LAMPUGNANI, Oldrado

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LAMPUGNANI, Oldrado

Francesca M. Vaglienti

Figlio del giureconsulto Uberto e di Giovanna Omodei, nacque probabilmente intorno al 1380 a Pavia, in parrocchia S. Colombano. Contrariamente a quanto affermato da Lazzeroni, non era figlio unico, ma ebbe quattro fratelli (Giovanni, Maffiolo, Giorgio e Pietro) e tre sorelle (Maria, Giustina e Franceschina).

La sua ascesa sociale ed economica fu strettamente legata al successo del duca di Milano Filippo Maria Visconti, del quale fu precettore politico e militare quando questi era ancora giovane conte di Pavia; a quella città, dove era stato formato agli studi sulle orme paterne, il L. rimase sempre molto legato. Per tutta la vita del Visconti, il L. fu uno dei due cortigiani - l'altro era F. Siriato - a essere ammesso, con la carica di primo cameriere, ad assistere ai suoi pasti.

Nel 1416 procedette, per conto del duca Filippo Maria, all'arresto di Giovanni Vignati, che si era insignorito di Pavia approfittando della vacanza del potere centrale di Milano, seguita alla morte violenta di Giovanni Maria Visconti. Dopo che, nel 1420, per conto del duca Filippo Maria, il L. aveva ricevuto il giuramento di fedeltà parte dei Cremonesi, nel 1424 fece prigioniero con l'inganno Cabrino Fondulo, dandosi poi al saccheggio di Castelleone, dove il condottiero si era ritirato a vita privata. Forse a questo periodo risalgono la concessione al L. del feudo di Oscasale, in concorrenza con Galeazzo Casati, e l'acquisto di un vasto possedimento allodiale prossimo alla località di Anico Cremonese, di cui era stato investito signore: 5000 pertiche di campi irrigui, tra Zanengo e Farfengo, il castello, un mulino, una taverna e vari sedimi. Nel libro-cassa di V. Borromeo (Soldi Rondinini, p. 10), appaltatore della Tesoreria ducale, risulta che il L. era tra i pochi a vantare un conto personale, in qualità di familiare del duca di rango elevato. Nemico dichiarato del condottiero Francesco Bussone (il Carmagnola), riuscì ad allontanarlo dal duca nel 1425. Feudatario di Trecate al tempo del Visconti, era annoverato tra i dignitari ducali tenuti ad allevare uccelli da caccia per lo svago del principe. Il 7 apr. 1425 fu inviato a Venezia come oratore ducale e di seguito, insieme con Bonifacio da Cotona, presidiò le rocche di Asola. Nel 1426 era luogotenente ducale a Brescia, che aveva contribuito a conquistare militarmente, ma fu sollevato dall'incarico l'anno seguente perché accusato dal duca di aver portato la città alla rivolta governandola con eccessivo arbitrio.

Una cronaca anonima accusa apertamente il L. e Iacopo da Costiole, governatori ducali di Brescia, di avere goduto di piena "libertà di apicare et dispicare senza far processo né scrittura" e di aver proceduto all'edificazione della fortezza voluta dal Visconti facendo "tante manzarie che montavano tanto quanto la fabrica" (Zanelli, p. 387). Forse nel tentativo di evitare che la latente rivolta si estendesse a tutto il Bresciano, il 7 febbr. 1426 il L. aveva promulgato un decreto in favore degli abitanti della Val Trompia con importanti concessioni fiscali: veniva ridotto da 5000 a 2000 lire imperiali l'incanto dei dazi sul pane, sul vino, sulla carne, sulle biade e sull'imbottato; era limitata a 500 pesi la leva del sale; agli abitanti della valle era consentito eleggere un rappresentante incaricato di esercitare la giustizia civile per ammende pari a un massimo di 10 lire imperiali; erano concessi il libero acquisto di merci in Brescia e la loro esportazione oltre i confini del distretto, tranne che in tempo di carestia o verso mercati politicamente interdetti.

Rientrato rapidamente nelle grazie del Visconti, nel 1428 il L. fu nominato podestà di Parma. Dal 1430 al 1434 fu governatore ducale a Genova e poi inviato nuovamente a Brescia come luogotenente nel 1442 e come governatore nel 1443.

