NUTRIZIONE

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Nutrizione

Gianni Tomassi

(XXV, p. 85; App. IV, ii, p. 631; V, iii, p. 714)

tab. 8

L'alimentazione e la n. umana stanno acquistando sempre più importanza nella prevenzione di patologie di tipo cronico-degenerativo e nel mantenimento di un buono stato di salute psicofisico. Gli studi in questo campo vanno sempre più estendendosi e approfondendosi per tentare di comprendere i meccanismi e le relazioni coinvolti nei diversi casi, permettendo così di intervenire con indicazioni e regole che consentano di migliorare lo stato di n. degli individui nelle diverse fasi e condizioni di vita. La presente voce analizza alcune delle principali tematiche sviluppate dalle più recenti ricerche in campo nutrizionale, secondo le quali i problemi che maggiormente interessano i diversi gruppi di popolazione che vivono nei paesi economicamente sviluppati sono, da un lato, quelli legati agli eccessi dei consumi alimentari in genere e in particolare di quelli lipidici (v. anche alimentazione: Consumi alimentari, in questa Appendice, tab. 8), dall'altro quelli connessi a situazioni e stili di vita errati, che possono costituire fattori di rischio per una carenza occulta di micronutrienti (vitamine, minerali) o di composti di origine biologica che, pur sprovvisti di valore nutritivo, sono tuttavia dotati di funzione protettiva, per es. gli antiossidanti, atti a difendere l'organismo da eventi patologici (soprattutto malattie cardiovascolari e tumori) e dallo stesso fenomeno fisiologico dell'invecchiamento. Con l'intento di inserirsi in questa ottica preventiva, l'industria alimentare sta cercando di produrre e immettere sul mercato nuovi prodotti, alcuni destinati a compensare carenze nutrizionali (ora con integratori vitaminico-minerali ad azione generale, ora con costituenti alimentari più mirati, per es. antiossidanti), altri tendenti a frenare il dannoso iperconsumo lipidico attraverso la produzione di sostituti acalorici o ipocalorici dei grassi. Una terza tematica, del tutto emergente e in tumultuosa evoluzione, è quella degli alimenti biotecnologici ottenuti da piante transgeniche (v. biotecnologia: Biotecnologie in agricoltura, in questa Appendice), che costituiscono oggetto di acceso dibattito in seno all'opinione pubblica internazionale.  *

Sostituti dei grassi alimentari

Il consumo di grassi alimentari, siano essi invisibili o visibili, rappresenta spesso, per le popolazioni dell'Occidente industrializzato, un problema di salute pubblica, sia perché il suo livello quantitativo generalmente eccede quello consigliato o raccomandato, sia perché la qualità è spesso squilibrata (abbondanza di acidi grassi saturi). A entrambi questi fattori è associata l'insorgenza di disturbi e patologie a larga prevalenza, quali l'obesità e le malattie cardiovascolari.

Allo scopo di ridurre il consumo eccessivo di grassi e perciò l'eccessivo introito energetico (è da ricordare che il valore energetico dei grassi è più che doppio rispetto a quello dei carboidrati e delle proteine), si sono ricercati composti o ingredienti che presentassero le stesse funzioni dei grassi, ma che avessero un valore calorico ridotto o addirittura nullo. È nata così, soprattutto negli Stati Uniti, l'industria dei sostituti dei grassi, che ha studiato e proposto due diverse linee di prodotti alternativi:

a) prodotti a base di carboidrati e/o di proteine, quali polimeri del glucosio modificato, amidi modificati di riso, mais, tapioca e patate, gomme e alginati, proteine 'microparticolate', cioè preparate sotto forma di particelle sferoidali in modo da dare la stessa sensazione di cremosità propria dei grassi.

b) prodotti a base di lipidi non assorbibili, quali esteri di acidi grassi con zuccheri e polialcool, esteri della glicerina con acidi policarbossilici, eteri di alchilglicerolo, trigliceridi ramificati e così via.

