OBBLIGAZIONE

Enciclopedia Italiana (1935)

OBBLIGAZIONE

Giuseppe FURLANI
Ugo Enrico PAOLI
Emilio ALBERTARIO

. Diritti orientali. - I diritti paleorientali non fanno distinzione tra il contratto, ossia l'accordo della volontà delle parti, e le obbligazioni che ne derivano. In lingua accada si fa perciò uso del termine riksu o rikistu tanto per contratto quanto per obbligazione. Il termine deriva dal verbo rakāsu "legare", e significa veramente legamento, obbligazione. Si fa spesso uso della frase riksam o rikistam rakasu per significare "concludere un contratto". Gli Hittiti chiamavano in lingua indoeuropea hittita l'obbligazione e il contratto col termine corrispondente di ishkhiul, che significava parimente "legame, obbligazione" e "contratto". Questo termine essi adoperavano anche per designare i trattati internazionali e di diritto pubblico in genere. Siccome nell'Asia occidentale antica i contratti quasi sempre si facevano per scritto, iscrivendoli su una tavola d'argilla, il contratto e l'obbligazione vennero anche detti duppu "tavola", oppure kunukku "sigillo", per il fatto che l'impressione del sigillo era quella parte della tavola contrattuale che conferiva forza probatoria al documento.

La larga diffusione dell'uso della scrittura nell'Asia occidentale antica fece sì che ben presto tutte le obbligazioni sorsero da contratti redatti per scritto. Le leggi esigono cioè molto spesso per la conclusione dei contratti l'erezione d'un documento, d'una tavoletta iscritta con scrittura in caratteri cuneiformi, la quale deve contenere l'indicazione delle parti, dell'oggetto del contratto, delle prestazioni eventualmente già avvenute, della data e dei testimoni all'atto. Si facevano copie dei documenti, delle quali alcuna si depositava nei pubblici archivî. Spesso la tavola si chiudeva in una busta parimente d'argilla, sul cui lato esteriore si ripetevano in poche parole gli estremi dell'accordo. In caso di contestazione si spezzava l'involucro d'argilla e si prendeva visione della tavola contenutavi. I documenti erano redatti da scrivani pubblici, esperti delle leggi e periti nella scrittura cuneiforme. Questi davano lettura del documento alle parti, le quali a loro volta dichiaravano che il suo contenuto corrispondeva alla loro volontà.

In generale bisogna osservare che nell'Asia occidentale antica l'accordo della volontà delle parti per sé stesso non aveva grande forza obbligatoria, non era cioè in grado di obbligare strettamente e sicuramente le parti. Perciò si ricorreva ad alcuni mezzi atti a rendere obbligatorie le prestazioni. Questi mezzi erano la scrittura già menzionata, la quale, rendendo l'accordo pubblico e inalterabile, gli conferiva carattere vincolante; il giuramento, che connetteva l'accordo con la potenza divina o statale; la fideiussione, che ne raddoppiava, per così dire, l'obbligatorietà; e la stipulazione d'una pena per il caso di violazione del contratto. Nella Mesopotamia antica l'obbligazione derivava dunque, più che dall'accordo della volontà delle parti stesse, da questi quattro mezzi.

In Mesopotamia si conoscevano anche le obbligazioni astratte, che prescindevano da una causa concreta. Erano queste obbligazioni formali nel senso più assoluto della parola. In tempi già molto antichi in Babilonia la semplice scrittura aveva di per sé valore costitutivo nella creazione di obbligazioni. Perciò il documento poteva sostituire l'oggetto stesso nella consegna, cosicché il trasferimento della tavola implicava, a titolo d'esempio, l'alienazione della cosa, oppure la cessione del credito. Molto antichi erano in Babilonia i titoli al portatore. Questi portavano la clausola che il debitore avrebbe pagato il suo debito a qualsiasi presentatore del documento. Tali titoli si avevano anche nel diritto assiro-cappadocico dell'interno dell'Asia Minore, e perciò non saranno stati ignoti neppure in Assiria.

Si avevano inoltre obbligazioni solidali passive, il cosiddetto kirbu, secondo la terminologia babilonese. Spesso si combinava la solidarietà passiva con la fideiussione d'un socio: uno dei contraenti solidali pagava l'intero debito dopo che ciascuno degli altri si era rifiutato di pagare la sua quota. Le obbligazioni solidali attive erano invece rare.

Per le obbligazioni contratte si poteva prestare garanzia. Una garanzia importante era il giuramento delle parti. In questo s'invocavano o la divinità o il re della città in cui si concludeva il contratto. Altre garanzie erano costituite dal pegno e dalla fideiussione. Nel pegno mesopotamico suole passare al creditore non soltanto il possesso della cosa impegnata ma anche il suo godimento. In pegno si davano tanto campi quanto schiavi. Non era però ignota in Babilonia l'ipoteca, per la quale il debitore mantiene il possesso e quindi il godimento della cosa. La fideiussione si poteva prestare nelle compere, nei mutui, nelle locazioni di campi, buoi e opere. Essa soleva essere accompagnata da un atto simbolico che ne esprimeva il significato. Si diceva che il garante "teneva il capo" del debitore, che egli "era la sua mano" oppure che "alzava la mano" per lui. Il garante poteva far inserire la clausola di garanzia nel documento stesso dell'obbligazione garantita.

Si stipulavano varie pene e spesso molto gravi per il caso di inadempimento del contratto o della sua violazione in genere. Segnatamente in Assiria, nell'ultimo periodo della sua storia, tali pene raggiungono un grado alquanto esagerato di severità. La parte poteva dichiararsi pronta a sacrificare al dio il proprio figlio nel caso avesse agito in modo contrario al contratto o a pagargli una grossa ammenda oppure restituire ben dieci volte l'oggetto del contratto. Nelle leggi di Hammurabi la pena stabilita è del triplo del denaro prestato, del quintuplo o sestuplo delle merci consegnate.

I contratti più in uso erano il deposito, la compravendita, il mutuo, la locazione e conduzione, il mandato, la società. Il contratto tipico di tutto l'Oriente antico era però la compravendita. A questo si riconducevano più o meno tutti gli altri contratti: si dà e si riceve, e le due prestazioni devono essere equivalenti. Persino l'adozione il diritto babilonese concepisce secondo questo schema. Si aveva inoltre grande quantità di altri contratti che non possono ricondursi nettamente a questo o quello dei contratti menzionati.

Il deposito è detto massarūtum "custodia". Si conosceva tanto il deposito regolare quanto l'irregolare. Inoltre esiste una forma di deposito misto col mutuo. Gli oggetti della massarūtum sogliono essere oro, argento, frumento, schiavi, animali, arnesi. Per la conclusione di questo contratto sono necessarie la formazione d'una scrittura e l'esibizione degli oggetti depositandi a testimoni, se si vuole muovere causa nel caso che il depositario negasse il deposito, secondo le leggi di Hammurabi. Molto comune in Babilonia era il deposito di grano nei magazzini pubblici. Il depositario rispondeva anche del danno prodotto da terzi, e, se negava il deposito, era obbligato a pagare il doppio. Un articolo delle leggi di Hammurabi regola il contratto di trasporto: il vettore che nega la consegna da parte del mittente può essere condannato alla consegna del quintuplo.

Per la compravendita è necessaria una scrittura con l'intervento di testimoni. Nella scrittura devono essere indicati esattamente l'oggetto del contratto, specie quando si tratti d'immobili, la vendita avvenuta, il prezzo, il nome dei testimoni e la data. Alcune clausole cercano di prevenire le controversie circa la misura del campo. Gli oggetti di questo contratto sono di solito fondi, campi, orti, case, schiavi, animali, arnesi e così via. Si vendono anche cose future, e così pure uffici, segnatamente dei templi, e persino quote orarie di tali uffici sacerdotali. Il venditore trasmette al compratore il possesso fisico oppure soltanto simbolico della cosa. La compravendita si realizza subito, il prezzo è pagato cioè immediatamente, poiché la vera vendita a credito non si conosce che in epoca più recente. Anche a questo contratto le parti spesso aggiungono la clausola di rinunzia all'impugnazione. Il venditore garantisce il compratore per il caso di evizione; egli risponde inoltre dei difetti della cosa. Per gli schiavi il venditore risponde durante il termine d'un mese.

Oggetto principale del contratto di mutuo è il grano, poi il sesamo, i datteri, la lana, l'olio, i mattoni, il danaro. Il termine della restituzione varia secondo la natura dell'oggetto mutuato; per il grano vigeva di solito il tempo del raccolto. I prestiti di denaro o derrate si facevano da parte dei tamkarum (commercianti capitalisti) o dei templi. I mutui di questi ultimi erano spesso a titolo gratuito, quantunque questo contratto fosse di regola un negozio a titolo oneroso. Le leggi di Hammurabi fissano il tasso legale dell'interesse, diverso se si tratta d'un mutuo di grano o di denaro. Nei contratti il tasso dell'interesse va dal 51/2 al 25% per il denaro e dal 20 al 331/2% per il frumento. Il creditore che esige interessi in misura superiore a quelli stipulati o ai legali perde il capitale prestato.

Oggetto di locazione-conduzione sono terre, campi, case, magazzini e cose mobili. Spesso le terre sono incolte, e il conduttore assume l'obbligo di dissodarle e coltivarle. Il contratto di coltivazione si concludeva per un anno o per termini più lunghi. Il conduttore, in possesso del fondo, ne percepisce i frutti e ha l'obbligo di restituirlo alla scadenza del termine in buono stato. Se non semina il campo deve dare al proprietario il frumento nella misura data dal fondo vicino. Il canone, biltum, si paga in natura: grano, sesamo, datteri. Il danno è sempre del conduttore. Si conoscevano ancora i contratti di colonia parziaria, i quali somigliavano a quelli di società. Norme speciali vigevano per il contratto d'imboschimento. Un altro tipo di locazione concerneva l'allevamento del bestiame, il noleggio di buoi e asini, di operai, di battellieri, falegnami, cordai. Inoltre la legge regola le prestazioni degli architetti, dei costruttori, dei medici e dei veterinarî.

