Olimpiadi estive: Berlino 1936

Enciclopedia dello Sport (2004)

Olimpiadi estive: Berlino 1936

Elio Trifari

Numero Olimpiade: XI

Data: 1° agosto-16 agosto

Nazioni partecipanti: 49

Numero atleti: 3962 (3634 uomini, 328 donne)

Numero atleti italiani: 182 (169 uomini, 13 donne)

Discipline: Atletica, Calcio, Canoa, Canottaggio, Ciclismo, Equitazione, Ginnastica, Hockey su prato, Lotta greco-romana, Lotta libera, Nuoto, Pallacanestro, Pallamano, Pallanuoto, Pentathlon moderno, Polo, Pugilato, Scherma, Sollevamento pesi, Tiro, Tuffi, Vela

Numero di gare: 129

Ultimo tedoforo: Fritz Schilgen

Giuramento olimpico: Rudolf Ismayr

Nell'aprile del 1931, durante la sessione del CIO che si svolse a Barcellona, i Giochi vennero assegnati a Berlino per la XI edizione in programma nel 1936. Fin da quando la Germania era rientrata nella comunità olimpica, in occasione di Amsterdam 1928, aveva ripreso vigore in seno al Comitato olimpico tedesco (DOA, Deutschen Olympische Ausschuss) l'idea di chiedere quei Giochi già ottenuti nel 1916 e che, prima della cancellazione a causa della guerra, erano stati quasi completamente organizzati. Le iniziative si aprirono con una lettera del presidente del DOA, il dottor Theodor Lewald, al sindaco di Berlino Gustav Böss, il 25 febbraio 1929. L'obiettivo era quello di presentare la candidatura in occasione del IX Congresso del CIO, in programma nella città tedesca alla fine di maggio del 1930. Accanto a Berlino, risultavano candidate anche Alessandria d'Egitto, Barcellona, Budapest, Buenos Aires, Colonia, Dublino, Francoforte sul Meno, Helsinki, Norimberga e Roma: undici aspiranti, una folla mai vista prima e si attendeva anche la proposta di Istanbul.

Un anno dopo, quando la Sessione del CIO si riunì a Barcellona, la scrematura fondamentale era già avvenuta, con quattro candidate ancora in lizza: poi Budapest e Roma si ritirarono e rimasero soltanto Barcellona e Berlino. La Spagna era sull'orlo della guerra civile, re Alfonso XIII era riparato all'estero, solo 20 su 67 membri del CIO erano presenti e la città era così poco sicura che la sessione durò soltanto due giorni. Si decise di ricorrere a un voto postale: il 12 maggio 1931 la conta ufficiale, nella residenza Mon repos del barone de Coubertin a Losanna, alla presenza del sindaco di Losanna Paul Perret e del vicepresidente del CIO Godefroy de Blonay, diede il risultato schiacciante di 43 voti a 16 per Berlino, 8 gli astenuti.

Se la difficile situazione spagnola, con il passaggio dalla monarchia alla repubblica e i contrasti fra la destra e la sinistra che sarebbero poi sfociati nella guerra civile del 1936-39, aveva certamente influito sulla bocciatura di Barcellona, non poche perplessità suscitò negli anni seguenti il fatto che non venisse revocato l'affidamento delle Olimpiadi alla Germania, dove il partito nazionalsocialista era ormai padrone assoluto del potere e aveva dato inizio a una feroce campagna di persecuzioni nei confronti degli oppositori politici e degli ebrei. La promulgazione delle leggi di Norimberga del 1935, che privavano i semiti del diritto di cittadinanza e di appellarsi alle leggi del Reich, rischiò di coinvolgere lo stesso Lewald, membro del CIO e presidente del Comitato organizzatore dei Giochi, che era di origini ebraiche. Hitler e Goebbels avrebbero vo- luto sostituirlo con il ministro dello Sport Hans von Tschammer und Osten, ma il presidente del CIO, Henri de Baillet-Latour, si oppose, minacciando la revoca dell'assegnazione. Lewald rimase, ma dovette accettare che nel suo comitato ci fossero cinque membri del partito nazista, fra cui anche il capo della Gestapo Reinhard Heydrich.

