INDIANO, OCEANO

Enciclopedia Italiana (1933)

INDIANO, OCEANO (A. T., 84-85)

Giuseppe COLOSI
Roberto ALMAGIA

OCEANO Contorni e dimensioni. - Col nome di Indiano (ὁ 'Ινδικός ὡκεανός, Agathem., II, 14; più anticamente ἡ νοτία ϑάλασσα, cioè il mare del Sud, Herod., IV, 379) i Greci indicavano gli spazî marini esistenti a S. dell'Asia, dei quali almeno fin dal sec. VI a. C. conobbero le due dipendenze settentrionali, dette oggi Mar Rosso e Golfo Persico. Più tardi, specialmente a partire dal secolo II a. C., anche l'oceano vero e proprio fu conosciuto e orientali dell'Africa e fra questa e l'India, ma la configurazione generale del bacino oceanico rimase ignota: per quanto dai più si ritenesse in comunicazione con l'Atlantico a S. dell'Africa, non mancarono, per l'opposto, autorevoli geografi, come Tolomeo, che lo ritennero un bacino interamente chiuso a S. da un'ignota terra australe, distesa continuativamente dall'Africa all'Asia. Più larghe conoscenze dell'Oceano Indiano ebbero gli Arabi; esso poi fu percorso largamente, a partire dalla fine del sec. XIII, anche da viaggiatori occidentali (Marco Polo, Niccolò de' Conti, ecc.), ma la sua sponda occidentale (africana) fu compiutamente conosciuta solo dopo la spedizione di Vasco da Gama, quella nordorientale, formata dagli arcipelaghi australasiatici, solo nella prima metà del sec. XVI. In quest'epoca si venne delineando anche la conoscenza del suo contorno orientale, ma dapprima in modo errato, perché l'Australia venne per molto tempo ritenuta parte di un'ignota, estesissima Terra Australis. Oggi si sa che una massa continentale di più modeste dimensioni, i cui contorni si vengono di giorno in giorno meglio riconoscendo, forma in realtà la sponda meridionale dell'Oceano Indiano.

Questo, che è il più piccolo dei tre oceani, occupa un'area di circa 74.917.000 kmq. e differisce dagli altri due perché interamente chiuso a nord dalla massa dell'Asia, mentre a sud-ovest comunica con l'Oceano Atlantico su una larghezza di quasi 4000 km. (tra l'estremo sud dell'Africa e l'Antartide) e a sud-est comunica con il Pacifico su una larghezza di almeno 2400 km. (Tasmania-Arcip. di Balleny). La sua estensione da ovest a est sotto l'Equatore è di circa 6100 km.; tra la cuspide meridionale dell'Africa e l'Australia è di circa 8000. In senso meridiano tra le coste asiatiche e l'Antartide non intercedono meno di 10.000 km.

Dei tre oceani, l'Indiano è il meno articolato; come mari dipendenti si possono considerare solo il Mar Rosso, il Golfo Persico e il Mare delle Andamane (nell'insieme appena il 2% dell'area), mentre il Mare Arabico e il Golfo del Bengala sono appendici dell'oceano vero e proprio.

La parte occidentale dell'oceano è assai ricca di arcipelaghi d vario carattere e origine; l'orientale e la meridionale, assai poco frequentate, ne sono poverissime.

Storia della conoscenza. - La storia della conoscenza delle condizioni batimetriche e fisiche dell'Oceano Indiano si apre con le grandi spedizioni del Challenger (1873-74) e della Valdivia (1874-75); seguono quelle dell'Elizabeth (1877), della Luisa (1879), dell'Enterprise (1884-85) e di numerose navi posacavi (specialmente inglesi: Recorder, ecc.). La prima spedizione dedicata principalmente allo studio dell'Oceano Indiano fu quella della tedesca Valdivia (1898-99), i cui risultati, importantissimi, consentirono la pubblicazione (1902) d'una carta batimetrica, che, sostituendosi alle precedenti, molto sommarie (Krümmel 1881; Deutsche Seewarte 1892), dava per la prima volta un'idea generale della morfologia subacquea. Un'altra grande spedizione che ebbe per campo l'Oceano Indiano fu quella, pure tedesca, della Planet (1906-07); alla conoscenza delle parti meridionali contribuirono le campagne antartiche, da quella della tedesca Gauss (1901-03) alle recenti inglesi, australiane e norvegesi (Norvegia dal 1928 in poi). Il lavoro delle navi posacavi continuò incessante, con lunghe linee di sondaggi e risultati molto cospicui; dal principio del secolo XX esplorazioni idrografiche sistematiche vennero effettuando gli Olandesi specialmente nei paraggi dell'Indonesia; interrotte dalla guerra, esse sono state riprese dopo il 1920 soprattutto mediante sottomarini particolarmente attrezzati per la esecuzione di scandagli acustici e d'indagini fisiche. La Germania è tornata dal canto suo a contribuire alla conoscenza dell'Oceano Indiano con la campagna dell'Emden (1928-29).

