MALASPINA, Obizzo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 67 (2006)

MALASPINA, Obizzo

Marco Bicchierai

Primo di questo nome, figlio di Alberto iniziatore del casato Malaspina con la scissione in diversi rami dal ceppo marchionale degli Obertenghi; appare nei documenti come marchese dal 1132: la sua nascita è quindi da collocarsi nel primo decennio del XII secolo.

Il M. portava un nome ricorrente nella linea agnatizia (sebbene nella forma del doppio nome Oberto-Obizzo) e dal padre ereditò il titolo marchionale, un'ampia serie di territori e castelli collocati in prevalenza nelle alte valli del Taro, del Trebbia e dello Staffora - area preziosa di passaggio fra Liguria e pianura padana - e in Lunigiana, e una presenza fra l'alta nobiltà italiana.

Per la sua posizione politica, il suo potere signorile, la collocazione dei suoi territori, il M. veniva a inserirsi in uno scacchiere dove gravitavano non solo l'imperatore e altri grandi casati signorili, ma anche città come Genova, Tortona, Piacenza, Parma, Lucca e Pisa. La sua azione politico-militare fu quindi volta a mantenere e rafforzare il potere, giostrando le sue alleanze fra Impero e città e dovendo nel contempo subire da queste ultime vincoli e patti di sottomissione. Se quindi nel 1132, in forza della loro alleanza con Genova, il M. e il fratello Guglielmo ricevevano da quella città parte dei domini dei conti di Lavagna da essa sconfitti, già nel 1141 erano costretti a riconoscere il controllo da parte di Piacenza sull'alta Val di Taro fino allo spartiacque appenninico e a patteggiare con la città. I marchesi non solo cedevano al Comune di Piacenza il castello di Compiano e si ponevano in soggezione feudale alla città, ma si impegnavano a difendere i Piacentini, in particolare garantendo loro il libero passaggio per il percorso della Val di Trebbia, e ad accettare la loro moneta.

Nel 1143 Piacenza ottenne anche il castello di Carana a rafforzare la sua penetrazione anche verso la Val di Trebbia, e nel 1145 per la pressione della città padana il M. fu costretto a rifondere i danni a un abate di Cluny taglieggiato mentre, diretto a Roma, aveva attraversato i suoi territori. Nei confronti di Genova l'accordo del 1132 fra il M. e suo fratello Guglielmo da un lato e il Comune genovese dall'altro, che si presentava come un patto di alleanza contro i conti di Lavagna, di fatto poneva anche i Malaspina in posizione subordinata, li obbligava ad avere delle abitazioni dentro la città, delineava chiaramente l'ambizione di Genova a espandere il proprio controllo sull'area della Riviera di Levante restringendo il potere dei marchesi nella sola area appenninica. Nel 1145 un secondo accordo fra Genova e i due fratelli Malaspina formalizzò più chiaramente i rapporti: i marchesi giurarono di porsi come cittadini (compreso l'obbligo di abitazione) e di fornire aiuto militare al Comune di Genova nel territorio compreso fra Montignoso, Savona, Parodi, Gavi e Montalto, infine di garantire la sicurezza ai Genovesi e ai loro beni in tutto il territorio soggetto alla loro signoria; in cambio mantennero sotto la loro giurisdizione i loro vassalli genovesi. Sul versante padano, molto probabilmente come gran parte della nobiltà lombarda, il M. si presentò alla Dieta di Roncaglia convocata dall'imperatore Federico I sceso in Italia nel 1154; nei primi mesi del 1155, tuttavia, con uomini reclutati nei suoi possessi, ma anche in qualità di comandante di milizie milanesi, difese Tortona assediata dall'imperatore (contro la quale erano schierati anche Pavia e il marchese di Monferrato, Guglielmo V). Una scelta che forse più che da logiche di alta politica era dettata dal diretto interesse del M. nel Tortonese e dal suo rapporto privilegiato con la città. Dopo due mesi di assedio e una difesa valorosa Tortona cadde, ma il M. non dovette comunque pagarne le conseguenze, se non - secondo un malevolo ma credibile aneddoto riportato da Ottone di Frisinga - per aver perso, liberato dalle truppe imperiali, un mercante greco che aveva catturato e dal quale si aspettava di ricavare un consistente riscatto. Di lì a poco, anzi, il M. passò dalla parte imperiale: già nel 1157 le sue truppe, insieme con i Pavesi e con gli uomini del marchese Guglielmo di Monferrato, difesero Vigevano dall'esercito milanese.

