OLI E GRASSI

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

OLI E GRASSI

Eugenio Mariani

(v. oli, XXV, p. 266; App. II, II, p. 452; III, II, p. 299)

La produzione mondiale di o. e g. negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta è andata gradualmente crescendo; in particolare gli o. di semi hanno contribuito in misura maggiore a tali aumenti, mentre quelli di oliva, pesce e animali presentano variazioni minori. Oltre che nella quantità di o. prodotti si sono verificate variazioni anche nella distribuzione delle aree produttrici dei vari tipi di semi, come dimostrano gli elevati livelli di produzione, di lavorazione e di esportazione raggiunti da molti paesi emergenti. La produzione mondiale di o. e g. è dell'ordine di 80 milioni di t, per l'80% circa destinati all'alimentazione umana, per il 5÷6% a quella animale e per il rimanente (15÷14%) a impieghi industriali, fra i quali l'oleochimica (v. in questa Appendice). La produzione di sostanze grasse proviene per circa i tre quarti da semi e frutti oleosi e per il rimanente quarto da animali e pesci.

In Italia la produzione di sostanze grasse vegetali si valuta intorno ai 12 milioni di q/anno; per il consumo si ricorre anche all'importazione di 7÷8 milioni/anno di q (vanno poi detratti circa 2÷3 milioni destinati a esportazione) e quindi i consumi si aggirano sui 16÷17 milioni/anno; le cifre variano sensibilmente di anno in anno in funzione dei raccolti. Nella tab. 1 sono riportate le produzioni e le disponibilità italiane di o. di semi e di frutti oleosi; nella tab. 2 la composizione percentuale in acidi grassi dei principali oli.

Fin verso la seconda guerra mondiale l'o. di semi in Italia rappresentava il sottoprodotto della produzione di farine per mangimi; successivamente il crescere del prezzo dell'o. d'oliva e del fabbisogno di grassi alimentari ha favorito l'impiego dell'o. di semi, già largamente in uso in molti altri paesi; agli inizi spesso si usavano miscele di più semi, poi si sono preferiti o. monoseme. I semi oleosi coltivati in Italia forniscono il 55÷60% dell'o. consumato, il rimanente viene importato sotto forma sia di semi da lavorare che di o. grezzi da raffinare; a questi si aggiungono gli o. di piante esotiche importati prevalentemente sotto forma di o. grezzi o già raffinati.

Gli o. di semi si ottengono in parte per spremitura (da semi ad alto contenuto di o.) e in parte per estrazione con solventi (dai panelli residuati dalla spremitura o direttamente dai semi, specie a basso contenuto di o., opportunamente macinati). Gli o. ottenuti e quelli grezzi importati, in specie se destinati all'alimentazione, vengono sottoposti a diversi trattamenti: deacidificazione (neutralizzazione degli acidi grassi liberi presenti, mediante aggiunta di sostanze alcaline o per estrazione con solventi selettivi); decolorazione (asportazione di sostanze colorate per adsorbimento su terre decoloranti attivate); deodorizzazione (per eliminare componenti volatili di odore e sapore sgradevole mediante distillazione in corrente di vapore); demargarinizzazione (o winterizzazione, per asportare, mediante raffreddamento, i gliceridi di acidi saturi a elevato numero di atomi di carbonio). Non sempre questi trattamenti sono tutti necessari; la loro adozione dipende dallo stato degli o. e dal grado di depurazione richiesto. In passato si effettuavano in maniera discontinua; oggi, specie negli impianti di maggiore potenzialità (che possono arrivare anche a 1000 e più t/giorno), si effettuano in ciclo continuo, a funzionamento automatizzato e regolato da computer. Come risulta dalla tab. 1 i semi coltivati in Italia forniscono solo parte dell'o. necessario; si tratta prevalentemente di soia e di girasole che vengono coltivati, specialmente la prima, per farine per mangimi; sesamo e cotone sono invece completamente importati, mancando nel nostro paese ogni coltivazione; per colza, ravizzone e mais la produzione nazionale copre il 20÷30% del consumo. La maggior parte dei semi oleosi e degli o. grezzi importati viene dall'Africa, dall'Asia, dall'America latina.