Le voci più robuste contro le Olimpiadi tedesche vennero dalla Francia. Già nel 1933 il vicepresidente della Camera invitò il Comitato olimpico nazionale a boicottare i Giochi. La protesta popolare aumentò dopo la rimilitarizzazione della Renania nel 1936. Il 7 marzo di quell'anno Marc Bellin du Coteau, presidente della Federazione internazionale dell'hockey, si pose alla presidenza di un movimento di opposizione ai Giochi di Berlino di cui faceva parte anche Jules Rimet, presidente della FIFA e del Comité national des sports, che tuonò: "Prima di essere atleti olimpici, siamo francesi". Toccò al governo popolare di Léon Blum decidere se mandare la rappresentativa francese a Berlino e fu proprio la sinistra, da cui ci si attendeva una posizione contraria alla partecipazione, a dare il suo assenso.

La Gran Bretagna aspettò fino al dicembre 1934 per rispondere all'invito tedesco, inoltrato l'anno precedente. Dopo averlo accolto, il Comitato olimpico effettuò un'accurata ispezione che lasciò le cose come stavano. Ma i sindacati rumoreggiavano e sir Noel Curtis Bennett si pose alla guida di un fronte di aristocratici che si opponevano alla partecipazione inglese. Alla Camera dei Comuni il deputato Locker Lampson, conservatore, sollecitò l'intervento del ministro delle Finanze Arthur Neville Chamberlain, perché tagliasse il sostegno al Comitato olimpico nazionale, e del ministro degli Esteri affinché bloccasse i passaporti dei tedeschi che chiedevano di entrare in Gran Bretagna, se fosse stato vietato ai semiti di gareggiare all'Olimpiade. Fu proprio un ebreo, Harold Abrahams, l'eroe di Momenti di gloria, oro nei 100 m a Parigi 1924 e apprezzato dirigente dell'atletica britannica, a far pesare la bilancia dalla parte dei favorevoli alla partecipazione. La AAA (Amateur athletic association), alla presenza del ministro della Difesa Thomas Inskip, in qualità di osservatore, accettò tutte le garanzie fornite personalmente da Theodor Lewald, volato apposta a Londra.

Il resto dell'Europa non restò a guardare: la Iugoslavia manifestò contro i Giochi, vi furono dimostrazioni di piazza a Stoccolma, la città di Amsterdam finanziò una mostra delle 'deviazioni' naziste in contemporanea con i Giochi. Dissero 'no' le Federazioni calcio belga e ceca e la Federnuoto svizzera.

Quanto agli USA, svolse un ruolo determinante il presidente del Comitato olimpico Avery Brundage, schierato a favore dei tedeschi. L'AAU (Amateur athletic union) votò una mozione di censura ai tedeschi, su proposta dello stesso Brundage, che fu inviato in Germania come osservatore. Brundage, al suo ritorno, stilò un rapporto nel quale si dichiarava soddisfatto, e l'esecutivo dell'AAU il 16 settembre 1934 sciolse la riserva. Un anno dopo si registrarono l'opposizione netta dei sindacati, quella personale di Fiorello La Guardia, sindaco di New York, e le prese di posizione di tre università (Long Island, New York e Nôtre Dame), che si rifiutarono di inviare atleti ai Trials di pallacanestro. Mentre Brundage sollecitava la creazione di un comitato di tedeschi che vivevano in America per la raccolta di fondi e l'8 dicembre fece votare dal Comitato USA il sì definitivo, Ernest Lee Jahncke, membro USA del CIO, di origine tedesca, accusò de Baillet-Latour di connivenza con un regime disumano e fece sapere che non sarebbe andato a Berlino. Su proposta del presidente, venne espulso dal CIO il 30 luglio 1935, con un solo voto contrario, quello di John Garland, l'organizzatore di Los Angeles; al posto di Jahncke subentrò Brundage.

Un altro membro del Comitato olimpico USA, e dirigente dell'AAU, Charles L. Ornstein, che Brundage aveva espulso dal Comitato americano, si adoperò per mettere in piedi un'Olimpiade alternativa, il World labor athletic carnival, presieduta dal giudice Jeremiah Mahoney, un cattolico, ex presidente dell'AAU e leader del Comitato Move the Olympics. L'iniziativa ebbe il sostegno dei sindacati ebrei e il patrocinio di Fiorello La Guardia, e le premiazioni furono effettuate dal governatore di New York, Herbert Lehman. Il 15 e 16 agosto 1936 il Carnival accolse a Randall's Island, presso New York, circa 400 atleti, fra i quali il velocista Eulace Peacock, infortunato ai Trials, e l'astista George Varoff che fece meglio di Earle Meadows a Berlino. Furono annunciate anche altre tre contro-Olimpiadi: non ebbero luogo quelle di Praga e Anversa, mentre si svolse regolarmente quella di Tel Aviv nel 1935 per gli atleti ebrei, in realtà seconda edizione delle Maccabiadi, con circa 1700 partecipanti di 27 paesi, molti dei quali non tornarono in patria.