Per il contratto di mandato era necessaria la scrittura. I Babilonesi e Assiri conferivano il mandato segnatamente per le compere e vendite.

Le società commerciali erano molto diffuse nell'Asia occidentale, dove il traffico era esercitato quasi solo dalle carovane. Le leggi di Hammurabi dettano norme particolareggiate per la società commerciale tra il tamkarum e lo shamallu, che era il commissionario, in forza della quale il commerciante affida al secondo denaro o merci per la vendita.

Bibl.: Per la bibliografia del diritto babilonese e assiro in genere, v. babilonia e assiria, V, p. 773. Vanno consultate tra le pubblicazioni recenti segnatamente E. Cuq, Études sur le droit babylonien, les lois assyriennes et les lois hittites, Parigi 1929; G. Furlani, La civiltà babilonese e assira, Roma 1929, pp. 456-480; P. Koschaker, Neue keilschriftliche Rechtsurkunden aus der El-Amarna-Zeit, Lipsia 1928; id., über einige griechische Rechtsurkunden aus den östlichen Randgebieten des Hellenismus mit Beiträgen zum Eigentums- und Pfandbegriff nach griechischem und orientalischen Rechten, Lipsia 1931; W. Eilers, Gesellschaftsformen im altbabylonischen Recht, Lipsia 1931; E. Ebeling, Urkunden des Archivs von Assur aus mittelassyrischer Zeit, Lipsia 1933.

Diritto greco. - Nel diritto della Grecia classica manca la nozione astratta di obbligazione, e con la nozione naturalmente il nome. Per primo Aristotele, sforzando per necessità il valore della parola συνάλλαγμα (lett. "accordo"), ne estende il senso sino a comprendere rapporti obbligatorî non contrattuali. I συναλλάγματα son da lui classificati in ἑκούσια (posti in essere da un consenso) e in ἁκούσια (nei quali il vincolo obbligatorio sorge in seguito al fatto dell'obbligato, ma non alla sua diretta ed esplicita volontà di obbligarsi). I συναλλάγματα ἁκούσια, corrispondenti alle obligationes ex delicto dei Romani, sono poi distinti in λαϑραῖα (clandestini: p. es., furto, adulterio, veneficio, ecc.) e βίαια (violenti: p. es. maltrattamenti, rapina, ecc.), a seconda della categoria a cui appartiene il delitto per effetto del quale l'obbligazione sorge.

Fonti delle obbligazioni. - Nel diritto attico (l'unico sistema giuridico greco che le fonti permettano di ricostruire nei secoli VI e V) le obbligazioni nascono o da contratto, o da delitto, o da un fatto giuridico per diretta disposizione di legge.

La legge stabiliva: "ciò che le parti abbian consentito liberamente abbia piena efficacia" (Demosth., C. Dionysod., par. 2, p. 1283). Differentemente dal diritto romano, il contratto in diritto attico è una categoria, una nozione generale ed astratta suscettibile di ricevere il contenuto più vario. Forme speciali, ovvero la materiale tradizione della cosa, erano necessarie soltanto quando scopo del contratto fosse il porre in essere o il trasmettere un diritto reale (su questo punto la dottrina è fortemente controversa). Risulta dalle fonti che anche atti illeciti (p. es., prestazioni amorose da parte di adolescenti) potevano essere oggetto di contratto valido (μίσϑωσις): fra le sanzioni comminate dalla legge punitiva non vi era la nullità dell'atto. La capacità di contrattare è correlativa allo stato giuridico dei contraenti: l'impubere che non ha ancora assunto la qualità di πολίτης, l'ἄτιμος che ne è decaduto per pena, ecc., non possono contrattare; il meteco non può obbligarsi né obbligare se non nei limiti dei suoi diritti (non può quindi stipulare contratti concernenti immobili, né contratti matrimoniali con famiglia cittadina: v. meteci); il forestiero, se gode di ἔγκρησις (v. isopolitia) può contrattare immobili; il commerciante, anche se schiavo, può contrattare senz'alcuna limitazione nel campo dei rapporti commerciali. I contratti più comuni sono la compravendita (ὠνὴ πρᾶσις), la locazione-conduzione (μίσϑωσις), il mutuo (δανεισμός), il commodato (χρῆσις), il deposito (παρακαταϑήκη), il pegno (ἐνέχυρον, ὑποϑήκη), la malleveria (ἐγγύη), il mutuo attraverso deposito bancario (ἔκδοσις). Sul contratto matrimoniale ἐγγύησις, v. matrimonio. La grande importanza che ha il contratto come fonte d'obbligazione spiega l'uso eccezionale della parola che indica il contratto (συμβόλαιον, συνάλλαγμα) nel senso di "rapporto obbligatorio" o di "obbligazione".

È estranea ai Greci la nozione del quasi-contratto; mancano anche i presupposti teorici che sostengano quella concezione. Tuttavia, poiché nell'assenza di una precisa disposizione di legge i giudici eran tenuti a decidere le controversie secondo i principî dell'equità (γνώμῃ τῇ δικαιοτάτῃ), situazioni di fatto che in diritto romano e nel diritto moderno son regolate in base al riconoscimento dell'obbligazione quasi contrattuale potevano essere risolte in diritto attico su basi equitative.

Non pare che i Greci scorgessero l'identità di natura che l'obbligazione nascente da delitto ha, in quanto è obbligazione, con le obbligazioni nascenti da causa diversa. Il diritto attico nell'azione contro l'autore di un fatto illecito non distingue il lato patrimoniale dal lato penale, il risarcimento dalla punizione; avveniva cioè che la composizione pecuniaria, quand'era possibile, estingueva l'azione penale, anche pubblica (γραϕή); e, il che è più significativo, che l'irrogazione della pena, anche se non pecuniaria (la morte, l'esilio, ecc.), non lasciava sussistere obblighi di risarcimento verso l'offeso o la famiglia dell'offeso. Ciò è tanto più notevole in quanto le azioni penali più gravi, non potendo essere esperite che dagli offesi, assumono processualmente la figura di azioni private. Ripugnava ammettere nella stessa persona e rispetto allo stesso fatto una duplice responsabilità: civile e penale. Da questa primitiva concezione dell'azione contro il colpevole d'un delitto derivarono: l'identità formale del processo civile e del processo penale; l'inorganicità del diritto penale attico; l'incertezza della nozione di obbligazione nascente da delitto.

Le obbligazioni, nascenti da un fatto giuridico che non sia il contratto o il delitto sono molte; alcune, per la loro natura sostanziale e per l'importanza, non hanno riscontro nel diritto moderno. Ricordiamo l'obbligo degli alimenti dovuti dal figlio ai genitori inabili per vecchiaia; l'obbligo del marito di cedere la moglie e i beni di lei a chi le fosse più prossimo parente, quand'essa per la morte dei rappresentanti maschili della famiglia fosse divenuta erede (ἐπίκληρος).

Estinzione delle obbligazioni. - Tra i modi normali di estinzione si trovano menzionati: il pagamento, la datio in solutum, l'avverarsi della condizione risolutiva, la rinunzia, il decorso del tempo. Si deve ritenere che altri mezzi di estinzione potessero essere invocati in base alla consuetudine e all'equità, ancorché non stabiliti per legge. Si hanno, infatti, menzioni di obbligazioni estinte mediante compensazione e novazione. Vi sono poi modi di estinzione eccezionali. Uno di questi modi fu stabilito in diritto attico con l'amnistia del 403, con la quale si dichiararono estinte tutte le azioni penali e civili del periodo precedente. Mezzo ugualmente eccezionale e ritenuto rivoluzionario erano le κρεῶν ἀποκοπαί, il pubblico provvedimento che estingueva i debiti di qualsiasi specie, contro cui le città greche cercavano in vario modo di cautelarsi.

Esecuzione delle obbligazioni. - Il diritto attico consentiva al creditore l'uso di mezzi diretti (pignoramento, occupazione d'immobili) per ottenere l'adempimento degli obblighi altrui. L'insolvenza del debitore, trattandosi di debito incontestato e scaduto, autorizza l'impossessarsi dei beni del debitore per costringerlo a pagare. I due momenti che la dogmatica moderna distingue nell'obbligazione, il debito (Schuld) e la responsabilità (Haftung), nell'obbligazione greca si lasciano distinguere con maggior chiarezza che nell'obbligazione moderna. Va tuttavia osservato che, secondo una recente opinione (v. Bibl.), il potere che il creditore ha nell'età classica sui beni del debitore non è tale (tranne che nei rapporti commerciali) da condurre alla realizzazione del debito, ma solo da esercitare una pressione psicologica sul debitore affinché paghi.

Bibl.: L. Beauchet, Histoire du droit privé de la République athénienne, Parigi 1896, IV; J. H. Lipsius, Das attische Recht u. Rechtsverfahren, Lipsia 1905-1915, II, ii, p. 683 segg.; G. A. Petropoulos, ‛Ιστορία τοῦ ἑλληνικοῦ διχαίου, Atene 1934 (in Μεηάλη ἑλληνιχὴ ἐγκυκλοπαιδεία, I, cap. 5; v. particolarmente p. 18 segg.; utilissima la consultazione della ricca bibliografia sul diritto greco antico; pp. 131-137); J. Partsch, Griechisches Bürgerschaftsrecht, I, Lipsia-Berlino 1909. Su una recentissima teoria che considera l'ἀποτίμημα una datio in solutum vedi U. E. Paoli, Studi sul diritto attico, Firenze 1930, p. 141 segg.; id., La datio in solutum in diritto attico, in Studi italiani di filologia classica, n. s., X, iii (1933); La Pera, in Bull. ist. dir. rom., XLI (1933), p. 305 segg.

Diritto romano e moderno.

