Ode

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Componimento lirico con strofe monometre o polimetre che, di solito, contano non più di 6 o 7 versi e ripetono lo stesso schema. È per lo più d’ispirazione amorosa o morale-civile.

La parola appare nell’antica Grecia con riferimento a un componimento lirico (monodico o corale) accompagnato dalla musica. Principali autori di o. furono Alceo, Saffo, Anacreonte, Bacchilide, Pindaro. In età alessandrina avvenne il distacco dalla musica. I metri, vari e complessi, dell’o. greca furono introdotti nella poesia latina da Catullo e da Orazio, ma in seguito, a parte qualche rara eccezione, caddero in disuso.

A essi si attinse di nuovo quando nel Rinascimento italiano e francese si cercarono possibilità espressive alternative alla canzone petrarchesca. Cominciarono sperimentalmente P. Bembo e B. Tasso, che imitarono Orazio, uno dei modelli fondamentali della rinascita dell’ode. Li seguirono, fra gli altri, B. Del Bene, G. Chiabrera, G. Marino, F. Testi, C.I. Frugoni. La soluzione scelta fu di adoperare strofe brevi, da 4 a 6 versi, i quali erano, tuttavia, gli stessi della canzone petrarchesca: settenario ed endecasillabo. Mediata dall’esempio di P. Ronsard si diffuse in Italia anche l’imitazione di Anacreonte a opera in primo luogo di G. Chiabrera, che chiamò tale sorta di componimento canzonetta. Di qui deriva l’o. di G. Parini, V. Monti, I. Pindemonte, U. Foscolo, e poi l’inno dei romantici. Minore successo ebbe l’imitazione dell’o. pindarica, imperniata su una tripartizione sia metrica (3 strofe, chiamate strofa, antistrofa ed epodo) sia contenutistica (a ogni strofa è attribuita una diversa e specifica funzione nello sviluppo lirico). Seguirono strade diverse da un lato G.G. Trissino, L. Alamanni (che chiamò le 3 strofe ballata, contraballata e stanza), A. Minturno e J. Tiepolo (3 stanze petrarchesche tradizionali), dall’altro G. Chiabrera (3 stanze brevi o anche rinuncia alla tripartizione metrica per conservare la sola tripartizione contenutistica). Già nel 15° e 16° sec. con L. Dati e C. Tolomei e soprattutto nel 17° con G. Chiabrera, P. Rolli, G. Fantoni, l’imitazione dell’o. classica cercò la via di un congiungimento più intimo con i metri degli originali. I diversi tentativi furono ripresi con maggiore ampiezza nell’Ottocento da G. Carducci. Seguirono le sue orme G. Pascoli e G. D’Annunzio.

Nel resto d’Europa, dopo un periodo in cui vennero imitate le soluzioni italiane, l’o., con diverse forme, consolidò il suo successo; basterà ricordare i nomi di J. Dryden, A. Pope, S.T. Coleridge, P.B. Shelley, J. Keats in Inghilterra, di F.G. Klopstock, F. Hölderlin in Germania, di A. de Lamartine, V. Hugo, A. de Musset in Francia, di A. Puškin, M. Lermontov in Russia.

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