OLIMPIA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1963)

Vedi OLIMPIA dell'anno: 1963 - 1973 - 1973 - 1996

OLIMPIA (᾿Ολυμπία, Olympia)

U. Jantzen

Antico santuario ed oracolo di Zeus, situato sul lato occidentale del Peloponneso, nella parte meridionale dell'Elide, tra il fiume Alfeo e il torrente Cladeo. Grazie ai giochi olimpici (τὰ ᾿Ολυμπία) cui partecipavano greci di ogni stirpe, il santuario assurse ad un'importanza panellenica. La località era denominata dai greci "Altis", come ci è testimoniato in primo luogo da Pindaro (Ol., x, 55). Pausania ci tramanda (v, 10, i) quella che è senza dubbio l'etimologia esatta di questo nome, ossia che si tratti di una variazione di ἄλσος = bosco sacro.

I) Il mito. - Tra le innumerevoli leggende collegate alla località di O., e intorno alle quali si discute fin dall'antichità, due sono particolarmente significative: la saga di Pelope e l'istituzione dei giochi olimpici ad opera di Eracle. Queste leggende rispecchiano una duplice stratificazione, l'una pre-greco-micenea e l'altra greca storica. P e l o p e: il re di Pisa, Enomao, aveva promesso in sposa la figlia Ippodamia al pretendente che lo avesse vinto nella gara della quadriga. La fanciulla doveva partecipare alla gara sul cocchio del giovane; il percorso si estendeva da Pisa nella valle dell'Alfeo fino all'altare di Posidone sull'Istmo. Il pretendente aveva il diritto di partire per primo, mentre Enomao saliva sul carro, trainato da cavalli divini, soltanto dopo aver sacrificato all'altare di Zeus Arèios. Quando il re raggiungeva il giovane aveva il diritto, secondo le regole della gara, di trafiggerlo da dietro con la spada. Enomao aveva vinto in questo modo tredici o diciotto pretendenti, quando apparve Pelope, figlio del re Tantalo, e chiese anch'egli la mano di Ippodamia. Posidone gli aveva fatto dono di cavalli alati, dotati di forze soprannaturali, e con il loro aiuto il giovane sconfisse Enomao. Questi si diede egli stesso la morte, oppure, secondo un'altra versione del mito, perì per il tradimento del suo auriga Mirtilo. Pelope divenne re di Pisa. Il suo monumento sepolcrale, il Pelopion, era situato nel centro del futuro santuario di Zeus e diventò il punto di partenza delle gare con la quadriga, i giochi funebri per il re morto. - E r a c l e: secondo Pindaro e altre fonti antiche Eracle sarebbe il fondatore dei giochi olimpici, e li avrebbe istituiti nel santuario di Zeus in onore di Pelope. Il dio portò con sé dal paese degli Iperborei anche il sacro olivo di Zeus e si incoronò, quale primo vincitore, con un ramo di quest'albero. Questo mito non è abbellito da ulteriori particolari.

II) La storia. - A) Età del Bronzo (inizio del II millennio a. C.): sulle origini di O. né i miti, di difficile interpretazione, né le fonti storiche tramandano notizie univoche. Per questo rimangono estremamente incolori le interpretazioni archeologiche delle fondamenta di case e di costruzioni dell'Età del Bronzo e delle tombe ad esse attinenti, che furono scoperte nel centro dell'Altis. Attualmente è ancora incerto se si potrà mai arrivare a riconoscere nelle rovine dell'età più antica uno "stabilimento dell' inizio del Il millennio", che verosimilmente aveva il nome pre-ellenico di "Pisa", e se si potranno individuare rapporti con il santuario più recente, secondo l'ipotesi formulata soprattutto dal Dörpfeld. Si tratta di varie case absidate, della lunghezza di 11-12 m; l'apertura delle porte è orientata in direzione della collina di Kronos. Dato che uno spesso strato sabbioso privo di ritrovamenti archeologici, e originato senza dubbio dalle inondazioni del fiume e da frane, separa queste prime costruzioni dagli stabilimenti del periodo successivo, non si può assolutamente pensare - dal punto di vista archeologico - ad una qualsiasi relazione con il santuario posteriore. Ma, ad onta di simili catastrofi naturali, certe tradizioni possono rimaner salde in una località. Le forme singolari arcaico-classiche del Bouleutérion, che si riconnettono alle piante delle case più antiche, devono essere originate da rapporti così misteriosi che a noi è impossibile penetrarli.

B) Età micenea (fine del II millennio a. C.): gli scavi più recenti hanno provato, in modo sempre più evidente, che la consapevolezza storica dei Greci e il ricordo di personalità e istituzioni risalgono fino all' età micenea, l'età degli Achei. Così è indubbio che nei miti di Pelope ed Enomao, e nelle narrazioni sull'immigrazione degli Etoli nell'Elide sotto la guida di Oxylos, si rispecchiano avvenimenti dell'età micenea. Così nel Pelopion, in età greca heròon del re Pelope, si può individuare il nucleo miceneo del futuro santuario di Zeus, che a questa epoca ha già certamente ricevuto il nome di "Olimpio". Bisogna però tener presente che un unico frammento miceneo, tratto dalle stratificazioni inferiori nelle adiacenze del Pelopion, documenta, dal punto di vista archeologico, l'età micenea in questa località. Ma centri e installazioni micenee erano già stati rinvenuti a distanza più o o meno grande da O., e, negli ultimi anni, nuovi ritrovamenti hanno completato il quadro dell'età micenea. Oltre al Pelopion è esistito durante tutta l'antichità un secondo heròon, dedicato ad Ippodamia, che deve risalire egualmente all'età micenea. Fino ad ora gli scavi non hanno potuto rilevarne la posizione.

C) Età protogeometrica (XI e X sec. a. C.): non è stato possibile finora documentare costruzioni che risalgano ai primi secoli dell'arte greca. Si deve però supporre che il Pelopion e l'Hippodameion abbiano continuato a sussistere nella loro forma di heròon. Almeno fino all'età protogeometrica deve risalire la colonna di legno che Pausania aveva visto ancora nel Il sec. d. C. (Paus., v, 14, 7 e 20, 6) e la cui iscrizione, fissata su una tavola di bronzo, la designava come ultima colonna della casa di Enomao distrutta dal fulmine di Zeus. Essa sorgeva nel mezzo del santuario di Zeus, legata accuratamente con strisce di metallo e protetta da un baldacchino sorretto da quattro colonne. È legittimo formulare l'ipotesi che si tratti in questo caso di una di quelle colonne che furono oggetto di culto nella prima antichità, più facilmente individuabili in altre località della Grecia; si potrebbe trattare, anche, dell'antico simulacro di Zeus, il cui significato originario è, in tempi successivi, caduto in oblio. Pausania (v, 20,7) riferisce il testo dell'iscrizione. Questa interpretazione della colonna di Enomao è appoggiata dall'analogia di casi molto vicini, come possono essere il monoptero, antico simulacro dell'Hera di Samo (H. Schleif, in Ath. Mitt., lviii, 1933, p. 216), e la colonna lignea inghirlandata d'edera sulla rocca Cadmea di Tebe, che anticamente era stata venerata come Dioniso stesso (Paus., ix, 12, 4). Il sacro olivo kallistéphanos già doveva esistere in questo periodo, e proprio adesso deve aver avuto luogo la fondazione degli altari. Come doni votivi si trovano i più antichi tripodi di bronzo (F. Willemsen, Dreifusskessel von Olympia, in Olympische Forschungen, iii, 1957, p. 166 ss.), che Omero (Il., xi, 698 ss.) descrive quali premi per la vittoria nella gara olimpica dei carri. Tra i ritrovamenti minori bisogna segnalare oggetti votivi di bronzo e di terracotta, raffiguranti figure umane, tori e cavalli. Particolarmente significativi per la storia del culto sono i piccoli carri votivi in bronzo, che sono stati rinvenuti ad O. in quantità sorprendentemente considerevole. Questi doni votivi raffiguranti aurighi sulle bighe, occasionalmente anche due figure in piedi, una accanto all'altra, nella cassa del carro, vengono prodotti fino all'età protogeometrica (nel corso del IX sec.), e non se ne hanno più esempî dopo la data di fondazione dei giochi olimpici greci (776 a. C.). La vecchia teoria, nel frattempo più volte confutata, che si possa trattare qui delle ripercussioni delle gare dei carri in relazione col mito di Pelope, col culto di Pelope, torna rinnovata e valida, data la nostra attuale migliore conoscenza dello stile della prima antichità.

D) Età geometrica (IX e VIII sec. a. C.); l'unica traccia di costruzione che si possa presumibilmente attribuire all'età geometrica è il basamento in pietra grezza sotto il Prytaneion arcaico. La sua forma lenticolare o romboide è difficilmente spiegabile, forse perché complicata da sovrastrutture più tarde; a prima vista si può interpretare come un altare. La datazione è fornita dall'unico ritrovamento che appartenga a questi residui, una statuetta in bronzo, un essere fantastico con duplice testa bovina e lunghe gambe; forse abbiamo davanti a noi la costruzione che precedette l'altare di Hestia che Pausania vide nel Prytaneion. Oltre a questo, dovevano sussistere ancora i luoghi di culto del tempo passato, mentre aumentava sempre più il numero degli altari.

L'avvenimento principale di quest'epoca è l'"istituzione" dei giochi olimpici, che, conformemente alla tradizione greca, ebbe luogo nel 776. Il re dell'Elide, Ifito, strinse un accordo con il re di Sparta, Licurgo, per definire le modalità dello svolgimento degli agoni, e il modo in cui i pellegrini diretti ad O. potessero arrivare a destinazione senza pericolo, attraversando paesi in continua lotta l'uno contro l'altro. Con il riconoscimento della pace divina, della ekecheirìa, che garantiva un salvacondotto a tutti coloro che partecipavano alla festa, era assicurato il significato di O. quale santuario e arena panellenici. Nell'Heraion veniva conservato (e Pausania nel Il sec. d. C. lo menziona ancora) un disco di bronzo, sul quale era inciso, in una scrittura a forma di spirale, questo documento, letto e attestato da Aristotele nel IV sec. a. C.

Il mito dell'istituzione delle gare viene nuovamente rielaborato: è adesso che si considera Eracle, l'eroe delle stirpi doriche, il vero fondatore dei giochi, colui che li aveva istituiti come giochi funebri per Pelope, in onore di Zeus. Eracle piantò anche l'olivo selvaggio e si incoronò, quale primo vincitore, con un ramo di quest'albero. Contrariamente alle tradizioni micenee, che, come si può desumere dai carri votivi, avevano continuato a sussistere, ora, secondo il nuovo regolamento di Ifito, non hanno più luogo le gare dei carri, ma si svolge un'unica gara, quella della semplice corsa dello stadio. Il primo vincitore fu Koroibos, dal quale prese nome l'olimpiade; durante tutta l'antichità sarà il vincitore di questa gara a dare di volta in volta il suo nome all'olimpiade. Nelle gare che si erano svolte precedentemente i premi delle gare dovettero essere, come di consueto e come tramanda anche Omero, dei tripodi, ora invece il vincitore riceve una corona, tagliata dall'olivo sacro, il selvaggio olivo kallistèphanos dell'Altis.