I primi non presentano eccessivi problemi tossicologici, in quanto sono costituiti da ingredienti con un ruolo biologico ben definito e conosciuto, ma hanno una possibilità di impiego limitata, in quanto, non resistendo alle elevate temperature, non sono adatti alla preparazione di prodotti da forno o fritti. Fra gli ingredienti a base di amidi modificati sono da ricordare il maltrin, una malto destrina ottenuta da amido di mais idrolizzato, e la N-oil, una destrina ottenuta dalla tapioca, che possono sostituire in tutto o in parte i grassi in dessert, margarine, creme e condimenti per insalate. Tra i prodotti a base di proteine è da ricordare simplesse, costituito essenzialmente da proteine del latte e/o albume d'uovo sottoposte al processo tecnologico di 'pressoparticolazione', utilizzato nella preparazione di alimenti quali gelati, yogurt, creme di formaggio, maionese e margarine. Questi consentono di ridurre il livello di grassi e di energia introdotti, in quanto la loro densità energetica è molto più bassa di quella dei grassi comuni. Infatti maltrin fornisce 4 kcal/g (in quanto viene usato generalmente sotto forma di soluzione acquosa al 25÷35%) e simplesse 1÷2 kcal/g, contro le 9 kcal/g di un comune grasso alimentare.

La seconda categoria di sostituti dei grassi ha invece un'applicabilità notevolmente più ampia, in quanto le proprietà fisiche e organolettiche che posseggono sono molto simili a quelle dei grassi che vogliono sostituire. Esistono però nei loro confronti diversi problemi di ordine nutrizionale e tossicologico in quanto, trattandosi di nuovi composti non assorbiti o poco assorbiti, possono provocare inconvenienti e disturbi, quali la riduzione dell'assorbimento di nutrienti liposolubili e alterazioni a livello del tratto gastrointestinale.

fig. 1

Il più noto e studiato tra questi sostituti dei grassi è certamente olestra, un estere del saccarosio con acidi grassi a lunga catena, casualmente scoperto da F.H. Mattson e R.A. Valpenstein nel 1971 mentre cercavano una fonte di acidi grassi più digeribile del latte per i bambini prematuri. Ci sono voluti però circa 25 anni di studi perché il prodotto potesse essere approvato dalla FDA (Food and Drug Administration) statunitense (1996) come sostituto dei grassi a valore calorico zero nella preparazione di snacks e patatine fritte. Olestra viene prodotto a partire da due comuni alimenti: lo zucchero e uno specifico tipo di olio. La sua struttura è analoga a quella di una molecola trigliceridica con 6÷8 molecole di acidi grassi attaccate al saccarosio, invece delle 3 attaccate al glicerolo (fig. 1).

Gli acidi grassi possono essere di differente lunghezza e grado di insaturazione, così come si osserva nei comuni oli e grassi alimentari. Si ha così una varietà di olestra composta da acidi grassi polinsaturi e che si presenta come un liquido simile a un olio, e un olestra solido composto da acidi grassi saturi. Il vantaggio di olestra è quello di essere stabile al calore e di comportarsi nei confronti del riscaldamento prolungato come i comuni grassi alimentari. La sua acaloricità è dovuta al suo mancato assorbimento, in quanto non può essere idrolizzato dagli enzimi lipolitici del tratto gastrointestinale. Questa sua stessa caratteristica ha sollevato problemi di natura tossicologica e nutrizionale e sono stati necessari diversi studi sperimentali sull'animale e sull'uomo prima di poterlo ammettere all'uso. Sono stati così condotti diversi esperimenti di tossicità subcronica e cronica su diverse specie animali per poter escludere la presenza di segni di tossicità e la comparsa di anomalie a livello della performance riproduttiva, dello sviluppo embrionale, del numero di nati e della crescita postnatale. Inoltre, olestra non è risultato mutageno né genotossico, né in grado di far aumentare il numero di tumori nel ratto rispetto ai controlli. Analoghi risultati sono stati ottenuti per olestra sottoposto a trattamento termico prolungato, quale quello che si può realizzare nelle fritture industriali. Dopo questi esperimenti su modelli animali, restavano da valutare direttamente sull'uomo la sicurezza del tratto gastrointestinale e l'interferenza sulla biodisponibilità di nutrienti e/o di farmaci liposolubili. I vari test effettuati sullo svuotamento gastrico, sul transito intestinale, sulla microflora intestinale e sugli enzimi pancreatici non hanno messo in evidenza alcun effetto negativo sulla funzionalità del tratto gastrointestinale. I disturbi riscontrati su soggetti che consumavano olestra (anche se in quantitativi assai più elevati di quelli normalmente assunti) sono stati flatulenza, borborigmi e diminuita consistenza delle feci, talvolta diarrea. Inoltre si è visto che olestra può determinare, in proporzione alla dose, una riduzione nell'assorbimento di vitamine liposolubili (vitamine A, D, E, K), con un leggero effetto anche sui carotenoidi. Non è, invece, influenzato l'assorbimento di altri nutrienti, quali carboidrati, proteine, grassi, aminoacidi, vitamine idrosolubili e minerali, componenti minori ad azione protettiva (antiossidanti) presenti soprattutto nella frutta e verdura, né l'assorbimento di farmaci orali, quali l'aspirina (idrosolubile) e i contraccettivi orali (liposolubili). Olestra può invece far abbassare la colesterolemia, facendo diminuire l'assorbimento del colesterolo alimentare e aumentandone l'eliminazione.