Ma la vera sfida arrivò da Barcellona in una situazione di guerra civile che dilaniava la Spagna, con la Catalogna insorta, nazisti e fascisti schierati da un lato, radicali, comunisti e socialisti dall'altro. Il contributo del governo rivoluzionario provvisorio spagnolo, insieme a quello francese e della Catalogna, rese possibile l'organizzazione nella città catalana, tra il 19 e il 26 luglio, di una manifestazione presentata come contro-Olimpiade. In realtà anche in questo caso si trattava della seconda edizione di un evento già esistente, l'Olimpiade dei lavoratori, che nel 1931 aveva raccolto le organizzazioni sindacali di tutto il mondo. Furono annunciati 2000 atleti, di cui 1200 francesi, 41 inglesi, 9 statunitensi, e si registrò la presenza di 20.000 turisti. Alle 16 del 19 luglio 1936 il primo ministro catalano inaugurò l'Olimpiade del popolo, ma la mattina dopo uno scontro a fuoco fra esercito e autonomisti impedì il proseguimento delle gare.

Nonostante la repressione antisemita continuasse, l'ordine del regime nazista, in prossimità dei Giochi, fu di cercare di offrire una facciata quanto più rassicurante possibile. Per questo motivo, in coincidenza con i Giochi, le campagne di stampa contro gli ebrei si attenuarono e dalla città furono rimossi segnali e slogan antisemiti. Sul piano organizzativo era logico attendersi che il Terzo Reich facesse le cose in grande e la dimostrazione già si ebbe con i Giochi invernali di Garmisch-Partenkirchen, inaugurati il 2 febbraio 1936 da Hitler in persona. Alla gara conclusiva di salto speciale assistettero 150.000 spettatori.

Nell'ottobre del 1933, Hitler, Goebbels e il ministro dell'Interno Wilhelm Frick avevano visitato con Lewald le installazioni previste a Berlino. Lo stadio, affidato all'architetto berlinese Werner March, il cui padre Otto aveva costruito quello per il 1916, recuperò l'impianto originario, intanto divenuto una pista per cani. Il nuovo progetto ne previde la ricostruzione e l'ampliamento fino alla capienza di 78.000 spettatori, poi portata a 100.000, con una torre per la radio (e gli esperimenti TV) e un secondo complesso indoor per le altre discipline. Splendida anche la piscina, un funzionale stadio del nuoto da 18.000 spettatori, la Deutschland Halle. A Döberitz, a 20 minuti dallo stadio, fu realizzato il villaggio olimpico per gli uomini, con 150 abitazioni e 40 ristoranti (le donne vennero alloggiate a parte, nella Friedrich Friesen Haus). La responsabilità del villaggio era affidata al capitano Wolfgang Fürstner, di origini ebraiche, che subito dopo la fine dei Giochi fu rimosso dal servizio attivo e si suicidò.

Durante i Giochi furono venduti 4,5 milioni di biglietti. Il bilancio organizzativo ufficiale, alla fine, mostrò un attivo di 1.000.000 di marchi dell'epoca, grazie a contributi generosi quali un milione di marchi delle Poste con una percentuale sulle emissioni filateliche. Con ogni probabilità, si chiuse in passivo di circa 4.500.000 marchi dell'epoca. Quanto al programma, le gare furono 129. Agli sport ufficiali, fra i quali tornò la pallacanestro, si aggiunsero come dimostrativi baseball e volo a vela. Si tennero inoltre, e fu l'ultima volta, 15 concorsi d'arte. I paesi furono 49 (la Spagna era assente), gli atleti poco meno di 4000. L'Italia prese parte con 182 atleti, la spedizione più ampia della sua storia.