Caratteristiche batimetriche e morfologiche. - Sotto questo aspetto l'Oceano Indiano può essere anzitutto diviso in due parti da una intumescenza, coperta da meno di 4000 m. d'acqua, che, in continuazione dell'India, sostiene la platea Maldive-Chagos (Dorsale delle Chagos) e, interrotta a S. del 25° lat., riappare poi nel ripiano su cui sorgono S. Paolo e Nuova Amsterdam, e, ancor meglio definita, nella Dorsale delle Kerguelen, che si raccorda a sua volta alla Terra di Gauss (Antartide). La parte a O. di questa lunga intumescenza è la meno estesa, ma la più accidentata, e, per quanto risulta dalle attuali conoscenze, si può dividere almeno in quattro bacini: a) a N., tra la dorsale delle Chagos e la costa africana s'interpone un vasto bacino, con fondali assai irregolari e profondità massime intorno a 5300-5400 m.; ne è un'appendice il Mare Arabico (v.); b) a S. delle Seicelle e a oriente di Madagascar si apre una specie di mare interno, tra la grande isola e la dorsale Amirante-Seicelle-Banchi Saya de Malha e Nazareth-Mascarene, che s'inabissa sotto i 5300 m. in alcune buche isolate; c) a S. e a SE. di Madagascar si stende l'irregolare Bacino Indiano, che raggiunge la massima profondità nella Fossa delle Kerguelen (5540 m.) a NO. del gruppo omonimo; il bacino è chiuso a S. dalla dorsale Principe Eduardo-Crozet; d) a S. di questa dorsale, tra essa e l'Antartide, si stende un altro bacino, aperto verso l'Atlantico (Bacino Indo-atlantico-antartico), del quale le maggiori profondità sinora note superano i 5700 m. (Fossa Valdivia, 5733). L'Oceano Indiano orientale a latitudini meridionali presenta il fondo foggiato come un altipiano, il cui margine occidentale è formato dal già ricordato rialto S. Paolo-Kerguelen, e che a oriente si estende fino a riunirsi alla platea sulla quale sorgono le isole Macquarie e la Tasmania. Questo altipiano (Altipiano delle Kerguelen) è coperto da meno di 4000 m. d'acqua, mentre a S., fra esso e l'Antartide, le profondità scendono di nuovo verso i 5000 m.; e a NE. fra quello e l'Australia si apre un bacino (Bacino Sudaustraliano) profondo fino a 5630 m. (Fossa Jeffreys). Quanto alla parte nordorientale dell'Oceano Indiano (fra la dorsale delle Chagos, l'Australia e le Isole della Sonda), essa è una delle aree più profonde e anche più tormentate dell'Oceano. Al centro, il Bacino Indoaustraliano ha alcune buche con profondità superiori a 6000 m. (la più profonda è la Fossa Wharton, 6459 m., a 18° 6′ lat. S. e 101° 54′ long. E.) e una di esse si trova anche a SE. di Ceylon (6435 m.); del resto le profondità diminuiscono abbastanza regolarmente verso il Golfo del Bengala. Verso le Isole della Sonda invece il fondo sottomarino si fa più irregolare; una lunga e stretta fossa, che si sviluppa parallelamente alle isole Mentavei e alla costa di Giava (Fossa della Sonda) raggiunge, a 250 km. appena da quest'ultima, la profondità di 7000 m., la massima scandagliata.

La composizione del fondo dell'Oceano Indiano è nota finora soltanto nelle linee generali. I depositi terrigeni vi occupano un'area assai notevole (forse il 20%) ricoprendo quasi interamente il fondo del Mare Arabico e quello del Golfo del Bengala, tutto il Canale di Mozambico e la regione a N. di Madagascar, le platee che sostengono i maggiori arcipelaghi, la corona circostante all'Antartide, ecc. In quest'ultima s'incontrano specialmente materiali lasciati cadere dai ghiacci in fusione, altrove spesso sabbie di origine corallina; ma in massima parte si ha a che fare con argille di vario colore molto mescolate. Tra i materiali d'origine pelagica, il più diffuso è il fango a globigerine (circa 43% dell'area); esso prevale assolutamente in tutta la parte occidentale dell'oceano (all'incirca a NO. d' una linea congiungente l'estremità meridionale di Madagascar con le isole Mentavei), ma sembra predominare anche in tutto il resto dell'oceano a latitudini extratropicali (a S. del 35°-38° parallelo), senza peraltro arrivare alle alte latitudini australi, dove è sostituito dal fango a diatomee. Tra l'Equatore e il Tropico del Capricorno, in tutta la parte orientale dell'Oceano, più profonda e più tormentata, prevale l'argilla rossa, che a SO. dell'Australia s'incontra fino a 40° S.; essa poi si ritrova anche altrove, p. es. nelle aree profonde a SE. di Madagascar, tra la Somalia e la punta meridionale dell'India, ecc., sempre a grandi profondità. Nel Bacino Indoaustraliano, intorno alle isole Cocos e del Natale e tra le Cocos e l'Australia, tale argilla rossa appare molto mescolata con resti organici, specialmente di radiolarî; questo materiale siliceo arriva talora fino a costituire il 40% dell'argilla (fango a radiolari).

L'origine dell'Oceano Indiano. - Fra le terre che delimitano a nord l'Oceano Indiano esistono notevoli analogie strutturali: la struttura a tavolati predomina, infatti, così in Africa come a Madagascar, nell'Arabia, nella parte peninsulare dell'India e nell'Australia; e in tutti questi casi si è in presenza di zolle molto antiche, non corrugate da pieghe montuose, ma piuttosto interessate da fratture che accennano a movimenti verticali. Altre analogie sussistono nella flora e nella fauna, soprattutto fra l'India e Madagascar, che hanno in comune anche famiglie e generi di habitat spiccatamente terrestre. Molti geologi inclinano a spiegare queste analogie supponendo che nell'era paleozoica un' enorme massa continentale occupasse la parte maggiore dell'attuale Oceano Indiano, congiungendo l'Africa, attraverso Madagascar, all'Arabia, all'India, all'Australia (forse anche all'Antartide); secondo alcuni, anzi, questo continente meridionale (Contin. di Gondwana) si sarebbe esteso, attraverso l'Atlantico meridionale, fino a includere i tavolati dell'America del Sud. Con limitate perdite per sommersione di alcuni lembi marginali, esso sarebbe persistito per tutta l'era paleozoica e ancor nei primi periodi della mesozoica. Nel Giurassico si sarebbe iniziata la scissione, isolandosi forse innanzi tutto l'Australia; nel Cretacico si completava anche l'isolamento dell'Africa, mentre fra Madagascar e l'India sarebbe rimasto, secondo alcuni, un qualche collegamento almeno fino al Paleogene. Queste vedute sulla genesi dell'Oceano Indiano potrebbero, in linea generale, essere conciliate anche con l'ipotesi di Wegener, secondo la quale dalla originaria Pangea, ancor raccolta in un'uniea massa al principio dell'era mesozoica, si sarebbero distaccati successivi blocchi marginali, allontanatisi poi in lentissima deriva. Dapprima si sarebbe staccato, spostandosi verso sud, un blocco antartico-australiano; più tardi l'India si sarebbe a poco a poco scissa e allontanata dall'Africa orientale, come, lungo la frattura Mar Rosso-Golfo di Aden, si sarebbe staccata l'Arabia; anche il blocco antartico-australiano si sarebbe successivamente diviso in due. Tutte queste ricostruzioni hanno carattere ipotetico; con qualche approssimazione i contorni dell'Oceano Indiano si possono determinare soltanto dalla fine dell'era terziaria, allorché esso aveva già raggiunto una configurazione non molto diversa, nelle linee generali, dall'attuale.

Caratteristiche fisiche. - Per quanto riguarda la distribuzione della salsedine, una zona con salsedine superiore a 36 per mille si ha nella sezione orientale dell'oceano, intorno a 30° lat. S.; di qui la salsedine diminuisce tanto verso S., dove nella corona che circonda l'Antartide scende sotto 33, quanto, ma più irregolarmente verso N., fino a 34 o 33,5 presso le coste delle Isole della Sonda e nel Golfo del Bengala. Un'altra zona a salsedine elevata (oltre 36) si ha nel Mare Arabico e a E. della Penisola dei Somali, soprattutto per l'apporto di acque dal Mar Rosso, salatissimo; in estate queste acque salate, sotto la spinta del monsone di SO., si spingono verso oriente fino alla punta meridionale dell'India.