Per evitare le possibili conseguenze nutrizionali dovute a una riduzione nell'assorbimento delle vitamine liposolubili, si è reso necessario aggiungere a olestra le vitamine A, D, E, K, mentre per quanto riguarda i possibili disturbi a livello gastrointestinale (che pure non presentano un rischio per la salute) si è deciso di inserire sulle etichette delle confezioni di prodotti preparati con olestra una specifica avvertenza. Da ciò si comprende quanto sia prudente e necessaria una sorveglianza nutrizionale su questo sostituto dei grassi così come su ogni altro nuovo componente introdotto nella catena alimentare.

Altri esempi, sia pure meno noti e studiati, di sostituti ipocalorici dei grassi basati sulla riduzione dell'assorbimento lipidico sono quelli commercializzati con i nomi di caprenine e salatrine, che hanno mostrato un valore calorico di 1÷3 kcal/g, più basso cioè rispetto alle 9 kcal/g di un trigliceride completamente assorbito. Questi composti sono stati ottenuti con processi di interesterificazione (adottati oggi specialmente nella produzione di margarine) che permettono di sostituire nella molecola del trigliceride il tipo e la posizione dell'acido grasso che esterifica la glicerina. Se si tiene presente che il processo di assorbimento dei grassi inizia con la liberazione degli acidi grassi dalle posizioni 1 e 3 del trigliceride a opera delle lipasi intestinali e che l'assorbimento degli acidi grassi saturi a catena lunga è meno efficiente rispetto a quello degli acidi grassi insaturi o saturi a catena corta, si può comprendere chiaramente come, attraverso un'opportuna sostituzione e posizionamento degli acidi grassi, si siano potuti ottenere i prodotti sopracitati, caratterizzati da un ridotto assorbimento. In questi casi le conseguenze nutrizionali dei prodotti interesterificati sono trascurabili, in quanto non si sono osservate differenze significative di comportamento fisiologico e metabolico nell'organismo rispetto a quello dei grassi normali di partenza.

Alimenti biotecnologici

Oltre alla produzione di antibiotici, vitamine, aminoacidi, acido citrico, enzimi e lieviti, oggetto delle biotecnologie (v. biotecnologia, in questa Appendice) è, tra l'altro, la produzione di sostanze alimentari di largo consumo, quali i formaggi e le bevande fermentate, ottenuti attraverso operazioni basate soprattutto su tecniche di biologia molecolare e di ingegneria genetica (v. entrambe le voci in questa Appendice). Si tratta di prodotti vegetali o animali geneticamente modificati (ossia transgenici) nei quali è stato inserito un nuovo gene al fine di ottenere nuove varietà o ceppi più produttivi o resistenti alle avversità ambientali (climatiche, parassitarie, tossicologiche ecc.). Nel settore agroalimentare le tecniche di modifica della struttura genica hanno permesso di ottenere piante con una migliore produttività e resistenza, così come una migliore qualità dei semi. Prodotti già noti e in circolazione in alcuni paesi sono il mais, la soia e il pomodoro transgenici, in grado, rispettivamente, di resistere alle piralidi, agli erbicidi, e di ritardare la maturazione. Altri prodotti alimentari transgenici in fase di sperimentazione sono l'asparago (solo pianta maschile, dato che la femmina non è commestibile), la canola (il cui olio è ricco di acidi grassi insaturi), l'uva (senza semi), la patata (resistente agli attacchi virali), la mela (resistente agli insetti), la fragola (resistente al gelo) e il frumento (resistente agli erbicidi). I benefici e i vantaggi sono rappresentati dal miglioramento delle proprietà agronomiche e della qualità intrinseca, e dall'ottenimento di nuove tipologie di prodotti alimentari.