All'indomani della morte di Filippo Maria Visconti (13 ag. 1447), il L. fu tra i primi promotori, insieme con i fratelli Giorgio e Pietro e con il nipote Princivalle, di un reggimento cittadino autonomo - poi denominato Repubblica ambrosiana - per affrontare la crisi politica aperta con l'estinzione della dinastia signorile legittima e per tentare di conservare a Milano l'indipendenza dai potentati stranieri e il ruolo egemonico della capitale sul dominio. Il L. scelse da subito il partito sforzesco e quindi dichiarato ribelle, il 19 apr. 1449, insieme con altri otto membri del casato Lampugnani, i suoi beni furono confiscati. La ricchezza raggiunta sotto l'ultimo duca Visconti è testimoniata da una denuncia sporta dallo stesso L. innanzi all'alleato Francesco Sforza all'indomani della sua ascesa al dominio milanese. Con lettera del 10 apr. 1450, infatti, lo Sforza ordinava al capitano di Giustizia di Milano, G. Ratti, di provvedere alla restituzione dei beni e del denaro saccheggiati - non confiscati, afferma Francesco Sforza - dalla casa del L. in Porta Vercellina, parrocchia di S. Giovanni sul Muro, al tempo della Repubblica ambrosiana: 4347 ducati d'oro, tutti i mobili, le vesti, le tappezzerie, i letti, l'argenteria e la vastissima biblioteca, per oltre 6000 ducati d'oro. Testimoni, o complici, della razzia furono Giovanni Ossona, Giovanni Appiani, Gabriele Taverna, Gabriele Amadeo, Lorenzo Martignoni, Giacomo del Ponzo, Giorgio da Bizzozero, Michele da Incino e Giovanni Antonio Galiabo. Nonostante l'identificazione e la condanna alla confisca dei beni, costoro si opposero, tramite i loro congiunti, alla restituzione: così il L. si vide costretto, nonostante G. Ossona, G. Appiani e M. da Incino fossero rinchiusi in carcere a Monza, a intraprendere un'estenuante causa contro Guglielmo Marliani che, cognato di G. Taverna e assegnatario del di lui patrimonio per volontà del Consiglio di giustizia, resisteva alle rivendicazioni del Lampugnani. Nel gennaio 1451 il L. ebbe il permesso dal duca di interrogare personalmente gli accusatori del fratello Giorgio e gli autori della confisca dei suoi beni milanesi. L'incontro non sortì esiti immediati, ma forse ispirò nel L., noto per la sua capacità di ordire inganni, il tranello che nel settembre 1452 costò la vita a Ossona, fatto uccidere da Gerolamo Lampugnani, figlio di Princivalle e pronipote di Giorgio, mentre da Monza veniva tradotto in carcere a Milano.

Nel 1450 il L. figurava tra i primi consiglieri segreti nominati da Francesco Sforza all'atto del suo insediamento: vi era ricordato come condottiero e gli fu concessa la dignità comitale. Nel 1451 era oratore a Bologna, quando in dicembre gli giunse l'ordine ducale di assumere, non appena conclusa la missione diplomatica, il commissariato di Parma, incarico tenuto dal 20 luglio 1452 al 17 apr. 1454. Nel 1452 fu sollecitato a operare affinché il clero parmigiano saldasse per intero il contributo stabilito per il sussidio straordinario imposto dal duca in quell'anno agli ecclesiastici del dominio. Nel 1454 Francesco Sforza lo invitò a intervenire presso il vescovo di Parma, Delfino Della Pergola, affinché il prelato osservasse le disposizioni ducali in materia di assegnazione dei benefici all'interno del dominio.

Le piccole Comunità del Cremonese erano abituate a rivolgere le loro suppliche al L., considerandolo una sorta di protettore locale in grado di inoltrare presso la corte ducale le loro istanze. La fiducia di cui il casato godeva presso gli Sforza era del resto testimoniata dall'aver conseguito con il L., e successivamente mantenuto per venticinque anni all'interno della famiglia, la carica di officiali della Zecca di Milano, che avevano il delicato compito di individuare, denunciare e perseguire falsari e frodatori di monete.

Nel 1457 il L. stipulò a nome del duca una lega tra lo Sforza e i nobili da Correggio. Nel 1459 fu il primo tra i membri laici del Consiglio segreto a sottoscrivere la concessione del duca Francesco alla Comunità di Sartirana di tenere un mercato settimanale. Nel suo testamento, redatto il 7 genn. 1460 dal notaio Lazzaro da Carate (Sutermeister, p. 62; Albini, p. 221), oltre alla designazione del nipote e suo segretario Giovanni Andrea Lampugnani quale unico erede dei beni legnanesi e della casa di Milano, era prevista la distribuzione di sei doti, con preferenza per le fanciulle della famiglia, per un importo complessivo pari a 180 fiorini; si disponevano inoltre la distribuzione di 50 fiorini a dieci nobili, con preferenza per quelli della casata, e altri legati per pane, vino e abiti da distribuire ai poveri. Il L. non dimenticava poi i poveri della parrocchia di S. Nicolò, dove abitava in Milano, ai quali destinò una distribuzione annua di 4 moggia di farina.