Per la distribuzione delle temperature nell'acqua e nell'aria sovraincombente, per quella dei venti e delle correnti marine, l'Oceano Indiano ha un regime suo proprio, del tutto diverso da quello degli altri due oceani maggiori, per il fatto che, anziché estendersi dall'una all'altra calotta polare, esso è limitato a N. da una massa di terre continua. D'altro lato, verso S., esso è in libera comunicazione con i due oceani vicini, coi quali le sue acque si mescolano in una corona ininterrotta intorno all'Antartide. Le cartine a pag. 87 mostrano l'andamento delle isoterme dell'acqua, assai regolare nella parte meridionale dove manca l'elemento perturbatore delle terre emerse. Quivi l'Indiano è, a pari latitudine più freddo degli altri due oceani (tra 40° e 50° lat. S. temperatura media annua circa 8° 7; Atlantico 9° 5; Pacifico 11°2), a causa delle masse ingenti di acque fredde provenienti dall'Antartide; viceversa in prossimità dell'Equatore e a N. di esso l'Indiano è assai più caldo degli altri due oceani (tra 10° e 20° lat. N. oltre 27°; Pacifico 26° 5, Atlantico 25° 6); un'area con temperature superiori a 28° si trova nell'Indiano orientale a N. dell'Equatore; entro il Golfo del Bengala si toccano quasi i 29°. Il confronto fra le due cartine qui accanto rivela che le variazioni stagionali della temperatura media dell'acqua sono poco rilevanti; esse raggiungono, fra 30° e 40° lat. S., i valori massimi di 6°-70; i quali sono superati peraltro nei mari interni (Golfo Persico oltre 10°; Mar Rosso 13°). In profondità le differenze nella distribuzione della temperatura si attenuano rapidamente: a 400 m. fra i Tropici ha una temperatura di 10°-12° con massimo di 14°-15° sotto il Tropico del Ca. pricorno; di qui la temperatura decresce regolarmente verso S. e sotto il Circolo Polare è di circa 0°. A 2000 m. di profondità la temperatura è di 2°-3° nella massa principale dell'Oceano. Al fondo predominano, in oceano aperto, temperature di 1°-2°, a seconda del rilievo, che esercita notevole influenza, in quanto le dorsali e gli altipiani sottomarini ostacolano la propagazione di acque fredde, profonde. Temperature inferiori a 0° si hanno nella corona che circonda l'Antartide; queste acque fredde di fondo penetrano verso N. nella parte dell'oceano posta a E. dell'Altipiano delle Kerguelen e si spingono notevolmente verso l'Equatore nell'area a occidente dell'Australia, dove, anche a 10°-20° lat. S., le temperature di fondo si mantevgono assai basse. Per la distribuzione dei ghiacci galleggianti, v. ghiacci marini (cartina).

Pressione e venti. - Le acque superficiali sono normalmente più calde dell'aria sovraincombente: di fatto temperature dell'aria superiori a 26° sono rare anche come media del mese più caldo. Nel gennaio (estate australe) dominano in tutto l'oceano a N. di 30° lat. S. temperature di 20°-25°, che raggiungono i massimi nelle aree a NO. dell'Australia e nel Canale di Mozambico, per effetto delle adiacenti masse continentali, che sono in quel periodo riscaldatissime; viceversa presso le coste asiatiche si hanno temperature più basse, dovute all'influenza del continente asiatico relativamente più freddo. All'opposto, nel luglio (estate boreale), le temperature a SO. dell'Australia e a E. dell'Africa australe scendono verso 14°-15°, mentre nelle parti settentrionali dell'oceano si hanno temperature superiori a 25°, eccezionalmente fino a 28° e più, nel Golfo di Aden, chiuso fra terre caldissime.

Il fatto che l'Oceano Indiano è limitato a settentrione dalla massa del continente asiatico, assume la massima importanza nella distribuzione delle pressioni e nel regime dei venti e delle correnti marine. Lo schema invernale della distribuzione delle pressioni è sostanzialmente analoga a quello degli altri due oceani, salvo che l'area di alte pressioni tropicali dell'emisfero nord qui cade sulla terra emersa, non sull'oceano. Si ha in sostanza un'area di alte pressioni fra 35° e 40° lat. S.; di qui verso S. le pressioni diminuiscono rapidamente per rialzarsi poi di nuovo sull'Antartide; verso N. diminuiscono pure fino a raggiungere i minimi (758 circa) intorno a 10° lat. S., cioè un po' più a S. che negli altri oceani. Procedendo di qui verso N. le pressioni crescono di nuovo rapidamente e raggiungono valori altissimi nell'interno del continente asiatico, sul quale gravano d'inverno masse d'aria fredda. Invece nell'estate (boreale) le condizioni normali si mantengono solo nella parte meridionale del. l'Oceano; quivi la zona di alte pressioni si sposta tuttavia un po' S. di essa le pressioni diminuiscono ancor più rapidamente che d'inverno. Invece nell'Oceano Indiano settentrionale le condizioni si invertono rispetto all'inverno: infatti d'estate la massa del continente asiatico si riscalda intensamente e però si hanno, su tutto l'oceano a N. dell'Equatore, pressioni relativamente basse; a partire dall'area di alte pressioni del Tropico australe e procedendo verso N. la pressione diminuisce costantemente fino a raggiungere valori molto bassi nel continente asiatico. Giova peraltro rilevare che d'estate le pressioni rimangono sempre notevolmente più elevate sul mare che sulle terre circostanti, soggette a un più intenso riscaldamento.

In relazione all'accennata distribuzione delle pressioni, l'Oceano Indiano meridionale mostra, a pari latitudine, un regime di venti analogo a quello degli altri oceani: venti di O. e NO. prevalenti tutto l'anno a S. dell'area di alte pressioni tropicali, venti prevalenti di E. e SE. a N. di quell'area. La zona dei venti di O. è una continuazione di quella atlantica e si continua poi nel Pacifico; essa si allarga verso N. nell'inverno australe, essendo l'area di alte pressioni spostata verso N. I venti di E. e SE. hanno carattere costante, soprattutto nelle parti centrali e occidentali dell'Oceano Indiano, dove si può pertanto parlare di veri e proprî alisei del SE.