Anche per gli animali da reddito è stato possibile ottenere miglioramenti della produttività, attraverso lo sviluppo delle tecniche di riproduzione e il transfer genico negli animali di interesse zootecnico, sia terrestri sia acquatici. L'utilizzo delle tecniche di genetica molecolare permette di avere una misura estremamente precisa della variabilità genetica di singoli animali e consente, per es., la conservazione di varietà rare e quindi la preservazione della biodiversità (v. natura, conservazione della, App. V).

Nonostante queste grandi potenzialità che fanno prevedere uno sviluppo del fatturato delle imprese biotecnologiche decuplicato tra il 1994 e il 2005, questi nuovi prodotti alimentari pongono alcuni problemi di sicurezza e di equilibrio ambientale. Al di là dei rischi per l'equilibrio degli ecosistemi che una nuova specie vegetale o animale può creare, dal punto di vista nutrizionale l'inserimento di un nuovo gene in un organismo da cui si ricava un alimento comporta anzitutto alcune conseguenze derivanti dalla modifica della composizione in principi nutritivi del nuovo alimento. Innanzitutto per la presenza di una o più proteine legate alla modifica genetica che potrebbero presentarsi come nuovi allergeni e determinare reazioni allergiche nel consumatore. Altre modifiche di composizione possono portare alla presenza di composti originariamente assenti, che pertanto possono presentare problemi di sicurezza d'uso, o alla modifica nella biodisponibilità dei nutrienti presenti.

Per questi motivi i nuovi prodotti alimentari ottenuti da organismi geneticamente modificati vanno attentamente analizzati nella loro composizione quali-quantitativa, al fine di eliminare quanto più possibile i rischi per la salute umana. I risultati di questa prima serie di analisi, confrontati con i dati relativi al prodotto originale, permettono di classificare il nuovo prodotto in categorie diverse dal punto di vista della sicurezza nutrizionale: 1) prodotti che sono sostanzialmente equivalenti; 2) prodotti che sono sufficientemente simili; 3) prodotti non sufficientemente simili. È ovvio che quanto più i prodotti si avvicinano al prodotto tradizionale (con una lunga storia di sicurezza alimentare e nutrizionale), tanto meno severi e lunghi debbono essere i test di sicurezza ai quali i prodotti stessi debbono venire sottoposti prima dell'immissione sul mercato.

Esistono rischi connessi con l'uso di piante o animali transgenici come quello della riduzione della biodiversità delle specie, su cui si basa in definitiva la possibilità di scelta e varietà dei prodotti alimentari. Sembra però che le biotecnologie, se razionalmente ed eticamente indirizzate, non presentino questo problema, anzi potrebbero essere utilmente impiegate (come sopra accennato) per aumentare il numero di specie esistenti, facilitando la conservazione di quelle in via di estinzione.

Resta il problema di poter riconoscere l'alimento o l'ingrediente biotecnologico rispetto al prodotto tradizionale (per es. la soia resistente agli erbicidi o il mais resistente alla piralide) in un prodotto alimentare finito. Per ora tale riconoscimento è difficile e richiede comunque tecniche analitiche sofisticate e avanzate che pochissimi laboratori possono permettersi, ma è prevedibile che in un futuro prossimo tali analisi possano divenire di facile e larga applicazione, così come è accaduto in altri settori, quali quello della criminologia, dove con pochissime quantità di campioni è stato possibile effettuare l'analisi e il riconoscimento di frazioni di DNA.

Il timore e la diffidenza che il consumatore spesso avverte verso questi nuovi alimenti biotecnologici (probabilmente perché contrario alla modifica genetica di un prodotto naturale) sono spesso dovuti alla scarsa conoscenza della tecnologia impiegata e anche delle prove cui tali prodotti vengono sottoposti prima di essere ammessi all'uso.