Premessa generale e definizione. - Il diritto delle obbligazioni è la parte più vitale del diritto romano ed è, anche, la parte del diritto meno legata a un dato ambiente storico: essa tende all'universalità. Anche quando differenze di civiltà, di costume, di economia, fra stato e stato e provincie dello stesso stato, e influenze feudali diversamente prepotenti, sconvolsero il regime romano della proprietà e della successione, il diritto delle obbligazioni continuò a risplendere nella sua rigida compattezza.

L'obbligazione si definisce "un rapporto giuridico, in forza del quale uno o più subbietti da un lato hanno diritto di esigere una data prestazione o, in difetto, una congrua soddisfazione patrimoniale, e uno o più subbietti dall'altro hanno il dovere di adempierla o di rispondere col proprio patrimonio per l'inadempimento". Questa definizione è ricalcata sulle definizioni che si trovano nelle fonti giustinianee: su quella (Inst., III, 13, de oblig., pr.) che dice l'obbligazione "iuris vinculum quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis iura", e sull'altra (Dig., XXXXIIII, 7, de oblig., 3, pr.) che ammonisce: "obligationum substantia non in eo consistit, ut aliquod corpus nostrum aut servitutem nostram faciat, sed ut alium nobis obstringat ad dandum aliquid vel faciendum vel praestandum".

Ma questo vinculum, prima di essere vinculum iuris, importava nell'antichissimo diritto romano un vero e proprio asservimento della persona, onde assumevano un significato realistico e vivo, e non già metaforico, le parole obligare, nectere, adstringere, che esprimevano il sorgere del vincolo; le parole solvere, liberare, che ne indicavano la cessazione. L'obbligazione importava dapprincipio una responsabilità che investiva la persona del reus; successivamente la persona che per il reus si faceva garante o fino al momento del pagamento della somma di riscatto dalla prigionia, se vi era debitum ex delicto, o fino al momento dell'adempimento della promessa, se vi era debitum ex contractu. Importava asservimento il furtum, che è un delictum, come il mutuum, che è un contractus. Un mutamento culminante nell'evoluzione della obbligazione è rappresentato dalla promulgazione della lex Poetelia del 326 a. C., la quale sostituì, come Livio (Hist., 8, 28) ci informa, all'asservimento personale l'asservimento patrimoniale per le obbligazioni contrattuali: "... ne quis, nisi qui noxam meruisset, donec poena lueret, in compedibus aut in nervo teneretur: pecuniae creditae bona debitoris non corpus obnoxium esse". Ma ancora lungo cammino occorse perché il delictum non producesse che l'obbligo al pagamento di una somma di denaro, cioè della composizione legale, equivalente al danno o a un multiplo del danno (non però oltre il quadruplum) senza asservimento personale, e il contractus non producesse che l'obbligo a un atto senza asservimento patrimoniale, in modo che il patrimonio restasse nella libera disponibilità del debitore prima dell'inadempimento, a meno che non fosse, con un rapporto accessorio ed esterno al rapporto obbligatorio fondamentale, vincolato a favore del creditore nella forma della fiducia e del pignus, prima; nella forma del pegno e dell'ipoteca, poi. Insomma, lungo tempo occorse perché l'obbligazione potesse definirsi così come la definiscono le fonti giustinianee. Sopravvivenza del regime antico è la noxae datio dei filiifamilias e dei servi per i delitti da loro commessi, perdurante per i primi nel diritto classico, per i secondi nel diritto giustinianeo: il paterfamilias o il dominus può evitare di pagare il suo debitum ex delicto consegnando, e costituendo per ciò nella condizione di obligatus, il filius o servus colpevole.

La struttura dell'antica obbligazione romana rivela come una cosa sia il debitum e un'altra l'obligatio: quando il paterfamilias contrae un mutuo, assume un debitum ed è pertanto il debitor, ma obligatus è colui (per solito una persona a lui sottoposta) che risponde fino al momento dell'adempimento. Similmente nell'appalto di pubblico servizio assunto dal manceps, debitore è il manceps (cioè l'appaltatore), ma obbligato è il praes, contro il quale si dirige l'azione in caso d'inadempimento; può quest'azione dirigersi anche contro il manceps, quando però si sia costituito praes di sé stesso. Non è questo un atteggiamento singolare dell'obbligazione romana, ma un atteggiamento che presenta l'obbligazione anche presso altri popoli nell'età più antica. Studiando l'antico diritto svedese e nordgermanico l'Amira ha osservato che, nello stesso rapporto obbligatorio, di fronte allo stesso creditore un elemento poteva stare in una persona, l'altro nell'altra: i due elementi sono il debito (Schuld) e la responsabilità (Haftung); il dover la prestazione e la garanzia di essa. L'Amira ricorda tra gli esempî tipici di questa separazione il caso del domino fondiario che, se non soddisfa i proprî debiti, fa sì che rispondano per lui col bando civile o ecclesiastico l'amministratore dei beni o l'affittuario. Lo Schupfer ha lumeggiato la scissione del doppio elemento del debito e della responsabilità nella wadiatio longobarda: in questo contratto il debitore con una promessa solenne dava in pegno la sua propria persona al creditore. Fenomeni analoghi furono studiati dal Puntschart nel diritto sassone medievale; dall'Egger, dal Hatzeltine, dal Rintelen, rispettivamente nel diritto franco, nel diritto inglese, nell'antico diritto olandese; dal Gierke, che ha particolarmente studiato tutti i diritti germanici dell'epoca franca: furono pure illustrati dal Koschaker e dal Partsch rispettivamente nel diritto assiro-babilonese e nell'antico diritto greco.

Ma in un dato momento della storia dell'obbligazione, e certamente a cominciare dall'età classica del diritto romano, i due elementi del debitum e della obligatio sono inseparabili nel concetto dell'obbligazione e confusi insieme, tanto che indifferentemente si scambiano. A torto, almeno secondo la dottrina dominante, non pochi scrittori protraggono nel tempo la possibilità della distinzione, e a torto cercano di spiegare alla luce di questa distinzione particolari tipi di obbligazione, quali l'obbligazione naturale (dove vi sarebbe un debitum senza obligatio), la solidale, l'alternativa.

Oggetto. - Secondo la concezione tradizionale per oggetto della obbligazione s'intende l'atto che il debitore deve compiere, consistente tanto in un'azione positiva quanto in una omissione, indicata col nome di prestazione. Si distinguono nelle fonti romane tre categorie di oggetti: dare, facere, praestare. Questa tripartizi0ne si rivela in certo modo artificiosa: il facere è di per sé così comprensivo da abbracciare qualunque atto: al più vi si dovrebbe ritenere non compreso il suo contrario, cioè il non facere; invece la distinzione è posta separando dall'ampio contenuto del facere due particolari specie che hanno una propria autonomia e importanza, il dare e il praestare, e lasciando al facere ogni ulteriore contenuto, compresa l'attività negativa, cioè il non facere. Soprattutto superflua sembra la terza categoria del praestare, che suscitò tante dispute appena sopite. Superflua essa realmente appare più tardi, non già nel diritto romano più antico, quando debitor e obligatus erano, o potevano essere, persone diverse: allora praestare (cioè stare praes "star garante") esprimeva l'elemento della garanzia e la posizione dell'obligatus.

La dottrina moderna, analizzando l'infinita varietà delle prestazioni, ha formato alcune classificazioni dommatiche, quale più quale meno importante: così distingue fra prestazioni positive e negative, fra prestazioni transeunti e permanenti o continuative, fra prestazioni semplici e complesse.

La prestazione deve riunire i seguenti requisiti: essere possibile, lecita, determinata o almeno determinabile, offrire un interesse (pecuniario, secondo l'opinione dominante) per il creditore. L'impossibilità può essere originaria o successiva; assoluta o relativa: quando Celso (Dig., L, 17, de div. reg., 185) afferma: impossibilium nulla obligatio, si riferisce naturalmente all'impossibilità originaria e alla impossibilità assoluta. L'impossibilità contemplata è poi tanto quella fisica quanto quella giuridica: soltanto nel diritto giustinianeo, o per il nuovo spirito d'umana pietà, o per l'empirismo invadente la nuova legislazione, si ammette la validità della vendita di res sacrae, quando ciò sia fatto pro redemptione captivorum; la vendita di res religiosae, quando queste siano modica loca inclusi nell'intero fondo venduto, e, pur negandosi in generale la vendita di res sacrae o religiosae o publicae, si concede, con una strana contraddizione, l'actio ex empto al compratore di buona fede per conseguire l'id quod interest ne deciperetur. Viva discussione, in materia di determinabilità della prestazione, hanno sollevato i testi che rimettono la determinazione della prestazione all'arbitrium boni viri d'una parte contraente. Si è sostenuto (E. Albertario) che il diritto romano classico negava questa possibilità, e che la diversa norma, passata nella legislazione moderna (ad es., articoli 835, 1718, 1173 cod. civ. it.; art. 1854 cod. civ. franc.; par. 315 del Burg. Gesetzbuch) abbia avuto origine soltanto nel diritto giustinianeo. Altri pensa che in taluni casi il diritto romano classico già si fosse posto per questa via. Dispute più accese sollevò la pecuniarietà dell'interesse del creditore alla prestazione: requisito affermato non necessario principalmente dal Windscheid e dal Jhering; requisito peraltro essenziale della prestazione in ogni tempo e luogo - benché qualche testo giustinianeo interpolato, ma sporadico, ne prescinda - se si vuole differenziare l'obbligazione dall'obbligo e resistere vittoriosamente alla dottrina (S. Perozzi) che identifica l'obbligazione col dovere giuridico corrispondente al diritto subiettivo.