Anche in questi secoli furono deposti sugli altari innumerevoli doni votivi dei quali si è conservata una quantità rilevante di bronzi. I pezzi più importanti sono i lebeti, con anse e gambe riccamente decorate e, a volte, con ornamenti plastici di figute umane e di animali. I guerrieri armati, accanto ai loro cavalli, rispecchiano il mondo della nobiltà cavalleresca, che appare qui come sui vasi in terracotta attico-geometrici. Raramente vengono rappresentate figure femminili. Tra le piccole statuette votive si trovano ancora gli esemplari più tardi di aurighi, che possono essere attribuiti al IX sec. e che, rispetto ai primi esemplari dell'arte protogeometrica, sembrano addirittura "naturalistici". Alla fine di questo periodo appaiono nell'arte le prime figure mitologiche, ad esempio Eracle con un centauro, ma non ancora rappresentazioni divine. Per contro, molto abbondanti, particolarmente nel corso dell'VIII sec., sono le raffigurazioni del mondo animale, che superano di gran lunga quelle umane: prima di tutto, per la loro quantità e qualità, bisogna menzionare le statuette di cavalli, poi i tori, gli arieti, i galli, gli uccelli, gli insetti e, inoltre, gruppi di animali e gruppi di caccia. Già dall'epoca geometrica, con i più antichi motivi di elmi, i cosiddetti "elmi conici", è documentato l'uso di dedicare le armi, gli elmi, gli scudi e le corazze catturati nelle battaglie; questa consuetudine di dedicare le armi nei santuari e, talvolta, di appenderle ai templi stessi, si mantenne durante tutta l'antichità.

E) Età arcaica (VII-VI sec. a. C.); coll'importanza sempre crescente di O. ha ora inizio la sistemazione architettonica dell'Altis. La più antica costruzione templare, a nostra conoscenza, è l'Heraion, datato circa alla metà del VII sec., la cui fondazione fu attribuita agli abitanti di Scillunte. Rimane naturalmente aperto il problema della possibile esistenza di più antiche fasi di costruzione, che a noi non è possibile documentare. Alla fine dell'età geometrica gli antichi simulacri di culto, abbandonata la primitiva forma di travi, di colonne o di assi, acquistano forma umana. All'origine di questa evoluzione sono le rappresentazioni, di cui possiamo avere un'idea grazie a Omero, e certo anche gli influssi dell'Oriente ricco di immagini, con il quale si erano avviate relazioni più strette, devono aver avuto un ruolo in questo processo. Questa circostanza esigeva la costruzione di templi, nei quali potessero essere poste al riparo queste immagini di culto più complesse, costose e delicate.

Nel corso del VI sec. viene eretta sulla terrazza a N la maggior parte dei cosiddetti tesori, offerti da città straniere; vi si aggiungono il Prytaneion e il Bouleutèrion, edifici ormai necessari all'amministrazione pubblica. In questo periodo si crea il primo impianto dello stadio, la cui mèta è situata vicino al centro dell'Altis, ossia presso l'altare di Zeus; il Pelopion viene trasformato. Intorno al 570 viene ricostruito con maggior splendore anche l'Heraion, e gli viene aggiunta anche una perìstasis, in un primo momento, a dire il vero, di modeste colonne lignee. L'età arcaica era splendida in doni votivi, che riempivano il santuario e le sue costruzioni in numero e dimensioni rilevanti. Nel VII sec. i doni più frequenti erano grossi lebeti, spesso di grandezza monumentale, adorni di protomi di grifi apotropaici. Nulla si è conservato in O. della grande plastica di questo periodo; le prime testimonianze della scultura in pietra sono i frammenti di un bacino di acqua sacra (perirrhantèrion) e i resti di un leone che faceva parte della decorazione di una fontana, del VII secolo.

I doni votivi e i simulacri divini del VI sec. ci sono noti solo dalle fonti letterarie. Una monumentale testa femminile in calcare, che viene ancora spesso considerata un frammento del simulacro di Hera, doveva più verosimilmente appartenere ad un insieme architettonico. Una idea della grande scultura perduta ci può essere data dalle statuette di bronzo conservate, koùroi, guerrieri, figure femminili, statuette di Zeus. Tra i doni votivi si annoverano anche vasi e altri utensili di uso comune, dato che non c'erano limiti di sorta alla varietà degli oggetti che si potevano dedicare alla divinità. Sono rappresentate in modo particolarmente importante le armi di bronzo (elmi, scudi, corazze), che venivano esposte come trofei sui terrapieni dello stadio.

F) Età classica (V-IV sec. a. C.): l'età classica è il periodo di maggior gloria per i giochi olimpici: nell'Altis vengono innalzati gli edifici più importanti, in cui confluiscono opere d'arte di sommo valore. Tra il 471 e il 456 viene costruito il tempio di Zeus, secondo il progetto dell'architetto Libon di Elide, e più tardi vi sarà collocato il simulacro del dio, opera di Fidia. Per la creazione di questa statua di Zeus, un colosso crisoelefantino di 12 m di altezza, Fidia installò ad O dell'Altis un'officina propria, su solide fondazioni, in pietra squadrata, le cui dimensioni erano identiche a quelle della cella del tempio. Gli ultimi posti liberi sulla terrazza dei thesauròi vengono occupati, e il Pelopion viene dotato di un nuovo pròpybn. Il modesto stadio arcaico che risaliva alla metà del V sec. è sostituito da un nuovo stadio monumentale, reso indispensabile dall'aumentata attività delle gare. I campi sportivi necessari ai concorrenti già dovevano sorgere in forma più modesta sui luoghi dove saranno poi innalzate le installazioni più recenti del ginnasio e della palestra, nella parte occidentale dell' Altis, e consistevano probabilmente, in un insieme di piste spianate e di palestre.

Nel corso del IV sec. possiamo registrare la più ampia attività costruttiva di tutta l'antichità: l'aspetto dell'Altis ne risultò radicalmente modificato. È ben vero che si innalzò, all'inizio del secolo, soltanto un tempio, quello della madre degli dèi Meter; si potrebbe dire, anzi, un tempietto, dato che è il più piccolo dei tre templi di Olimpia. Ma quello che mutò definitivamente l'aspetto dell'Altis fu la costruzione dei portici colonnati, che ora diventano consueti qui, come nel resto della Grecia, con le loro lunghe facciate, forse non sempre dotate di un accento particolare. L'edificio che sorgeva a S-O, la cui identificazione non è del tutto sicura, il portico di Eco, che gli si ricollegava verso N, ed era pensato come la chiusura dell'Altis a E, il portico meridionale, che certamente era l'edificio adibito alle accoglienze ufficiali, e il portico di fronte al Bouleutèrion, costruiti tutti nel corso del IV sec., determinano d'ora in poi l'aspetto del santuario. Dopo la battaglia di Cheronea, 338, Filippo di Macedonia fa erigere, ultimo dei thesauròi, il Phihppeion, l'edificio rotondo circondato da un peristilio ad O del tempio di Hera, contenente i ritratti della sua famiglia in oro e avorio; fuori dell'Altis, circa un decennio più tardi, Leonida di Nasso innalzava una costruzione, il Leonidaion, il cui perimetro era completamente circondato da un colonnato. Anche lo stadio viene nuovamente ricostruito; dato che il portico di Eco interseca, ad O, lo stadio del V sec., questo deve essere stato spostato verso E. Le gradinate sono comunque sempre di terra battuta e non di pietra (ad O. queste non sono mai esistite); soltanto la tribuna dei giudici di gara ha un basamento in pietra.

Come è documentato da frammenti - naturalmente non numerosi - di statue, e ancora più da iscrizioni sulle basi e da notizie letterarie, nel V e IV sec. l'Altis si riempì sempre più di opere d'arte cospicue; questi doni votivi consistono in statue di vincitori e statue onorarie, monumenti di stati e simulacri divini. I più importanti scultori dell'epoca ebbero l'incarico di eseguirli, così che essi sono firmati da nomi come Policleto, Prassitele e Lisippo. Dell'inizio del V sec. si sono conservate due teste anonime di guerrieri spartani, in marmo, e una testa bronzea di Zeus, di dimensioni inferiori al naturale. Soltanto recentemente, grazie ad una serie di ritrovamenti fortunati, un ramo artistico finora sconosciuto è venuto alla luce: le terrecotte di grande formato. Una figura di guerriero, un gruppo di Atena e un gruppo con Zeus e Ganimede, sono importanti testimonianze della grande scultura dell'inizio del V sec., soprattutto per la loro ben conservata policromia. Il capolavoro della plastica architettonica di stile severo, quello che ci ha dato un'idea delle possibilità artistiche di questa epoca, è l'ampio e ben conservato complesso delle sculture del tempio di Zeus, il frontone orientale e quello occidentale e le dodici metope, in marmo (v. olimpia, maestro di).

Come monumento della vittoria gli abitanti di Messene e di Naupatto dedicarono, alla fine del V sec., la Nike marmorea (molto ben conservata), firmata da Paionios di Mende. Poco purtroppo ci è rimasto delle opere del IV sec.: una testa di pugile, in bronzo, attribuita al bronzista Silanion (v.) tipico documento dell'atletismo professionale in voga; l'opera d'arte più importante che ci è rimasta è la statua in marmo di Hermes con Dioniso fanciullo, da Pausania riferita a Prassitele (v.). Le opere dell'artigianato minore colmano le lacune di questo quadro: si tratta di statuette in bronzo, spesso di prim'ordine.

Il momento di maggior gloria degli agoni olimpici e l'inizio della loro decadenza sono compresi nei secoli dell'arte classica. All'inizio del V sec., quando il poeta Pindaro fu incaricato dai principi siciliani di celebrare le loro vittorie, i giochi raggiunsero il punto del loro massimo fulgore. Ma poco dopo, quando gli atleti cominciarono a passare di gara in gara, senza preoccuparsi del significato culturale degli agoni, ma solo desiderosi di accumulare corone di vittoria, onori e premî in denaro, ha inizio il declino. Il santuario, in cui erano radunati tesori immensi, deve aver subito i primi danni serî con il saccheggio di Telesforo, il condottiero ribelle ad Antigono, che nel 312 estorse ad O. 50 talenti d'argento, che però furono rifusi più tardi da Tolomeo. Non è noto se in questa occasione si utilizzarono già opere d'arte per realizzare denaro.

G) Età ellenistica (III-I sec. a. C.): a poco a poco il santuario tra l'Alfeo e il Cladeo ricevette la sua forma architettonica definitiva, così che non fu più possibile erigere nuove costruzioni all'interno del recinto dell'Altis. Soltanto verso O, fuori delle mura dell'Altis, fu innalzata l'abitazione dei theokòloi i tre grandi sacerdoti di O. -, il Theokoleon, e, per le aumentate esigenze degli atleti professionisti, vennero costruiti campi sportivi e alloggiamenti, ginnasio e palestre. Le installazioni balneari adiacenti furono trasformate e migliorate più volte.

Fu anche necessario intraprendere lavori di riparazione alle costruzioni che ormai esistevano già da secoli. Allora come oggi continui terremoti - anche se per lo più lievi - danneggiavano gli edifici. Lavori di questo genere sono particolarmente evidenti nel tempio di Zeus, dove alcune figure del frontone occidentale dovettero essere sostituite, e, non altrimenti che nei nostri duomi medievali, le gronde richiedevano continui lavori.

Della grande plastica di questo periodo, che è testimoniata da iscrizioni di basi, nulla purtroppo si è conservato. Per la maggior parte si trattava di statue di vincitori; anche i diadochi, per motivi politici, avevano offerto innumerevoli statue. È probabile che dal 146 a. C., anno della vittoria del console romano Mummio sulla lega achea, in poi, si sia arrivati a vere e proprie depredazioni di opere d'arte. Mummio stesso seguì ancora l'antica consuetudine greca di dedicare le armi e fece appendere ventuno scudi dei suoi avversari sconfitti, gli Achei, alle metope del tempio di Zeus. Il santuario subì un grave saccheggio, come molti altri santuari greci, nell'86 a. C., quando Silla, durante la guerra mitridatica, fece portare via le offerte votive più preziose per fare denaro. Fino al rivivere delle idee classicistiche con l'impero di Augusto, l'autorità di O. e dei giochi decadde all'estremo. È significativo l'ordine, emanato da Silla, di far svolgere a Roma l'olimpiade dell'anno 8o.