Integrazioni alimentari

Continua a diffondersi la tendenza all'uso dell'integrazione della razione alimentare con vari nutrienti, in particolare vitamine e minerali. Le ragioni di ciò sono da ricondurre a un riconosciuto impoverimento di tali micronutrienti nei cibi e preparati alimentari disponibili sul mercato e alle mutate condizioni di vita che tendono a ridurre i livelli di consumo alimentare e a seguire schemi e abitudini nutrizionalmente errati o inadeguati. Ma è legittimo chiedersi se queste ragioni siano sufficienti a giustificare il ricorso a tali integrazioni della normale razione alimentare.

Per rispondere occorre conoscere sia i reali apporti in principi nutritivi che si realizzano con il consumo di alimenti, sia le necessità dell'organismo nelle condizioni o fasi di vita in cui si trova.

Il confronto tra i contenuti nutritivi dei cibi consumati (ricavabili dalle tabelle di composizione degli alimenti) e i livelli di energia e nutrienti necessari per le diverse fasce di popolazione (ricavabili da apposite raccomandazioni nutrizionali) può dare una prima indicazione sull'adeguatezza nutrizionale della dieta consumata. Un approccio più preciso è quello basato sull'analisi chimica della 'dieta globale' ricostruita in laboratorio sulla base dei dati di consumo alimentare, con il vantaggio, in questo caso, di poter considerare gli alimenti già cotti e pronti al consumo (le tabelle di composizione riportano generalmente i valori relativi agli alimenti crudi). Il limite è costituito dalla scarsa rappresentatività dei campioni di alimenti (rispetto alle tabelle che riportano dati medi su campioni ripetuti), oltre che dal costo e dalle attrezzature necessarie per l'analisi.

Sul piano fisiologico si possono misurare nell'uomo vari parametri biochimici e antropometrici dello stato di n., nonché condurre sia studi di somministrazione di uno o più nutrienti in individui o piccoli gruppi di soggetti, sia indagini epidemiologiche su gruppi più vasti di popolazione. Tali studi possono accertare gli effetti della supplementazione sullo stato di n. e di benessere dell'individuo e/o possono arrivare a stabilire un rapporto tra livello di assunzione e stato di salute del gruppo di individui preso in esame. Infatti, qualora si producano effetti favorevoli con la supplementazione, si può trarre l'indicazione di un probabile difetto nello stato di n. originale dell'individuo o del gruppo di popolazione studiati. Seguendo questi criteri si può correttamente valutare l'utilità e l'opportunità di una supplementazione della dieta quotidiana.

Le cause di un'inadeguata copertura delle quantità giornaliere raccomandate di vitamine e minerali possono essere diverse: perdita di nutrienti nella conservazione e preparazione dei cibi, diminuito consumo per perdita di appetito, tabù o errate abitudini alimentari, o per regimi dietetici dimagranti, difetti di masticazione e di assorbimento e infine aumentati bisogni e/o perdite fisiologiche. Nel primo caso, perdite considerevoli si possono avere soprattutto a carico dei contenuti vitaminici (che infatti possono venire ridotti del 50% o anche più) in seguito a trattamenti termici industriali o casalinghi, mentre per i minerali le perdite sono più basse (intorno al 10÷15%) e dovute soprattutto al passaggio in acqua durante le operazioni di lavaggio e di cottura. Situazioni di insufficiente apporto di micronutrienti si possono riscontrare facilmente nei regimi dietetici ipocalorici adottati per la riduzione del peso corporeo o nel caso di esclusione di alcuni cibi dalla razione alimentare abituale, come accade nel vegetarismo spinto, nel quale sono a rischio di inadeguatezza nutrizionale soprattutto alcuni micronutrienti presenti negli alimenti di origine animale (ferro e vitamina B12). I casi di anoressia di origine nervosa, oggi sempre più frequenti soprattutto tra le adolescenti, sono altri esempi di situazioni di inadeguato apporto vitaminico-minerale, oltre che energetico (v. alimentazione: Disturbi del comportamento alimentare, in questa Appendice).

