelta deve essere effettuata sulla base dei valori funzionali del processo. I principi di stabilità e di armonizzazione delle decisioni, di concentrazione dei giudizi, di economia processuale, di corrispettività sostanziale, per il quale, attesa la strumentalità della giurisdizione rispetto al diritto sostanziale, la prima «non può cancellare, incrinare, disarticolare o deformare, ma soltanto rispecchiare i rapporti giuridici sostanziali», portano a privilegiare una visione per la quale è attratta nell’orbita del giudizio, divenendo oggetto tendenzialmente necessario di scrutinio, la situazione di diritto soggettivo nella sua interezza, nella sua totale ed effettiva consistenza materiale.

Coerentemente, nelle azioni di impugnativa contrattuale, il bene della vita controverso è non il diritto (di natura sostanziale ovvero processuale) potestativo, il quale esaurisce la sua funzione allorché il processo è stato introdotto e la pronuncia è stata resa dal giudice, ma il rapporto giuridico scaturente dall’atto negoziale (id est, il coacervo delle situazioni soggettive generate dal contratto). L’oggetto del processo è non il diritto potestativo fondato sul singolo motivo (di annullamento, rescissione, risoluzione, nullità) dedotto in giudizio, ma il rapporto sostanziale che è sorto dal contratto; il giudizio provoca un «definitivo accertamento della idoneità della convenzione contrattuale a produrre tanto l’effetto negoziale suo proprio quanto i suoi effetti finali». Il giudice, con la sua sentenza, dichiara, in modo vincolante per il futuro, «il modo di essere (o di non essere) del rapporto sostanziale, che, con il suo provvedimento, andrà a costituirsi, modificarsi od estinguersi». Sulla base di queste premesse, sono proposte le seguenti conclusioni:

i) il giudice può rilevare d’ufficio la nullità del contratto in ogni causa di risoluzione (fondata, dunque, non soltanto sull’inadempimento, ma anche sulla eccessiva onerosità sopravvenuta e sulla impossibilità sopravvenuta)16;

ii) la rilevazione officiosa della nullità va estesa a tutte le ipotesi di azioni di impugnativa negoziale e, quindi, deve essere ammessa anche nei giudizi di annullamento e di rescissione, nonché in quelli concernenti la richiesta di scioglimento del contratto ex art. 72 l. fall. o per mutuo dissenso17;

iii) anche nel caso in cui le parti discutano della nullità di una singola clausola (cd. nullità parziale), in quanto è questo l’oggetto della domanda dell’attore o dell’eccezione del convenuto, è permessa la rilevazione officiosa di una ragione di nullità totale del contratto, con l’avvertenza che, nel caso in cui nessuna delle parti formuli domanda di accertamento della nullità totale, il giudice, ritenuto esistente il vizio che è causa di nullità totale, è vincolato al rigetto dell’azione volta alla declaratoria di nullità parziale, poiché, al pari dei casi di risoluzione, rescissione e annullamento, non può essere riconosciuta efficacia, neppure in parte, ad un negozio radicalmente nullo18;

iv) il giudice ha l’obbligo di sollevare sempre una causa di nullità negoziale; tale potere-dovere può essere esercitato, in caso di mancato rilievo della nullità in primo grado, per la prima volta, in appello e in Cassazione, ad opera della parte o dell’ufficio;