Il mercato mondiale dei semi oleosi e dei loro o. è soggetto a forti variazioni di disponibilità e di prezzo, legate alle condizioni climatiche, e quindi all'entità dei raccolti, a problemi politici locali, a variazione dei cambi, ecc. La produzione di semi oleosi si è accresciuta in diversi paesi: in alcuni (Asia, America latina) sono stati avviati e realizzati programmi di espansione a lungo termine.

Negli ultimi 15÷20 anni si riscontrano incrementi annui di produzione dell'ordine del 10÷14% in Argentina, Brasile, Paraguay, Cuba; incrementi un po' minori, del 6÷9%, si sono verificati in Malaysia, Indonesia, Nuova Guinea, Filippine, Corea; in Malaysia la produzione dell'o. di palma ha segnato incrementi eccezionali (15÷20% circa; v. oltre). La Cina, che già in passato disponeva di una rilevante produzione di semi oleosi, ha segnato a partire dai primi anni Settanta una crescita media, annua, del 3% e oltre, ma nonostante ciò non ha raggiunto ancora l'autosufficienza ed è costretta alle importazioni. Sempre in questi ultimi anni non sono mancati paesi nei quali si sono verificate addirittura diminuzioni di produzione, come nell'Africa settentrionale (Algeria −3,4%; Marocco −5,4%), in Nigeria (−2%), in Israele (−5%), ecc., dove però le diminuzioni sono dovute a particolari condizioni politiche, a guerre locali, ecc. Naturalmente non tutti i semi o frutti oleosi hanno mostrato gli stessi incrementi; quelli che hanno segnato i maggiori aumenti di produzione sono palma (10%), soia (17%), girasole (8,6%), palmisto (4,1%).

Nei paesi della Comunità Europea si sono registrati aumenti, promossi in specie attraverso i finanziamenti concessi ai paesi membri e alle garanzie di prezzo e di ritiro dei prodotti date agli agricoltori; gli aumenti realizzati non consentono ancora una produzione sufficiente per i consumi della Comunità, che è costretta a un'importazione di o. e g. dell'ordine di 2,5 milioni di t/anno (a fronte delle quali si registra un'esportazione di circa 700.000 t specialmente verso il Nord Africa, la Nigeria, il Medio Oriente). La crescente richiesta di farine per mangime (soprattutto quelle ad alto tenore proteico) può essere fronteggiata favorendo l'importazione di semi oleosi, da lavorare nei vari paesi membri in impianti di estrazione e raffinazione dotati di capacità produttive elevate, trattenendo le farine ed esportando gli oli.

Diverse sono le ragioni che hanno portato all'incremento di produzione nei paesi asiatici; emblematico il caso della Malaysia, riguardante l'o. di palma. Con l'aumento del consumo di gomma sintetica, verso il 1960, la produzione di gomma naturale entrò in crisi e nella Malaysia Occidentale, dove si trovavano le maggiori piantagioni, si pensò di dare vita a un piano di coltivazione di palme da o.; inoltre, una volta realizzata la produzione, sono state impiantate le strutture per lavorare in loco sia frutti che semi oleosi ed esportare così prodotti con più alto valore aggiunto. Sono stati costruiti impianti moderni di notevole capacità produttiva pari a 1000 t e più al giorno di oli. La produzione della Malaysia, che già nel 1980 aveva raggiunto 2,5 milioni di t, è arrivata nel 1991 a 6,15 milioni; lo stesso si è verificato per l'Indonesia (passata da 720.000 t a 2,7 milioni). Analogamente la produzione d'o. di palmisto della Malaysia dal 1980 al 1991 è passata da circa 300.000 t/anno a poco più del doppio. La Malaysia che nel 1980 esportava appena 46.000 t di o. grezzo, oggi esporta circa il 90% della produzione (cioè 5,5 milioni di t) sotto forma di o. in gran parte raffinato. Un analogo programma di produzione e di utilizzazione dell'o. di cocco è stato intrapreso dalle Filippine, che nel giro di pochi anni sono diventate il maggior produttore ed esportatore di quest'olio (circa 3,7 milioni di t esportate nel 1991).

Il programma dei paesi asiatici non ha compreso solo la produzione degli o. sopra citati, poiché a questi vanno aggiunti quelli di semi (soia, arachide, colza, girasole, ecc.) e ancora le farine residuate dall'estrazione degli o., le quali costituiscono prodotti di larga esportazione. Infine, parte degli o. prodotti hanno fornito la materia prima per la trasformazione, in loco, in acidi, alcoli, esteri (v. oleochimica, in questa Appendice).