Infine, in diverse situazioni e condizioni fisiologiche e fisiopatologiche il fabbisogno di vitamine e minerali aumenta rispetto alle condizioni normali, come nei casi di gravidanza e allattamento, di attività fisica intensa e di recupero da malattie in cui, in seguito a terapie con farmaci, si possono avere interferenze con l'assorbimento e l'utilizzazione di nutrienti, dovute, per es., alla riduzione della flora microbica intestinale responsabile della biosintesi di alcune vitamine (soprattutto quelle del complesso B e la vitamina K). Aumentate perdite di micronutrienti si possono avere infine nei casi di intensa sudorazione e in alcune situazioni patologiche (insufficienza cardiaca e renale, ipertensione, obesità ecc.) in cui vengono somministrati farmaci diuretici che, oltre a far aumentare l'eliminazione dell'acqua e del sodio, possono determinare l'eliminazione di quantità elevate di sali e vitamine idrosolubili.

Se si prendono in considerazione i parametri fisiologici dello stato di n., situazioni di deficienza marginale di stato vitaminico e minerale si sono riscontrate in Italia soprattutto fra i soggetti anziani, mentre l'unica deficienza diffusa su tutta la popolazione sembra essere quella dello iodio, con il quale è stata infatti prevista la fortificazione del comune sale da cucina.

Diversi studi clinici sugli effetti della somministrazione di supplementi vitaminici e minerali su piccoli gruppi di individui sani o malati hanno registrato spesso effetti benefici della supplementazione con singoli nutrienti (vitamina E, acido folico, vitamina K, vitamina D, calcio) sullo stato di n. e di salute dei soggetti. Ciò indica che probabilmente lo stato di n. precedente non era sufficiente a far raggiungere una concentrazione ottimale nell'organismo in grado di proteggerlo dal rischio di alterazioni e disturbi quali la perossidazione lipidica (vitamina E) o le fratture delle ossa (calcio e vitamina D).

Da studi su gruppi più vasti di popolazione (studi di intervento e indagini epidemiologiche), sono emerse relazioni e associazioni fra assunzione di nutrienti e insorgenza di determinate malattie croniche. Si è osservato, per es., un più basso rischio di mortalità cardiovascolare con livelli plasmatici più elevati di β-carotene e di vitamina E, mentre livelli elevati di vitamina C sembrano associati a una riduzione dei tumori del tratto gastrointestinale e del seno.

In conclusione, l'esame dei diversi dati e studi esistenti permette di evidenziare che non esiste una situazione di rischio di carenza nutrizionale in vitamine e minerali per la popolazione che si alimenti in maniera corretta ed equilibrata. Esistono però diverse situazioni a rischio di inadeguatezza nutrizionale, quali quelle sopra indicate, per le quali può essere opportuna una supplementazione sia pure temporanea. È certamente difficile riconoscere con sicurezza gruppi o individui a rischio, definendone l'ampiezza e il grado di esposizione, in quanto manca spesso la possibilità di effettuare controlli su parametri sicuri di identificazione di uno stato preclinico di malnutrizione. Gli studi clinici e di intervento su gruppi di popolazione che mostrano effetti benefici dell'integrazione dietetica suggeriscono che probabilmente è ancora incerto il livello di nutrienti più opportuno per assicurare uno stato ottimale di n. e salute psicofisica. In ogni modo, nei casi in cui la somministrazione sia ritenuta opportuna e utile, questa dovrebbe essere effettuata con livelli di integrazione non lontani da quelli dei fabbisogni fisiologici, onde garantire un apporto adeguato di nutrienti senza presentare rischi di sovradosaggio.

Antiossidanti

Si definisce antiossidante ogni sostanza che, quando presente a basse concentrazioni rispetto a quelle di un substrato ossidabile, ritarda significativamente o inibisce l'ossidazione del substrato. Le condizioni essenziali per una funzione antiossidante di una molecola sono la sua alta reattività nei confronti dei radicali liberi e la stabilità del radicale che si forma in seguito all'interazione con la specie radicalica; se questo fosse infatti reattivo e poco stabile, potrebbe esso stesso comportarsi da propagatore delle reazioni a catena.