v) la nullità deve essere sempre rilevata dal giudice e l’eccezione non è soggetta ad alcun vincolo preclusivo, derivante dall’ordine di trattazione delle questioni eventualmente imposto dalle parti19; essa può essere sollevata ex officio, in primo grado, per tutto il corso del processo e sino al momento della precisazione delle conclusioni; il giudice, una volta rilevata la questione, deve sollecitare il contraddittorio (artt. 111 Cost. e 101, co. 2, c.p.c.) e le parti possono proporre, in qualsiasi momento, senza incorrere nelle preclusioni stabilite dall’art. 183 c.p.c., domanda di nullità del negozio; in tale caso, la parte può rinunciare alla domanda originaria e coltivare soltanto quella di nullità oppure coltivare entrambe le istanze, mantenendo ferma, a fianco della richiesta di nullità, quella originaria (di adempimento, di risoluzione, di rescissione, ecc.), per l’ipotesi che la nullità sia esclusa e il contratto risulti valido, dando vita così ad un cumulo (subordinato o alternativo) di domande; il giudice pronuncia sulla nullità nel dispositivo della sentenza e l’accertamento reso ha efficacia di giudicato20.

In terzo luogo, benché il problema non fosse stato posto dalle ordinanze di rimessione, è affrontata anche la vicenda del rilievo officioso di una causa di nullità diversa da quella prospettata dall’attore a fondamento della domanda di nullità. La risposta è che spetta al giudice siffatto potere; il giudizio di nullità/non nullità del negozio sarà, così, definito a tutto campo, indipendentemente da quali e quanti titoli di nullità siano stati fatti valere dall’attore21.

Da ultimo, è sviluppato il tema dell’oggetto del giudicato.

Da un lato, per motivi di ordine sostanziale, la pronuncia sulla nullità, conseguente alla rilevazione officiosa, avviene sempre con autorità di cosa giudicata. Se il giudice, dopo avere sollevato la nullità, la dichiara, tale dichiarazione è idonea al giudicato; troppo gravi ed incettabili, infatti, sarebbero gli inconvenienti, ove si ammettesse che la decisione in ordine alla nullità (ex officio rilevata) dovesse avvenire, in assenza di domanda di parte, senza effetti di giudicato22.

Dall’altro lato, però, per stabilire la portata precettiva della sentenza, occorre guardare al contenuto della decisione. A tale fine, assume valore decisivo il motivo che la sorregge; in particolare, per le pronunce di rigetto, il vincolo che promana dal giudicato varia a seconda della questione che giustifica l’accertamento negativo. Il nostro ordinamento non postula un ordine necessitato di tipo logico-giuridico nella risoluzione delle questioni (di rito e di merito), essendo improntato al canone del primato della ragione più liquida;non prevede, cioè, una rigorosa sequenza (obbligata) di decisione delle questioni, ma il giudice, caso per caso, tratta e risolve quelle che, essendo maggiormente liquide, permettono la più celere definizione del processo; ne deriva che la nullità non sempre è decisa dal giudice e, per tale motivo, non può dirsi sempre accertata, ancorché in modo soltanto implicito23.

Allora, debbono essere tenute distinte vicende processuali diverse, che hanno esiti parimenti differenti.

Se il giudice ha sollevato e sottoposto alle parti la nullità, anche in assenza di una domanda di parte, l’espresso accertamento contenuto nella motivazione della sentenza è idoneo a produrre l’effetto di giudicato. Qualora, sulla base della dichiarazione di nullità del contratto, la domanda sia stata respinta, non potendo essere pronunciata la risoluzione, l’annullamento o la rescissione di un contratto nullo, l’accertamento della nullità è idoneo al giudicato sostanziale, in applicazione della teoria del cd. vincolo al motivo portante, e l’effetto non è limitato «ai soli segmenti del rapporto sostanziale dedotti in giudizio in tempi diversi, ma è esteso a tutti i successivi processi in cui si discuta di diritti scaturenti dal contratto nullo»24. In ogni caso in cui, in modo espresso e non equivoco, a seguito del rilievo di parte o d’ufficio, nella motivazione, sia affermata la non nullità del contratto, si forma il giudicato sulla validità del negozio, vuoi ove la domanda sia stata accolta vuoi ove essa sia stata rigettata per un diverso motivo.