Obbligazioni civili e onorarie. - È una distinzione che interessa solamente il diritto romano: civiles sono le obbligazioni stabilite dagli organi legislativi del popolo romano o create dalla libera interpretazione della giurisprudenza; honorariae o praetoriae quelle introdotte via via dal pretore. Questa distinzione, che campeggia come summa divisio nelle Istituzioni giustinianee, manca nelle Istituzioni gaiane, dove sarebbe più naturale invece trovarla, dato che la distinzione poteva avere importanza soltanto nel diritto classico. Se Gaio non distingue, ciò dipende dal fatto che i Romani rifuggivano dal chiamare obligatio un rapporto obbligatorio disciplinato dal diritto pretorio: qui propriamente vi era actio, ma non obligatio. Nel sistema giustinianeo le actiones pretorie, in cui vi era un teneri di una persona verso un'altra, configurano anch'esse altrettante obligationes; ma nel sistema giustinianeo peraltro la distinzione ha un valore meramente storico.

Obbligazioni civili e naturali. - Il concetto dell'obbligazione naturale, le concrete figure di obbligazioni naturali, gli effetti di queste obbligazioni, tutto è ancora oggetto di fervide dispute e nel diritto romano e nel diritto moderno. Per il diritto romano una recente dottrina (H. Siber, G. Pacchioni) ha sostenuto che nell'età classica la distinzione tra obbligazioni civili e naturali si risolverebbe nell'altra fra obbligazioni dello ius civile e obbligazioni dello ius gentium (detto anche ius naturale), le une e le altre munite di azione; e che nell'età giustinianea soltanto, quando dello ius naturale si concepisce come un diritto diverso dal diritto positivo, si chiamerebbero obbligazioni naturali le obbligazioni sfornite di azione, che per i Romani non sarebbero state obligationes, ma debita. Questa dottrina urta contro insuperabili ostacoli (specialmente contro Gaio, Inst., 3, 119 a). Più probabile è la dottrina del Perozzi (avente la sua base in una felice esegesi del Dig., XXXXVI,1, de fid. et mand., 16, 4 fatta dal Gradenwitz) che definisce obbligazione naturale nel diritto classico quella derivante da un negozio in cui come creditore o debitore interveniva uno schiavo, e obbligazione naturale nel diritto giustinianeo l'obbligazione sancita dalla natura in antitesi alla obbligazione sancita dal diritto e perciò anch'essa, come l'obligatio servi, sfornita di azione. Molto vicino al Perozzi è il Bonfante, il quale peraltro ritiene che già il diritto classico considerasse come obligationes naturales, oltre a quelle dei servi, anche quella del filiusfamilias con altro filiusfamilias o col proprio paterfamilias.

L'obligatio naturalis appare veramente, nell'età giustinianea, ricondotta allo ius naturale, inteso come ius semper aequum ac bonum e viene perciò rappresentata come vinculum aequitatis e contrapposta all'obligatio civilis, che è vinculum iuris. Anche gli effetti dell'obligatio naturalis si sono accresciuti nel diritto giustinianeo: alla soluti retentio e alla possibilità di garantire mediante fideiussione l'obligatio naturalis altri se ne sono aggiunti; particolarmente grave, e certamente d'origine giustinianea, è la norma che un'obbligazione naturale può essere opposta in compensazione a un'obbligazione civile.

Vi sono molti scrittori che negano sia sopravvissuta nel diritto civile italiano la figura dell'obbligazione naturale: pura reminiscenza sarebbe ciò che si legge ancora nell'articolo 1237 del codice civile (il solo che parli delle obbligazioni naturali): queste si identificherebbero con le obbligazioni morali o sociali aventi contenuto patrimoniale, ma sprovviste di carattere giuridico: unico effetto loro sarebbe la irrepetibilità del pagamento, e questo si spiegherebbe con ciò che il diritto non può proteggere l'atto immorale di chi voglia riprendere ciò che diede in adempimento d'un dovere di coscienza. Ma questa dottrina è contraddetta dall'esplicita disposizione dell'art. 1237 del codice civile e dalla tradizione storica: è vero soltanto che nel diritto l'importanza della obbligazione naturale è notevolmente scemata. Le obbligazioni naturali sono da considerare nel nostro ordinamento giuridico obblighi di carattere sociale, riconosciuti pur dal diritto, ma che il diritto non rende coattivi; elevati al disopra dei doveri di coscienza, in quanto il loro spontaneo adempimento non si considera come atto di liberalità ma come adempimento vero e proprio. Grave discussione nasce a proposito, anche, del modo col quale l'art. 1237 è formulato: "la ripetizione non è ammessa riguardo alle obbligazioni naturali che si sono volontariamente pagate". Come intendere la parola "volontariamente"? Quelli che la intendono nel senso di "scientemente" - e sono i più - riducono l'importanza della obbligazione naturale a così tenui proporzioni da poter dire che essa non ne ha alcuna. Ma sembra più esatta l'interpretazione di quelli che intendono "volontariamente" nel senso di "liberamente" e il precetto dell'art. 1237 cod. civ. nel senso d'una vera e propria deroga al principio della condictio indebiti.

Le figure più certe di obbligazione naturale nel diritto italiano sono quelle nascenti dal debito di giuoco non proibito o da scommessa e quella degl'interessi non convenuti in un debito per mutuo (articoli 1802 e 1804; art. 1830 cod. civ.). Tutti gli altri casi sono oggetto di viva discussione: e così:1. quello del debito prescritto; 2. quello dell'ingiusta assoluzione o della assoluzione per mancanza di prove; 3. quello del debito residuo dopo il concordato intervenuto fra i creditori e il fallito; 4. quello del fiduciario cui sia stato dal testatore affidato l'incarico di dichiarare la persona dell'erede o del legatario e di trasmettere loro i beni ereditarî; 5. quello della remunerazione dei servigi che sogliono essere compensati; 6. quello dell'obbligazione nulla per difetto di forma e altri ancora.

Così, oggetto di discussone non meno viva sono gli effetti dell'obbligazione naturale nei diritto moderno: mentre la maggioranza degli scrittori vede nella irrepetibilità del pagamento il solo effetto che possa riconnettersi all'obbligazione naturale, alcuni riconducono a questa quegli effetti che essa già aveva nel diritto giustinianeo.

Obbligazioni parziarie, solidali, cumulative. - Quando più debitori sono tenuti a una prestazione e quando più creditori hanno diritto di esigerla, si possono configurare tre ipotesi: taluno può essere obbligato, o avere diritto, a una sola parte della prestazione complessiva; oppure ciascuno cumulativamente può esser tenuto, o aver diritto, all'intera prestazione; oppure, finalmente, ciascuno può essere tenuto, o avere diritto, all'intera prestazione, non però cumulativamente ma elettivamente, cioè con elezione alternativa fra i varî subietti, in modo che il debito o il credito si estingue in una volta sola. Nel primo caso si ha l'obbligazione parziaria, nel secondo l'obbligazione cumulativa, nel terzo l'obbligazione solidale, cioè con pluralità di soggetti e con obietto identico e unico, nella quale un solo debitore paga e risponde per tutti, un solo creditore esige e si fa ragione per tutti.

Nel diritto romano classico, quando vi era obbligazione con più soggetti, la solidarietà era la regola; la parziarietà, l'eccezione: al contrario, nel diritto giustinianeo, la parziarietà diventa la regola e la solidarietà l'eccezione; cosicché più aderisce al regime classico l'art. 40 del cod. di comm. che stabilisce: "nelle obbligazioni commerciali i condebitori si presumono tenuti in solido, se non vi è convenzione contraria"; e più aderisce invece al regime giustinianeo l'art. 1188 del cod. civ., per il quale l'obbligazione in solido non si presume ma dev'essere stipulata espressamente.

L'obbligazione solidale classica escludeva il diritto di regresso, perché il debitore, pagando l'intero, adempieva un obbligo proprio. Però il debitore che pagava, poteva essere indennizzato con l'esperimento dell'azione nascente dal rapporto che legava i condebitori fra loro, e così con l'esperimento dell'actio pro socio, se fra i condebitori era costituito un rapporto di società; con l'actio familiae erciscundae, se i condebitori erano coeredi; con l'actio communi dividundo, se essi erano condomini; con l'actio mandati, se il debitore solidale non era che un garante, ecc.: principî di diritto singolare, cioè beneficia legis, soccorrono negli altri casi; cosl prineipalmente il beneficium cedendarum actionum, per cui il debitore che paga può, prima di estinguere l'obbligazione, chiedere la cessione dell'azione al creditore; e il beneficium divisionis, introdotto da Adriano a favore del fideiussore obbligato insieme con altri fideiussori. Nel diritto giustinianeo (come testi interpolati dimostrano) il beneficio del regresso è generalmente ammesso.

L'obbligazione solidale romana è estinta nella sua totalità, per tutti i soggetti, da quei fatti giuridici che toccano il suo elemento unico, cioè l'oggetto: così dal pagamento, dall'accettilazione, dalla novazione, dalla compensazione, dalla perdita o distruzione dell'oggetto per caso fortuito. Non è estinta se non relativamente a un dato soggetto per quei fatti giuridici che a quel soggetto si riferiscono (confusione, capitis deminutio, restitutio in integrum, transazione, prescrizione). Il pactum de non petendo e il giuramento hanno nel diritto giustinianeo efficacia generale o particolare a seconda che sono in rem o in personam. Causa di lunghe e astruse controversie, e causa dell'affermarsi di una distinzione fra obbligazioni correali e obbligazioni solidali, fu l'efficacia estintiva della litis contestatio, non uniformemente ammessa nei testi della compilazione giustinianea: mentre in una serie di testi è detto che la contestazione della lite in confronto di uno solo dei debitori solidali estingue l'obbligazione per tutti, in altri si nega questo effetto ed è espressamente dichiarato che solo il pagamento eseguito libera tutti i condebitori. Sennonché i testi che negano l'efficacia estintiva della litis contestatio furono interpolati per coordinarli con la riforma giustinianea che aboliva tale effetto (Cod., VIII, 40 41], de fid., 28, 2); gli altri, che ancora l'affermano, sono testi dimenticati dalla negligenza o dall'indifferenza dei compilatori giustinianei. Per questo la distinzione tra correalità e solidarietà, propugnata dal Ribbentrop e dal Keller e dominante per tutto il sec. XIX, perde la sua base: i due termini esprimono lo stesso concetto e lo stesso istituto.