Gli organismi viventi sono provvisti di una serie di meccanismi per la difesa contro le specie ossidanti, cioè radicali liberi dell'ossigeno (v. radicali liberi, App. V) o altre specie reattive dell'ossigeno. Le varie linee di difesa sono complementari tra di loro in quanto reagiscono con diverse specie ossidanti o in differenti compartimenti cellulari.

A seconda delle modalità di azione gli antiossidanti possono essere classificati nella maniera seguente:

a) antiossidanti preventivi che 'eliminano' quelle specie reattive dell'ossigeno che rappresentano o producono radicali iniziatori del danno ossidativo. Nell'uomo svolgono questo tipo di azione antiossidante tre classi di composti:

1) un sistema di enzimi prevalentemente localizzati all'interno della cellula. Appartengono a questo gruppo le superossido-dismutasi, che eliminano l'anione superossido catalizzandone la reazione di dismutazione; le catalasi, che riducono l'acqua ossigenata ad acqua; e le glutatione-perossidasi, che riducono l'acqua ossigenata e i perossidi organici rispettivamente ad acqua e alcool. Sebbene questi enzimi siano per lo più localizzati all'interno delle cellule, una debole attività superossido-dismutasica e perossidasica si osserva anche nei liquidi extracellulari;

2) composti a basso peso molecolare presenti soprattutto nei liquidi extracellulari.Tra questi sono da ricordare: l'acido ascorbico, l'acido urico, l'ubichinolo, i gruppi tiolici delle proteine plasmatiche e il glutatione (GSH). Anche il β-carotene mostra di possedere un ruolo preventivo grazie alla sua capacità di disattivare l'ossigeno singoletto;

3) molecole capaci di chelare ioni metallici in una forma non attiva nelle reazioni radicaliche. Nel plasma umano svolgono questa azione antiossidante l'acido urico e diversi tipi di proteine come la transferrina, l'albumina e la ceruloplasmina. L'uomo è fornito di un tale sistema antiossidante anche all'interno delle cellule, dove sono presenti proteine chelanti i metalli, quali le metallotioneine.

b) antiossidanti 'interruttori della catena' (o chain-breaking) che interrompono la propagazione della catena perossidativa interagendo con i radicali perossilici e alcossilici. Anche questi antiossidanti sono prevalentemente composti a basso peso molecolare e sono particolarmente presenti nei liquidi extracellulari dell'uomo. Tra di essi troviamo diversi composti lipofilici, come il β-carotene e i tocoferoli, questi ultimi riuniti nel nome collettivo di vitamina E. L'attività antiossidante di questi composti è dovuta alla loro capacità di donare un atomo di idrogeno al radicale perossilico (o alcossilico) trasformandosi essi stessi in composti radicalici. La struttura delle molecole di questi antiossidanti è tale che il radicale prodotto è stabilizzato per risonanza, mostra scarsa reattività nei confronti degli acidi grassi polinsaturi e reagisce preferibilmente con altri radicali contribuendo ulteriormente a bloccare la fase di propagazione.

tab. 1
tab. 2

Nell'organismo umano, solo alcuni dei composti antiossidanti non enzimatici sono prodotti dal normale metabolismo (per es. l'acido urico, il glutatione e l'ubichinolo), mentre gli altri derivano dagli alimenti. La tab. 1 mostra le migliori fonti alimentari delle principali vitamine antiossidanti. Gli alimenti contengono anche altre molecole con azione antiossidante, definite composti fenolici non vitaminici, che, sebbene siano considerate prive di funzione nutrizionale, possono essere importanti per la salute dell'uomo. Questi composti sono un gruppo di molecole molto eterogenee, ampiamente distribuite nel mondo vegetale e conosciute come metaboliti secondari delle piante, e definiti chimicamente come composti che posseggono un anello aromatico contenente uno o più gruppi idrossilici con i loro derivati funzionali (esteri, metilesteri, glicosidi ecc.). Tra le principali classi di composti fenolici non vitaminici sono da ricordare i flavonoidi, o per es. le catechine, le antocianine e gli acidi fenolici (composti monomerici); le lignine, i tannini e le melanine (composti polimerici). Alcune fonti alimentari di questi antiossidanti non nutrienti sono riportate nella tab. 2.

Antiossidanti nella prevenzione di malattie

Gli antiossidanti alimentari sembrano svolgere un ruolo di prevenzione nella comparsa di patologie legate al danno ossidativo, come per es. tumori e malattie cardiovascolari.