Arachide. − La produzione mondiale di arachide (non sgusciata) è passata da 18 milioni di t nel 1980 a 23,5 milioni nel 1991; alla Nigeria, Senegal, USA, che in passato erano i maggiori produttori, se ne sono aggiunti di nuovi, quali India, Cina, Indonesia e Argentina. I semi sgusciati contengono il 45÷50% di o. e il 23÷35% di proteine ma anche una piccola quantità di aflotossina, che rende la farina inadatta all'alimentazione del bestiame a meno che non si operino trattamenti deattivanti (con ammoniaca, ecc.). In Italia, la produzione di arachide è praticamente cessata; anche l'importazione dei semi si riduce a ben poco mentre s'importano 450÷550.000 q/anno di o. grezzo, che viene raffinato e solo in piccola parte esportato.

Colza. − Dal 1980 al 1991 la produzione mondiale di semi di colza è passata da 11 a 27 milioni di t; i più forti incrementi si sono avuti in Cina (da 3 a 7,5 milioni di t), in India (da 1,8 a 5 milioni), in Canada (da 2,5 a 4,3 milioni); in Europa crescite si sono avute in Francia (da 800.000 a 2,5 milioni), in Germania (da 350.000 a 2,5 milioni), in Polonia e in Gran Bretagna. L'aumento è stato in gran parte favorito dalle nuove varietà, cosiddette a contenuto zero di acido erucico: infatti, la CEE ha sovvenzionato solo colture di questa nuova varietà; gli USA hanno consentito l'uso di o. con non più del 2% di acido erucico; si hanno poi varietà primaverili (usate per lo più in Canada) e varietà invernali, più usate nei paesi europei. Le varietà precedenti (con alto contenuto di acido erucico) continuano a essere prodotte, in quantità limitate, per usi tecnici speciali. In Italia si producono 300÷400.000 q di o. di colza ottenuto per metà, circa, da seme coltivato e per metà da seme importato; inoltre, s'importano altri 500÷800.000 q di o. grezzo da raffinare. Per rendere più commerciabili sia gli o. che le farine disoleate occorre ridurre la presenza di un glicoside contenente zolfo, che potrebbe venire decomposto dall'azione di un enzima (mirosinasi) presente nei semi, con conseguente alterazione del sapore dell'olio. La presenza del glicoside viene eliminata nell'o. durante gli usuali trattamenti di raffinazione mentre dalle farine si elimina mediante trattamento con alcali e riscaldamento.

Girasole. − Anche la produzione di semi di girasole è aumentata notevolmente dal 1980 al 1991, passando da 14 a 23 milioni di tonnellate. I maggiori produttori, oltre la ex URSS da sempre in testa alla graduatoria (5 milioni di t), sono: l'Argentina (passata da 1,5 a 4 milioni di t), la Cina (1,5), l'India (850.000 t), la Francia (2,5 milioni di t), la Spagna (1 milione). In Italia, la produzione di o. (200÷220.000 t) si ottiene per circa due terzi da seme indigeno e per l'altro terzo da seme importato; si importa anche o. grezzo che però viene esportato, dopo la raffinazione. I semi contengono circa il 45% di o. che si estrae in parte per spremitura e in parte per trattamento con solvente. L'o. di spremitura in molti casi si può usare dopo semplice filtrazione, altrimenti si ricorre ai consueti trattamenti di raffinazione. Oggi si dispone anche di varietà di girasole che forniscono o. ad alto tenore di gliceridi dell'acido oleico, stabili all'ossidazione.