La solidarietà romana, peraltro, si è trasformata entro il diritto giustinianeo nella mutua fideiussione del diritto greco (ἀλληλεγύη), codificata nella Nov. 99. E perciò il diritto di regresso, escluso dalla solidarietà romana, ma connaturale alla mutua fideiussione perché chi ha pagato l'intero è certo che ha pagato in parte come garante, fa il suo ingresso nella legislazione di Giustiniano. Inoltre, le cause subiettive di estinzione non lasciano sussistere l'obbligazione in solidum di fronte agli altri debitori a cui favore non agì la causa estintiva, ma hanno invece l'effetto di una estinzione parziaria. La solidarietà moderna deriva non tanto dalla solidarietà romana quanto, invece, dalla solidarietà di tipo giustinianeo, cioè dalla mutua fideiussione del diritto greco: così si spiega la definizione dell'obbligazione solidale contenuta nell'art. 1198 del codice civile italiano; così si spiega perché nella rimessione il creditore, che ha voluto liberare uno solo dei debitori, non può, rivolgendosi contro l'altro condebitore, ripetere il credito se non detratta la parte di colui al quale fu fatta la rimessione (art. 1281 e 1282 cod. civ.); così si spiega anche la regola sancita negli art. 1194 e 1297 comma 3° del cod. civ. relativamente all'estinzione parziale prodotta dalla confusione subiettiva, nonché la regola relativa all'esperimento dell'azione di regresso e alla ripartizione tra i varî condebitori della perdita cagionata dalla non solvenza di uno di essi (art. 1199 cod. civ.).

Obbligazioni alternative. - Le obbligazioni alternative sono una categoria speciale delle obbligazioni con oggetto non assolutamente determinato ma determinabile. In esse il debitore si obbliga a due o più prestazioni, ciascuna determinata, convenendosi peraltro che l'obbligazione sarà estinta se si adempirà una sola delle varie prestazioni, a scelta del debitore stesso o del creditore o di un terzo. L'obbligazione alternativa ha dato luogo a dispute concettuali sottili: secondo alcuni, è una sola obbligazione con due o più oggetti; secondo altri, è un'obbligazione plurima (tante obbligazioni quanti gli oggetti); secondo altri ancora, l'obbligazione alternativa rappresenta una serie di obbligazioni reciprocamente e inversamente condizionate. Nessuna di queste configurazioni resiste alla critica. Se nulla sia convenuto, la scelta dell'oggetto spetta al debitore, e ciò si spiega col principio generale che vuole favorita la libertà del debitore e limitata al minimo la sua obbligazione. Questa regola sembra turbata nel diritto romano in materia di legati, dove alcuni testi attribuiscono il diritto di scelta al legatario, che è il creditore. Il turbamento è solo apparente e la singolarità si spiega storicamente: si tratta di testi che riguardavano il legato per vindicationem, cioè legati di proprietà, non legati di credito. Se la scelta spetta a un terzo, si consuma col suo esercizio; se è attribuita a una delle parti, questa ha facoltà di mutarla, sempre quando dal titolo costitutivo dell'obbligazione non risulti essere stata intenzione delle parti che la scelta non si esercitasse più di una volta. Circa il limite estremo del ius variandi si dice che il debitore può esercitarlo fino al momento del pagamento; il creditore fino al momento della domanda giudiziale. La scelta attribuita al terzo non trapassa ai suoi eredi, perché al terzo personalmente si è avuto riguardo nel conferirgliela; se investito del diritto di scelta è il creditore o il debitore, deve ammettersi che la scelta trapassi agli eredi perché, come trapassa in loro il credito o il debito, così necessariamente trapassa anche quella facoltà che in ordine al credito o al debito spettava al defunto.

Il tema più importante è la distruzione o la deteriorazione di uno dei due oggetti. Il perimento dell'uno di essi concentra l'obbligazione nell'altro, cioè l'obbligazione alternativa diventa semplice: nel diritto giustinianeo (Dig., XXX, de leg. et fid., 47, 3 e XXXXVI, 3, de sol. et lib., 95,1) è per altro accordata al debitore (che abbia il diritto di scelta) la facoltà di liberarsi pagando il prezzo dell'oggetto perito, il che importa un solvere aliud pro alio. Questa facoltà è così grave che non è stata mantenuta nell'art. 1180 del cod. civ. Altra deviazione dai principî logici è quella che, sempre nel caso normale della scelta spettante al debitore, tiene responsabile con l'actio doli (Dig., XXXXVI, 3, de sol. et lib., 95,1) il debitore, quando il primo oggetto perisce per sua colpa e il secondo per caso: logicamente l'obbligazione dovrebbe considerarsi (e il diritto classico la considerava) estinta, perché, ridotta semplice col primo perimento che non faceva che privare il debitore della sua facoltà di scelta, il secondo perimento per caso fortuito non poteva indurre nel debitore alcuna responsabilità. La deviazione giustinianea ha lasciato, contrariamente all'altra, la sua traccia nell'ultimo capoverso dell'art. 1180 del codice civile.

Obbligazioni generiche. - Sono quelle in cui si deve scegliere in un genere l'oggetto da prestare. A rigore, il genere implica una categoria di oggetti indefinita: si può dubitare, pertanto, se i gruppi definiti, limitati, si debbano considerare come generi (uno degli schiavi dell'eredità di Tizio; uno dei cavalli della scuderia di Sempronio). Questa seconda categoria si avvicina molto alle obbligazioni alternative; tuttavia manca qui ciò che costituisce la caratteristica dell'obbligazione alternativa: che i singoli oggetti siano individualmente determinati e l'obbligazione sorga quindi per ciascuno di essi. Le obbligazioni generiche hanno grande analogia di struttura con le obbligazioni alternative. Ne differiscono perché, a differenza di quel che accade nelle obbligazioni alternative, l'impossibilità transitoria della prestazione non nuoce nelle obbligazioni generiche, come non nuoce nelle obbligazioni condizionali. Ciò deriva dalla circostanza che nelle obbligazioni alternative i singoli oggetti sono individualmente determinati e l'obbligazione è costituita per ciascuno di essi: nelle generiche al contrario, al momento della costituzione dell'obbligazione, questa non sorge per ciascuno degli oggetti in quanto nessuno è determinato individualmente. La divergenza più notevole dalle obbligazioni alternative concerne la deteriorazione e il perimento dell'oggetto: genus non perit; cioè il rischio e pericolo della cosa è, fino all'ultimo, a carico del debitore. Un problema interessante riguarda la qualità della specie che deve essere prestata. I testi romani genuini affermano che il debitore può estinguere l'obbligazione generica con quella specie che meglio gli aggrada, anche se essa è la peggiore di tutte (Dig., XXX, de leg. et fid., 45, 1 e 46; XXXXVI, 3, de sol. et lib., 72, 5, ecc.). La qualità può essere un carattere assunto nella definizione del genus: così triticum Africum bonum, vinum vetus, vinum Campanum vetus ecc.; ma, se non è espressamente assunta e non è sottintesa, vuol dire che per le parti in quel dato rapporto è irrilevante. Nel diritto giustinianeo (testi interpolati: Dig., XXX, de leg. et fid., 37 pr. e 110; XXXI,1, de aedil. ed., 19, 4, ecc.); l'obbligazione generica deve essere estinta con la prestazione di una specie di qualità media (mediae qualitatis o mediae aestimationis), per cui, se la scelta è del debitore, questi non può dare la pessima; se del creditore, questi non può pretendere l'ottima. La norma è trapassata nella nostra e in altre legislazioni (cod. civ. it. art. 870, 1248; cod. civ. franc., art. 1246; Bürgerl. Gesetzbuch, par. 243).

Obbligazioni divisibili e indivisibili. - L'obbligazione si dice divisibile quando la prestazione è di tal natura che si possa eseguire in parte senza alterarne l'essenza, cioè la sua funzione economico-sociale; è indivisibile nel caso contrario. Le obbligazioni, il cui oggetto consiste in un dare, sono di regola divisibili: così è divisibile l'obbligazione di concedere un diritto di proprietà, di usufrutto, di enfiteusi, di superficie, di pegno, di ipoteca. Quando invece il dare di un'obbligazione consiste nella costituzione di una servitù prediale o di un diritto di uso o di abitazione, l'obbligazione è indivisibile; e ciò si spiega data la natura speciale di questi diritti che non sono suscettibili neanche di una divisione intellettuale. Le obbligazioni, il cui oggetto consiste in un facere, sono, invece, di regola indivisibili, perché si tratta di un'attività che viene in considerazione unitariamente, sia che conduca, o non, come a suo scopo e risultato finale, a un opus. Tuttavia, anche rispetto a queste obbligazioni, sono divisibili quelle che hanno per oggetto la prestazione di opere fungibili (quae numero, pondere, mensura consistunt), perché si riguardano più come un insieme di opere che come un'opera unica. Indivisibili sono tutte le obbligazioni il cui oggetto consiste in non facere, per l'ovvia ragione che non s'intende un non fare a metà: per poco che il debitore violi il divieto, tutta l'obbligazione è per intero e immediatamente inadempiuta.

La distinzione fra obbligazioni divisibili e indivisibili ha importanza soprattutto quando si abbiano più creditori o più debitori di uno stesso oggetto; però, anche quando si abbia un solo debitore o un solo creditore, la divisibilità o indivisibilità dell'oggetto non è priva d'interesse, in quanto che col consenso del creditore, l'obbligazione, che per sé dovrebbe eseguirsi tutta in una volta e integralmente, può venire parzialmente estinta e il creditore può acconciarsi a riceverla a rate.