Negli anni seguenti il suo legame politico e feudale con l'imperatore fu molto probabilmente rafforzato da frequenti periodi di presenza alla sua corte-esercito itinerante: nel 1159 era, infatti, a Marengo come testimone a un placito dell'imperatore; nel 1160 forniva uomini per la guardia imperiale di Pavia; nel 1161 era testimone a una convenzione di Federico I con Pisa; nel 1162 presenziava a un accordo tra l'imperatore e i Genovesi, che in parte lo riguardava perché con esso Genova aveva ottenuto dall'imperatore la garanzia di una non ostilità del M. verso i suoi domini sulla Riviera di Levante. Il 29 sett. 1164 l'imperatore ricompensò la fedeltà e il servizio militare del M. con un diploma nel quale venivano elencati corti e castelli a lui soggetti e gli si rinnovava formalmente l'investitura feudale dei diritti pubblici su tali territori.

Il diploma, come gli altri concessi in quei giorni ad alcuni fra i più autorevoli signori feudali italiani, molto probabilmente puntava a rafforzarne il potere omologando possessi e castelli effettivamente controllati ad altri su cui il controllo era minore. Vi si trovano beni in Lavagna e nella valle di Sestri, oltre che in Genova stessa; in Lunigiana, fra cui Tresana, Groppofosco (Fornoli), Malnido (Villafranca), Mulazzano, Casola; in Val di Taro (fra cui Ena, Filetto, Degalito, Compiano, Bedagna, Petra Rubea, Meleto, Montolio); in Val di Trebbia (fra cui Monte Croce, Zerbana, Oneto, Petra Corva); in Val di Staffora (fra cui Oramala, Petra, Subbiano, Pizzocorno, Pozzol Groppo, Varzi, Celle di Varzi, Bagnara, Fortunago, Godiasco, Montalfeo). Risultano inoltre beni nel comitato e città di Tortona e in quello di Milano.

Il quadro dei possessi era comunque fluido: pressioni cittadine, erosioni dei diritti signorili da parte di enti religiosi, comunità e vassalli erano aspetti costantemente presenti. Non a caso solo pochi anni dopo tale concessione imperiale, nell'ottobre del 1168, il M. dovette cedere il prezioso castello di Pizzocorno in Val di Staffora al monastero di S. Alberto di Butrio e stipulare un nuovo patto con Genova dovuto ai contrasti, sfociati anche in scontro armato, per il controllo del piviere di Cicagna e del castello di Monleone. Oltre al rinnovo delle clausole precedenti - compreso l'impegno per il M. e il figlio Moroello a servire militarmente Genova in caso di guerra con almeno 15 cavalieri e 100 arcieri -, il patto prevedeva l'impegno del M. e di Moroello a salvaguardare nelle persone e nei beni tutti i viaggiatori diretti o provenienti da Genova che attraversassero i loro territori.

Nel 1165 il M. insieme con il marchese Guglielmo di Monferrato, al quale spesso fu affiancato in una sorta di alleanza-rivalità, sostenne la città filoimperiale di Pisa in lotta contro Genova; tuttavia nel suo diretto interesse e nel rispetto degli accordi con Genova inviò nello stesso anno il figlio Moroello con alcuni uomini dei Malaspina ad aiutare Portovenere nel respingere un tentativo di sbarco degli stessi Pisani. Nell'agosto del 1167 il M. si mostrò nuovamente un vassallo fedele e un aiuto prezioso per Federico I. L'imperatore era stato costretto a risalire l'Italia da Roma con un esercito decimato dalle pestilenze e con l'urgenza che gli veniva dal serrarsi contro di lui, costretto in una situazione di debolezza, della coalizione di Comuni cittadini che sarebbe divenuta la Lega lombarda. Le ridotte truppe imperiali trovarono il passaggio dell'Appennino ostacolato dalle milizie cittadine di Parma e Piacenza e furono osteggiate anche da parte del Comune di Pontremoli; il M. fornì viveri e uomini, quindi guidò e scortò l'imperatore attraverso l'Appennino fino a Pavia.

Secondo una non molto benevola annalistica, guidando Federico I per i passi della Lunigiana, il M. gli avrebbe illustrato che nei territori che attraversavano, privi di risorse, bisognava vivere di rapina. Questo aneddoto in ogni caso testimonia la fama di taglieggiatori che gravava sui Malaspina e che molto probabilmente doveva in buona parte essere fondata.