Soia. − La coltivazione della soia, elemento base dell'alimentazione dei popoli asiatici, dopo il 1940 cominciò a essere impiantata anche negli USA, che ne sono diventati il maggior produttore, superando il 50% della produzione mondiale (54 milioni di t rispetto a 103 milioni complessivi). In Europa la coltivazione della soia è cresciuta più lentamente (per la concorrenza di altre coltivazioni e per la difficoltà di disporre di varietà adatte alle condizioni climatiche del continente); il maggiore produttore è l'Italia con 1,3 milioni di t nel 1991. In USA il 10% circa della produzione di o. viene utilizzato aggiunto a pesticidi, come solvente e come coadiuvante vettore nella diffusione spray; si usa anche in piccola quantità aggiunto ai cereali, per spegnere la polvere che si svilupperebbe durante la loro movimentazione. In periodi di carenza di petrolio si usa come carburante per diesel: meglio che puro 'e impiegato in miscela con gasolio o utilizzando gli esteri metilici degli acidi grassi (v. oleochimica, in questa Appendice). L'o. di soia prodotto in Italia (circa 300.000 t/anno) è ottenuto per i due terzi da semi di produzione nazionale; un terzo dell'o. viene esportato. La soia è un seme a basso contenuto di o. (17÷20%) ma fornisce un elevato apporto proteico e inoltre contiene tocoferoli che agiscono da stabilizzanti contro la tendenza dell'o. ad alterarsi per l'elevata percentuale di gliceridi di acidi insaturi; nell'o. di soia c'è anche un'elevata presenza di fosfatidi, che si separano facilmente durante la raffinazione e sono fonte di lecitine. Per ridurre la quantità di acidi grassi insaturi l'o. viene idrogenato e il prodotto risulta così adatto per margarine.

Ricino. − I semi di ricino si ottengono da un'euforbiacea tropicale (Ricinus communis); la produzione, limitata a pochi paesi (Brasile, Cina e soprattutto India), è appena di 1,3 milioni di t/anno. I semi, decorticati, contengono il 40÷50% di o., che si ottiene per spremitura a freddo (usato in farmacia) o per spremitura spinta o per estrazione con solvente. I semi sono suscettibili di alterazione dovuta all'idrolisi dell'o. provocata dalla presenza di un enzima. La produzione di o. è dell'ordine di 500.000 t/anno. Il componente principale (circa 90%) degli acidi è l'acido ricinoleico, ossiacido insaturo. La farina disoleata contiene una proteina tossica che ne impedisce l'impiego come mangime. Oltre agli impieghi farmaceutici l'o. di ricino trova diversi impieghi sia come tale (saponi trasparenti, lubrificanti, additivi per tessili) che variamente trasformato; il suo estere metilico per pirolisi dà un'aldeide e un acido, rispettivamente a 7 e a 11 atomi di carbonio; l'acido viene usato come materia prima per il nailon 11 (v. fibre tessili, App. III, i, p. 608).

Mais. − Si ottiene dal germe dei semi che viene separato durante l'estrazione dell'amido dalla farina; tale germe costituisce il 10÷12% del peso del chicco di mais e contiene circa il 35% di o. che si ottiene, di solito, in parte per spremitura e/o per estrazione con solvente. L'o. è di colore giallo oro, di odore e sapore che ricorda quello della farina e viene depurato con i tradizionali sistemi. Contiene in larga percentuale gliceridi di acido oleico e linolenico (circa l'85%); il rimanente è formato da gliceridi di acidi saturi, specie da acido palmitico. La frazione insaponificabile dell'o. contiene steroli (tocoferoli) che col loro potere antiossidante proteggono l'o. dalle alterazioni, nonostante l'elevata percentuale di acidi grassi insaturi presenti. La frazione insaponificabile è inoltre ricca di sostanze colorate (carotenoidi, ecc.) che vengono estratte e, sotto forma di concentrati, utilizzate come additivi per margarine. In Italia la produzione di o. di germe da amideria è dell'ordine di 220÷250.000 q/anno, ottenuti per più della metà da semi di produzione nazionale.

Palma (v. XXVI, p. 131). − In passato la palma cresceva allo stato naturale; in questi ultimi decenni sono state avviate grandi coltivazioni di piante selezionate, per dare sia frutti più ricchi in o. sia arbusti più bassi, per facilitare la raccolta dei frutti; sono stati anche migliorati i sistemi di impollinazione. La produzione mondiale di o. di palma nel 1991 è stata di 11,873 milioni di t, così ripartiti: 9,2 in Asia (Malaysia 6,1; Indonesia 2,7; Thailandia 0,234, ecc.), 1,8 in Africa (Nigeria 0,900; Costa d'Avorio 0,217; Camerun 0,105; Ghana 0,087; Guinea 0,050, ecc.); 0,532 nell'America del Sud, ecc. Coi nuovi impianti di lavorazione largamente introdotti nei paesi di produzione della palma, l'o. viene ottenuto per spremitura dei frutti preventivamente sterilizzati mediante riscaldamento; contenendo sempre una quantità sensibile di acidi liberi (3÷5%), l'o. deve essere sottoposto a depurazione. Mediante raffreddamento l'o. può essere separato in due frazioni: una solida, più ricca in gliceridi dell'acido stearico, con punto di fusione di 50÷52°C, l'altra liquida, più abbondante (75÷80% del totale) e più ricca in gliceridi dell'acido oleico.