Tumori. - La comparsa di tumori rappresenta il momento finale di un processo che coinvolge una sequenza di eventi che hanno luogo in un periodo di anni o perfino decenni. Si ritiene che le possibili tappe attraverso le quali una cellula normale si trasforma in una cellula cancerosa comportano una fase di iniziazione (indotta da carcinogeni chimici, virus, radiazioni, errori di replicazione e altri fattori, con il ruolo determinante degli antioncogeni e degli oncogeni) seguita da una di promozione e infine da una di progressione attraverso un processo di evoluzione clonale. Il danno al DNA è considerato uno dei più importanti fattori coinvolti nell'eziologia del cancro. Se una cellula che contiene DNA danneggiato si divide prima che il danno possa essere riparato, si può avere un'alterazione genetica permanente, che rappresenta il primo passo della cancerogenesi. Pertanto le cellule che si dividono più rapidamente sono più suscettibili alla cancerogenesi in quanto c'è una minore probabilità di riparo del DNA danneggiato prima della divisione cellulare. Gli ossidanti e gli antiossidanti possono così svolgere un ruolo importante nello sviluppo dei tumori. Esiste una notevole evidenza sperimentale circa il coinvolgimento di processi ossidativi nella promozione del cancro, anche se gli esatti meccanismi non sono ancora chiari. Gli antiossidanti possono perciò, inibendo l'ossidazione, determinare la regressione delle lesioni pre-maligne o inibire la loro evoluzione in forme tumorali. Così, per es., alcuni studi hanno indicato che certi antiossidanti, e particolarmente il β-carotene, possono agire favorevolmente nel trattamento di condizioni precancerose. E d'altro canto esistono numerosi studi che dimostrano come in popolazioni che presentano elevati consumi di frutta e verdura lo sviluppo di tumori è assai meno probabile rispetto a popolazioni che consumano bassi livelli di questi prodotti vegetali. La frutta e le verdure sono le fonti principali di vitamina C e carotenoidi (ai quali si fa risalire perciò principalmente l'azione protettiva nei riguardi della formazione di tumori) ma anche di altri nutrienti quali vitamina E, acido folico e fibra, che possono cooperare, sia pure con meccanismi diversi, all'azione protettiva.

Malattie cardiovascolari. - Le attuali teorie indicano che l'ossidazione può rivestire un ruolo importante nel determinare le malattie cardiovascolari, sia nello sviluppo a lungo termine dell'aterosclerosi sia nel danno immediato che si ha durante un attacco cardiaco.

Per quanto riguarda l'aterogenesi, esiste una notevole base scientifica a supporto della teoria ossidativa, attraverso la trasformazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL, Low Density Lipoprotein) nella forma ossidata. LDL ossidate sono state trovate infatti nelle pareti arteriose danneggiate, e si è visto che tale trasformazione può contribuire all'iniziazione e progressione della lesione aterosclerotica.

Anche nel caso dell'infarto del miocardio seguito da riperfusione (processo necessario per ristabilire il flusso sanguigno con il normale apporto di ossigeno) è possibile che radicali liberi dell'ossigeno si formino durante il processo di riperfusione stesso.

In diversi modelli sperimentali si è visto che la somministrazione di antiossidanti è in grado di ridurre la severità del danno al muscolo cardiaco. In studi sull'uomo si è osservato che il pretrattamento con vitamina C può alleviare i danni da arresto cardiaco, a indicazione di una riduzione del danno a livello cellulare. Esiste anche una notevole evidenza epidemiologica che permette di correlare l'assunzione di antiossidanti con un diminuito rischio di malattie cardiovascolari e che è maggiore per la vitamina E (anche se a dosi piuttosto elevate), più limitata ma più promettente per il ß-carotene, mentre è scarsa per la vitamina C. Sembra anche che certi antiossidanti diversi da vitamine e minerali possano avere effetti benefici sulla salute cardiovascolare. Sono però necessari ulteriori studi e ricerche per ampliare le basi scientifiche al fine di comprendere meglio i meccanismi e le condizioni dell'azione protettiva degli antiossidanti nell'eziologia delle malattie cardiovascolari.

bibliografia

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