L'obbligazione indivisibile era dai Romani trattata come un'obbligazione in solidum (come emerge da due testi fondamentali: Dig., XXXXV, i, de verb. obl., 2, 2; XXXV, 2, ad leg. Falc., 80,1): nel diritto giustinianeo, invece, il regime della solidarietà applicato all'obbligazione indivisibile è turbato da alcuni principî speciali, che sono i seguenti:1. nel caso di più debitori, diritto di pretendere dal creditore il prezzo di stima per le parti dei condebitori (testo interpolato: Dig., XXXV, 2, ad leg.. Falc., 80,1); 2. sempre nel caso di più debitori, diritto di chiedere una proroga al creditore per rivolgersi contro i condebitori (testo interpolato: Dig., XXXII, de leg. et fid., 11, 23-24): 3. ove si abbiano più creditori, diritto del debitore che paga di chiedere cauzione al creditore, a cui paga, per essere garantito contro gli altri creditori (testi interpolati: Dig., XVI, 3, dep. v. contr.,1, 36 e 14 pr.; XXXXVI, 3, de sol. et lib., 81,1); 4. riduzione dell'obbligazione indivisibile a divisibile quando per inadempimento si trasforma nell'obbligazione di risarcimento del danno (testi interpolati: Dig., X, 2, fam. ercisc., 25, 9; XXXXV,1, de verb. obl., 72 pr.). Sottoposta nell'età giustinianea a queste regole nuove, l'obbligazione indivisibile classica è quasi irriconoscibile.

La riforma giustinianea del regime di queste obbligazioni ha lasciato tracce nell'obbligazione indivisibile quale è regolata dal cod. civ. italiano. La facoltà, accordata al debitore convenuto per il pagamento, di chiedere una proroga è riconosciuta nell'art. 1208; la facoltà di chiedere una cauzione a quello dei creditori che esige il pagamento è tenuta ferma dall'art. 1207; la divisibilità dell'obbligazione diretta al risarcimento del danno, conseguente all'inadempimento dell'obbligazione indivisibile, è da ritenersi sottintesa. Inoltre, se un creditore ha rimesso il debito, il creditore che esiste l'intero oggetto non può ottenerlo se non addebitandosi la porzione di quello (art. 1207, comma 2°).

Nella dottrina civilistica moderna si distingue dall'indivisibilità per natura l'indivisibilità subiettiva che si ha quando, essendo la prestazione oggettivamente divisibile, i contraenti l'abbiano tuttavia, per il modo con cui l'hanno considerata, trattata come indivisibile (art. 1202) e l'indivisibilità posta per ragioni di utilità dalla legge, regolata nell'art. 1205 (1. quando sia dovuto un corpo determinato; 2. quando uno solo degli eredi sia in forza del titolo incaricato dell'adempimento dell'obbligazione). Il terzo caso fatto in questo articolo ha costituito sempre un rompicapo per gl'interpreti, che non vollero vedere com'esso rientri nell'indivisibilità subiettiva contemplata già nell'art. 1202.

Fonti delle obbligazioni. - Secondo una dottrina che risale al Jhering, e presso di noi è sostenuta particolarmente dal Bonfante e dal Perozzi, fonte unica, in origine, dell'obbligazione è il delitto. Obligatus, vinctus è il reo che è in balia dell'offeso e in ogni modo esposto alla vendetta di questo. L'obbligazione derivante da contratto avrebbe origine più recente e la responsabilità ex contractu si sarebbe modellata sulla responsabilità ex delicto come si era atteggiata nella fase della composizione pecuniaria, prima variabile e facoltativa (composizione volontaria), poi fissa e obbligatoria (composizione legale), versata quale prezzo di riscatto dalla vendetta.

L'evoluzione è del tutto opposta secondo il Betti. Di un'obbligazione che nasce direttamente dal delitto si può parlare soltanto, econdo questo romanista, quando la composizione è resa obbligatoria da legge, non prima; anteriormente, in quanto essa è una alternativa posta in facoltà del reo, la composizione pecuniaria è un contractus e il delitto è soltanto causa del contrahere obligationem. In origine, quindi, unica fonte sarebbe il contratto; l'obbligazione più antica sarebbe sorta attraverso la consegna di un terzo in ostaggio a garanzia di un evento futuro, cioè in pagamento della somma di riscatto: una tale consegna sarebbe stata recetta dal diritto internazionale primitivo. Dalla consegna del garante a fondamento della promessa si sarebbe poi giunti al contratto attraverso l'autogaranzia, con l'ammettere che l'obligatus restando sciolto promettesse senz'altro per sé medesimo. Da ultimo il Luzzatto riafferma la priorità del delitto che obbliga; in quanto sulla responsabilità, che ne nasce per il reo, si sarebbe modellata la dazione del garante costituente il fondamento dell'obbligazione contrattuale primitiva. Presupposto della concezione del Luzzatto è che obligatio, contractus, delictum non possono concepirsi all'infuori d'un diritto della civitas o di altra comunità che sia riconosciuta vincolante per l'offensore e per l'offeso o per entrambi i contraenti. La condizione di obligatus sarebbe da riconoscere in quella esposizione alla consegna, in piaculum del delitto commesso, che si richiama a una concezione religiosa propria di Roma e che costituisce la conseguenza unica per ogni delitto, esplicandosi nella consecratio (consegna alla divinità. per i delitti contro questa e lo stato), o nella noxae deditio (consegna all'offeso per i delitti contro i privati). È una tale responsabilità col proprio corpo che costituisce la conseguenza fondamentale del reato. La composizione pecuniaria non sarebbe che il riscatto o la sostituzione dell'offensore attraverso pecus e poi aes rude; la vendetta non sarebbe che l'unico mezzo di esecuzione che dallo stato viene rimesso all'iniziativa del gruppo legalmente costretto a solidalizzare con l'offeso nell' impotenza d' intervenire esso direttamente nella repressione. Da una tale impotenza dello stato deriva anche che la coazione per l'adempimento di una promessa, quando non si consideri senz'altro l'inadempimento sub specie delicti, può essere costituita unicamente dalla dazione di un consegnatario: dazione che trova un proprio modello nella responsabilità personale più antica del reo. La responsabilità personale del debitore-reo costituisce, quindi, per il Luzzatto il paradigma unico attraverso il quale sarebbe avvenuto il passaggio dal delitto al contratto, attraverso la dazione in garanzia di un terzo.

Il giureconsulto Gaio nelle sue Istituzioni (3, 88) dice "omnis obligatio vel ex contractu nascitur vel ex delicto"; in un frammento conservato nel Digesto (XXXXIV, 7, de obl. et act.,1, pr.) di altra sua opera (res cottidianae) direbbe che "obligationes aut ex contractu nascuntur aut ex maleficio aut proprio quodam iure ex variis causarum figuris". Essendo sinonimi maleficium e delictum, la differenza fra le due classificazioni consiste in ciò che nella seconda accanto al contractus e al delictum si collocano variae causarum figurae; le quali poi si bipartiscono nella classificazione presentataci nelle Istituzioni giustinianee (III, 13, de obl., 2), per modo che l'originaria bipartizione gaiana si trasforma in una quadripartizione: sequens divisio in quattuor species diducitur: aut enim ex contractu sunt aut quasi ex contractu aut ex maleficio aut quasi ex maleficio". Quadripartizione che, più nettamente, i Bizantini formulano così: συνάλλαγμα e ὡσανεὶ συνάλλαγμα, ἁμάρτημα e ὡσανεὶ ἁμαρτημα. Essa, peraltro, non esaurisce tutte le possibili fonti, perché accanto alle quattro ricordate sono pur da collocare le dichiarazioni unilaterali di volontà da cui nasce obbligazione e che sono tecnicamente indicate col nome di votum e di pollicitatio ed è da collocare la lex per quelle obbligazioni che non sono riconducibili né al contractus né al delictum, né al quasi contractus né al quasi delictum, né al votum o alla pollicitatio. L'articolo 1097 del nostro cod. civ., dicendo che "le obbligazioni derivano dalla legge, da contratto o quasi contratto, da delitto o quasi delitto", non si scosta dal sistema giustinianeo: sopprime soltanto la dichiarazione unilaterale di volontà, sull'efficacia della quale peraltro come fonte di obbligazione nel nostro diritto fu ed è ancora vivace la disputa.

Nelle singole voci (contratto; delitto; pollicitazione; quasi contratto; quasi delitto; voto) è definita e illustrata ciascuna di queste fonti delle obbligazioni: qui importa soprattutto accennare che, secondo una opinione largamente seguita, la bipartizione gaiana (contractus-delictum) si trasformò nella quadripartizione giustinianea e moderna (contratto, quasi contratto; delitto, quasi delitto) in seguito all'alterarsi del concetto di contractus e di delictum. Quando del contractus divenne elemento essenziale la conventio, si staccarono dai contractus, per formare i quasi contractus, quei negozî in cui la conventio manca; quando del delictum divenne elemento essenziale il dolus, si staccarono dal delictum e divennero quasi delicta gli atti illeciti in cui il dolo non c'è. La quadripartizione così formulata si ritiene da non pochi romanisti elaborata dalle scuole postclassiche dell'Oriente (essa, presente nelle Istituzioni giustinianee e nella parafrasi teofilina, manca nell'epitome occidentale di Gaio); e le espressioni quasi contractus, quasi delictum sono così artificiose che, nonostante qualche alta voce sorta anche recentemente a loro difesa (V. Scialoja), furono abbandonate dalle più moderne legislazioni e, colpite da fiera critica, non furono conservate nel progetto italo-francese delle obbligazioni e dei contratti.

Estinzione delle obbligazioni. - Causa di estinzione delle obbligazioni è qualunque fatto giuridico per cui cessa il rapporto obbligatorio coi diritti e gli obblighi che ne derivano. Le cause di estinzione si distinguono in cause che operano ipso iure e in cause che operano ope exceptionis: le prime annullano veramente e per sempre l'obbligazione con tutti i rapporti accessorî eventualmente dipendenti. Le seconde non fanno che attribuire un diritto d'impugnativa per eliminare il rapporto obbligatorio; ma di questo diritto, che di regola è accordato o si fa valere soltanto in via di exceptio contro il creditore che intenta la sua azione, il soggetto cui compete può non usare o anche volontariamente rinunciarvi: l'obbligazione non è estinta finché non è opposta l'eccezione e può sopravvivere rispetto ad altri obbligati, come possono sopravvivere le obbligazioni accessorie e le garanzie.