H) Primo periodo dell'Impero (I-III sec. d. C.): dopo il ristagno e la decadenza del tardo ellenismo, paralleli al declino politico della Grecia, l'Impero con la pax romana dà al paese, e con questo anche al santuatio di O., una nuova sicurezza, un nuovo impulso, un nuovo splendore. La casa imperiale attestò il suo interesse ai giochi con la partecipazione di alcuni suoi membri alla corsa delle quadrighe. Sotto Augusto venne introdotto nel santuario il culto dell'imperatore: il Metroon fu trasformato e, al posto della Meter, accolse una statua di Augusto. Altre statue imperiali saranno aggiunte successivamente. Anche nel thesauròs di Cirene, le cui ricchezze erano da lungo tempo scomparse, Pausania vide ritratti di imperatori. Nerone in persona apparve ad O. per mietervi vittorie, naturalmente immeritate. Per la sua visita venne allestito l'edificio a S-E, demolendo la costruzione che esisteva precedentemente e trasformandola in una sontuosa villa imperiale, su scala notevolmente ampliata. Quasi tutti i fabbricati furono riparati, allargati, rimodernati, ricostruiti, come ad esempio, il Leonidaion, dove più tardi alloggeranno i governatori della provincia achea, e come il Prytaneion, il Bouleuterion, il Theokoleon, le installazioni sportive. A N, a S, e a O dell'Altis vengono aggiunte nuove terme, e quelle già esistenti sono adattate alle aumentate esigenze di lusso. In questo quadro deve essere inserito anche l'ultimo edificio autonomo costruito ad O., il ninfeo di Erode Attico. Dopo la metà del Il sec., il milionario filosofo attico fece costruire, in nome della moglie Regilla, una fontana monumentale, adiacente al lato E dell'Heraion, al limite occidentale della terrazza dei thesauròi: l'acqua proveniva dal monte, mediante condutture chilometriche, ed era così finalmente eliminata l'eterna penuria d'acqua dell'Altis. Rivive ora anche l'usanza di erigere statue di vincitori e statue onorarie. Numerosi artisti, soprattutto ateniesi, vengono incaricati di scolpire questi ritratti, per lo più molto convenzionali. Erode Attico adorna la facciata del suo ninfeo con innumerevoli statue di imperatori e ritratti della famiglia imperiale, e anche con due statue che raffigurano lui stesso e Regilla. Se ancora, conformemente alla tradizione, si dedicano immagini agli dèi, si attinge al repertorio classico. Soltanto singole opere si distinguono dalla generale mediocrità.

I) Età tardo-antica e bizantina (III-VI sec.): nonostante tutti questi sforzi le costruzioni, soprattutto quelle che non servivano più a scopi contingenti, caddero sempre più in rovina. Ma l'avvenimento veramente sconvolgente, che apre uno squarcio sulla situazione drammatica, è la decisione delle autorità di O. di restringere l'Altis e metterla in condizioni di difendersi in vista del minaccioso pericolo degli Eruli. Gli scavi più recenti hanno provato che la costruzione del muro di difesa "bizantino" deve essere attribuita al periodo tra il 260 e il 270. Si poté difendere solo la cosa più preziosa che l'Altis possedeva, il tempio di Zeus con la statua di Fidia. Così, smantellando gli edifici diventati inutili, si costruì un muro dello spessore di 3-3,5 m, e di parecchi metri di altezza (la media di quanto si è conservato è circa 4 m) che racchiudeva a N il tempio di Zeus e a S il portico meridionale. La lunghezza dei lati ammontava rispettivamente a 94 e 110 m, così che il muro comprendeva, in complesso, una zona di circa 7.500 m2. Gli scavatori hanno estratto da questa fortificazione materiale proveniente dal portico di Eco, dalla porta del Pelopion, dal Bouleuterion, dai thesauròi, dal Metroon e dal Leonidaian, e anche un gran numero di basi di statue. Non c'è da stupirsi che il santuario non si sia mai più risollevato da questo attentato disastroso. Ancora per un buon secolo si continuò a festeggiare le olimpiadi, anche se in condizioni molto ridotte e con la partecipazione di molti orientali ed egiziani. L'ultima olimpiade fu la ccxc nel 393 d. C. L'editto di Teodosio I del 394 proibì la continuazione dei giochi pagani. Il tempio di Zeus, come gli altri templi pagani, fu bruciato in seguito all'editto di Teodosio Il del 426, ma non è chiaro quali danni esso abbia subito in questo incendio. All'inizio del V sec. la comunità cristiana di O. - sicuramente non molto cospicua - si costruì una chiesa utilizzando a questo scopo l'edificio romano in laterizi che era sorto sulle fondazioni dell'officina di Fidia. Come materiale da costruzione vennero impiegate parti del ninfeo e del tempio della Meter. La distruzione definitiva del santuario, ossia, in sostanza, del tempio di Zeus che ancora stava in piedi, avviene nel corso del VI secolo. Ci è stato tramandato che nel 522 e nel 551 ci furono due grandi terremoti: non sappiamo quale dei due abbia causato i danni maggiori. Le inondazioni del Cladeo in piena portarono a termine l'opera di distruzione. Tra le ultime rovine che ancora sporgevano si installarono alcune misere capanne, finché anche queste non vennero abbandonate.

III) La storia degli scavi. - La spinta ideale per l'opera di ricerche e di scavi partì da B. de Montfaucon nel 1723 e da J. J Winckehnann nel 1768. Il primo studioso europeo che indentificò la località e la descrisse fu l'inglese R. Chandler che, nell'agosto del 1766 individuò il tempio di Zeus. Dopo di lui vennero il francese Fauvel nel 1787, l'inglese Leake nel 1801, e più tardi Dodwell e Gell. I primi tentativi di scavo nel tempio di Zeus furono intrapresi da Dodwell nel 18o6; i primi ritrovamenti sicuri furono merito dei brevi scavi della spedizione francese in Morea: una parte delle metope del tempio di Zeus giunse in questo modo al Louvre. Dalla maggior parte degli studiosi di quest'epoca furono eseguite misurazioni del terreno e schizzi ricostruttivi della località. I veri e proprî scavi in grande stile, svolti tra il 1875 e il 1881 sotto la guida dei tedeschi E. Curtius e F. Adler, furono preceduti da lunghi e faticosi lavori di preparazione cui si erano dedicati soprattutto il Curtius e L. Ross. In sei anni si portò alla luce il santuario vero e proprio e i risultati furono pubblicati, in modo esemplare, nel 1890-97. Sotto la guida del Dörpfeld furono eseguiti scavi successivi dal 1906 al 1909 e poi dal 1921 al 1930. Dall'autunno del 1936 in poi fu intrapresa la terza grande campagna di scavi, che continua, ben presto sotto la direzione di E. Kunze, ancora oggi, con una breve interruzione nel periodo della seconda guerra mondiale. I risultati scientifici vengono pubblicati continuamente negli Olympia-Berichten e nelle Olympische Forschungen.

IV) Edifici e opere d'arte del santuario di Zeus. - 1) Mura e porte dell'Altis. - Non è possibile stabilire le più antiche delimitazioni dell'Altis di O.; è comunque sicuro che esse siano esistite, e il mito ne attribuiva il tracciato a Eracle (Pindaro, Ol., x, 45). La prima fase, in cui si presume che le mura consistessero in blocchi squadrati in pòros, risale al periodo successivo alla metà del IV sec. a. C. Le porte erano verosimilmente delle semplici aperture tra le mura. All'epoca di Nerone, il recinto dell'Altis è stato ampliato di 2 m verso O e di 20 m verso S. Cinque porte, con tre passaggi ognuna, di cui alcune splendide, portavano nell'Altis.

Problema ancora discusso è se la fortificazione che includeva il tempio di Zeus e il portico meridionale, costruita contro il pericolo degli Eruli, nel periodo intorno al 260 o 270 d. C., sia da considerare come la terza e ultima fase di costruzione delle mura dell'Altis, oppure se invece debba essere ritenuta un impianto di difesa profano situato parte all'interno e parte all'esterno del recinto sacro originario. Risultato di questa misura di sicurezza sarebbe stata una radicale riduzione dell'Altis e uno spostamento verso S dell'area difesa. Il territorio degli antichi templi, dell'olivo e degli altari non sarebbe stato quindi più compreso nell'ambito delle fortificazioni.

2) Il tempio di Hera. - La più antica costruzione templare di O. è l'Heraion (Paus., v, 16, i), la cui prima fase di costruzione risale alla metà del VII sec. a. C. Il primo edificio, che sorgeva nel medesimo luogo del secondo, ad un livello leggermente inferiore, consisteva di una cella di proporzioni assai allungate, con due colonne sulla facciata, orientata verso E, senza peristilio. Le misure sono state calcolate a 39,6 m di lunghezza per 9,9 m di larghezza. La seconda fase di costruzione, alla quale appartengono le vestigia oggi visibili, ebbe inizio al principio del VI secolo. La cella corrispondeva più o meno nelle dimensioni a quella del primo edificio. L'innovazione più importante fu l'aggiunta di un porticato, con 6 colonne doriche (in origine lignee) sui lati brevi e 16 sui lati lunghi, innalzate su un basamento di soli due gradini. Sullo stilobate le misure del tempio ammontano a 50 m di lunghezza e 18,7 m di larghezza. Notevole è la divisione interna della cella mediante brevi lingue di muro che formano varie cappelle laterali, ognuna con una colonna centrale. Forse fin da principio vi si prevedeva la collocazione di preziosi doni votivi. Nel corso dei secoli le colonne in legno, l'ultima delle quali era stata ancora vista da Pausania (v, 16, i) nell'opistodomo, furono via via sostituite da colonne di pietra; da questa circostanza derivano le grandi varietà nella forma dei fusti e nella sagoma dei capitelli delle colonne. I muri della cella erano in mattoni crudi e si elevavano su uno zoccolo di ortostati ancora oggi intatto. Il tetto del tempio era in tegole di tipo laconico.

L'arredamento originario del tempio è oggi quasi interamente perduto. Il simulacro di Hera, di cui ci dà notizia Pausania (v, 17, i) non si è naturalmente conservato. La testa femminile del museo di O., di dimensioni superiori al naturale, non poteva assolutamente appartenere a questa statua - di cui generalmente ancora oggi viene considerata un frammento - già a causa del materiale stesso, un fine calcare argilloso. Oltre a tutto il lavoro non è una scultura autonoma, come si dovrebbe poter presupporre, ma un frammento di altorilievo. Se proprio si volesse attribuire all'Heraion questa testa, che fu rinvenuta nel 1878 fuori delle rovine del tempio, vicino alla palestra, si potrebbe interpretarla come frammento di un frontone, non più antico del periodo intorno al 570.

Nell'opistodomo si trovavano in origine i preziosi doni votivi dei Cipselidi, i tiranni di Corinto: un‛immagine di Zeus, lavorata a sbalzo in lamina d'oro, e l'arca attribuita ai medesimi donatori, in legno di cedro con applicazioni di fregi figurati (Dio Chrys., xi, p. 325 R; Paus., v, 17, 2; 19, 10). Veniva conservato qui anche il documento dell'istituzione dei giochi olimpici, il disco bronzeo di Ifito e Licurgo (Plut., Lycurg., I e 23; Paus., v, 20, i; Plilegon, Fr. Hist. Graec., iii, 603), sul quale erano pure incise le norme cui dovevano attenersi gli ellanodici. Nella cella era probabilmente collocata la tavola che serviva alla distribuzione delle corone dei vincitori, opera in oro e avorio della mano di Kolotes di Eraclea, di epoca classica, anch'essa ricordata da Pausania (v, 20, i). Nel corso degli scavi si ritrovò nell'interno della cella la statua di Hermes con Dioniso fanciullo, caduta dal suo zoccolo. Tra le sculture rinvenute qui, l'Hermes ha raggiunto una fama mondiale, di gran lunga superiore a quella di cui godette nell'antichità: la letteratura artistica e aneddotica non lo menzionava neppure e Pausania (v, 17, 15) lo elencava nel modo più breve. La collocazione originaria dell'Hermes di Prassitele non doveva essere in questo tempio. Forse la statua venne trasportata nell'Heraion, e contemporaneamente ne venne rinnovata la base, durante l'Impero, quando non era più possibile proteggere altrimenti le preziose opere d'arte. Ancora non si è spenta del tutto la discussione intorno al problema se si tratti qui di un'opera proprio della mano del grande Prassitele, oppure di una copia più tarda, o dell'opera di uno scultore di nome Prassitele, ma di età ellenistica avanzata (v. prassitele; praxiteles). Durante l'Impero furono esposte, parte nella cella e parte nel pronao, statue di nobili matrone, delle quali sono state ritrovate quattro basi senza le statue, parecchi busti, una figura intera e una testa. Anche i busti rinvenuti a E dell'Heraion appartenevano certamente in origine all'interno del tempio. Tre statue portano firme di scultori ateniesi, Eraton, Eros ed Eleusinios, che fiorirono verso la fine del I sec. d. C. I nomi delle matrone raffigurate appartengono alle nobili famiglie di Elide: non è chiaro se esse rivestissero la carica di sacerdotesse di Hera.