L'Oceano Indiano settentrionale mostra invece, come nelle pressioni, così anche nei venti, una netta alternanza stagionale: siamo in altri termini nel dominio dei monsoni, che soffiano nel semestre estivo dal mare verso le terre circostanti, nel semestre invernale in senso opposto (v. venti; monsone). Allo spirare del monsone di mare corrisponde naturalmente la stagione delle piogge, al monsone di terra la stagione secca: l'alternanza d'un semestre umido e d'un semestre secco è pertanto la caratteristica di tutti i paesi sottoposti al regíme dei monsoni. I periodi d'inversione dei monsoni, che corrispondono all'incirca alle due epoche del passaggio del Sole sull'Equatore (marzo e settembre), rappresentano in genere periodi calmi, favorevoli alla navigazione. Invece il periodo nel quale il Sole raggiunge la massima declinazione australe rappresenta per l'Oceano Indiano tropicale il periodo di maggiore frequenza degli uragani e dei cicloni. Molti di essi hanno per area d'origine la zona fra Amirante e le Chagos, donde si spostano sia verso O., sia verso S.; un'altra area d'origine è il Mare delle Andamane e delle Nicobare.

Nel complesso l'Oceano Indiano è più innaffiato dalle piogge che l'Atlantico. Le zone meno piovose sono il prolungamento, nel mare, di aree terrestri aride: si riscontrano perciò a O. dell'Australia, a S. e SO. dell'Arabia, ecc. La massa principale dell'oceano, a N. del Tropico, ha più di 1 m. di piogge, anzi tutta la parte a N. d'una linea condotta da Giava alla Riunione ne ha più di 2; i massimi si raggiungono nell'area a SO. di Sumatra fra l'Equatore e il 10° lat. S. (oltre 3 metri). Intomo alle parti australi dell'oceano si hanno al riguardo scarse notizie.

La circolazione delle acque. - Anche per quanto riguarda le correnti marine, il sistema dell'Oceano Indiano meridionale è diverso da quello dell'Oceano Indiano settentrionale, analogo invece, in sostanza, a quello che presentano, a latitudini australi, gli altri due oceani. Tra 10° e 20° lat. S., sotto la spinta dei venti aliseali, ingenti masse d'acqua si spostano da E. verso O., cioè dai paraggi dell'Australia occidentale alle coste di Madagascar; quivi il filone più importante volge a N., raggiungendo le coste africane all'altezza del Capo Delgado, dove si divide: un ramo diretto a N. entra nel dominio delle correnti dell'Oceano Indiano settentrionale, un altro diretto a S. percorre il Canale di Mozambico e allo sbocco meridionale di esso, rinforzato da acque provenienti dalla regione a E. di Madagascar, forma un potente flusso di acque calde diretto a SO. (Corrente del Capo o delle Aguglie), poi a S.; esso finisce con l'immettersi nella grande corrente diretta da O. a E. che, nell'Oceano Indiano, come negli altri oceani, predomina nella corona posta a S. del 40° lat. Quest'ulltima corrente, prosecuzione di quella atlantica, sospinge dappertutto, fra 40° e 60° lat. S., ingenti masse d'acqua da O. verso E., sotto l'impulso dei venti prevalenti di O.; alla punta SO. dell'Australia, un ramo devia a N. (Corrente Australiana), poi a NO., e chiude così il circuito acqueo dell'Oceano Indiano meridionale, intorno all'area di prevalenti alte pressioni.

Nell'Oceano Indiano settentrionale, invece, le correnti si alternano con vicenda semestrale, influenzate dal giuoco dei monsoni; le due cartine a pp. 89 e 90 ne mostrano l'andamento. Le correnti più intense si hanno, in entrambe le stagioni, nei paraggi di Ceylon; d'estate hanno grande violenza anche quelle, dirette verso NE., sulle coste della Somalia.

La circolazione in profondità nell'Oceano Indiano è poco conosciuta. Considerevole importanza hanno, nella parte meridionale, gli scambî, in senso meridiano, tra le acque più fredde provenienti dalla calotta antartica e spingentisi verso N. come correnti di fondo, e quelle, relativamente più calde, che, soprattutto fra 1000 e 2000 m. di profondità, sembrano spostarsi in senso opposto. Questa circolazione, di cui diamo qui sotto lo schema, è in realtà assai complicata, e spiega le temperature molto basse che, anche nelle regioni equatoriali, si riscontrano a grandi profondità, specialmente nelle aree orientali, dove l'uniformità del rilievo sottomarino non disturba gli spostamenti delle masse acquee.

Fauna. - Straordinariamente ricca è la fauna dell'Oceano Indiano nella zona intertropicale, ove l'elevata temperatura delle acque superficiali favorisce in particolar modo lo svolgersi della vita e l'esistenza di svariatissime forme animali; però verso Sud la vita s'impoverisce rapidamente.

I delfini, le balenottere, i capidogli sono diffusi dappertutto; i dugonghi (Halicore dugong) amano frequentare le coste africane, asiatiche e australiane, inoltrandosi anche nel Mar Rosso, ma trattenendosi sempre nella zona intertropicale; le otarie invece preferiscono acque più fredde e hanno una distribuzione spiccatamente meridionale. Le tartarughe marine vivono anche ad alta latitudine; ma le Sphargis, la cui lunghezza può raggiungere i 2 m., preferiscono le acque calde che bagnano le coste dell'Asia meridionale e di SE. (Indonesia). Alla ricca fauna ittiologica appartengono gran numero di squali: pescicani, pesci-martello, gattucci di mare, ecc., a cui si aggiungono i terribili pesci-sega (Pristis), varie specie di razze, torpedini e altri pesci dallo scheletro cartilagineo.

Dell'innumere stuolo dei pesci ossei fanno parte certe interessanti forme che imprimono all'ittiofauna tropicale una caratteristica fisionomia. Tali i pesci cofano (Ostracion), il cui corpo è rivestito da una corazza poliedrica formata di squame poligonali, e i pesci-istrici (Diodon), nonché i tetrodonti (Tetrodon), entrambi noti perché possono gonfiarsi a palla erigendo gli aculei di cui è cosparsa la loro superficie. Il piccolo pesce-rana (Batrachus) è conosciutissimo per quella sorta di grugnito che sa produrre, mentre la numerosìssima e smagliante schiera degli squamipenni (Chaetodon, Holacanthus, ecc.) dal corpo fortemente compresso ai lati forma il più vivace ornamento di quei mari.