Cause di estinzione ipso iure sono nel diritto romano la solutio (il pagamento), la datio in solutum, la novazione, l'accettilazione, la confusione, l'impossibilità sopravveniente della prestazione e, nel diritto giustinianeo, la compensazione. Le cause di estinzione, che operano ope exceptionis, sono numerosissime: merita di essere ricordato particolarmente il pactum de non petendo. I modi di estinzione dell'obbligazione moderna sono nell'art. 1236 del cod. civ. italiano elencati nel modo seguente: pagamento, novazione, rimessione del debito, compensazione, confusione, perdita della cosa dovuta, annullamento e rescissione, effetto della condizione risolutiva, prescrizione. La trattazione dei varî modi di estinzione delle obbligazioni è fatta sotto le singole voci (v. specialmente le voci: accettilazione; compensazione; confusione; novazione; pagamento: rimessione del debito; prescrizione).

Garanzie delle obbligazioni. - Nell'antico diritto romano la garanzia delle obbligazioni era, come abbiamo veduto, elemento necessario e interno del rapporto obbligatorio: sia che si trattasse di garanzia fornita dalla persona stessa dell'obligatus per il debitum, sia che si trattasse, dopo la lex Poetelia, di garanzia fornita dai bona (patrimonio) del debitore. Successivamente la garanzia diventò qualcosa di eventuale e di esterno; ed è garanzia generica quella costituita dal patrimonio del debitore nel senso che questi è tenuto ad adempiere le obbligazioni contratte con tutti i suoi beni presenti e futuri (cfr. per il diritto italiano l'art. 1948 del cod. civ.) e garanzia più propriamente detta quella che si ha o mediante la costituzione di nuova obbligazione, accessoria rispetto a quella già costituita (obbligazione principale) o mediante le cosiddette garanzie reali.

Le garanzie obbligatorie possono derivare, dallo stesso debitore (caparra o arrha confirmatoria, clausala penale; giuramento promissorio, costituto di debito proprio). Per la caparra o arrha confirmatoria v. arra; caparra. La clausola penale è la promessa di una prestazione, in genere di una somma di denaro, per il caso di inadempimento della obbligazione assunta: nel diritto romano non costituisce un contratto per sé riconosciuto e occorre quindi la forma della stipulazione (onde il nome di stipulatio poenae; sempre, s'intense, basta il nudo patto ove si aggiunga a un negozio di buona fede); nel diritto italiano è regolata nell'art. 1209 e segg. del cod. civ. Il giuramento è modo di garantire le obbligazioni già assunte, nel diritto romano, nel diritto intermedio e nel diritto canonico. Per un rescritto di Alessandro Severo l'obbligazione del minore rinforzata dal giuramento fa sì che questi perda il diritto di invocare la restitutio in integrum. Si disputava nella scuola dei glossatori se l'obbligazione del minore dovesse essere valida, o no. Bulgaio lo affermava, e lo negava invece il suo oppositore Martino: questa negazione, peraltro, certamente non conforme al diritto romano, riuscì a trionfare. Una costituzione di Federico I rese validi gli atti di alienazione impugnabili, quando fossero rafforzati da giuramento, e il diritto canonico estese questa sanzione a tutti gli atti nulli, purché non contenessero alcunché di illecito. Il costituto di debito proprio è nel diritto romano un patto munito di azione dal pretore (actio de constituta pecunia), per il quale alcuno si obbliga di pagare ciò che deve a causa di un preesistente rapporto obbligatorio, secondo nuove modalità di tempo, di luogo od altro. Esso può rendere civile anche un'obbligazione naturale: riconosciuto nel diritto classico soltanto quando avesse per oggetto cose fungibili (pecunia), nel diritto giustinianeo fu riconosciuto per qualunque oggetto.

Le garanzie obbligatorie che derivano da un terzo prendono nel diritto romano la denominazione generale d'intercessione e l'intercessione può essere di più maniere: o il terzo assume l'obbligazione liberando il debitore, e si ha allora l'intercessione privativa o intervenzione; o il terzo si obbliga insieme col debitore, e si ha allora l'intercessione cumulativa. Questa può essere a sua volta di due specie: o il terzo si obbliga in linea uguale al debitore principale, e allora si ha obbligazione in solidum costituita a scopo d'intercessione; o il terzo si obbliga in via sussidiaria, e questa è propriamente intercessione. Nel diritto giustinianeo questa obbligazione sussidiaria assume le tre forme seguenti: la fideiussione, il costituto di debito altrui, e il cosiddetto mandato qualificato. Le intercessioni delle donne vennero nell'età imperiale proibite dal senatoconsulto Velleiano (anno 46 d. C.), sulla base del quale si concesse alla donna intercedente la exceptio senatusconsulti Velleiani.

Per la fideiussione v. sotto questa voce. Il costituto di debito altrui è un semplice patto riconosciuto dal pretore, per cui alcuno promette di adempiere una obbligazione altrui, esistente quando si conchiude il costituto. Differisce dalla fideiussione, in quanto è scevro di forme e la prestazione può essere diversa non solo nelle modalità ma nell'oggetto. Il mandato qualificato (o mandato di credito) risulta dall'incarico dato ad alcuno di prestare una somma di denaro o una quantità di cose fungibili a un terzo, per la restituzione della quale il mandante resta, in base al mandato, mallevadore. Si può contrarre anche tra assenti e per un'obbligazione futura. Mentre la fideiussione, pur potendo precedere l'obbligazione principale, di solito vi accede, il mandato di credito precede sempre l'operazione di credito, la quale è appunto posta in essere per l'incarico ricevuto e accettato dall'accreditatario. Quindi, a meno che l'accreditante non si sia espressamente obbligato a titolo di fideiussione, sarà tenuto quale mandante verso l'accreditatario non in via accessoria, ma principale; non avrà il beneficio dell'escussione (art. 1752 cod. civ.) e, se più furono gli accreditanti, saranno tenuti in solidum né avranno il beneficio della divisione (art. 1756).

Le garanzie reali dell'obbligazione sono quelle in cui è concesso al creditore di ritenere o, in una fase più evoluta, di vendere un oggetto quando non sia soddisfatto dell'obbligazione. Esse presentano svolgimento assai vario e ricchezza straordinaria di forme e di applicazione.

In generale, tutte le volte che è concesso a tutela del proprio credito un diritto di ritenzione di cosa altrui o un'immissione nel possesso delle stesse (ius retentionis, missio in possessionem), si ha vera e propria garanzia reale. Nel diritto romano le forme tipiche di garanzia reale erano, a prescindere dalla praediatura che appartiene piuttosto al diritto pubblico, la fiducia e il pignus: quest'ultimo, sia con trasferimento di possesso (pignus datum), sia senza questo trasferimento (pignus obligatum). Nell'età postclassica il pignus obligatum è chiamato hypotheca. Il nostro cod. civ. nell'art. 1949 pone 1a regola che "i beni del debitore sono la garanzia comune dei suoi creditori, e questi vi hanno tutti un uguale diritto quando fra essi non vi sono cause legittime di prelazione". Causa legittima di prelazione è, oltre il pegno e l'ipoteca, anche il privilegio.

Per la storia e il dogma delle varie garanzie reali dell'obbligazione V. le voci anticresi; ipoteca; pegno; prediatura; privilegio; ritenzione.

Bibl.: Opere generali. Per il diritto romano: C. F. Savigny, Das Obligationenrecht, Berlino 1851-53 (trad. it. di G. Pacchioni, con appendici, voll. 2, Torino 1912-15); J. Ph. Molitor, Cours de droit romain, I e II: Les obligations en droit romain avec l'indication des rapports entre la législ. rom. et le droit franç., 2a ed., Gand 1867; G. Hartmann, Die Obligation. Untersuchungen über ihren Zweck und Bau, Erlangen 1875; N. De Crescenzio e C. Ferrini, Obbligazione, in Enciclopedia giuridica italiana, Milano 1899; S. Perozzi, Le obbligazioni romane, Bologna 1903; C. Fadda, Teoria generale delle obbligazioni, a cura di S. Cugio e G. Cugusi, Napoli 1908; G. Brini, L'obbligazione in diritto romano, Bologna 1905; P. Bonfante, Le obbligazioni, Corso di dir. rom. a cura di A. Cettuzzi e C. del Corno, Pavia 1907; e successive edizioni a cura di P. G. Giani ed E. Marazzi, Pavia 1907; a cura di S. Marracino, Roma 1919; a cura di G. Vescovini, Roma 1920; A. Marchi, Storia e concetto dell'obbligazione romana, Roma 1912; R. de Ruggiero, Le obbligazioni. Corso di lezioni di dir. rom., Napoli 1921, 1922, 1925 e 1926; E. Albertario, Le obbligazioni, in Corso di dir. rom., Milano 1931. Per la storia del diritto: F. Schupfer, Le obbligazioni nella storia del diritto italiano, voll. 3, Torino 1921. Per il diritto germanico e austriaco: C. F. Koch, Das Recht der Forderungen nach gemeinem und nach preuss. Rechte, Berlino 1859-60; V. Hasenöhrl, Das österreichische Obligationenrecht, Vienna 1878-1886; H. Dernburg, Die Schuldverhältnisse, Halle 1899; R. Saleilles, Théorie générale de l'obligation d'après le projet du C. civ. allem., 2a ed., Parigi 1901. Per il diritto francese: R.-J. Pothier, Traité des contrats et obligations en général, a cura di A. Molitor, nuova ed., Lovanio 1827-29; G. Baudry-Lacantinerie e L. Barde, Delle obbligazioni, I (trad. it. di P. Bonfante), Milano 1907; C. Crome, Teorie fondamentali delle obbligazioni nel diritto francese (trad. it. di A. Ascoli e F. Cammeo), Milano 1908; R. Demogue, Traité des obligations en général, voll. 5, Parigi 1923-25. Per il diritto svizzero: A. Martin, Le code des obbligations, Ginevra 1919. Per il diritto italiano: G. Giorgi, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno, 7ª ed., Firenze 1907-11; G. Lomonaco, Delle obblig. e dei contratti in genere (in P. Fiore, Dispos. gen. sulle... leggi), 2ª ed., a cura di F. Degni, Napoli 1912-15; V. Polacco, Le obblig. nel dir. civ. italiano, 2a ed., Roma 1914-15; F. Filomusi, Delle obblig., parte generale, Roma 1920; G. Pacchioni, Tratt. delle obbligazioni, Introd., Torino 1927.