Cocco. − Le Filippine sono diventate il maggior produttore di o. di cocco, con 1,9 milioni di t nel 1991, seguite da Indonesia con 1,4, dall'India con 0,500, e dalla Malaysia con 0,100. Le Filippine esportano la gran parte dell'o. prodotto (1,1 milioni di t nel 1991). Nelle Filippine sono sorti impianti di produzione di alcoli, per oltre 30.000 t/anno. L'o. di cocco è uno dei pochi o. contenenti esteri degli acidi laurici (laurico e miristico); trova impiego per usi alimentari (o., margarina) e da esso si estrae l'acido laurico, dal quale si ottiene l'alcol laurilico usato per tensioattivi. In Italia si importano ogni anno 50÷60.000 t di questo tipo di olio.

Babassu. − Si tratta di una palma (Orbygnia speciosa) originaria della foresta amazzonica, dove si calcola siano presenti diversi miliardi di piante, che però sono difficili da utilizzare. L'o. è contenuto nella mandorla del frutto, che si presenta a grappoli di diverse centinaia di elementi; le mandorle ne costituiscono il 12% circa in peso e contengono il 65-70% di olio. Il trasporto dei frutti ai centri di lavorazione è piuttosto difficoltoso, come pure è difficile asportare il rivestimento, molto duro, dei frutti; per questo motivo la produzione è modesta (circa 150.000 t/anno) utilizzata dopo depurazione, per scopi alimentari, soltanto localmente.

Poiché specialmente fra le piante selvatiche si riscontra spesso la presenza di acidi grassi di tipo e composizione particolari, in questi ultimi anni si sono intensificate le ricerche sulla possibilità di rendere queste piante coltivabili per poterne trarre raccolti regolari. Molte ricerche si sono pertanto concentrate su varietà selvatiche di Cuphea, pianta erbacea del Messico, presente anche in Brasile e Nicaragua; i semi contengono una elevata percentuale di trigliceridi di acidi di media lunghezza (C12), particolarmente richiesti dall'industria dei detergenti. Analogamente, varietà di Crambe abyssinica e di Limnantes alba contengono gliceridi che dopo idrogenazione possono fornire acidi saturi C20−C22. Una pianta tipica di regioni aride inospitali che viene già coltivata e per la quale sono già in atto programmi di coltivazione su larga scala è la Simmondsia chinensis che fornisce semi dai quali si estrae l'o. di jojoba.

Jojoba. − Si ottiene dai semi della Simmondsia chinensis, una pianta che cresce nelle zone calde e aride del Sud-Ovest degli USA (Arizona, California) e del Messico; prospera in terreni con quantità di piogge annue anche limitate (dell'ordine anche dei 500 mm/anno e meno), grazie al suo apparato radicale profondo. Tollera variazioni di temperatura giorno/notte anche forti; resiste in terreni di bassa fertilità anche con salinità elevata. Ha foglie sempre verdi, raggiunge altezze di alcuni metri e giunge al pieno sviluppo dopo una decina di anni; ha vita lunga, che può arrivare anche a 50÷100 anni. Il valore della pianta deriva dai suoi semi, che contengono un'elevata quantità di cera oleosa. Ogni pianta, se di età inferiore a 8÷10 anni, ne produce meno di 2 kg, ma circa 3 kg dopo i 10÷12 anni; la resa in semi con piante adulte è di 3000 kg/ha. L'interesse per i semi di questa pianta è cresciuto negli ultimi anni poiché la cera che essi contengono è simile a quella dell'o. di spermaceti (v. XXXII, p. 341) ricavabile da alcune classi di cetacei (capodoglio, ecc.), la cui pesca è tuttavia limitata, trattandosi di specie protette.