Della fauna malacologica fanno parte le enormi tridacne (Tridacna gigas), che possono giungere a un peso di 200 kg., i piedi di cavallo (Hippopus), le singolari Pteroceras; mentre non raro è il caratteristico nautilo (Nautilus pompilius), attuale rappresentante del gruppo una volta fiorentissimo dei cefalopodi tetrabranchiati.

I Celenterati dànno luogo alla formazione di estesi polipai. Caratteristiche dell'Oceano Indiano sono le tubipore (Tubipora musica) dall'impalcatura calcarea rossastra; assai comuni le fungie; i madreporarî coloniali, appartenenti a una folla di specie diverse, sono gli artefici d'imponenti formazioni madreporiche.

Esse s'incontrano in tutto l'Oceano Indiano settentrionale, compresi i mari dipendenti, ma lungo le coste del continente asiatico sono assai scarse a causa dell'inquinamento delle acque in dipendenza degli apporti fluviali. A sud il limite delle costruzioni coralline è all'ingrosso indicato da una linea condotta dalla Baia di Delagoa alla punta meridionale di Madagascar e di qui alle isole Abrolhos (costa occidentale dell'Australia). La carta a colori indica la distribuzione delle formazioni madreporiche: esse hanno il massimo sviluppo nelle Maldive, nelle Laccadive, nelle Chagos, dove è il grande atollo Diego Garcia, e anche nelle Amirante, nelle Seicelle, nelle Nicobare, nelle Andamane e intorno alle isole che formano cordone lungo la costa meridionale di Sumatra; qui prevale l'aspetto di scogliere a frangia o di piccole barriere.

Le risorse dell'Oceano Indiano. - Per la pescavera e propria l'Oceano Indiano ha poca importanza: i distretti più ricchi sono rappresentati dalle coste dell'Africa meridionale, dai paraggi della Tasmania, dalle coste somale: qui e anche altrove la pesca è esercitata dai rivieraschi e il prodotto concorre in qualche misura alla loro alimentazione, ma non dà tuttavia che un contributo modesto al commercio esterno.

La caccia ai grandi cetacei, già tentata con successo al principio del sec. XIX, viene ora soltanto ripresa, soprattutto da Norvegesi. Sulle coste dell'Australia occidentale ha acquistato da qualche anno notevole importanza la cattura dei pescicani, dei quali sono sfruttati la pelle, il fegato e il pancreas (per la conceria).

Ma, per quanto riguarda il mondo animale. la maggiore ricchezza dell'Oceano Indiano è costituita dall'ostrica perlifera (meleagrina margaritifera), che compare in grandi banchi a nord dell'Equatore, come pure nei mari dipendenti, ed è oggetto di pesca sin da remota antichità. La distribuzione dei banchi utilizzati ha tuttavia variato nelle diverse epoche. Oggi il centro principale è il Golfo di Manar, dove i banchi perliferi si trovano sullo zoccolo continentale alla profondità di 15-18 m. e abbracciano un'area di circa 500 kmq. Il periodo di raccolta va normalmente dal febbraio all'aprile. La pesca ha carattere periodico, in quanto, dopo una serie di anni produttivi, succede, per cause finora molto incerte, un periodo di assenza dell'ostrica. In 130 anni, dal 1796 al 1926, si ebbero 40 anni produttivi distribuiti in 5 periodi, fra i quali, a prescindere da piccole interruzioni, si intercalarono quattro periodi vuoti di durata variabile fra 10 e 17 anni; l'ultimo di essi durò dal 1908 al 1924. Secondo per importanza è il gruppo di banchi intorno alle isole Baḥrein, dove, dopo alterne vicende, negli ultimi anni la pesca è in notevole sviluppo. Seguono i banchi sulla costa meridionale dell'Arabia, quelli del Mar Rosso, della costa occidentale dell'India dell'Arcipelago di Mergui, ecc. Caratteristica dell'Oceano Indiano era anche la pesca delle cauri, piccole conchiglie del genere cypraea, di cui alcune specie (c. moneta, c. anulus) erano in passato adoperate come moneta spicciola e come tali diffuse dall'Africa orientale alle isole Hawaii; oggi si adoperano soprattutto per l'ornamentazione (collane, braccialetti), che è l'uso originario nell'India. Il corallo non è oggetto d'industria, almeno considerevole, in nessuna regione del'Oceano Indiano.

Le vie di navigazione e i porti. - Come via di comunicazione l'Oceano Indiano ha scarsa importanza nel quadro limitato delle relazioni fra i paesi che si affacciano alle sue rive. Per quanto i rapporti commerciali. e anche culturali fra l'Africa orientale e l'Asia meridionale risalgano a remota antichità e siano stati abbastanza stretti anche in alcuni periodi del Medioevo, essendone allora intermediarî principali gli Arabi, tuttavia ai giorni nostri tali rapporti sono ridotti a correnti di scarso rilievo nel traffico mondiale, mentre presso che nulli sono i rapporti diretti fra l'Asia e l'Australia e tra l'Africa e l'Australia. Pertanto l'Oceano Indiano - al quale si affacciano oggi, se si prescinda dalla Persia e dal Siam, soltanto territorî legati, in un modo o nell'altro, a potenze europee - ritrae la sua massima importanza economica dalle sue relazioni con l'Europa. Queste sono state enormemente agevolate dall'apertura del Canale di Suez (1869), al quale ogqi fa capo il fascio di comunicazioni marittime più importante del globo, per intensità di traffico, dopo il fascio nordatlantico. Ma questo traffico con l'Europa soltanto in parte ha per punti di partenza o di arrivo i porti stessi dell'Oceano Indiano (Africa orientale, Asia meridionale e Australia); per un'altra parte, pure assai rilevante, è commercio di transito, diretto ai porti dell'Estremo Oriente, e a quelli dell'Australia e dell'Oceania sul Pacifico. Tali comunicazioni sono affidate in massima parte a linee europee; in piccola misura vi concorrono linee giapponesi e americane.

Il traffico per il Capo di Buona Speranza non è del tutto cessato dopo il taglio del Canale di Suez; esso, dai porti atlantici dell'Europa, fa capo soprattutto ai porti dell'Indocina e dell'Australia e in piccola misura anche a quelli dell'Africa orientale e dell'Estremo Oriente.