Può anche accadere che la nullità non sia stata rilevata dal giudice oppure che essa non sia stata oggetto di pronuncia nonostante il rilievo officioso; in linee generali, ma non in via assoluta e non senza eccezioni, la sentenza di merito è idonea a costituire giudicato implicito sulla validità del contratto. Se la domanda (di adempimento, risoluzione, rescissione, annullamento) è stata accolta, sempre si ha giudicato implicito sulla validità del negozio, la quale non potrà più essere messa in discussione in un altro processo tra le stesse parti. Invece, ove la sentenza abbia contenuto di rigetto, il giudicato implicito sulla validità del contratto si forma soltanto di regola, restando escluso il caso in cui la decisione risulti fondata su una ragione più liquida (la prescrizione del diritto azionato, l’adempimento, la palese non gravità dell’inadempimento, l’eccepita compensazione legale). Il giudice, quando fonda la pronuncia sulla base dell’individuata ragione più liquida, non deve rilevare e, se eventualmente la abbia già sollevata, non deve accertare la (eventuale) nullità del contratto, che può richiedere lo svolgimento di una complessa istruttoria; il tema della validità del negozio non è in alcun modo esaminato o scrutinato e la sentenza, che respinge la domanda, non è idonea al giudicato circa la non nullità del negozio25.

Infine, qualora la domanda originariamente introdotta sia di nullità del contratto, l’accertamento della non nullità contenuto nella sentenza di rigetto preclude la futura valorizzazione delle altre cause di nullità negoziali, pur non rilevate ed esaminate nel primo giudizio, impedendo l’esercizio di nuove azioni di nullità fondate su vizi non dedotti nel precedente processo.

I profili problematici. Le questioni ancora aperte

Gli arresti delle S.U., per un verso, pongono più di un punto fermo, ma, per un altro verso, lasciano insoluti alcuni problemi.

Quanto al primo aspetto:

i) le azioni di impugnativa contrattuale hanno natura costitutiva ai sensi dell’art. 2908 c.c.26;

ii) esse hanno per oggetto il rapporto giuridico che scaturisce dal contratto impugnato;

iii)la nullità del contratto appartiene al thema decidendum e, dunque, può essere rilevata anche d’ufficio, oltre che nelle domande di adempimento, anche in quelle di impugnazione del negozio; iv) il vincolo che promana dalla sentenza è variabile: la nullità, se è stata oggetto di esplicita pronuncia, è sempre colpita dal giudicato, mentre, in caso contrario, occorre verificare se, sulla base del motivo di rigetto, la decisione implichi il riconoscimento della nullità/non nullità dell’atto.

Qualche considerazione in più deve essere svolta con riguardo al secondo profilo.

La Cassazione attribuisce valore decisivo, ai fini della formazione del giudicato, in primo luogo, al fatto che la nullità sia stata oggetto di esplicita pronuncia e, in secondo luogo, alla circostanza che, in base al contenuto della sentenza di merito, possa dirsi avvenuto oppure no un accertamento, seppure implicito, della stessa.

Tale modo di ragionare, però, rischia di portare fuori strada.

La portata precettiva della sentenza dipende non dal fatto che una questione sia stata oppure no oggetto di cognizione e di decisione, non assume valore, cioè, il contenuto cognitivo-dichiarativo del provvedimento, ma dall’assetto di diritto sostanziale circa il bene della vita controverso che da essa promana, in virtù del suo contenuto.

D’altro canto, il principio del primato della ragione più liquida non è compatibile con quello del giudicato implicito; infatti, questo presuppone la sussistenza di un ordine logico-giuridico circa la decisione delle questioni, mentre quello rifiuta il rispetto di un ordine logico di diritto sostanziale e attribuisce valore esclusivamente alla maggiore o minore liquidità della questione.

Da ciò derivano alcune implicazioni circa l’efficacia oggettiva del giudicato.

Per un verso, non è corretto pensare che la nullità, per il solo fatto che è stata oggetto di esplicita pronuncia, debba essere considerata decisa ad ogni effetto; ciò accadrà solo se tale decisione costituisca il motivo che sorregge l’accertamento e non anche in quei casi in cui essa costituisca un mero obiter dictum senza rappresentare la vera ratio decidendi.