Dai semi decorticati e macinati si ottiene, per spremitura, il 50÷60% di un o. costituito per il 97÷98% da una cera formata prevalentemente (circa 85%) da acidi a 20÷22 atomi di carbonio esterificati con alcoli monovalenti, pure prevalentemente (90%) a 20÷22 atomi di carbonio; acidi e alcoli contengono ciascuno un solo doppio legame. La molecola di questi esteri, risultando da una catena lineare di 40÷45 atomi di carbonio contenente due doppi legami separati, distanti, presenta così una scarsa alterabilità all'aria. I doppi legami sono in grado invece di consentire la formazione di derivati (con cloro, zolfo, acido solforico, idrogeno, ecc.). Il prodotto completamente idrogenato si presenta sotto forma di solido con punto di fusione di circa 70°C. L'o. di jojoba, facile da depurare contenendo pochissime impurezze, è di colore appena paglierino. Dalla spremitura dei semi residua una ''farina'', che è ricca di proteine ma contiene anche una sostanza tossica (un cianoderivato), per cui non la si può usare nell'alimentazione del bestiame, a meno di riuscire ad eliminare o decomporre il componente tossico. Finora, dati i modesti quantitativi disponibili, l'o. di jojoba viene usato in impieghi che ne richiedono quantità limitate ma si prevede di averne in breve tempo quantità utilizzabili in impieghi di massa. Alcune stime fanno ritenere che siano già stati messi a coltivazione 25÷30.000 ha. Si usa in cosmetica (preparati per la pelle, shampoo) e in medicina come veicolo per farmaci destinati alla cura della pelle, ecc. Se ne prevedono comunque ulteriori impieghi: come componente di lubrificanti per alte pressioni e temperature; come umettante e ammorbidente nell'industria delle pelli; come antischiuma in processi di fermentazione. Il prodotto parzialmente o totalmente idrogenato risulta adatto per cere da pavimenti e per carte copiative. Mancando di tossicità, può essere impiegato come ricoprente, in sottile strato, per conservare la frutta, in modo da ritardarne l'appassimento e le alterazioni e contribuendo anche alla conservazione del profumo.

In previsione dell'aumento della richiesta del prodotto, e tenuto conto che si possono destinare alla coltivazione dello jojoba terreni a bassa fertilità, poco adatti a coltivazioni che richiedono maggiori quantità di acqua, molti paesi ne hanno intrapreso sperimentazioni e coltivazioni (Chile, Argentina, Brasile, Costa Rica, Kenya, Tanzania, Australia, Israele, ecc.).

Olio d'oliva. − È l'o. maggiormente prodotto in Italia; la domanda interna fra o. di semi e o. d'oliva tende a uguagliarsi (v. tab. 3). Nel 1991 la domanda di o. di oliva ha anzi superato quella degli o. di semi; il consumo pro capite di o. di oliva ha oltrepassato in questi ultimi anni i 12 kg/anno. I dati riportati in tabella indicano infatti un crescente consumo dell'o. di oliva, specie di quello di qualità superiore (extra vergine), nonostante il suo maggiore prezzo rispetto sia alle altre varietà sia agli o. di semi; il fenomeno è da attribuire all'aumentato tenore di vita ma anche alle campagne d'informazione sui pregi alimentari e salutari delle varietà extra vergini; anche la CEE si è impegnata a promuovere campagne a favore dell'o. d'oliva nei paesi membri. Dopo la Grecia anche la Spagna è entrata a fare parte della Comunità, ma i meccanismi dell'organizzazione comunitaria saranno applicati alla Spagna solo nel 1996: nel frattempo dovrà riavvicinare i prezzi dei propri prodotti a quelli della Comunità e sopprimere gradualmente gli aiuti forniti all'agricoltura. Non è improbabile che l'entrata nella Comunità di questo nuovo membro alteri gli equilibri attuali nel settore dell'o. d'oliva, tenuto conto che la Spagna è il maggiore produttore d'o. d'oliva nel mondo. È ipotizzabile che si creino eccedenze e difficoltà di collocazione e di concorrenza del prodotto italiano con quello spagnolo, che presenta costi notevolmente inferiori derivanti anche dai miglioramenti apportati in questi ultimi anni alle coltivazioni, alla raccolta e alla lavorazione del prodotto. In ogni caso, è interesse della Comunità che la produzione dei nuovi membri venga assorbita dai paesi comunitari per impedire la formazione di eccedenze che comporterebbero costosi interventi capaci di sollevare le proteste dei produttori degli altri tipi di oli.