3) Il tempio di Zeus. - Il tempio di Zeus, il più grande dei tre templi del santuario, con i suoi 64,12 m di lunghezza e 27,68 m di larghezza su un basamento di tre grossi scalini, è stato eretto un centinaio d'anni dopo il secondo Heraion, nella forma di un periptero dorico con 6 colonne sui lati brevi e 13 su quelli lunghi. La sua altezza complessiva ammontava, è stato calcolato, a circa 20 m. Sembra sicuro che nessun tempio precedente sia sorto in questo luogo, e che quindi Zeus sia stato venerato fino al V sec. soltanto sull'altare a lui dedicato. Fino a quest'epoca non deve esser esistito nessun simulacro del dio per il quale un tempio sarebbe stato necessario. La data di costruzione del tempio, poichè come architetto viene nominato l'altrimenti sconosciuto Libon di Elide (Paus., v, 10, 3), può essere fissata entro limiti di tempo relativamente ristretti. Con il bottino in denaro che gli Elei riportarono in patria dalle battaglie contro le città della Trifilia, si iniziò la costruzione nel 471 (Her., iv, 148; Paus., v, 10, 2). Al più tardi nel 456 l'edificio doveva essere stato ultimato, dato che in quell'anno i Lacedemoni appesero uno scudo d'oro alla sommità del tempio, dopo la battaglia di Tanagra (Paus., v, 10, 4).

Il materiale impiegato era un calcare conchiglifero locale, la cui superficie porosa venne ricoperta da un sottile strato di stucco, così da conferirgli un aspetto simile al marmo. Il tetto era coperto da grandi tegole di marmo (Paus., v, 10, 3). L'acqua piovana che scorreva giù dall'immensa superficie del tetto era incanalata nelle gronde marmoree a protomi leonine (51 per ogni lato) della cimasa, che adornavano le due fiancate del tempio. Gli acroteri centrali erano statue dorate di Nikai quelli degli angoli erano tripodi di bronzo dorato (Paus., v, 10, 4): l'iscrizione sulla base della Nike di Paionios ne rivendica la paternità a Paionios di Mende. I frontoni erano adornati da ricche scene figurate, in marmo pario, che erano lavorate molto liberamente, quasi come statue autonome, ma riempivano il triangolo dei timpani obbedendo alle leggi dell'altorilievo. Sul frontone orientale era rappresentata la storia della gara di Pelope ed Enomao, su quello orientale la lotta tra Lapiti e Centauri alle nozze di Piritoo. Le metope esterne della peristasis non erano scolpite; le metope interne, invece, divise, 6 per ogni lato, tra la fronte dei pronao e quella dell'opistodomo, erano decorate da rilievi raffiguranti le fatiche di Eracle (v. olimpia maestro di).

Sulle rovine del tempio, ancor oggi veramente impressionanti pur nelle loro condizioni di sfacelo, e alla cui erezione anche parziale non ci si è fino ad ora decisi, si può leggere perfettamente la storia della costruzione e della distruzione dell'edificio: l'installazione, in un secondo momento, della statua di Fidia, i danni causati dai terremoti e le conseguenti riparazioni, l'aggiunta di mosaici in età ellenistica, e la rovina finale dovuta al terremoto.

Quanto all'arredamento del tempio, oggi completamente scomparso, apprendiamo di nuovo da Pausania (v, 12, 4) quello che egli ancora vide o giudicò degno di nota alla sua epoca. Nel tempio si trovava un gruppo raffigurante l'ekecheirìa in atto di incoronare il re Ifito; i cavalli bronzei di Cinisca, vincitrice ad O.; un tripode in ferro battuto, che prima della fabbricazione della tavola di Kolotes, serviva a custodire le corone dei vincitori; il trono del re etrusco Arimnestos; una tenda di tessitura assira, colorata con porpora fenicia, dono votivo di Antioco IV Epifane. Alcune statue di imperatori erano conservate qui per la loro preziosità o per la loro importanza: tra esse una statua di Adriano, in marmo, dono delle città della lega achea, e una di Traiano, dono di tutti i greci, un busto molto pregiato di Augusto in ambra, ed un busto in avorio di Nicomede di Bitinia. Infine Pausania ricorda ancora tre corone auree di olivo e una corona di quercia, doni votivi di Nerone.

La vera e propria destinazione dell'intero edificio era quella di accogliervi il simulacro del dio; sembra tuttavia che il tempio sia rimasto vuoto dal momento in cui fu ultimato fino a che fu creata la statua fidiaca di Zeus. Esiste anche la possibilità che una più antica immagine di culto, sostituita dall'opera fidiaca, fosse stata talmente eclissata dalla fama della statua crisoelefantina che nelle fonti letterarie antiche non se ne sia mai più fatto cenno.

Solo a stento possiamo farci un'idea della statua di Fidia, che dopo la rovina del santuario fu trasportata, secondo Cedreno (Comp. hist., p. 332 B; 348 A), a Costantinopoli e laggiù andò distrutta, oppure, e quest'ipotesi è più verosimile, bruciò quando fu ordinato l'incendio del tempio di Zeus. Ci dobbiamo servire a questo scopo della descrizione molto dettagliata di Pausania (v, 11), come anche di alcune altre fonti letterarie. A queste si aggiungano alcune emissioni di monete dell'Elide in età adrianea, le copie presumibili di particolari della decorazione figurata, e anche le matrici fittili del manto d'oro, ritrovate negli scavi più recenti sotto l'officina di Fidia e altri frammenti tratti sempre dall'officina.

Da tutti questi elementi si può ricavare, riassumendo brevemente, il seguente quadro: l'altezza della statua era talmente imponente da riempire quasi tutta la cella, ossia buoni 12 m (Callim., fr. 75 a Schn.). Se lo Zeus si fosse alzato dal suo trono avrebbe sfondato il tetto del tempio, come osserva Strabone (viii, p. 353) con tono di critica. Il trono e la figura seduta avevano un'armatura in legno, nella quale si poteva penetrare, che sorreggeva il capo, il torso e le braccia in avorio, ed era rivestita all'esterno dal manto d'oro. Per adornare l'intera statua erano stati impiegati altri materiali estremamente costosi: legno di ebano, pietre preziose e vetro colorato, ossidiana e altri metalli. Zeus reggeva nella mano destra una Nike, anch'essa in oro e avorio, che lo incoronava, mentre la mano sinistra si appoggiava allo scettro. La base della statua, le cui dimensioni originarie possono essere misurate sulle rovine del tempio, era in pietra scura eleusina. Sulla parte anteriore era applicato un lungo fregio aureo raffigurante la nascita di Afrodite. Il trono, con spalliera e braccioli rettilinei, era ricchissimo di decorazioni figurate. I piedi del trono avevano ognuno, in basso due e in alto quattro Nikai danzanti; anche le traverse che li collegavano erano adornate: su quella anteriore erano raffigurati otto atleti in atteggiamenti differenti, in parte nascosti dalla figura di Zeus; sulle altre tre sbarre si vedeva l'amazzonomachia di Eracle e Teseo, con un totale di 29 personaggi.

È verosimile che le scene dell'uccisione dei Niobidi ad opera di Artemide e di Apollo si trovassero sui fianchi laterali del seggio; esse ci sono restituite con una certa sicurezza da una serie di copie del rilievo. Sopra il fregio dei Niobidi, probabilmente sui due braccioli, erano gruppi di sfingi tebane in atto di rapire fanciulli. Anche queste si possono ricostruire grazie a copie in pietra scura da Efeso. La spalliera del trono era sormontata da tre Canti e da tre Horai. Il suppedaneo era adornato da leoni e da scene dell'amazzonomachia di Teseo. Abbiamo riproduzioni della testa dello Zeus, che aveva lunghi capelli ondulati ed era cinta da una corona di olivo, su monete dell'Elide, in bronzo, di età adrianea, il cui esemplare migliore si trova a Berlino. Della fama dello Zeus di Fidia, che veniva considerato una delle sette meraviglie del mondo, abbiamo testimonianze dirette da fonti letterarie relativamente tarde. Il simulacro del dio fece un'impressione fortissima al romano Emilio Paolo, che era ad O. nel 167 a. C., come riferiscono Polibio (xxx, 15, 3), Plutarco (Aemil. Paul., 28), e Livio (xv, 28). Livio scrive: "Quando (Emilio Paolo) si trovò davanti allo Zeus di Fidia, gli sembrò di essere in presenza del dio stesso, ed egli era vivamente commosso nell'animo. Così fece preparare un sacrificio, come se fosse stato al Campidoglio, più grande di quelli che si usava generalmente offrire qui".

La zona davanti alla statua, all'interno della cella a tre navate, era suddivisa da balaustrate dipinte in blu all'esterno e decorate all'interno da scene figurate, opere del pittore Panainos. Pausania (v, ii, 5 e s.) ne elenca i soggetti: Eracle ed Atlante, Teseo e Piritoo, Ellade e Salamina, Eracle e il leone di Nemea, Aiace e Cassandra, Ippodamia e sua madre, Prometeo ed Eracle, Achille e Pentesilea, due Esperidi.

4) Il tempio della Meter. - Il Metroon, che era situato ai piedi del Kronion, davanti alla terrazza dei thesauròi, è il più piccolo e il più recente dei templi di O., risalendo all'inizio del IV sec. a. C. Come gli altri templi è di stile dorico, benché di differenti misure e proporzioni, avendo 6 colonne sui lati brevi e 11 su quelli lunghi. La sua lunghezza ammonta a 20,67 m, la larghezza a 10,62 m. Nessuna notizia ci è stata tramandata sul simulacro della Meter, la sposa di Kronos, né sappiamo perché le venne eretto un tempio all'inizio del IV secolo. Della decorazione originaria del tempio si è conservata almeno una figura del frontone, come è stato recentemente dimostrato: il torso in marmo di un Dioniso seduto. Il materiale impiegato per la costruzione è il consueto calcare locale.

Dai resti dell'edificio non risulta chiaro se il tempio era orientato, come sempre, verso E, o se invece era volto verso O. La questione è importante in quanto ad E del tempio non sono state rinvenute tracce di altare, mentre invece se ne sono trovate davanti alla facciata occidentale. Qui sono venuti alla luce, oltre ai resti di un altare, falde di cenere scura, caratteristiche in O. sul luogo dove sorge un altare, e innumerevoli doni votivi, che richiamano una tradizione di culto antichissima. La spiegazione di questa circostanza singolare può essere cercata nel fatto che ad occidente dell'altare, che risaliva a tempi primitivi, non c'era spazio quando, all'inizio del IV sec., si volle erigere un tempio. Così si poté soltanto ripiegare verso E, allineando nello stesso tempo, contrariamente alle usuali prescrizioni di culto, l'ingresso verso l'altare, ossia verso O. Nell'età imperiale il Metroon venne trasformato, come è attestato da un'iscrizione sull'architrave, e adattato al culto dell'imperatore. Anche Pausania (v, 20, 9) annota una breve osservazione a questo proposito. Il simulacro della Meter venne sostituito da una statua di Augusto, cui più tardi vennero ad aggiungersi altri imperatori e imperatrici. Si è conservato il busto di una statua di Augusto, di grandezza tre volte e mezzo superiore al naturale; Claudio con gli attributi di Zeus, opera degli ateniesi Philathenaios e Hegias; Tito rivestito di corazza; Domiziano (?) anch'egli rivestito della corazza; un busto di Domizia (?); un busto di Giulia di Tito (?) e infine, la statua di Agrippina, anch'essa firmata da un artista ateniese, Dionysios, figlio di Apollonios.