Per altro verso, in caso di mancato esame della nullità, esclusa la configurabilità di fenomeni di accertamento implicito, la portata precettiva della sentenza va stabilita determinando quale sia, sulla base del motivo che giustifica la decisione, la regolamentazione del rapporto che il giudice ha fissato, risultando precluso opporre in futuri giudizi domande, eccezioni e contestazioni, che finiscano con mettere in discussione tale risultato.

Quanto sopra circa il giudicato ed il suo oggetto; tuttavia, l’opera di affinamento e di completamento deve riguardare anche il tema delle azioni (costitutive) di impugnazione del contratto.

Sulla base della sentenza in commento, è sicuro che:

a) l’oggetto del giudizio è costituito non dal diritto potestativo, ma dal rapporto giuridico prodotto dal contratto;

b) in ogni processo di impugnativa del negozio, la nullità di questo non soltanto è rilevabile d’ufficio, ma può divenire oggetto di domanda di parte, la quale non può essere considerata inammissibile, poiché nuova o tardiva;

c) se è introdotta una domanda di nullità, sia il giudice sia la parte possono valorizzare, in corso di causa, un diverso motivo di nullità, senza incorrere nel divieto di ultrapetizione e di mutatio libelli.

Qui, tuttavia, finiscono le certezze e cominciano i dubbi.

Una volta accolta la nozione allargata dell’oggetto dei giudizi di impugnativa contrattuale, sussiste una piena fungibilità tra le plurime azioni oppure no? Ed ancora, è ravvisabile una relazione di piena e reciproca scambiabilità tra i motivi posti a sostegno delle azioni di annullamento, di rescissione e di risoluzione, in modo identico a quanto è stato riconosciuto accadere per le domande di nullità?

Se è proposta una domanda di risoluzione, è consentito all’attore di introdurre, nello stesso processo, quella di annullamento, senza incorrere nel divieto di mutatio libelli? Se è richiesta la risoluzione del contratto per inadempimento, si ha una domanda nuova se l’attore fa valere poi la successiva onerosità sopravvenuta? Ovviamente, la risposta che è data a questi quesiti impone l’adozione di soluzioni coerenti, quando si deve stabilire quale sia il vincolo di giudicato promanante dalla sentenza che definisce nel merito tali cause.

Se si accolgono le premesse da cui muove la Cassazione, la risposta dovrebbe essere quasi scontata: se la pronuncia accerta, in modo incontrovertibile, l’esistenza o l’inesistenza delle situazioni soggettive prodotte dal contratto impugnato, tutte le tematiche relative all’esistenza, validità ed efficacia del negozio rientrano nel perimetro dell’oggetto del processo e del giudicato. Nelle azioni di impugnazione, come in quelle di adempimento, l’oggetto del giudizio è il rapporto giuridico; allora, come, nelle seconde, tutti i profili di invalidità e di inefficacia del negozio sono deducibili ope exceptionis, così, nelle prime, gli stessi elementi possono essere fatti valere come domande; mutano la struttura dei processi e la posizione delle parti, ma rimane immutata la sostanza, ossia che, sempre, il giudice è chiamato a stabilire a chi spetti il bene della vita controverso, costituito dal diritto sorto dal contratto27.

Tuttavia, le S.U. non hanno affrontato questi temi, per cui non resta che attendere nuove pronunce chiarificatrici.

1 La sentenza S.U., 4.9.2012, n. 14828 è pubblicata, tra molti, in Foro it., 2013, I, 1238, con nota di A. Palmieri; in Giur. it., 2013, 907 ss., con nota di E. D’Alessandro; in Contratti, 2012, 869 ss., con nota di S. Pagliantini. Le due sentenze S.U., 12.12.2014, nn. 26242 e 26243 sono pubblicate, tra molti, in Foro it. 2015, I, 859 ss., con note di A. Palmieri R. Pardolesi, F. Di Ciommo, S. Pagliantini, A. Proto Pisani, S. Menchini; in Giur. it., 2015, I, 72 ss., con nota di I. Pagni.