In complesso l'Oceano Indiano concorre per il 16% o poco più al traffico marittimo mondiale. Negli ultimi anni la cifra globale si aggirava intorno a 28 milioni di tonn. reg. annue (nette); di questa meno di un decimo spetta al movimento interno tra l'uno e l'altro dei porti dell'Indiano. Il piccolo commercio, un tempo tanto attivo, tra l'Africa orientale e l'Arabia è oggi decaduto; hanno conservato tuttavia qualche importanza gli scambi fra l'Indua e Zanzibar, che si fanno parte ancora con navi a vela, profittando dei monsoni. Ma le direttrici principali del traffico interno sono quelle dai porti dell'Unione Sudafricana verso l'India, l'Australia e i porti dell'Africa orientale; su queste medesime direttrici, al movimento che si origina nei porti dell'Oceano Indiano si aggiunge quello che vi proviene dall'Atlantico per la via del Capo. Il traffico Atlantico-Australia per il Capo è costituito principalmente dalle merci manifatturate che s'importano in Australia e preferiscono questa via a quella di Suez, mentre le esportazioni dall'Australia (eccetto i cereali) si avviano prevalentemente per Suez ovvero per il Pacifico. L'esportazione del riso e del legname dall'India e Indocina all'Europa prende pure preferibilmente la via del Capo. Una parte di questo traffico è ancora esercitato da navi a vela; le rotte variano nel viaggio di andata e di ritorno, e, almeno in certe sezioni, variano anche a seconda delle stagioni.

Nel traffico che penetra nell'Oceano Indiano dal Pacifico (via Singapore), sono alla testa le provenienze dal Giappone; le linee principali congiungono il Giappone con l'India, ma esistono anche comunicazioni fra il Giappone e l'Africa orientale e meridionale. Alcune delle linee che uniscono il Giappone all'India si spingono poi più oltre e penetrano nel Mediterraneo via Suez.

Ma la grande porta d'accesso all'Oceano Indiano è oggi, come si è già detto, quella del Canale di Suez, per il quale passano intorno a 23-25 milioni di tonn. annue nette: di esse forse il 55% si ferma ai porti dell'Indiano, il resto prosegue per i porti dell'Estremo Oriente, dell'Australia, dell'Oceania. All'ingrosso si può ritenere che del tonnellaggio proveniente da Suez il 38% si diriga all'Asia orientale, il 43% all'Asia meridionale, l'11% all'Australia, l'8% ai porti del Mar Rosso e dell'Africa orientale.

Il commercio coi porti dell'Asia orientale (compresi quelli delle Isole della Sonda) utilizza l'Oceano Indiano come via di transito: i grandi porti di scalo attrezzati a questo scopo sono Aden, Colombo e Singapore. Lo sviluppo delle linee dirette all'Estremo Oriente e alle Isole della Sonda è stato il maggior elemento che, negli anni successivi alla guerra mondiale, ha concorso all'incremento del traffico di Suez, dove questa corrente era nel 1913 rappresentata solo dal 30-31% del tonnellaggio totale. Del commercio diretto in Australia una parte piuttosto esigua fa capo ai porti dell'Oceano Indiano, mentre il resto va ai porti del Pacifico e perciò è commercio di transito; esso è cresciuto solo in lieve misura rispetto agli anni precedenti alla guerra mondiale.

Il commercio coi porti dell'Asia meridionale, che prima della guerra assorbiva circa la metà di tutto il movimento del Canale di Suez, è nel complesso diminuito. Un incremento straordinario è offerto dalle relazioni col Golfo Persico (circa 1,5% del traffico del canale nel 1913; ora l'11-12%), ma esso è dovuto quasi unicamente alle esportazioni del petrolio persiano e mesopotamico. In relativa diminuzione sono, invece, in generale i traffici di tutti i porti dell'India e dell'Indocina con l'Europa; ma a tale diminuzione fa riscontro l'incremento dei rapporti commerciali con l'Africa l'Estremo Oriente e gli Stati Uniti.

Il commercio con l'Africa orientale per Suez è in aumento rispetto al periodo che precede la guerra mondiale: l'aumento è soprattutto notevole per i porti del Kenya, del territorio del Tanganica e dell'Africa Orientale Portoghese, e del Madagascar, I porti dell'Africa australe sono in relazione con l'Europa anche per la via del Capo.

Notevolmente accresciuti sono, dopo la guerra mondiale, i rapporti fra l'Italia e i porti dell'Oceano Indiano e, in corrispondenza, è anche aumentato il numero delle nostre linee di navigazione, che toccano tutti i maggiori scali marittimi.

Tra i porti dell'Oceano Indiano è possibile distinguere abbastanza nettamente quelli utilizzati principalmente come porti di transito e quelli che servono un proprio retroterra più o meno vasto. Tra i primi si segnalano i tre già ricordati, Singapore, Colombo e Aden, che hanno rispettivamente il primo, il secondo e il sesto posto per movimento di merci nell'Indiano. Tra i secondi, una quindicina superano i 2 milioni di tonn. reg. annue nette (media fra entrata e uscita) e sono (all'incirca in ordine decrescente di movimento): Bombay, Penang, Abadan (il porto petrolifero della Persia), Durban, Adelaide, Rangoon, Calcutta, Lourenço Marques, Fremantle, Madras, Belawan Deli (il porto di Sumatra sullo Stretto di Malacca), Karachi, East London, Port Elizabeth, Sabang, Beira (v. alle singole voci). Altri cinque o sei porti superano un milione di tonnellate.

Per quanto concerne le comunicazioni aeree, appare ancora una volta fondamentale il fatto che l'Oceano Indiano è tutto chiuso a nord da una massa continua di terre. Pertanto comunicazioni a carattere: veramente transoceanico non potrebbero esservi che tra l'Africa orientale e l'Australia, ovvero tra l'Africa orientale (o Madagascar) e l'estremità meridionale dell'India e tra quest'ultima e l'Australia. Ma le relazioni fra questi paesi non sono per ora così sviluppate da dar luogo alla istituzione di regolari linee aeree dirette. Invece esistono già servizî regolari che si effettuano lungo le coste o in prossimità di esse. Tra queste, la linea inglese da Londra, per Alessandria e Baghdād, a Karachi, in collegamento con la rete aerea dell'India e con le linee dell'Indocina; la linea olandese da Amsterdam a Batavia; la linea francese da Parigi agli scali indocinesi. È prossimo il collegamento dell'India con l'Australia attraverso l'Indonesia.