La CEE col regolamento 136/66 del 29 settembre 1966 (modificato in alcuni punti nel 1987 e nel 1991) ha stabilito le denominazioni e le definizioni specifiche degli o. di oliva del commercio come segue.

Oli di oliva vergini: sono quelli ottenuti dal frutto dell'olivo soltanto mediante processi meccanici o altri processi fisici (in condizioni, segnatamente termiche, che non causano alterazioni dell'o.) e che non hanno subito alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione, esclusi gli o. ottenuti mediante solvente o con processi di riesterificazione e qualsiasi miscela con o. di altra natura. Detti o. sono oggetto della classificazione e delle denominazioni seguenti: a) olio extra vergine di oliva: si tratta di o. di oliva vergine il cui punteggio organolettico è uguale o superiore a 6,5, la cui acidità libera, espressa in acido oleico, è al massimo di 1 g per 100 g, e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria; b) olio di oliva vergine: si tratta di o. di oliva vergine il cui punteggio organolettico è uguale o superiore a 5,5, la cui acidità libera, espressa in acido oleico, è al massimo di 2 g per 100 g, e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria.

Olio di oliva: è quello ottenuto da un taglio di o. di oliva raffinato e di o. di oliva vergini diversi dall'o. lampante, la cui acidità libera, espressa in acido oleico, non può eccedere 1,5 g per 100 g, e avente le altre caratteristiche previste per questa categoria (l'o. di oliva raffinato proviene dalla raffinazione degli o. vergini, la cui acidità non può eccedere 0,5 g per 100 g; quello lampante è un o. di oliva vergine il cui punteggio organolettico è inferiore a 3,5 e/o la cui acidità espressa in acido oleico è superiore a 3,3 g per 100 g).

Olio di sansa di oliva: è quello ottenuto da un taglio di o. di sansa di oliva raffinato e di o. di oliva vergini diversi dall'o. lampante, la cui acidità libera, espressa in acido oleico, non può eccedere 1,5 g per 100 g, e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria (l'o. di sansa di oliva raffinato è quello ottenuto dalla raffinazione di o. di sansa di oliva greggio, la cui acidità libera non può eccedere, espressa in acido oleico, 0,5 g per 100 g).

Gli o. di oliva vergini sono quelli ottenuti per spremitura meccanica e successivi trattamenti fisici (filtrazione, centrifugazione, ecc.); quelli raffinati consentono anche trattamenti chimici (neutralizzazione, decolorazione, ecc.). Il punteggio organolettico fissato dal Regolamento CEE per gli o. vergini è il risultato di una valutazione delle caratteristiche del flavor (fruttato) fatta da un gruppo di assaggiatori scelti, ciascuno dei quali attribuisce all'o. un punteggio basato sulla percezione degli stimoli del flavor; la media dei valori attribuiti viene confrontata con una scala di valori stabilita in base alla percezione degli stimoli del flavor rilevata da un altro gruppo di assaggiatori scelti, sulla quale sono riportati punteggi di valutazione da 1 a 9 (tab. 4).

Recentemente in Italia (l. n. 169 del 5 febbraio 1992) è stata approvata la "Disciplina per il riconoscimento della denominazione di origine controllata" per gli o. di oliva vergini ed extra vergini. Secondo l'art. 3, la denominazione di origine controllata (DOC) "indica il nome geografico che individua una zona caratterizzata da specifici fattori naturali o umani usati per designare gli oli vergini ed extra vergini che ne sono originari e le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente agli oliveti da cui è ricavata la materia prima, ai predetti fattori naturali e umani e alla tecnica di lavorazione"; possono quindi conseguire il riconoscimento della denominazione di origine controllata gli o. vergini ed extra vergini che possiedono le caratteristiche fisico-chimiche e organolettiche previste dal Regolamento CEE, sopra indicato.

Bibl.: R. Leysen, Soya oil consumption trends in EEC, in Chemistry and Industry, 1982, p. 428; F.D. Gunstone, Oils and fats: production, consumption, availability and chemical reactions, ibid., 1987, p. 43; A. Thomas, Fats and fatty oils, in Ullmann's Encyclopedia of industrial chemistry, vol. 10, Weinheim 19875; I. Pasquon, L. Zanderighi, La chimica verde, Milano 1987; F.D. Gunstone, Jojoba oil, in Endeavour, 14 (1990).