2 Si vedano per tutte: Cass., 17.2.2012, n. 2366, in Danno e resp., 2012, 452; Cass., 28.11.2008, n. 28424, in Contratti, 2009, 449, con nota di P. Leone; Cass., 6.10.2006, n. 21632, in Foro it., 2007, I, 430; Cass., 14.10.2005, n. 19903, in Foro it., 2006, I, 2107, con nota di F. Di Ciommo; Cass., 8.1.2000, n. 123, in Contratti, 2000, 547; Cass., 11.3.1988, n. 2398, in Foro it., 1989, I, 1936 ss., con nota di G. Massetani.

3 Così, in specie: Cass., 10.1.2011, n. 334, in Imm. propr., 2011, 188; Cass., 14.10.2005, n. 19903, in Foro it., 2006, I, 2107; Cass., 8.1.2000, n. 123, in Giur. it., 2000, 907.

4 In questo modo: Cass., 7.2.2011, n. 2956, in Contratti, 2011, 677 con nota di M. Pirovano; Cass., 6.10.2006, n. 21632, in Obbl. contr., 2007, 172, con nota di G. Gennari; Cass., 14.1.2003, n. 435, in Arch. civ., 2003, 1257.

5 Questo indirizzo, pur sostenuto dalla dottrina prevalente (Irti, N., Risoluzione del contratto nullo, in Foro pad., 1971, 741; Massetani, G., Ingiustificate limitazioni alla rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto, in Foro it., 1989, I, 1943; Oriani, R., Eccezione, in Dig. civ., VII, Torino, 1991, 262 ss., specie 276 ss.) era senz’altro minoritario nella giurisprudenza (tra le più significative, Cass., 28.1.1986, n. 550, in Giur. comm., 1986, II, 401; Cass., 30.10.2001, n. 13533; Cass., 22.3.2005, n. 6170, in Corr. giur., 2005, 957, con nota di V. Mariconda; Cass., 25.9.2008, n. 23674, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 197, con nota di S. Nardi; Cass., 7.2.2011, n. 2956, in Foro it., 2011, I, 2403).

6 Nel primo senso, si vedano Cass., 22.3.2005, n. 6170 e Cass., 14.2.1995, n. 1574, in Giur. it., 1995, I, 1660; in modo opposto, Cass., 2.4.1997, n. 2858.

7 La tesi restrittiva è sostenuta da Cass., 22.3.2005, n. 6170, in Corr. giur., 2006, 1418, con nota di C. Consolo; per l’interpretazione favorevole al giudicato implicito, invece, si vedano Cass., 12.4.2006, n. 8612 e, successivamente, Cass., 20.8.2009, n. 18540.

8 C. giust. CE, 4.6.2009, C243/08, in Giur. comm., 2010, I, 801 ss., con nota di S. Milanesi. Da questa posizione si dissocia Cass., 4.9.2012, n. 14828, in Nuova giur. civ. comm., 2013, 15, la quale esclude il rilievo officioso delle nullità per le quali sia dettato un regime speciale, come nel caso di quelle cd. di protezione, rispetto alle quali il rilievo del vizio è rimesso in modo esclusivo alla parte interessata.

9 Cfr., Cass., 11.3.1988, n. 2398, in Foro it., 1989, I, 1936, con nota di G. Massetani; Cass., 8.1.2007, n. 89, in Foro it., 2007, I, 2829, con nota di C.G. Corvese; Cass., 28.1.2008, n. 28424, cit.; Cass., 8.9.2004, n. 18062; Cass., 26.6.2009, n. 15093; Cass., 11.7.2012, n. 11651. Al contrario, la difesa svolta dal convenuto tesa a rilevare determinati profili di nullità non esclude il potere officioso del giudice di indagare ed eventualmente di dichiarare, sotto altro profilo, la nullità del negozio (Cass., S.U., 4.11.2004, n. 21095, in Foro it., 2004, I, 3294, con nota di A. Palmieri).