Un solo cavo telegrafico traversa finora l'Oceano Indiano da un capo all'altro: è quello, posato nel 1903, che unisce Durban all'isola Maurizio e a Rodriguez, poi di qua per le isole Cocos raggiunge l'estremità orientale di Giava. Quest'isola è poi allacciata all'Australia da due cavi facenti capo rispettivamente a Palmerston e a Broome; ma dalle isole Cocos un altro cavo tocca direttamente Fremantle. Altri cavi allacciano Maurizio alle Seicelle e queste alla costa africana. Le appendici settentrionali dell'Oceano Indiano - il Mare Arabico e il Golfo del Bengala - sono poi traversate dai cavi Aden-Bombay, il primo posato attraverso l'Oceano (1869), Madras-Penang-Singapore (1871) e Rangoon-Singapore. Da Singapore irraggiano i cavi per l'Indocina, per Hong-kong, per Borneo, Giava, ecc. Un cavo telegrafico collega la foce dello Shatt-el-‛Arab con xarachi lungo la costa iranica, un altro fa il giro dell'Africa, collegando i maggiori centri della costa orientale. In complesso la rete dei cavi dell'Oceano Indiano supera i 100.000 km.

L'Oceano Indiano nelle competizioni politiche dell'età moderna. - L'Oceano Indiano diviene campo all'espansione politica delle potenze europee e alle loro competizioni soltanto al principio dell'età moderna. Ma le relazioni commerciali tra i paesi del Mediterraneo e quelli bagnati dall'Oceano Indiano datano, come si è già accennato, da tempo molto più remoto. Già i Fenici, nel periodo di maggior rigoglio della loro attività marinara, frequentavano non soltanto il Mar Rosso, ma l'Arabia meridionale e l'Africa orientale e, secondo l'opinione di alcuni storici moderni, perfino l'Africa australe, l'India, l'Indocina, ecc.; essi avrebbero anche tentato e forse effettuato la circumnavigazione dell'Africa. Il periodo della potenza dell'impero persiano fu poco propizio ai rapporti fra i paesi mediterranei e quelli dell'Oceano Indiano; soltanto le conquiste di Alessandro Magno poterono déterminare una situazione politica favorevole alla ripresa di quei rapporti. Essi si svilupparono poi particolarmente per impulso dei Tolomei d'Egitto: salirono allora (secoli III-II a. C.) a gran fiore alcuni porti del Mar Rosso, in relazione diretta o indiretta con l'Africa orientale, l'Asia meridionale e l'Estremo Oriente. Affievolito sotto gli ultimi Tolomei, il traffico fu ravvivato poi dai Romani; e, dall'epoca di Augusto a quella di Marco Aurelio, i rapporti con l'India furono di nuovo particolarmente attivi, favoriti anche dalla scoperta del regime dei monsoni, attribuita a Ippalo (sec. I d. C.), la quale serve a svincolare le navi dalla servitù di dover approdare agli scali dell'Arabia. Nel sec. II d. C. il traffico con l'Estremo Oriente aveva assunto quasi un carattere di commercio transoceanico, forse il solo di questo tipo che l'età antica abbia veduto. Ma esso decadde gradualmente dal sec. III in poi, col decadere dell'impero romano; e più tardi, quando Bisanzio divenne il più attivo centro del Mediterraneo orientale, le relazioni con l'Estremo Oriente si effettuarono prevalentemente per via di terra.

Dalla fine del sec. VII, i rapporti commerciali tra l'Oceano Indiano e il Mediterraneo sono controllati dagli Arabi e le loro vicende sono influenzate dalle relazioni politiche tra le potenze cristiane e il mondo arabo. Ma anche nei periodi in cui quelle relazioni si svolsero tranquillamente, navi di stati europei non apparvero mai nell'Oceano Indiano; esse vi dovevano comparire, per la lunghissima via del periplo africano, soltanto al cadere del sec. XV. Le navi portoghesi, guidate da Vasco da Gama, inauguravano veramente un'era nuova, nella quale non più le potenze marinare del Mediterraneo, ma quelle affacciate all'Atlantico dovevano necessariamente attrarre a sé i traffici dell'Oceano Indiano.

Il sec. XVI è un periodo di assoluta supremazia del Portogallo, il quale viene in sostanza a sostituirsi agli Arabi, abbattuti nella battaglia navale di Diu (1509). Con una serie di fortunate imprese, il piccolo stato iberico si stabiliva lungo la costa africana orientale fra il Tropico e l'Equatore (dal 1505 in poi), nell'‛Omān e a Hormūz (1515), nel Malabar, a Ceylon (1518), a Malacca (1511), nelle Molucche (1521); da un lato acquistava il controllo su Aden (1524) e perciò sulla via del Mar Rosso, e dall'altro lato si assicurava il monopolio delle relazioni con la Cina. Questa rapidissima espansione toccava il suo apice nel 1529, col trattato di Saragozza; questo, eliminando la Spagna dalle Molucche, lasciava l'intero Oceano Indiano ai Portoghesi, che si stabilivano anche a Macao e allacciavano perfino rapporti col Giappone, arricchendosi per il commercio dei ricercatissimi prodotti asiatici e specialmente delle spezie. Ma alla fine del sec. XVI sopravviene la decadenza; e il Seicento apre un'epoca di aspri contrasti fra altre potenze europee per il predominio nell'Oceano Indiano. Gli Olandesi, che dapprima si limitavano a rilevare a Lisbona i prodotti asiatici per distribuirli nell'Europa nordoccidentale, profittarono del periodo nel quale il Portogallo fu sottomesso alla corona di Spagna (1580-1640), per andare a cercare quei prodotti nei paesi d'origine e per mezzo della Compagnia delle Indie orientali, appositamente creata, si stabilirono, superando ogni tentativo di concorrenza spagnola, a Giava, a Malacca (1641), a Ceylon e nel Coromandel; quando il Portogallo ricuperò l'indipendenza, non poté in sostanza riprendere in saldo possesso che le fattorie del Malabar e quelle dell'Africa. Quivi peraltro gli Olandesi avevano occupato l'isola Maurizio (1638) e poco dopo s'insediavano nel Capo (1652). Il culmine del predominio dell'Olanda si ha alla fine del Seicento, allorché è in sua mano, oltre i territorî già ricordati, tutta l'estremità dell'India con Ceylon; ma tale predominio non è affatto incontrastato, com'era stato quello portoghese, poiché nel corso del sec. XVIII avevano fondato stabilimenti gl'Inglesi (Surate 1615; San Giorgio di Madras 1639; Bombay 1661, ecc.), i Francesi (costa orientale del Madagascar 1642; Isola Bourbon, ora Riunione, 1643; Pondichéry 1672), i Danesi (Tranquebar 1642); in questo secolo dunque le navi di cinque stati europei, in concorrenza più o meno aperta fra loro, solcavano l'Oceano Indiano.