5) Il Pelopion. - Nel centro dell'Altis era il Pelopion, il luogo in cui era venerato Pelope e il nucleo iniziale del futuro santuario di Zeus. La posizione degli altari di Zeus, di Hera, della Meter e anche quella degli antichi monumenti di culto, come l'albero di olivo, è stata determinata dal riferimento al Pelopion, e, in conseguenza, è stato questo heròon a condizionare la situazione dei templi che sarebbero stati eretti più tardi. Infatti non era possibile, in un secondo tempo, spostare questi luoghi sacri per una qualche ragione di spazio; al contrario, la struttura architettonica di un santuario doveva fare i conti con i monumenti di culto preesistenti e averne riguardo. Nel Pelopion si possono distinguere quattro fasi di costruzione: a) un tumulo di terra, forse naturale, del diametro di 30 m, con una recinzione, più o meno circolare, di pietre: questo tumulo, che risale senza dubbio all'età micenea, veniva considerato la tomba del re Pelope. I secoli successivi, dell'arte protogeometrica e geometrica, sono documentati soltanto da piccoli doni votivi. b) La seconda fase architettonica risale soltanto al VI sec., con una nuova recinzione del luogo ed un semplice pròpylon che, come sempre nei monumenti sepolcrali, è situato sul lato occidentale. c) Il rinnovamento e l'ingrandimento del pròpylon appartiene alla terza fase del V sec., a cui fa seguito, in età imperiale, un ulteriore abbellimento, con un nuovo intonaco sull'ingresso (quarta fase) senza vere e proprie trasformazioni strutturali. Pausania (v, 13, i) descrive con una certa esattezza il sito dell'heròon.

6) Il Prytaneion. - La posizione privilegiata del Prytaneion, ai piedi del Kronion, e la sua vicinanza con l'Heraion provano l'importanza e l'antichità di questo edificio. Pausania (v, 15, 5) ne descrive con esattezza la situazione all'interno dell'Altis, accanto all'uscita presso il ginnasio, così che il Prytaneion poté essere identificato in modo ineccepibile. La sua pianta originaria, che solo a fatica può essere individuata nelle rovine fortemente danneggiate, era quadrata - misurava 32,8 m di lato -, suddivisa in modo non del tutto simmetrico in diversi ambienti. All'interno si trovava l'altare di Hestia (Xen., Hell., vii, 4, 31) con il fuoco perenne, al quale si veniva sempre ad attingere quello per gli altri altari. Pausania vide nell'interno dell'edificio anche un altare di Pan, la cui collocazione qui deve essere stata piuttosto tarda. Il Prytaneion apparteneva all'amministrazione pubblica del santuario. Qui venivano ricevuti ufficialmente i vincitori delle gare e gli ospiti di maggior riguardo. Nella sala delle colonne si può riconoscere la sala di rappresentanza, nei piccoli locali ad essa adiacenti, verso O, la cucina e altre camere di uso domestico. Ad un livello più profondo, ossia notevolmente più antico di questa prima fase di costruzione che risale sicuramente al VI sec., è stato rinvenuto un cumulo di sassi cimbiforme o romboide, di dimensioni considerevoli, probabilmente dell'età geometrica, in cui si potrebbe individuare, si suppone, la fase più antica dell'altare di Hestia. L'edificio arcaico sembra essersi conservato senza essenziali trasformazioni fino all'età imperiale. Allora fu però necessaria una ricostruzione, che ampliò alquanto il fabbricato, lasciando d'altra parte quasi immutata la sala principale.

È probabile che in questa trasformazione rimanessero inutilizzati gli elementi architettonici in un pròpylon, che vennero successivamente reimpiegati nella costruzione della palestra.

7) Il Philippeion. - Ad occidente dell'Heraion, sempre all'interno delle mura dell'Altis, è situato il Philippeion: ancora Pausania (v, 20, 9) ci fornisce informazioni su quanto in questo fabbricato è degno di nota. L'identificazione è sicura, dato che Pausania lo caratterizza come un edificio circolare, e non si ha nessuna altra costruzione di questa forma ad Olimpia. Pausania ricorda anche il motivo del dono e la destinazione del fabbricato. Si tratta di un monoptero di non grandi dimensioni, del diametro di 15,24 m, un dono votivo estremamente costoso, che Filippo di Macedonia dedicò nel 338 a. C. dopo la vittoria contro i Greci presso Cheronea e che, dopo la sua morte, fu portato a termine dal figlio Alessandro Magno. Su tre gradini si innalzano 18 colonne ioniche. La parete interna della cella è suddivisa da nove mezze colonne corinzie incastrate nel muro. Il Philippeion non deve essere considerato un monumento di vittoria, che continuamente ricordasse agli occhi dei Greci la loro sconfitta, ma deve piuttosto essere annoverato tra i cosiddetti thesauròi. Dato che a quest'epoca la vera e propria terrazza dei thesauròi era già completamente occupata da edifici, si poteva soltanto scegliere un posto sulla spianata dell'Altis e, per il dono votivo di un Filippo di Macedonia, doveva essere messa a disposizione un'area vicina agli antichi monumenti di culto.

L'edificio rotondo era stato costruito per accogliere le statue crisoelefantine della famiglia del re di Macedonia, di mano del maestro ateniese Leochares. La base semicircolare più propriamente destinata a questo scopo è ancora in parte conservata. Nel mezzo era verosimilmente il ritratto di Alessandro Magno; accanto a lui, da un lato il padre Filippo con la moglie Olimpiade, dall'altro lato il nonno di Alessandro, Aminta, anch'egli con la moglie Euridice. Sembra che all'epoca di Pausania le delicate statue in oro e avorio fossero state trasferite nell'Heraion, dove potevano esser meglio protette.

8) La terrazza dei thesauròi. - La terrazza dei cosiddetti tesori costituisce il limite settentrionale dell'Altis, a ridosso del Kronion. Come il Prytaneion, anche i thesauròi facevano sicuramente parte del territorio sacro, perché altrimenti i favolosi tesori che vi erano conservati non avrebbero goduto della diretta protezione del dio. Allineati, anche se non regolarmente, in una sola fila, si trovavano qui dodici thesauròi: questa disposizione è unica nel suo genere, almeno nell'ambito dei santuari greci. Questi edifici hanno la forma di un tempio in antis; solo il tesoro di Gela, all'estremità orientale della fila, venne provvisto, nel corso del V sec., di un portico sulla facciata meridionale. I thesauròi furono offerti, dall'inizio del VI sec. in poi, da città straniere, quando i doni votivi si ammucchiarono talmente nel santuario da non poter più essere conservati tutti nell'opistodomo dell'unico tempio allora esistente, l'Heraion. Pausania (vi, 19, i) ci elenca i nomi di queste città, così che possiamo dare un nome a quasi tutti i tesori: ad O la fila inizia con il thesauròs di Sicione, che deve essere identificato nella fondazione i; segue quello di Siracusa, che, secondo i più recenti studî dell'architetto degli scavi, A. Mallwitz, deve essere riconosciuto nell'edificio ii. Il tesoro iii resta anonimo, dato che era già distrutto all'epoca di Pausania. Seguono: iv, Epidamnos; v, Bisanzio; vi, Sibari; vii, Cirene. Nelle fondazioni del piccolo edificio viii bisogna proprio riconoscere un altare, la cui identificazione è stata già da lungo tempo oggetto di discussione tra gli archeologi. Dall'altra parte di queste tanto discusse rovine, la fila continua con ix, Selinunte; x, Metaponto; XI, Megara; xii, Gela. Quest'ultimo thesauròs era stato eretto nel VI sec. con la facciata rivolta verso lo stadio ma, all'inizio del V sec., venne dotato sul lato meridionale di un portico con 6 colonne, così che la facciata risultò rivolta verso l'Altis, ossia verso S, come quella di tutti gli altri tesori. I frontoni dei thesauròi a forma di tempio erano, nella maggior parte, decorati da rilievi, ma poco di tutto questo ci è rimasto. La composizione meglio conservata è quella del timpano del thesauròs di Megara, con una rappresentazione di gigantomachia a rilievo non molto pronunciato. Il gruppo centrale di Zeus con un gigante, è fiancheggiato da Atena ed Eracle, Posidone ed Ares, che a loro volta hanno ognuno un gigante come antagonista. Gli angoli del frontone erano riempiti da un animale marino e da un serpente. La densità delle figure nel timpano e i dati formali forniti dai dettagli ci portano alla conclusione che il frontone deve essere stato eseguito verso il 510. L'enumerazione di Pausania contempla soltanto quella piccola parte dei tesori, senza dubbio anticamente ricchissimi, che al suo tempo, nel Il sec. d. C., esisteva ancora: armi, arnesi sportivi di costosa esecuzione, simulacri divini, recipienti in oro e argento. Nel thesauròs di Cirene, come nel Metroon, erano conservate statue di imperatori romani. Dei tesori veri e propri nulla, naturalmente, è rimasto, e anche degli edifici stessi esistono solo le fondazioni più profonde e lo zoccolo, dato che in età tardo-antica, quando il loro prezioso contenuto era per lo più scomparso, essi vennero distrutti, perché ormai erano tra le costruzioni meno necessarie, e il loro materiale venne utilizzato per il muro di fortificazione. I frammenti architettonici che sono stati identificati nel corso del tempo vengono attualmente restituiti alle fondazioni cui appartenevano. I tetti di terracotta policroma sono stati ricostituiti, in gran parte, nel museo.

9) Il Ninfeo di Erode Attico. - Durante le olimpiadi, che avevano luogo nel momento della maggior calura estiva per antichi motivi cultuali più tardi non chiaramente intelligibili, la penuria d'acqua dell'Altis era sempre stata un disturbo per i visitatori che affluivano in massa. In sostanza, soltanto il ninfeo che il milionario e filosofo attico Erode fece costruire, in nome della moglie Regilla, al limite occidentale della terrazza dei thesauròi, ha portato un rimedio parziale a questo inconveniente. L'acqua proveniva dalla montagna, incanalata in chilometrici acquedotti sotterranei, e giungeva fino ad una fontana monumentale dove la si attingeva e distribuiva. Alcuni edifici minori più antichi, di cui non è più possibile stabilire la destinazione, - forse si trattava di thesauròi - e che nel II sec. d. C. non avevano più una grande importanza, furono sacrificati alla costruzione del nuovo ninfeo. Al giorno d'oggi si è conservata soprattutto la struttura dell'edificio originario, in mattoni che bisogna pensare largamente rivestiti di incrostazioni marmoree. Questo edificio, con la sua facciata larga 32 m circa, alta più o meno 16 m, con colonne e statue, fontane e getti zampillanti, fu l'ultima splendida costruzione che si eresse ad Olimpia. Un serbatoio di forma semicircolare sovrastava la vasca inferiore, rettangolare, le cui due fontane scaturivano nei tempietti rotondi alle estremità. Dietro si innalzava uno scenario vivacemente articolato, anch'esso semicircolare, con i ritratti del donatore, degli imperatori contemporanei e dei membri delle loro famiglie, di qualità artistica, almeno in parte, piuttosto mediocre. L'iscrizione dedicatoria era incisa sul fianco di un toro, che, calpestando simbolicamente l'elemento dell'acqua, era situato proprio al centro dell'intero monumento, sul parapetto anteriore del bacino superiore. Sono state rinvenute numerose iscrizioni di basi e anche buona parte delle statue marmoree. In tutto una ventina di figure decoravano l'edificio, tra le quali gli imperatori Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio, e i due sposi donatori, Erode e Regilla. Dalle date di nascita e di morte dei donatori e dalla formulazione delle iscrizioni imperiali si può dedurre che la costruzione del ninfeo deve essere attribuita al periodo intorno al 16o d. C. Pausania passa sotto silenzio questa nuova fontana, sia che al momento della sua visita essa non fosse ancora stata ultimata, sia che egli non si interessasse particolarmente agli edifici contemporanei. Il dono di Erode Attico è però menzionato da Luciano che scrive, all'incirca nello stesso periodo (Peregr., 19 s.), come il filosofo cinico Peregrinos Proteus avesse ingiuriato il donatore a causa dell'acqua. Naturalmente egli era il solo a condividere questo punto di vista e avrebbe quasi rischiato, per questo, di essere lapidato.