Per tacitare le proteste e dimostrare che l'antisemitismo era solo un argomento di propaganda contro Hitler e la Germania nazista, i tedeschi inclusero nella propria rappresentativa Helene Mayer, una delle più grandi schermitrici della storia, l'unica donna cui Nedo Nadi abbia concesso l'onore di un duello-esibizione. Nata a Offenbach, presso Francoforte, il 12 dicembre 1910, da padre ebreo, medico della comunità giudaica locale, e madre cristiana, Helene venne addestrata all'equitazione fin da bambina, impegnandosi anche nel nuoto, nello sci di fondo e nella danza. Ma la sua passione era la scherma e cominciò a frequentare il club schermistico di Offenbach dove l'italiano Arturo Gazzera ne comprese subito le grandissime doti. A soli 14 anni Helene si affermò nei campionati nazionali di fioretto, titolo in seguito conquistato ininterrottamente dal 1925 al 1930. Mentre frequentava ancora il liceo, vinse ai Giochi di Amsterdam la medaglia d'oro del fioretto donne: sul podio, però, anziché la bandiera tedesca Helene tenne in mano il piccolo vessillo nero, bianco, e verde del suo club. Campionessa europea nel 1931, Mayer lasciò la Germania nel 1932 per andare a studiare lingue (già affrontate alla Sorbona nel biennio precedente) e diritto internazionale nell'esclusivo Scripps College in California, con una borsa di studio dell'Istituto tedesco per gli studi accademici; il suo obbiettivo era la carriera diplomatica. All'Olimpiade di Los Angeles fu quinta: alta, bellissima, bionda con gli occhi verdi, appariva il tipico soggetto ariano, ma quando le sue origini ebraiche vennero alla luce fu espulsa dal club di Offenbach per il quale gareggiava e perse la borsa di studio. Poté conseguire il diploma di filologia grazie a una borsa dello Scripps. Mentre insegnava tedesco al Mills College di Los Angeles, il Terzo Reich le offrì un posto nella squadra per Berlino 1936; le leggi di Norimberga assicuravano comunque un trattamento diverso a chi avesse un solo genitore ebreo. Mayer, che nel frattempo aveva conquistato titoli USA nel 1934 e nel 1935 come 'residente permanente', ci pensò a lungo e poi accettò, sia perché le veniva offerta l'occasione di difendere il suo titolo del 1928 sia per tornare a vedere la madre. A Berlino ebbe l'argento. Ironia della sorte, erano ebree anche le due altre atlete sul podio: l'oro andò all'ungherese Ilona Elek, assieme a Mayer probabilmente la più grande fiorettista di ogni epoca, e il bronzo a Ellen Preis, berlinese, che gareggiò per l'Austria, dove era emigrata. Elek e Preis avrebbero ottenuto gli stessi risultati anche a Londra nel 1948. A Parigi nel 1937 Mayer trionfò nella prima edizione dei Mondiali femminili, ma il suo successo venne minimizzato dalla stampa tedesca e Mayer tornò negli USA dove ottenne la cittadinanza. Vinse i titoli americani dal 1937 al 1939 e dal 1941 al 1942 e poi ancora nel 1948. Dopo un breve viaggio privato in Germania nel 1938, rientrò in patria solo nel 1952; minata da un tumore più volte operato, sposò un ingegnere civile e morì l'anno dopo a soli 43 anni.

Motivo di cruccio per i tedeschi del Reich fu sicuramente il successo degli atleti di colore. Gli Stati Uniti schierarono 18 afroamericani, 16 uomini e due donne, che Goebbels sul suo quotidiano Der Angriff definì "ausiliari negri USA". Fu proprio uno di questi ausiliari, Jesse Owens, a far passare alla storia, ben più dei fasti e dell'impegno del Reich, questa Olimpiade, scrivendo fra il 2 e il 9 agosto, otto giorni di cui due senza gare, una pagina irripetibile di storia olimpica.