Sulla definizione v.: S. Perozzi, Le obbligazioni romane, Bologna 1903; A. Marchi, Le definizioni romane dell'obbligazione, in Bull. ist. dir. rom., 1912; E. Albertario, Le definizioni dell'obbligazione romana, in Studi in onore di F. Ramorino, Milano 1927. Sull'analisi dei due elementi di obligatio e debitum v. A. Brinz, Der Begriff obligatio, in Zeitschrif. priv. u. öff. Recht I (1874), p. 11 segg.; id., Obligation u. Haftung, in Arch. f. civ. Praxis, LXX (1886), p. 371 segg.; O. Gierke, Schuld u. Haftung im älteren deutschen Recht, Breslavia 1910; E. Strohal, Schuldübernahme, in Jherings Jarbücher, LVII, p. 231 segg.; id., schuldpflicht u Haftung, in Festschrift f. Binding, Monaco e Lipsia 1914; O. Schreiber, Schuld u. Haftung als Begriffe d. privatr. Dogmatik, Lipsia 1914; G. Cornil, Debitum et obligatio, in Mél. Girard, I, Parigi 1912, p. 189; G. Pacchioni, Appendice alla trad. it. delle obbligaz. del Savigny, I, p. 517 segg. e altrove. La ricca lett. tedesca sull'argomento è stata illustrata e vagliata in numerosi studî da C. Gangi, raccolti ora in Scritti giuridici vari, I, Padova 1933. Una fiera critica della dottrina è in S. Perozzi, La distinz. fra debito e obblig., in Riv. dir. comm., I (1917), p. 748 segg.

Sull'oggetto dell'obbligazione v.: E. Albertario, Le obbligazioni, Corso di dir. rom., Milano 1931; E. Rabel, Origine de la régle impossibilium nulla obligatio, in Mélanges Gérardin, Parigi 1907; V. Scialoja, in Bull. ist. dir. rom., II (1889), p. 178 segg.; E. Albertario, l'arbitrium boni viri del debitore nella determinazione della prestazione, Milano 1924; id., La nullità dell'obbligazione per indeterminatezza della prestazione, in Riv. dir. comm., 1925, I, p. 15 segg.; id., L'arbitrium boni viri nell'onerato di un fedecommesso, in Studi dedicati alla memoria di P. P. Zanzucchi, Milano 1927; B. Windscheid, Pandekten, 9ª ed., Francoforte s. M. 1906, II, par. 252; R. Jhering, in Gesammelte Aufsätze, Jena 1881-86; R. Helwig, über die Grenzen der Verträgsmöglichkeit, in Arch. f. die civ. Praxis, n. s., XXXVI (1896), p. 223 segg.; id., Die Verträge auf Leistung an Dritte, Lipsia 1889; J. Kohler, Obligationsinteresse, in Arch. f. bürg. Recht, XII (1899), p. 1 segg.; L. Coviello, in Filangieri, XXII (1897), p. 664 segg.; G. Pacchioni, Appendice prima alla trad. di F. Savigny, Le obbligazioni, Torino 1915, II, p. 305 segg., dove può vedersi la restante bibliografia.

Sulle obblig. civili e onorarie v. specie S. Perozzi, Le obblig. romane, Bologna 1903; V. Arangio-Ruiz, Le genti e la città, Messina 1914; E. Albertario, La cosiddetta "honoraria oblig.", in Rend. Ist. lomb., s. 2a, LIX (1926), pp. 549-563; G. Segrè, Obligatio, obligare, ecc., in Studi in onore di P. Bonfante, Milano 1930.

Sulle obbligazioni civili e naturali v. Weber, Systematische Entwicklung der Lehre von der natürlichen Verbindlicheit, 5ª ed., 1825; H. A. Schwanert, Die Naturalobligationen des röm. Rechts, Gottinga 1861; V. Simoncelli, Le prsenti difficoltà della scienza del diritto civile, 1890; P. Bonfante, in varî scritti raccolti in Scritti giuridici, III, Torino 1921, p. i segg.; C. Gangi, Le obbligazioni naturali, in Riv. dir. comm., I (1917), p. 497 segg.; H. Siber, Naturails obligatio, Lipsia 1925; G. Pacchioni, in Riv. dir. civ., 1926, p. 39 segg.; S. Perozzi, Ist. di dir. rom., 2a ed., Roma 1928, II, p. 33 segg.; id., Interpretazione di Gaio, III, 119a, in Studi in onore di P. Bonfante, Milano 1930, I, p. 79 segg.; E. Albertario, in Arch. giur., 1929.

Sulle obbligazioni parziarie, solidali, cumulative, v. F. L. Keller, Über Litiscontestation u. Urteil, Zurigo 1827; G. J. Ribbentrop, Zur Lehre von der Correalobligationen, Gottinga 1831; A. Brinz, Zur Lehre von der Correalobligationen u. den Schuldverhältnissen, Erlangen 1863; P. Melucci, Delle obbligazioni solidali secondo il diritto italiano moderno, Milano 1884; A. Ascoli, Sulle obbligazioni solidali, in Studi e doc. di st. e di dir., XI (1890), e in Bull. ist. dir. rom., IV, p. 287 segg.; F. Eisele, Correalität u. Solidarität, in Arch. f. die civ. Praxis, LXXVII (1891), p. 374 segg.; J. Binder, Die Correalobligationen im römischen u. heut. Recht, Lipsia 1899; P. Bonfante, Le obbligazioni, Pavia 1912, specialmente p. 111 e segg.; id., Solidarietà o mutua fideiussione?, in Studi in onore di G. P. Chironi, I, p. 595 segg. (anche in Scritti, IV, Roma 1925, p. 568); id., Il concetto unitario della solidarietà, in Riv. dir. comm., I (1916), p. 685 segg. (anche in Scritti, III, Torino 1921, p. 209 segg.).

Sulle obbligazioni alternative v. Bernstein, Die alternative Obligation in röm. u. mod. Recht, in Zeitschr. f. vergl. Rechtswissenschaft, II, p. 272 segg.; G. Pescatore, Die sogenannte alterantive Obligation, Marburgo 1880; id., Wahlschuldverhältnisse, Monaco 1905; V. Scialoja, Tribonianismi in materia di obbligazioni alternative e generiche, in Bull. ist. dir. rom., XI, p. 61 segg.; M. Allara, La prestazione in luogo di adempimento, Palermo 1927, p. 125 segg.; I. Marani, Toro, Natura ed effetti delle obbligazioni alternative, in Riv. dir. civ., XXIV (1932), p. 1 segg.

Sulle obbligazioni generiche v. W. Berndorff, Die Gottungsschuld, Berlino 1900; F. Vassalli, Delle obbligazioni di genere in diritto romano, in Studi senesi, XXVI (1909); id., Nuove osservazioni sulle obbligazioni alternative e generiche, in Miscellanea critica di dir. rom., III, Roma 1917, p. 5 segg.; E. Albertario, La qualità della specie delle obbligazioni giuridiche, in Riv. dir. comm., 1925.

Sulle obbligazioni divisibili e indivisibili, oltre l'opera rimasta celebre del Molineo, Estricatio labyrinthi dividui et individui, v. A. Ubbelohde, Die Lehre von den untheilbaren Obligationen, Hannover 1862; F. Bianchi, I principii della indivisibilità, Siena 1881; C. Arnò, Le obbligazioni divisibili e indivisibili, Modena 1901; A. Ascoli, Codice civile annotato, ub. art. 1203 segg.; P. Bonfante, La solidarietà classica delle obbligazioni indivisibili, in Arch. giur., 1921, p. 144 segg., id.; in Scritti giuridici, IV, Roma 1925; A. Guarneri Citati, Studi sulle obbligazioni indivisibili nel dir. rom., Palermo 1921; E. Albertario, Elementi romano-classici ed elementi romano-giustinianei nel nostro diritto delle obbligazioni, in Studi in onore di C. Vivante, I, Roma 1931.

Sulle fonti delle obbligazioni v. S. Perozzi, Le obbligazioni romane, Bologna 1903; id., Dalle obbligazioni da delitto alle obbligazioni da contratto, in Memorie Acc. Bologna, 1915-16; P. Bonfante, Le obbligazioni, Corso di dir. rom., Roma 1918-19; E. Betti, La struttura dell'obbligazione romana e il problema della sua genesi, Camerino 1919; F. de Visscher, Les origines de l'obligation ex delicto, in Études de droit romain, p. 255 segg., Parigi 1931; E. Albertario, Le fonti delle obbligazioni e la genesi dell'art. 1097 del codice civile, in Riv. dir. comm., 1923; E. Betti, Le fonti dell'obbligazione romana, in Arch. giur., 1925, p. 309 segg.; E. Albertario, Ancora sulle fonti dell'obbligazione romana, in Rend. Ist. lomb., s. 2ª, LIX (1926), pp. 409-450; G. Segrè,Obligatio, obligare ecc., in Studi in onore di P. Bonfante, III, Milano 1930, p. 499 segg.; G. I. Luzzatto, Per un'ipotesi sulle origini e la natura delle obbligazioni romane, Milano 1934, e bibl. ivi richiamata.

Sull'estinzione e sulle garanzie delle obbligazioni v. la bibliografia citata sotto le singole voci rigaurdanti le singole cause di estinzione e le singole forme di garanzia.

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