10) Il portico di Eco. - La delimitazione dell'Altis verso E è costituita dal cosiddetto portico di Eco, che, secondo Pausania (v, 21, 17), veniva anche chiamato "portico dipinto" (Stoà Poikìle). Questo edificio a doppia navata, lungo 95,5 m e profondo 12,5 m, si apriva verso O, in direzione dell'Altis, con un ordine di 44 colonne doriche. Plinio (Nat. hist., XXXVI, 100) narra dell'eco ripetuta sette volte che il portico rimandava. L'epoca della costruzione, secondo le più recenti indagini, può essere fissata nel periodo immediatamente successivo alla metà del IV sec. a. C. In età post-adrianea fu eseguito un restauro radicale che evitò maggiori danni all'edificio. La destinazione di simili lunghi portici, che, dal IV sec. in poi, furono costruiti ovunque nelle città greche - sulle piazze dei mercati - e nei santuari, non è soltanto la recinzione architettonica di un'area; essi furono dettati da motivi puramente pratici: sotto questi portici, le cui facciate, con i loro colonnati uniformi, potevano dare un'impressione di monotonia, si poteva camminare, protetti dalla pioggia e dal sole. Qui ad O. ci sarà stato anche, indubbiamente, l'intento di proteggere il centro dell'Altis dal movimento sempre più profano delle gare. Tra il portico e il muro orientale dell'Altis si trova un cortile, più o meno delle stesse dimensioni del portico stesso, in cui probabilmente, sotto tettoie provvisorie, venivano conservati attrezzi sportivi o oggetti analoghi.

11) L'edificio sud-orientale. - L'edificio sud-orientale consiste essenzialmente in quattro ambienti adiacenti quasi quadrati, circondati su tre lati da portici colonnati; con ciò, però, la pianta della costruzione greca non si può assolutamente considerare chiarita. Bisogna tener presente che al quarto lato, ossia verso E, si aggiungevano ancora altri locali. Sui lati N e S si innalzavano 8 colonne doriche, sul lato O, verso l'Altis, le colonne erano 19. I dati ricavati dai ritrovamenti negli scavi ci fanno arguire che la costruzione deve essere stata eretta ancora prima del portico di Eco, nella prima metà del IV secolo. La lunghezza della facciata occidentale raggiunge 36,42 m, la profondità dell'edificio è di 14,56 m. Questo vecchio complesso, che probabilmente era già in rovina, dovette essere smantellato fin dalle fondamenta in età imperiale, per innalzare qui sul lato S-E dell'Altis la Casa di Nerone, che venne allestita come una villa romana, con molte stanze, atrio e peristilio, bagno e stufe, estendendosi largamente verso E. Essa doveva essere collegata strettamente con lo stadio e con l'ippodromo. Alla costruzione più antica Pausania non accenna minimamente; per contro egli cita (v, 15, 4) una cosiddetta proedrìa, espressione con la quale potrebbe forse alludere a questo fabbricato. In questo caso il primitivo edificio greco avrebbe fatto parte di quelli destinati all'amministrazione pubblica, ossia vi si dovrebbe riconoscere la proedrìa oppure l'hellanodikèion. L'intero complesso è stato nuovamente studiato nel corso degli scavi più recenti, ma i risultati non sono ancora stati pubblicati.

12) Il Bouleuterion. - Il Bouleuterion ha la pianta più singolare di tutti gli edifici di O.; esso è stato identificato con l'aiuto delle indicazioni di Pausania (v, 23, i; 24, i e 9) e di Senofonte (Hell., vii, 4, 31). L'intero complesso della sede della boulé di O. consiste in un insieme di costruzioni minori. Verso N, adiacenti al portico meridionale, e, come questo, all'esterno del recinto sacro, si trovano due aule absidate che fiancheggiano un ambiente quadrato. La facciata orientale di questa parte del fabbricato è resa unitaria da un portico colonnato. A O sorgono due altre piccole casette rettangolari, ognuna con una porta sul lato E che, anche se non sono collegate esternamente col Bouleuterion, devono appartenere al suo complesso. Il Bouleuterion è uno degli edifici meno ben conservati di O., dato che sorgeva all'interno della fortificazione più tarda e indubbiamente le sarà stato d'ostacolo. Neppure le fondazioni si sono salvate completamente. Le dimensioni sono le seguenti: lunghezza della facciata del porticato orientale 43,58 m; lunghezza dell'asse dei due edifici absidati 30,79 e 30,53 m; lato dell'ambiente centrale 14,24 m.

L'edificio absidato a S, le cui mura divergono leggermente in senso ellittico, sembra essere - secondo il parere degli architetti - la parte più antica dell'edificio, risalente all'inizio del VI sec., con chiari riferimenti all'epoca precedente. Il raddoppiamento della costruzione verso N avvenne alla fine del VI sec. o all'inizio del V. L'ambiente centrale quadrato, il cui tetto poggiava certamente su un sostegno centrale, non può essere stato aggiunto più tardi dell'ala N; dei sedili in legno non è rimasta traccia. Il colonnato ionico, che risolveva l'allineamento frontale della facciata orientale, non è databile per la mancanza di particolari architettonici. È probabile che esso sia stato concepito contemporaneamente agli altri portici colonnati del IV sec. che si trovano nelle immediate vicinanze: il portico di Eco, il portico meridionale e l'edificio sudorientale. Un'ultima trasformazione dell'età imperiale aggiunse al lato E del portico un nuovo cortile di forma irregolare con peristilio dorico.

13) Il portico meridionale. - Il "portico meridionale", per il quale non ci è stato tramandato alcun nome antico, si trova a S, davanti al Bouleuterion. Esso non appartiene all'insieme dei portici che delimitano l'Altis, ma si ricollega all'Altis con il suo muro settentrionale, aprendosi verso S. Un atrio, sporgente dalla facciata S, spezzava piacevolmente la monotonia di questo tipo di lunghe facciate colonnate; l'edificio serviva probabilmente ad accogliere processioni, ambasciate e personaggi eminenti, dato che la strada sacra dell'Elide terminava proprio qui. Attraverso la porta meridionale, ad E del Bouleuterion, si poteva metter piede nell'Altis. La lunghezza del portico raggiungeva 79,35 m, la profondità 12,85 m. Come nel portico di Eco e nell'edificio sud-orientale, l'esterno si presentava sotto forma di peristilio dorico, mentre all'interno si innalzavano 17 colonne corinzie. I primi scavi del secolo scorso avevano liberato soltanto le due estremità, orientale ed occidentale, del portico. Nei nuovi scavi del 1937-39 l'intera zona venne portata alla luce e, nello stesso tempo, venne scoperto l'atrio meridionale, che naturalmente manca sui più antichi schizzi ricostruttivi. Contemporaneamente, grazie ad un'attenta analisi dei ritrovamenti fittili, la datazione dell'edificio venne fissata alla metà del IV secolo. In età imperiale l'atrio e la parte orientale dovettero essere radicalmente restaurati, ma si procedette attenendosi alle strutture antiche. Nel III sec. il portico costituì il bastione meridionale della fortificazione eretta contro gli Eruli, e a questa circostanza deve il suo stato di conservazione relativamente buono.

14) Le terme meridionali. - Soltanto durante gli scavi di questi ultimi anni vennero portate alla luce, tra la parte orientale del Leonidaion e quella occidentale del Bouleuterion, delle terme, che sono comunemente indicate col nome di "terme meridionali". Non è possibile fornire dati più precisi sulle date e sulle fasi della costruzione, sulle dimensioni e sulle ricostruzioni, dato che tutti questi elementi non sono ancora stati pubblicati.

15) Il Leonidalon. - A S-O, all'esterno dell'Altis, si trova l'edificio denominato da Pausania Leonidaion, così detto dal suo architetto e donatore, un certo Leonidas di Nasso, che costruì l'edificio nel decennio 330-320, secondo i proprî piani e a proprie spese. Questa costruzione, con un perimetro di 8o × 74 m, copre un'area seconda per grandezza soltanto a quella del ginnasio. Il fabbricato, quasi quadrato, è circondato all'esterno da un colonnato ionico che corre lungo tutte e quattro le facciate. Gli ambienti si affacciavano su un cortile centrale, circondato da un peristilio, che ad O presentava un atrio dorico di larghezza doppia. L'edificio era destinato a fornire alloggio alle ambascerie straniere e agli ospiti più importanti. Si tratta quindi della residenza degli ospiti di O., di un albergo. In età adrianea l'edificio fu radicalmente trasformato e rimodernato, certamente per accogliervi l'imperatore stesso. Nel cortile centrale il giardino e i giochi d'acqua furono migliorati e abbelliti. Più tardi, è ancora una notizia trasmessaci da Pausania, risiedettero qui i governatori romani della provincia achea. Come molti altri edifici, il Leonidaion fu demolito nel III sec. d. C. e il suo materiale venne reimpiegato per il muro di fortificazione. Le inondazioni del Cladeo distrussero definitivamente, verso la fine del IV sec., anche gli ultimi miseri resti dell'albergo, una volta così splendido.

16) L'officina di Fidia e la chiesa bizantina. - Gli scavi più recenti hanno risolto un vecchio problema archeologico-topografico: l'edificio fondato nel V sec. a. C. e trasformato all'inizio dell'età bizantina in una chiesa, che oggi è una delle costruzioni meglio conservate di O., è da identificarsi con l'officina di Fidia, menzionata da Pausania (v, 15, i) e da lui situata proprio in questa zona. Gli scavi in profondità nell'interno della chiesa bizantina e nelle parti effimere del fabbricato, che possono essere definite dei capannoni di forma allungata, hanno provato inequivocabilmente che la statua crisoelefantina alta 12 m, il simulacro di Zeus, è stata creata in questo luogo da Fidia. Anche precedentemente era stato notato che le dimensioni di questa costruzione rettangolare in pietra squadrata corrispondono esattamente a quelle della cella del tempio di Zeus; anche l'orientamento e quindi le condizioni di illuminazione sono identici a quelli del tempio di Zeus, così che l'ipotesi di riconoscere nell'edificio l'officina di Fidia poté essere sostenuta con buone motivazioni; attualmente, gli innumerevoli frammenti di avorio, di ornamenti di vetro, di pietre preziose, di strumenti di lavoro, soprattutto di matrici fittili del manto d'oro, che sono venuti alla luce, e, non ultimo per importanza, il ritrovamento di una piccola brocca di terracotta con l'iscrizione del nome del proprietario, Fidia stesso, hanno fugato ogni dubbio. Le solide fondazioni dell'officina, che avevano dato adito ad altre interpretazioni, erano senza dubbio richieste dall'altezza dei muri (12 metri!).

In età imperiale si eressero, sulle fondazioni classiche, dei muri in laterizi tuttora visibili, con le finestre a tutto sesto. Non è nota la destinazione dell'edificio in questo periodo; forse era l'officina dei Fhaidryntai, i sacerdoti cui era affidata la cura del simulacro di Zeus. Nel V sec. d. C. il fabbricato venne completamente rifatto, all'interno, e trasformato in una chiesa. Verso E l'ingresso originario fu sostituito dall'abside necessaria alla chiesa, e sul lato meridionale fu aperto il nuovo ingresso, dal quale si penetrava nel nartece. Innumerevoli residui di altri edifici furono adoperati per la costruzione della chiesa.