10 A quanto sembra, per la sentenza n. 14828/2012, il potere-dovere del giudice di rilevare la nullità del contratto non sussiste qualora si sia in presenza di una nullità soggetta a regime speciale (cd. nullità di protezione).

11 Sul punto, le S.U. esprimevano dubbi circa la correttezza dell’assimilazione delle ipotesi di risoluzione, annullamento e rescissione rispetto al tema della validità/nullità del contratto, e concludevano che «andrà a suo tempo verificato se sussistano i presupposti per tale equiparazione».

12 Vedi tale provvedimento in Foro it., 2013, I, 1238 con nota di A. Palmieri. La sez. II ha rilevato che, da un lato, la sentenza n. 14828/2012 ha sostenuto che la funzione oppositiva del potere-dovere di cui all’art. 1421 c.c., che opera innegabilmente rispetto alla risoluzione del contratto, «non è, con altrettanto nitore, ravvisabile nel caso di azione di annullamento», e, dall’altro lato, sussisteva uno specifico precedente sul punto della Corte di cassazione (Cass., 2.4.1997, n. 2858, in Nuova giur. civ. comm., 1998, I, 120 con nota di G. De Fazio), la quale, in motivazione, aveva affermato che «oltre alle domande di adempimento e di esecuzione, anche quelle di risoluzione e di annullamento presuppongono la validità del contratto e costituiscono mezzo giuridico per eliminarne, in taluni casi, gli effetti».

13 In effetti, nel caso deciso, la precedente sentenza aveva respinto la domanda di risoluzione sulla base del riconoscimento di una ragione assorbente e senza compiere alcuna valutazione o riferimento relativamente alla validità/nullità del contratto, tema che era rimasto non esaminato e logicamente assorbito.

14 La sentenza n. 26243, rispetto alla n. 26242, affronta un problema ulteriore, rappresentato dalla sussistenza o meno dei poteri officiosi di rilevazione di una causa di nullità in appello, qualora in primo grado sia stata proposta una domanda diversa da quella di nullità, introdotta per la prima volta in sede di gravame. La risposta è che: a) allorché in primo grado sia stata richiesta l’esecuzione, la risoluzione, la rescissione, l’annullamento del contratto, senza che il giudice abbia rilevato motivi di nullità negoziale, la domanda nuova di nullità, introdotta per la prima volta in appello, è inammissibile; b) il giudice ha obbligo di rilevare d’ufficio la nullità posta a fondamento della domanda inammissibile, indicandola alle parti, ed anche queste possono sollevare l’eccezione; c) il giudice può pronunciare sulla nullità, a seguito della conversione della domanda di parte (inammissibile) in eccezione (ammissibile). Su questo tema, v. Pagni, I., Il “sistema” delle impugnative negoziali dopo le Sezioni Unite, in Giur. it., 2015, 70 ss., le cui considerazioni sono assolutamente condivisibili.

15 In presenza di nullità speciali, «la legittimazione ad agire ristretta ai soli soggetti indicati dalla legge non si riverbera ipso facto in un’esclusione del potere di rilievo officioso della nullità ex art. 1421 c.c.», per cui «va rivista e precisata in parte qua l’affermazione, contenuta nella sentenza 14828/2012, secondo la quale dovrebbe ritenersi vietata al giudice l’indagine in ordine ad una nullità protettiva». Su questi aspetti, concernenti più propriamente la disciplina di diritto sostanziale, si vedano: Palmieri, A. Pardolesi, R., Nullità negoziale e rilevazione officiosa a tutto campo (o quasi), e Di Ciommo, F., La rilevabilità d’ufficio ex art. 1421 c.c. secondo le sezioni unite: la nullità presa (quasi) sul serio, in Foro it., 2015, I, rispettivamente, 916 ss. e 922 ss.; Pagliantini, S., Rilevabilità officiosa e risolubilità degli effetti: la doppia motivazione della Cassazione… a mò di bussola per rivedere Itaca, in Contratti, 2015, 133 ss.