Pochi mesi dopo, tuttavia, la strategia politica del M. sia per i rapporti stretti volente o nolente con alcune città - soprattutto Parma e Piacenza - sia per calcolo o ambizione personale sia per ragioni di difesa dei suoi territori, ora che l'imperatore si era ritirato in Germania, lo portò a porsi come alleato della stessa Lega lombarda. Già nel dicembre il M. chiedeva formalmente di entrare a far parte della Lombardorum societas e il 3 maggio 1168 era presente a Lodi al giuramento dell'alleanza. Appena entrato nell'alleanza insieme con i Piacentini e i Parmensi favorì il rientro dei profughi tortonesi nella loro città. Nel settembre 1172 il M., nell'obiettivo volto a preservare il controllo di un'area costiera e a recuperare terreno contro l'espansione genovese - e molto probabilmente anche su sollecitazione di Pisa - si alleò con i conti di Lavagna, i signori da Passano e quelli da Cogorno e alcuni signori della Lunigiana contro il Comune di Genova. Lo sforzo degli alleati contro la città fu notevole; riuscirono infatti a mobilitare oltre 250 cavalieri e più di 3000 fanti. Il M. occupò il borgo di Chiavari, mentre il figlio Moroello occupava il monte di Sestri e gli altri signori prendevano Rivarola. Quando Genova poté mettere in campo il proprio esercito, con l'appoggio anche del marchese di Monferrato e dei signori di Gavi e di Ponzone, il M. e i suoi ripiegarono presso il castello di Petra Tincta sui monti del Bracco. L'estate successiva i Genovesi costruirono il nuovo castello di Villafranca presso Moneglia e nell'ottobre, dopo aver respinto un attacco del M. su Monleone, espugnarono il castello di Passano. Il 24 marzo 1174 fu stipulata la pace che sanciva nuovamente il prevalere di Genova. I Malaspina dovevano consentire la distruzione dei loro castelli di Lerici, Petra Tincta con il suo borgo, Figarolo e cedevano a Genova anche ogni diritto sul poggio dove sorgeva il castello di Lerici. Inoltre ai Malaspina veniva vietato di incastellare o fortificare in tutta la fascia costiera prospiciente la Lunigiana, i monti del Bracco e l'area a occidente di questi fino alla Val Bisagno e alla riva dello Scrivia. La loro presenza politico-militare sulla costa e a occidente del Bracco era definitivamente cancellata.

Sul versante padano quegli anni furono caratterizzati dal tentativo del M. e dei suoi figli di ostacolare o almeno rallentare l'espansione del Comune di Piacenza in Val di Trebbia e in Val di Staffora. Nel 1166 Moroello era riuscito con l'aiuto dei Parmensi a occupare provvisoriamente Borgotaro, ma nel 1170 e nel 1173 i Piacentini avevano distrutto i castelli di Pietra Parcellara e Preducca. Con il ritorno di Federico I in Italia, nel 1174, il M. fu probabilmente coinvolto nelle operazioni militari della Lega lombarda e forse partecipò alla difesa della nuova città di Alessandria contro l'esercito imperiale. Nel 1177, dopo la sconfitta di Federico I a Legnano del 1176, fu presente come alleato della Lega all'incontro promosso a Venezia e nel 1183 a Piacenza giurò e sottoscrisse i patti e le convenzioni di pace fra l'imperatore e la Lega. Nella pace, solennizzata successivamente a Costanza, uno specifico articolo riguardava l'accordo fra Federico I e il M. con il perdono da parte dell'imperatore di offese e tradimenti.

L'inserimento nella Lega lombarda non risparmiò comunque i marchesi Malaspina dall'espansione cittadina verso le valli appenniniche: nel 1184, insieme con il figlio Obizzo, il M. fu addirittura costretto a dare in custodia ai Piacentini il castello di Oramala, uno dei più importanti della famiglia e residenza fra le preferite dal M. e dai figli, in attesa di arrivare a patti con la città riguardo ai centri di Bismantova e Carpineto. Nel 1185, in un'altra riunione tenuta proprio a Piacenza, il M. rinnovò la sua alleanza con la Lega lombarda. Di poco successiva fu la sua morte, avvenuta nel dicembre del 1186.

Il M. ebbe tre figli: Obizzo (Obizzone) e Moroello sicuramente dalla moglie Maria, appartenente alla casata dei signori di Vezzano, mentre un terzo figlio, Alberto, molto più giovane dei primi due, potrebbe essere nato da un secondo matrimonio, rimasto ignoto.

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