17) Il Theokoleon. - La casa rettangolare, a N dell'officina di Fidia, è l'abitazione dei theokòloi, denominata da Pausania (v, 15, 8) il Theokoleon. I theokòloi, tre in tutto, erano i titolari della più alta carica sacerdotale di O. e provenivano sempre da nobili famiglie di Elide. Essi abitavano ad O. probabilmente solo nel periodo in cui erano investiti della carica sacerdotale, altrimenti vivevano nella loro città d'origine, Elide. La prima costruzione dell'edificio risale all'incirca alla metà del IV sec. a. C. e consiste in un quadrato di 19 m di lato. Intorno ad un cortile centrale con un pozzo sono distribuiti otto ambienti. Un primo ampliamento, ancora in età greca, aggiunse ulteriori tre locali al lato orientale; anche il giardino, che forse deve essere attribuito già alla prima costruzione, venne circondato da vani di abitazione che si aprivano verso l'interno. Nell'età imperiale, in corrispondenza alle accresciute esigenze di lusso di questo periodo, venne costruito sul lato orientale del fabbricato, intorno al giardino leggermente ampliato, con visibile riguardo per l'edificio primitivo, un peristilio attorno al quale erano numerose stanze.

18) I bagni ad occidente dell'Altis. - All'incirca al centro del lato O dell'Altis si trovano le più ampie installazioni balneari di O., che, nelle loro parti più antiche, risalgono al V sec. a. C. Ad E è situato un bagno a vapore, in un ambiente rotondo inserito in un vano quadrato; in mezzo c'è il bagno freddo, più tardi trasformato in caldo e ad O, verso il Cladeo, una piscina aperta delle dimensioni di m 24 × 16 (se si tratta veramente di un bagno!), profonda m 1,6o. Numerose trasformazioni e costruzioni successive dimostrano la continua utilizzazione di questi bagni fino all'età tardo-antica. La piscina venne coperta, intorno al 100 d. C., da un edificio termale, del quale si sono conservati pregevoli mosaici decorativi. Pausania non ha motivo di parlare di queste installazioni balneari e di pulizia; egli nomina però (v, 15, 8) un altare di Pan "nell'edificio di fronte al cosiddetto Theokoleon". Con queste parole doveva indicare, probabilmente, l'ambiente rettangolare nel cui interno si trova il bagno circolare, e dove c'era anche un altare, la cui iscrizione tuttavia non si riferisce espressamente a Pan, ma, genericamente, all'"altare degli eroi". Per questo motivo l'edificio era generalmente considerato un heròon, ma difficilmente può trattarsi di qualcosa di diverso da un'installazione balneare.

19) Le locande romane. - La zona a S dei bagni sul Cladeo e ad O dell'officina di Fidia fu lasciata libera da vere e proprie costruzioni fino al V-IV secolo. Soltanto a questo periodo risalgono due bacini muniti di canali, che, probabilmente, come il forno da vasai e come un mulino trovati nello stesso luogo, servivano alla lavorazione dell'argilla: qui venivano fabbricate terrecotte architettoniche e Vasi. In età ellenistica sorgevano in questa zona alcune case modeste, che forse servivano da cucine per il personale del santuario e per gli ospiti. In età imperiale, nel I e Il sec. d. C., vennero costruite qui due case, con peristilio e numerose stanze, per essere utilizzate come alberghi. Un cortile, con il pozzo, è decorato da bei mosaici. Si possono stabilire diversi periodi di costruzione, che non è il caso di elencare in questa sede. Si è rinunciato per il momento a portare alla luce la parte occidentale di queste locande.

20) La palestra. - La palestra, menzionata da Pausania (vi, 21, 2) fu costruita verso la fine del III sec. a. C. nella parte settentrionale del versante O dell'Altis. L'area coperta dall'edificio, di pianta quasi quadrata, ha dimensioni di m 66,35 × 66,75. Intorno ad un cortile interno, quadrato, di 41 m di lato, circondato da un colonnato, sono distribuiti tutti i singoli ambienti rettangolari, sale, stanze e installazioni balneari di cui deve essere costituita una palestra, secondo i dettami di Vitruvio. Il peristilio del cortile è di ordine dorico, mentre le colonne dei vani interni sono ioniche. Due ingressi, situati alle due estremità dell'ala meridionale portavano nell'interno della palestra, mentre una porta permetteva il passaggio verso N, ossia verso il ginnasio. All'estremità settentrionale del lato O si trovava l'ingresso principale con un propileo di quattro colonne. I materiali dell'edificio non appartenevano in origine alla palestra, dove si trovano in secondo impiego, ma, molto probabilmente, derivavano dal Prytaneion. Nel corso dei lavori di scavo, nel 1957, furono rimesse in piedi le colonne, almeno quelle che ancora sussistevano, così oggi quasi la metà delle colonne sorge sul posto che occupava nell'antichità.

21) Il ginnasio. - Il ginnasio e la palestra sono installazioni che si completano l'una con l'altra, e spesso vengono comprese nell'unico concetto di gymnasion. La palestra serviva soprattutto per la lotta, come dice il nome stesso, ossia per il pugilato e anche per i giochi del pallone, mentre il ginnasio, molto più esteso, serviva agli esercizi di corsa e comprendeva piste coperte e scoperte, e poi impianti per il lancio del giavellotto e del disco, esercizî che richiedevano egualmente molto spazio. Nel ginnasio di O. erano compresi anche gli alloggiamenti in cui abitavano gli atleti nel periodo dei giochi.

La pianta del ginnasio è determinata dalla destinazione dell'edificio: essa comprende in primo luogo una grande spianata circondata a S e a E da portici colonnati. Sul lato occidentale si trovavano gli alloggi degli atleti, menzionati da Pausania, che sono stati comunque completamente asportati dalle piene del Cladeo, insieme alla parte occidentale del portico meridionale. Pausania nomina il ginnasio nello stesso passo (vi, 21, 2) in cui fa cenno della palestra, a cui esso si ricollega dalla parte settentrionale: il suo portico meridionale è addossato al muro settentrionale della palestra, e già da questo elemento si può desumere l'appartenenza ad uno stesso complesso architettonico. Un propileo monumentale, che viene ricordato da Pausania, porta da E nell'area del ginnasio; proprio di fronte si trova la porta N-O dell'Altis. Il ginnasio copre la superficie più grande tra tutti gli edifici di Olimpia. In origine, il lato lungo, verso N, doveva raggiungere 220 m, la larghezza era all'incirca di 120 m. Il periodo di costruzione cui risalgono le parti venute alla luce è un po' più recente di quello della palestra.

22) Le terme settentrionali. - Anche a N dell'Altis, nell'angolo tra il muro orientale del ginnasio e le pendici del Kronion, sorgono installazioni termali dell'età imperiale, che, come le terme meridionali e gli impianti balneari presso il Cladeo, dovevano corrispondere alle aumentate esigenze degli atleti e dei visitatori di Olimpia. Della decorazione originaria rimangono ancora dei mosaici. Non ci si può fare un'idea dell'insieme della costruzione perché una parte soltanto di essa è stata esplorata.

23) Lo stadio. - Gli scavi dei secoli scorsi avevano già determinato la posizione e le dimensioni dello stadio, ad E dell'Altis, e si era anche misurata la distanza esatta tra le due mète giacenti ancora in situ: 191,27 m (= 600 piedi olimpici). A quell'epoca non erano previsti lavori di sterro in tutto l'impianto, che era ricoperto da imponenti masse di terriccio. Nei nuovi scavi, a partire dal 1936, si continuarono le ricerche. Nei terrapieni vennero fatti innumerevoli e importanti ritrovamenti, dai quali si può ricostruire la storia della principale arena di O., così come ora cercheremo di delinearla.

Nulla si può dire della pista dei tempi primitivi perché non ne sono rimaste tracce evidenti. La mèta doveva essere il centro dell'Altis, ma non sappiamo se l'orientamento era determinato dall'altare di Zeus o dal sacro olivo, oppure, forse, dalla colonna di Enomao. Il primo impianto dello stadio che può essere documentato tecnicamente dagli scavi appartiene all'età arcaica. Si trattava di una installazione modesta, più vicina al punto centrale dell'Altis di quanto non lo saranno le successive fasi di costruzione, senza dubbio inclusa nel recinto sacro. Prima della metà del VI sec. questo impianto arcaico venne ampliato e ingrandito e certamente già spostato verso E, rimanendo però sempre inalterata la connessione col territorio sacro, provata anche dal fatto che i doni votivi venivano esposti sui terrapieni dello stadio. Proprio qui, infatti, si fecero i maggiori ritrovamenti di armi, che si spiegano appunto con la consuetudine di portare qui i trofei.

Intorno alla metà del IV sec. l'aumentato movimento delle gare, la fama dei giochi e l'affluire degli spettatori, richiesero un nuovo ampliamento dello stadio, che, a sua volta, rese necessario un ulteriore spostamento verso E. Il portico di Eco e il muro orientale dell'Altis, che erano situati sul lato occidentale dello stadio del V sec., separarono ora l'arena dall'Altis. Sembra che da questo momento in poi lo stadio non venne più considerato all'interno dell'Altis. Come prima, esso rimase in terra battuta, tuttavia almeno la tribuna dei giudici di gara, lungo la gradinata meridionale, venne provvista di fondazioni in pietra. Superato il momento di maggior decadenza del santuario, nell'età tardo-ellenistica, quando l'antico splendore dei giochi rivisse alla fine del I sec. a. C., venne ricostruito anche lo stadio, di cui fu rialzata e migliorata la scarpata; in particolare, venne costruito un sottopassaggio, coperto da una vòlta, dall'Altis allo stadio, attraverso il terrapieno occidentale. Pausania accenna a questo ingresso e alla tribuna dei giudici di gara (vi, 20, 5). Nel periodo tra la metà e la fine dell'età imperiale constatiamo ripetuti sforzi per tenere in ordine lo stadio. Mancavano però le forze per lavori radicali, si trattava per lo più di tentatitivi di sventare la minaccia della distruzione totale. Gli scavi attuali si sono posti come termine la ricostruzione dello stadio del IV sec.; i lavori stanno per essere conclusi. Già ora l'ampia installazione con i suoi terrapieni non manca di produrre una grande impressione sul moderno visitatore di Olimpia.

V) Ricostruzioni. - Potersi rappresentare il santuario di Zeus nell'antico splendore è un miraggio che aveva già sedotto, dopo i primi scavi, gli archeologi del secolo scorso. Così l'architetto degli scavi di O., F. Adler, ha proposto nel 1894 quattro schizzi ricostruttivi dell'Altis da differenti punti di vista. Nel 1931 venne eseguito da H. Schleif il primo plastico, che poggiava essenzialmente sui risultati dei primi scavi. I più recenti risultati scientifici sono stati elaborati in un nuovo plastico dall'architetto degli scavi in corso, A. Mallwitz, plastico che è stato esposto alla mostra di O. del 1960, a Essen, dove si trova attualmente, purtroppo in un unico esemplare.