16 L’incongruità di una soluzione che consenta la risoluzione di un contratto nullo e l’insorgere di un eventuale obbligo ancillare di risarcimento del danno rispetto ad un titolo, che, in quanto nullo, è inefficace ab origine, impone di ritenere sempre e comunque sollevabile ex officio la nullità del negozio in ogni figura di risoluzione.

17 Invero, ogni azione d’impugnazione del contratto si fonda sull’esistenza ed efficacia dello stesso ed il giudice, soltanto se non sussistono ragioni di nullità, può procedere all’esame della domanda di risoluzione, di annullamento, ecc.

18 Con riguardo all’ipotesi speculare, ossia a quella in cui la parte abbia richiesto la nullità totale del contratto, mentre il giudice ravvisi la sussistenza di una nullità parziale, le S.U. recuperano la distinzione tra rilevazione e dichiarazione della nullità (parziale); il giudice può rilevare d’ufficio la nullità parziale, ma se le parti lasciano inalterate le domande originarie e non richiedono la declaratoria della nullità parziale, non è in alcun modo consentita la pronuncia di questa ad opera del giudice, in quanto, ove fosse ammessa «l’emanazione di una non richiesta sentenza ortopedica» si determinerebbe un’inammissibile sovrapposizione del decisum giudiziale «alle valutazioni e alle determinazioni dell’autonomia privata espressa nel processo». Per le stesse ragioni, ossia per la necessità di rispettare l’autonomia privata, è da escludere che «i poteri officiosi di rilevazione di una nullità negoziale possano estendersi alla rilevazione (non più di un vizio radicale dell’atto, ma anche) di una possibile conversione del contratto, in assenza di una esplicita domanda di parte».

19 Il giudice, dopo avere rilevato la nullità, di regola, pronuncia in ordine ad essa, salvo i casi di nullità speciali o di protezione rilevati e indicati alla parte interessata, senza che questa, però, manifesti interesse alla dichiarazione; in mancanza dell’attività del soggetto protetto volta a far accertare la nullità, alla rilevazione non segue anche la pronuncia in ordine ad essa, per cui la sentenza di merito non contiene alcun accertamento sul punto e non è idonea a produrre effetti di giudicato.

20 Per la disciplina nel caso in cui l’eccezione sia sollevata dal giudice per la prima volta in appello, vedi supra, nt. 14.

21 Due sono gli argomenti, peraltro di difficile coordinamento, addotti a sostegno di questa interpretazione: a) la domanda di nullità pertiene ad un diritto autoindividuato ed è, quindi, identificata a prescindere dallo specifico vizio (titolo) dedotto in giudizio, in quanto unica rispetto ai diversi e possibili motivi di invalidità che affliggono il negozio; b) l’azione di accertamento della nullità ha ad oggetto «l’accertamento negativo dell’esistenza del rapporto contrattuale fondamentale, per cui il giudicato di rigetto di essa accerta la non nullità del negozio, la conseguente (non) inesistenza del rapporto, e preclude nuove azioni di nullità di quel negozio sotto ogni ulteriore profilo». In dottrina, sull’oggetto della domanda di nullità ed i limiti oggettivi della sentenza che la decide, confronta, per tutti: Caponi, R., L’azione di nullità, in Riv. dir. civ., 2008, suppl., 59 ss., specie 95 s.; Consolo, C., Poteri processuali e contratto invalido, in Eur. e dir. priv., 2010, 941 ss., specie 951 s.; e, con diversa ricostruzione, Ricci, E.F., Sull’accertamento della nullità e della simulazione dei contratti come situazioni preliminari, in Riv. dir. proc., 1994, 652.

