Numero

Dizionario di filosofia (2009)

numero


Per numeri (ἀριϑμόι) i Greci intendono esclusivamente i n. naturali (interi positivi), ossia i n. che rispondono alla domanda: «quanti?». Per i pitagorici i n. non possiedono un’esistenza fuori del mondo fisico, ma sono realtà immanenti e causa delle cose, richiamando il fatto che contare è un’attività di delimitazione e di separazione di oggetti nello spazio. Per i pitagorici il n. è dunque il limite delle cose (Aristotele, Metafisica, XIV, 5, 1092 b). In generale, i Greci concepiscono un n. come una molteplicità delimitata, essendo il n. sempre n. di qualcosa, qualitativamente determinato. Questa concezione è cristallizzata nella classica definizione di Euclide di n. come una pluralità composta da unità. La questione della dimensione ontologica dei n. è affrontata per la prima volta con Platone. Nel Teeteto (➔) Socrate osserva che per una persona è possibile contare «o da sé con sé stesso i n. che ha in sé o qualche altro degli oggetti esterni che hanno un n.». Ma se i n. fossero identici alle cose stesse come si potrebbero contare i n.? Per Platone i n. sono oggetti separati dal mondo sensibile, accessibili alla sola ragione. Egli fissa i termini entro cui l’ontologia della matematica è stata pensata nella filosofia occidentale e Aristotele può presentare come ormai compiuta la separazione dei compiti della matematica e della filosofia, rilevando la «reticenza» delle scienze matematiche «che non dicono nulla neppure circa l’esistenza o la non-esistenza di cose di cui esse si occupano» (Metafisica, VI, 1, 1025 b 16-17). È invece compito della filosofia indagare «se gli enti matematici esistano o meno, e, nel caso che esistano, quale sia il modo della loro esistenza» (Metafisica, XIII, 1, 1076 a 25-26). Per Aristotele l’esistenza dei n. è dipendente dall’esistenza concreta di oggetti contati. I n. sono infatti ottenuti astraendo dalla natura particolare degli oggetti fisici che formano pluralità finite: le pure unità che compongono i n. derivano dall’attività di sottrarre agli oggetti di percezione ogni elemento materiale: «il matematico studia oggetti ottenuti per sottrazione» (Fisica, 248 b 19-21). A partire da Cartesio il n. fu essenzialmente legato a un’operazione di astrazione, con una sua esistenza puramente soggettiva, un’esistenza, cioè, mentale. Hobbes, Locke, Leibniz, Berkeley, Newton, Wolff si adeguarono in vario modo a questa concezione, cui si riallaccia anche la dottrina kantiana del n. come schema, cioè come «rappresentazione che comprende la successiva addizione di uno a uno (omogenei)». J.S. Mill propenderà invece a ritenere il n. come il risultato di una generalizzazione empirica, pur rimanendo sul piano soggettivo. Una ridefinizione di n. in direzione diversa si ha con Frege, e successivamente con Russell e Whitehead: sottolineando l’assoluta irrilevanza dell’approccio psicologico per quanto riguarda il n., Frege ne rileva il carattere di oggettività, pur non concedendo al n. una realtà analoga a quella delle cose fisiche: i n. non rimandano a proprietà di oggetti, ma di concetti. Definita l’estensione di un concetto come la classe di tutti gli oggetti che cadono sotto di esso, Frege può così definire il n. naturale come l’«estensione» del concetto di «egualmente numeroso». Ovviamente, «equinumeroso» è definito in termini logici senza riferimento alla nozione di n., altrimenti la definizione di n. risulterebbe circolare: ‘un concetto F risulta egualmente numeroso al concetto G’ quando esiste una corrispondenza biunivoca fra gli oggetti che cadono sotto F e quelli che cadono sotto G. Nell’ambito della riflessione filosofica sui fondamenti della matematica, il n. ha ricevuto caratterizzazioni ulteriori; particolarmente rilevante la caratterizzazione del n. come segno comune a un sistema di assiomi (nelle impostazioni assiomatiche legate ai nomi di Peano, Hilbert, Zermelo).