A partire dalla fine del Seicento, mentre la potenza portoghese decade sempre più e mentre l'Olanda concentra maggiormente la sua attività sull'Indonesia, i maggiori progressi sono fatti dalla Francia e dall'Inghilterra, già sin d'allora in gara in alcune zone dell'India, come il delta del Gange (Chandernagor stazione francese dal 1688; Fort-William staz. inglese dal 1696). La Francia, mentre tentava nella prima metà del sec. XVIII una larga penetrazione nell'India, subentrava agli Olandesi nell'isola Maurizio, ribattezzata Île-de-France (1715), più tardi occupava le Seicelle (1769) e Diego Garcia. Ma le violente contese franco-britamiche nella Penisola Indiana si risolvevano con la piena vittoria della Gran Bretagna; con la pace del 1783 la Francia era ivi ridotta al possesso delle cinque stazioni che tuttora conserva, mentre l'Olanda, perduta l'importante fattoria di Negapatan, veniva praticamente eliminata dalla penisola e il Portogallo si restringeva al possesso di Goa e di altre due località di modestissimo valore (Diu e Damão).

Libera nella sua attività coloniale in India, la Gran Bretagna procedeva d'ora innanzi a garantirsi, aperta e sicura da ogni insidia, la via marittima che vi conduceva. E tra la fine del sec. XVIII e il 1869, anno dell'apertura del Canale di Suez, il dominio britannico nell'Oceano Indiano si estende e si consolida con un'opera metodicamente sviluppata, che trova momenti singolarmente favorevoli durante la rivoluzione francese e l'epoca napoleonica. Così la Gran Bretagna subentrava agli Olandesi a Ceylon e nella cuspide meridionale dell'Africa, dove ampliò a poco a poco il suo dominio; otteneva dalla Francia il riconoscimento del possesso delle Seicelle e di Maurizio, occupata nel 1810; estendeva gradualmente la sua influenza sulla costa orientale del Golfo del Bengala e nel 1819 occupava l'importantissima località di Singapore. Poco più tardi, con la fondazione dello stabilimento penale di Perth (1829), iniziava anche la presa di possesso della costa occidentale del continente australiano, rimasto ormai anch'esso libero campo all'espansione inglese. Altre importanti tappe nell'estensione della potenza britannica sono segnate dall'occupazione di Aden (1839), dall'acquisto delle ultime stazioni danesi in India e delle Nicobare, poi dal passaggio del dominio indiano alle dirette dipendenze della corona (1858).

Pertanto, allorché nel 1869, col taglio dell'istmo di Suez, si apriva il periodo contemporaneo della storia politica ed economica dell'Oceano Indiano, la preponderanza della Gran Bretagna era già costituita su basi così solide da escludere ogni possibilità di decisivi contrasti e da permettere per contro alla potenza predominante di garantirsi una superiorità assoluta anche sulla nuova via di accesso dal Mediterraneo. Perocché - se, attratte dall'importanza della nuova arteria commerciale altre due potenze, l'Italia e la Germania, si stabilivano sulle rive africane dell'Oceano Indiano e se la Francia, già insediata nel 1862 a Obock, si estendeva sulla Baia di Tagiura e poi si rendeva padrona dell'intera isola di Madagascar (1885) - la Gran Bretagna per contro completava l'occupazione di alcune isole e arcipelaghi (Isole Laccadive 1875, Cocos 1876, Socotra 1886, ecc.), si stabiliva a Berbera (1884) e nell'Africa orientale (1889), assumendo il protettorato di Zanzibar (I890), estendeva il dominio di Aden, rafforzato già nel 1857 con l'occupazione di Perim, si affermava nel Golfo Persico (dove le isole Baḥrein erano già sotto il suo protettorato dal 1867), estendeva la sua influenza nella Penisola di Malacca. La situazione così determinatasi dava modo alla Gran Bretagna di contrastare efficacemente i tentativi fatti, al principio del nostro secolo, di affermarsi, sia pure indirettamente, sull'Oceano Indiano dalla Germania (attraverso i territorî turchi) e dalla Russia (attraverso la Persia).

La supremazia britannica sull'Oceano Indiano apparve poi all'evidenza durante il conflitto mondiale, poiché, salvo alcuni gloriosi episodî di guerra di corsa, nessun efficace contrasto fu possibile agli avversarî dell'Intesa in questo oceano. E dopo la guerra, esclusa la Germania dall'Africa orientale, escluso l'Impero Ottomano dal Mar Rosso e dal Golfo Persico, ne derivava, pur sotto diverse forme, ancora un ampliamento dell'influenza politica inglese. Pertanto, dando uno sguardo ai territorî che la Gran Bretagna oggi occupa o comunque controlla, si può affermare che l'Indiano è un oceano nel quale la potenza inglese ha un predominio così assoluto, che un mutamento nella situazione non si potrebbe determinare, in futuro, se non forse attraverso rivolgimenti radicali nel mondo arabo o in quello indiano. Dopo la Gran Bretagna, le potenze europee più interessate nell'Oceano Indiano sono l'Olanda e la Francia, alle quali tiene dietro l'Italia; ultimo rimane, nonostante l'estensione dei possedimenti conservati in suolo africano, il Portogallo, cui spetta il grande merito di aver dischiuso all'Europa, nell'età modema, i paesi che a questo oceano si affacciano e di avervi battuto, con fortunato ardimento, le prime grandi rotte marittime che dall'Europa vi conducono.

Bibl.: Deutsche Seewarte, Segelhandbuch für den Indischen Ozean, Ambrugo 1892; id., Atlas der Meeresströmungen in dem Indischen Ozean, Amburgo 1913; G. Schott, Wissenschaftliche Ergebnisse der deutschen Tiefsee-Expedition auf dem Dampfer "Valdivia" 1898 bis 1899, I: Ozeanographie und maritime Meteorologie, Jena 1902, testo e atlante; W. Brennecke, Forschungsreise der S. M.-S. "Planet" 1906-07, III: Ozeanographie, Berlino 1909; G. Michaelis, Die Zirkulation des Indischen Ozean, in Instit. für Meereskunde Veröffentl. Neue Folge, Berlino 1929, fasc. 21; id., Die Wasserbewegung and der Oberfläche des Indischen Ozeans im Januar und Juli, ibidem, Berlino 1923, fasc. 8; G. A. Ballard, Rulers of the Indian Ocean, Duckworth 1927; J. März, Die Ozeane in der Politik und Staatenbildung, Berlino 1931; St. Rogers, The Indian Ocean, Londra 1932; E. Fels, Das Weltmeer, Lipsia 1932; G. Schott, Die jährlichen Niederschlagsmengen auf dem Indischen und Stillen Ozean, in Annal. der Hydrogr., 1933.

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