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Süsserott, Grossgriechische Dachterrakotten; H. Weber, Angriffswaffen, 1944; II. E. Kunze, Archaische Schildbänder, ein Beitrag zur frühgriechischen Bildgeschichte und Sagenüberlieferung, 1950; III. F. Willemsen, Dreifusskessel von Olympia, alteund neue Funde, 1957; IV. F. Willemsen, Die Löwenkopf-Wasserspeier vom Dach des Zeustempels, 1959; E. Kunze, Olympia, in Neue Deutsche Ausgrabungen im Mittelmeergebiet und im Vorderen Orient, Berlino 1959, p. 263 ss. (Particolare): I) L. Ziehen, in Pauly-Wissowa, XVII, 1936, c. 2520 ss., s. v.; Fiehn, ibid., c. 2245 ss., s. v. Oinomaos; Scherling, ibid., Suppl. VII, 1940, c. 849 ss., s. v. Pelops. II) A) e B) W. Dörpfeld, in Ath. Mitt., XXXIII, 1908, p. 185 ss.; F. Weege, in Ath. Mitt., XXXVI, 1911, p. 163 ss.; Buschor-Schweitzer, in Ath. Mitt., XLVII, 1922, p. 48 ss.; W. Dörpfeld, Alt-Olympia, I, 1935, p. 81 ss. C) A. Furtwängler, in Olympia, Ergebnisse IV; Kunze, IV Olympia-Bericht, p. 105 ss.; id., VII Olympia-Bericht, p. 138 ss. D) W. Dörpfeld, in Ath. Mitt., XXXIII, 1908, p. 191 (fondazione nel Prytaneion); F. Weege, in Ath. Mitt., XXXVI, 1911, p. 187 s., tav. VI, 8 (bronzo: toro dalla doppia testa); A. Furtwängler, in Olympia, Ergebnisse IV; F. Willemsen, in Olympische Forschungen, III; E. Kunze, in VI Olympia-Bericht, pp. 118 ss. (elmi); id., in IV Olympia-Bericht, p. 105 ss. e VII Olympia-Bericht, p. 138 ss. (bronzetti). E) U. Jantzen, in Olympia Ergebnisse III, 26, fig. 24, tav. V, 4-5 (perirrhantèrion) e fig. 23 e tav. V, 1-2 (leone); J. F. Crome, in Mnemosynon Wiegand, Monaco 1938, p. 47 ss., tavv. VII, IX, X (leone); P. Wolters, Die archaische Hera in Olympia, in Festschrift H. Wölfflin, Dresda 1935, p. 168 ss. F) e G) II e III Olympia, Ergebnisse; Olympia, Berichte, I, 1937; e VII, 1956-58; Olympische Forschungen, I e iv; E. Kunze, Zeus und Ganymedes, in 100. Berliner-Winckelmannspr., 1940; id., Zeusbilder in Olympia, in Antike und Abendland, II, 1946, p. 95 ss.; W. H. Schuchhardt, Die Erzatsfiguren im Westgiebel, in Arch. Anz., 1930, p. 525 ss.; H) Schleif-Weber, Das Nymphäoum des Herodes Attikos, in Olympische Forschungen, I, p. 53 ss. I) E. Kunze, in Neue deutsche Ausgrabungen, 1959, pp. 275 ss., fig. 10-11 (muro degli Eruli); Olympia, Ergebnisse I; . Boetticher, Olympia, Das Fest und seine Stätte, 2a ed., Berlino 1886, pp. 27 ss. III) R. Weil, in Olympia, Ergebnisse, I, p. 101 ss.; A. Michaelis, Ein Jahrhundert kunstarchäologischer Entdeckungen, 1908, p. 49 ss.; W. Wrede, in I Olympia-Bericht 1936-37 (introduzione). IV) I) W. Dörpfeld, in Olympia, Ergebnisse II, p. 61 ss.; E. N. Gardiner, Olympia, Oxford 1925, p. 135; K. Lehmann-Hartleben, in Gnomon, 1927, p. 395 ss.; E. Kunze, in Neue Deutsche Ausgrabungen, 1959, p. 275 s., fig. 10-11 (muro di fortificazione). 2) W. Dörpfeld, in Olympia, Ergebnisse II, p. 27 ss., tv. XVIII-XXIII; id., Alt-Olympia I, e II; H. Riemann, Die Bauphasen des Heraion von Olympia, in Jahrbuch, LXI-LXII, 1946-47, p. 30 ss.; O.W. von Vacano, Das Problem des alten Zeutstempels von Olympia (Diss.) 1937. Per la cosiddetta testa di Hera: G. Treu, in Olympia, Ergebnisse III, p. i ss., tav. I; D. K. Hill, Hera, the Sphinx?, in Hesperia, XIII, 1944, pp. 353 ss. Per lo Hermes: G. Treu, in Olympia, Ergebnisse III, p. 194 ss., tavv. XLIX-LIII; C. Blümel, Der Hermes eines Praxiteles, Baden Baden 1944; G. Gullini, in Arch. Class., II, 1950, p. 87 ss. Per le statue ritratto: G. Treu, in Olympia, Ergebnisse III, p. 252 ss., tav. LXII ss.; E. Kunze, in III Olympia-Bericht, p. 70 ss., tav. XVIII. 3) J. Overbeck, Schriftquellen, nn. 692-754; W. Dörpfeld, in Olympia, Ergebnisse II, p. 4 ss., tavv. VIII-XVII; Ch. H. Morgan, Pheidias and Olympia, in Hesperia, XXI, 1952, p. 294 ss.; id., Footnotes to Pheiias and Olympia, in Hesperia, XXIV, 1955, p. 164 ss.; F. Krauss, Die Säulen des Zeustempels von Olympia, in Robert Boehringer, Eine Freundesgabe..., 1957, p. 365 ss.; J. K. Smith, A Restauration of the Temple of Zeus at Olympia, in Mem. Amer. Acad., 4, 1924, p. 153 ss., tavv. LVIII-LXII; F. Willemsen, in Olympische Forschungen IV, 1959; G. Becatti, Problemi fidiaci, Firenze 1951; J. Liegle, Der Zeus des Pheidias, Berlino 1952; G.Lippold, Griechische Plastik, in Handbuch, III, 1950, p. 142 ss.; R. Pfeiffer, The Measurements of the Zeus at Olympia, in Journ. Hell. Studies, LXI, 1941, p. 1 ss.; F. Eichler, Thebanische Sphinx, in Österr. Jahresh., XXX, 1937, p. 75 ss.; E. Kunze, in Neue deutsche Ausgrabungen, 1959, p. 278 ss.; W. H. Schuchhardt, Die Niobidenreliefs vom Zeusthron in Olympia, in Mitt. d. deutschen Arch. Inst., I, 1948, p. 15 ss. (con bibliografia relativa). 4) W. Dörpfeld, in Olympia, Ergebnisse II, p. 37 ss., tavv. XXIV-XXVI; G. Treu, in Olympia, Ergebnisse III, p. 232 ss. (ritratti di imperatori); W. Dittenberger, in Olympia, Ergebnisse V, n. 366 (iscrizione dedicatoria sull'architrave); W. Fuchs, in Ath. Mitt., LXXI, 1956, p. 66 ss. (figura del frontone). 5) W. Dörpfeld, in Olympia, Ergebnisse II, p. 56 ss., tav. XLII; id., Alt-Olympia, p. 36 s., 118 s., 81 ss.; P. Mingazzini, in Festschrift A. Rumpf, Krefeld 1952, p. 113 ss. 6) W. Dörpfeld, in Olympia, Ergebnisse II, p. 58 ss., tavv. XLIII-XLIV; id., in Ath. Mitt., XXXIII, 1908, p. 191; Schleif-Eilmann, IV Olympia-Bericht 1940-41, 1944, p. 17 s. 7) F. Adler, in Olympia, Ergebnisse II, p. 128 ss., tavv. LXXIX-LXXXII; Schleif-Zschietzschmann, in Olympische Forschungen I, 1944, p. 1 ss. Per Leochares: E. A. A., IV vol. s. v. 8) W. Dörpfeld, in Olympia, Ergebnisse II, p. 40 ss.; J. Wiesner, in Puly-Wissowa, XVIII, 1949, c. 120 ss., n. 10, s. v. Schatzhausterrasse; Schleif-Süsserrott, in Olympische Forschungen I, 1944, p. 83 ss.; A. Mallwitz, in VII Olympia-Bericht 1956-58, 1961, p. 29 ss. 9) F. Adler, in Olympia, Ergebnisse II, p. 134 ss.; G. Treu, in Olympia, Ergebnisse III, p. 260 ss.; Dittenberger-Purgold, in Olympia, Ergebnisse V, p. 615 ss.; Schleif-Weber, in Olympische Forschungen I, 1944, pp. 53 ss.; R. Weber, in V Olympia-Bericht, p. 4212, n. 60 (per la datazione dell'edificio). 10) W. Dörpfeld, in Olympia, Ergebnisse II, p. 70 ss.; R. Borrmann, in Olympia, Ergebnisse II, p. 143; H. Schleif, in Jahrbuch, XLIX, 1934, p. 156; Kunze-Schleif, in II Olympia-Bericht, p. 45 s. 11) W. Dörpfeld, in Olympia, Ergebnisse II, p. 73 ss.; P. Graef, in Olympia, Ergebn. II, pp. 185-87; Wiesner, in Pauly-Wissowa, XVIII, 1949, c. 131, n. 14; Kunze-Schleif, in II Olympia-Bericht, p. 51 ss.; III Olympia-Bericht, p. 1; IV Olympia-Bericht, p. 4 (relazione dei lavori). 12) W. Dörpfeld, in Olympia, Ergebnisse II, p. 76 s.; C. Weickert, Typen der archaischen Architektur in Griechenland und Kleinasien, Ausburg 1929, pp. 66, 78 s. 13) W. Borrmann, in Olympia, Ergebnisse II, p. 79 s.; Kunze-Schleif, in II Olympia-Bericht, p. 28 ss., tavv. IX-XIV; III Olympia-Bericht, p. 30 ss.; R. Eilmann, in III Olympia-Bericht, pp. 37 ss. (i ritrovamenti fittili); K. Lange, Haus und Halle, 1885, p. 339. 14) E. Kunze, in Neue deutsche Ausgrabungen, 1959, pianta sul suppl. 1 (dopo p. 264). 15) R. Borrmann, in Olympia, Ergebnisse II, p. 83 ss.; Kunze-Schleif, in IV Olympia-Bericht, p. 4; G. Treu, in Ath. Mitt., XIII, 1888, p. 325 ss.; E. Kunze, in Neue deutsche Ausgrabungen, 1959, p. 265 (epigrafe). 16) F. Adler, in Olympia, Ergebnisse II, pp. 93 ss., tavv. LXVII-LXX: W. Dörpfeld, in Olympia, Ergebnisse I, p. 79 ss.; E. Kunze, in Neue deutsche Ausgrabungen, 1959, p. 277 ss. (prefazione ai risultati scientifici dei nuovi scavi); G. A. Sotiriu, in Arch. Eph., 1929, p. 172 s. 17) P. Graef, in Olympia, Ergebnisse I, p. 81; Gardiner, Olympia, p. 278 s. 18) P. Graef, in Olympia, Ergebnisse II, p. 105 ss., tavv. LXXI-LXXII; F. Graeber, in Olympia, Ergebnisse II, p. 139 ss., tavv. LXXXVII e CXI; Kunze-Schleif, in IV Olympia-Bericht, p. 57 ss.; E. Kunze, in Neue deutsche Ausgrabungen, 1955, p. 270 ss. 19) A. Mallwitz, Das Gebiet südlich der Bäder am Kladeos: der Baubefund; H. Walter, in VI Olympia-Bericht, pp. 12 ss. e 41 ss. 20) Graef-Borrmann, in Olympia, Ergebnisse II, p. 113 ss.; Schleif-Eilmann, in IV Olympia-Bericht, p. 8 ss.; E. Kunze, in VII Olympia-Bericht, p. 12 ss., fig. 6 e 7. 21) Borrmann-Graef, in Olympia, Ergebnisse II, p. 121 ss.; Kunze-Schleif, in III Olympia-Bericht, p. 67 ss. 22) P. Graef, in Olympia, Ergebnisse II, p. 181 s., tav. CVI e CVII (soltanto per i mosaici. Le terme infatti non sono ancora state pubblicate). 23) R. Borrmann, in Olympia, Ergebnisse II, p. 63 ss.; Kunze-SChleif, in II Olympia-Bericht, p. 5 ss.; III Olympia-Bericht, p. 5 ss.; E. Kunze, in IV Olympia-Bericht, p. 164 ss.; in V Olympia-Bericht, p. 10 ss.; in VII Olympia-Bericht, p. 17 ss.; id., in Neue deutsche Ausgrabungen, 1959, p. 266 ss., fig. 1-4. V) Olympia, Ergebnisse II, tavv. CIX-CXXXII (schizzi ricostruttivi di F. Adler); W. Hege-R. Rodenwaldt, Olympia, Londra 1936, fig. 16 (plastico di H. Schleif); A. u. E. Mallwitz, Olympia in der Antike, Austellung Essen 1960, p. 33.