La tradizione caritativa della famiglia aveva radici lontane: nella prima metà del Quattrocento, insieme con altre potenti famiglie, i Lampugnani avevano come punto di riferimento e di forza l'ospedale della Pietà, il cui capitolo era formato da 24 componenti con carica vitalizia, 12 laici e 12 ecclesiastici, creato dalla Chiesa milanese e presieduto dal vicario arcivescovile: l'ingresso in questi enti consentiva ai casati membri una maggiore possibilità di arricchirsi, accompagnata da una crescita di prestigio sociale e dalla facoltà di crearsi clientele e relazioni sociali. Tale politica pare riuscita se, ancora nell'estimo del 1524, i Lampugnani figurano tra la quindicina di casati milanesi con ben sette partite uguali o superiori ai 5000 ducati. Oltre che negli organi di governo delle istituzioni caritative milanesi, il L. perseguì un'attenta politica per mantenere la famiglia al controllo degli enti ecclesiastici ambrosiani, ma già con minore successo rispetto ad altre iniziative, come si evince dai toni irritati della sua richiesta al duca Francesco di poter esercitare nuovamente il libero patronato laico sulla cappella dedicata a s. Donato, nella chiesa di S. Nazzaro in Brolo a Milano, dopo che il beneficio, assegnato a M. Crivelli - probabilmente a prescindere dalla volontà dei Lampugnani - si era reso vacante per la morte del cappellano.

Nel 1385 il padre del L. possedeva un terreno situato tra Legnano e Rescaldina e ne estendeva il possesso acquistando altre 5 pertiche da altri Lampugnani; nel 1419 la madre acquistò da Porolla Lampugnani, del fu Leone, un "cassio" situato in Legnano tra il ponte Carrato e i vicini mulini sul fiume Olona. Il L. mirava ad accrescere gli investimenti della famiglia nel Legnanese e acquistò dai consorti Vismara di Dairago una grande casa a Legnanello, eleggendola a residenza propria e del fratello Maffiolo; molti reperti artistici recuperati dall'abitazione sono conservati nelle sale del Museo civico di Legnano. Il 4 ott. 1420 il L. rinnovò il contratto di affitto verso i fratelli Palliari, abitanti a Rescaldina, per la coltivazione dei beni che possedeva nella zona insieme con il nipote Cristoforo, figlio di Giovanni. L'anno seguente il L., sempre insieme con il nipote Cristoforo che viveva con lui, acquistò un piccolo sedime da Giorgio Terzago, per ampliare il possesso di quello da loro abitato in Legnanello. Nel 1422 acquistò dai consorti Vismara un terreno di 22 pertiche, detto "Prato della resega" fra Legnano e Legnanello, presso l'Olona, con diritto di utilizzarne l'acqua per l'irrigazione e, a pochi mesi di distanza, un mulino, nella stessa zona, al prezzo di 400 fiorini. Il 10 dic. 1422 il vescovo di Asti investì il L., quale riconoscimento di servizi la cui natura resta ignota, del feudo di Monteavito, di Santo Stefano e di Castagneto, tutti nel distretto astigiano. Nel 1425 acquistò da un consanguineo abitante a Legnano, Pietro, forse suo fratello, beni siti in Legnano e a San Vittore Olona, nella pieve di Parabiago, e diritti d'acqua per un importo di 1709 fiorini. L'8 ott. 1426 acquistò dai consorti Crivelli - signori di Parabiago e di Uboldo - vasti appezzamenti di terreno attorno al castello San Giorgio e alcuni casolari in San Vittore, Canegrate e a San Giorgio per 8706 lire imperiali e un'estensione di 875 pertiche, ulteriormente incrementate dopo il matrimonio del fratello Maffiolo con Giovanna Crivelli. Nel 1434 acquistò da Bertino Visconti un altro mulino nel territorio di San Vittore Olona e terre annesse per un'ampiezza di 24 pertiche al prezzo complessivo di 852 lire imperiali. Nel 1437 il duca Filippo Maria gli donò il castello di Legnano, episodio culminante di un progetto di espansione di proprietà perseguita dal L. in modo meticoloso.

Il castello era adibito a residenza di campagna, destinato a dimora estiva e luogo di svago per battute di caccia nei boschi circostanti; nel 1445 il L. ottenne dal duca Filippo Maria di fortificarlo, accentuandone la funzione militare e affermando la signoria fondiaria del casato sulla Comunità locale: fece costruire un torrione d'accesso di maestosa mole e lo dotò di un ponte levatoio. Sul portale, tra le due feritoie, è ancora visibile la lapide in marmo a lui dedicata. A metà del Trecento era stato costruito un cunicolo che dalla cantina di un edificio nell'attuale via Magenta di San Vittore Olona conduceva alla ghiacciaia del castello San Giorgio; quando entrambi gli edifici divennero di proprietà del L. il cunicolo si trasformò in via segreta di collegamento fra le varie casate in tempi di dispute. Il passaggio sotterraneo era alto abbastanza per essere percorso a cavallo e quindi, in caso di assedio, poteva aprire una via di fuga dal castello per reperire rifornimenti o sorprendere le forze avversarie alle spalle, ma anche verso il castello, come rifugio, dopo le violente dispute di fazione che vedevano coinvolti i membri del facinoroso casato. Nell'estate 1448, inoltre, il L. ospitò nel castello Francesco Sforza - al riparo dalla peste che imperversava in Milano e nel territorio circostante -, il quale approfittò dell'occasione per assediare ed espugnare la vicina Busto Arsizio.