22 Ove sia stata respinta la domanda di adempimento, a causa della riconosciuta nullità del contratto, «sarebbe assurdo sostenere che sulla quaestio nullitatis possa nuovamente intervenire un successivo giudizio, salvo implicitamente avallare un evidente abuso del processo». In dottrina, per analoga valorizzazione dei nessi sostanziali tra diritti, si vedano specialmente: Zeuner, A., Die objektiven Grenzen der Rechtskraft im Rahmen rechtlicher Sinnzusammenhänge, Tübingen, 1959, 75 ss.; Menchini, S., I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano, 1987, 87 ss., 107 ss.; Id., Il giudicato civile, II ed., Torino, 2002, 83, 149 ss.; Luiso, F.P., Diritto processuale civile, I, Principi generali, VII ed., Milano, 2013, 166; Proto Pisani, A., Le tutele giurisdizionali dei diritti, Napoli, 2002, 302 (ove è riprodotto il saggio Appunti sul giudicato e sui suoi limiti oggettivi, in Riv. dir. proc., 1990, 386); Caponi, R., Limiti oggettivi del giudicato nei rapporti complessi, in Foro it., 2002, I, 2764.

23 Per la valorizzazione del motivo di rigetto, ai fini della determinazione del contenuto della decisione e del giudicato, si segnalano per tutti: Zeuner, A., Die objecktiven Grenzen, cit., 41, 75 ss., 91 ss.; Menchini, S., I limiti oggettivi, cit., 310 s.; Id., Il giudicato civile, cit., 167 ss., 237 ss.; Luiso, F.P., Diritto processuale, I, cit., 187; Merlin, E., Compensazione e processo, II, Milano, 1994, 110 ss.; Consolo, C., Poteri processuali, cit., 974 ss.; da ultimo, Motto, A., Poteri sostanziali e tutela giurisdizionale, Torino, 2012, 493 ss., 650 ss.

24 Il giudice dovrebbe specificare in motivazione che la ratio decidendi della pronuncia di rigetto è costituita dalla nullità del negozio. La differenza tra l’ipotesi in esame e quella in cui la parte abbia formulato la domanda di accertamento della nullità si coglie sotto l’aspetto della trascrizione e della opponibilità a terzi dell’effetto di giudicato: l’attore che voglia munirsi di un titolo utile a tali fini dovrà formulare, in quello stesso processo, una domanda di accertamento, in via principale o incidentale, della nullità rilevata dal giudice.

25 La stessa conclusione vale per il caso in cui la nullità sia stata sollevata dalla parte come eccezione; il giudice non ha alcun obbligo di pronuncia su di essa, potendo risolvere la controversia in base alla ragione più liquida.

26 Le S.U. si muovono nella prospettiva tradizionale per cui le azioni di impugnativa contrattuale hanno natura di azioni costitutive e danno luogo a sentenze di modificazione giuridica ai sensi dell’art. 2908 c.c.; per la diversa impostazione, la quale ricostruisce il sistema delle impugnative negoziali secondo il modello del diritto potestativo ad esercizio stragiudiziale e qualifica l’azione e la sentenza come di mero accertamento, v. Pagni, I., Le azioni di impugnativa negoziale. Contributo allo studio della tutela costitutiva, Milano, 1998, 197 ss.; Ead., Contratto e processo, in Tratt. Roppo, VI, Interferenze, Milano, 2006, 823 ss.

27 Menchini, S., I limiti oggettivi, cit., 313 ss., 321 ss., anche 323 nt. 59; Pagni, I., Le azioni di impugnativa negoziale, cit., 197 ss.; Massetani, G., Considerazioni schematiche sulle impugnative contrattuali, in Riv. dir. proc., 1992, 320 ss.

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