La supremazia dei Lampugnani in Legnano era strettamente legata alla corte ducale, viscontea prima e sforzesca poi, e si accentuò anche attraverso il possesso della bocca Antinora sul fiume Olona, collaudata a scopo irrigatorio dall'architetto ducale Guiniforte Solari nel 1476, e dei numerosi mulini acquistati ai Crivelli e ai Vismara: negli anni Cinquanta del Quattrocento, il L. e i fratelli ottennero dal duca Francesco l'esenzione dalle gabelle, cui si opposero gli officiali locali, tra i quali Giovanni Antonio Trombetta e i suoi balestrieri, che volevano riscuotere a forza dai mugnai sul fiume Olona mezzo ducato per mulino invece di limitarsi a vegliare sulla regolarità del flusso del fiume; nel 1460, al nipote Giovanni Andrea Lampugnani fu rinnovata la concessione, nonostante ulteriori vive proteste della popolazione locale. Il privilegio fu riconfermato nel 1471 dal duca Galeazzo Maria Sforza.

Il L. morì a Milano il 13 ag. 1460 e fu tumulato nella chiesa della Madonna del Carmine, in un lussuoso sepolcro. Ebbe quattro figlie naturali poi legittimate: Maddalena, che sposò Obizzino Gambarana; Giovanna, moglie in prime nozze di Gerolamo Lampugnani - dal quale ebbe Ursina che sposò Gaspare di Azzone Visconti - e in seconde nozze di Giovanni Antonio Simonetta; Angela, che sposò Pietro Bartoli di Firenze, con una dote di 600 scudi d'oro; Agostina, che sposò Giorgio Vistarini, fratello di Orsina moglie di Pietro Lampugnani. Ebbe anche un figlioccio, Pietro, dottore in legge e suo procuratore in diversi affari immobiliari nel Legnanese.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Fondo famiglie, cart. 95: Lampugnani; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco (1450-1500), Milano 1948, pp. 3, 457; I registri delle lettere ducali del periodo sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1961, p. 74; C. Santoro, Gli offici del Comune di Milano e del dominio visconteo-sforzesco. 1216-1515, Milano 1968, p. 224; P.C. Decembrio, Vita di Filippo Maria Visconti, a cura di E. Bartolini, Milano 1983, pp. 73, 117, 178; A. Zanelli, Brescia sotto la signoria di Filippo Maria Visconti (1421-1426), in Riv. stor. italiana, IX (1892), pp. 387, 435 s., 448 s.; E. Lazzeroni, Il Consiglio segreto o Senato sforzesco, in Atti e memorie del III Congresso storico lombardo, Milano 1939, pp. 108 s.; G. Sutermeister, Il castello di Legnano, in Memorie della R. Deputazione lombarda di storia patria. Sezione di Legnano, VIII (1940), pp. 26-63; Storia di Milano, Indice, Milano 1966, pp. 426 s.; M. Ansani, La provvista dei benefici. 1450-1466. Strumenti e limiti dell'intervento ducale, in Gli Sforza, la Chiesa lombarda, la corte di Roma. Strutture e pratiche beneficiarie nel Ducato di Milano (1450-1535), a cura di G. Chittolini, Pisa 1989, pp. 36, 68; G. Albini, Città e ospedali nella Lombardia medievale, Bologna 1993, pp. 144, 221, 223, 226 s.; G. Soldi Rondinini, I Borromeo, una famiglia "forestiera" tra Visconti e Sforza, in L'Alto Milanese nell'età del Ducato, a cura di C. Tallone, Varese 1995, p. 10; F.M. Vaglienti, "Non siando may puniti de li excessi fati, ogni dì presumono fare pegio": violenze consortili nella Legnano di fine '400, ibid., p. 155; L. Arcangeli, Gian Giacomo Trivulzio marchese di Vigevano e il governo francese nello Stato di Milano. 1499-1518, in Vigevano e i territori circostanti alla fine del Medioevo, a cura di G. Chittolini, Abbiategrasso 1997, pp. 28, 63; M.N. Covini, Vigevano nelle carte dell'auditore. Aspetti dell'intervento ducale nella amministrazione della giustizia, ibid., p. 311; F.M. Vaglienti, Cacce e parchi ducali sul Ticino. 1450-1476, ibid., p. 260.

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