Alle 11.29 del 2 agosto, nella dodicesima e ultima serie delle batterie dei 100 m Owens conquistò la qualificazione al turno successivo con un facilissimo 10,3″, a un decimo dal suo mondiale, concludendo 7 m davanti al giapponese Sasaki, con vento fra 1,6 e 1,7 m/s a favore. Alle 15.04, nel secondo quarto di finale dei 100 m, rifilò 4 m allo svizzero Paul Hänni, correndo in 10,2″, che sarebbe stato mondiale eguagliato, se non avesse spirato un vento a favore di 2,3 m/s. Alle 15.30 del 3 agosto i 100 m entrarono nel vivo con le semifinali: nella prima, dove gli avversari erano di tutto rispetto, Owens fece anche in tempo a girarsi per controllarli, vincendo in 10,4″ (vento di 2,7 m/s) con un metro sul connazionale Frank Wykoff e sullo svedese Lennart Strandberg. La finale si corse alle 17 dello stesso giorno: il pericolo maggiore era rappresentato da Ralph Metcalfe, 10,5″ nei quarti e in semifinale, migliore al mondo nel 1934, che però non era apparso al massimo; Owens, in prima corsia, lo sorprese con una partenza bruciante, Metcalfe all'esterno ridusse il distacco ma Owens lo precedette di un metro sul filo, che tagliò in 10,3″, mentre l'olandese Martinus Osendarp beffò Wykoff per il bronzo; il vento era eccessivo, 2,7 m/s.

Vinto l'oro dei 100 m, Owens si dedicò in contemporanea al lungo e ai 200 m: il 4 agosto, alle qualificazioni del salto in lungo, era nervoso, incappò in due nulli, lo confortò un tedesco, 'Luz' Long; riuscì ad atterrare oltre il limite fissato per tutti a 7,15 m solo al terzo e ultimo salto, in sicurezza, staccando molto prima del limite. Alle 10.45 dello stesso giorno, nella terza batteria dei 200 m, il vento in rettilineo negativo fino a 3,3 m/s non gli impedì di realizzare il tempo di 21,1″e di tenere a mezzo secondo il canadese Lee Orr. Alle 15.44, nel secondo turno dei 200 m il vento era girato a favore (+3,3m/s) ma Owens impiegò lo stesso tempo, conservando energie per la finale del lungo; diede comunque sei decimi al canadese McPhee. Alle 16.30 iniziò la finale del lungo, con 16 concorrenti. Long si presentava con la credenziale di 7,82 m ai campionati nazionali, record europeo. Owens durante l'anno aveva saltato 8 m e in altre cinque gare aveva fatto meglio del rivale tedesco, pur senza eguagliare il primato mondiale di 8,13 m ottenuto l'anno prima. Fra gli altri, il giapponese Naoto Tajima ‒ che due giorni dopo avrebbe vinto l'oro nel triplo, primo al mondo a toccare 16 m ‒ e l'italiano di Viareggio Arturo Maffei, che a Bologna aveva saltato 7,50 m, non sembravano competitivi; di più ci si attendeva dall'americano Robert Clark, che in decathlon (ma con vento a favore) aveva saltato 7,91 m. Owens fu subito in testa con 7,74 m, e al secondo balzo allungò a 7,87 m. Long lo insidiò con il terzo salto a 7,84 m, cui Jesse rispose con 7,75 m. Dopo un nullo al quarto dell'americano, il quinto salto di Long a 7,87 m eguagliò il rivale. Owens si concentrò e, con vento sotto il limite dei 2 m/s, atterrò a 7,94 m. Era in testa da solo e c'era soltanto un altro salto fra lui e il secondo oro: Jesse lo compì in 8,06 m, aiutato da una brezza fra i 3,5 e i 3,7 m/s. Sulla pedana posta di fronte alla tribuna d'onore, Hitler osservava Long prepararsi alla risposta, ma il tedesco forzò troppo e il suo salto fu nullo. Andò ad abbracciare Owens, i due erano diventati amici dopo le qualificazioni e lo rimasero fino alla morte di Long, caduto in guerra in Sicilia nel luglio 1943. Hitler e i gerarchi lasciarono lo stadio, delusi.

Sull'uscita di scena del Führer si sono scritti fiumi di parole ed è diffusa la convinzione che Hitler non abbia voluto stringere la mano a un nero, in questo caso a uno che aveva battuto un ariano. In effetti, la vicenda può essere parzialmente ridimensionata: Hitler aveva incominciato a ricevere nel suo palco i vincitori delle gare di atletica durante la prima giornata, ma si era allontanato, nel tardo pomeriggio del 2 agosto, alle prime ombre della sera, dopo essersi congratulato con il pesista tedesco Hans Woellke, vincitore dell'oro, ma prima della premiazione dell'alto, che aveva fatto registrare la doppietta di due neri americani, Cornelius Johnson e Dave Albritton, coprimatisti del mondo con 2,07 m ai Trials. Il Führer si comportò nello stesso modo la sera dopo, prima della premiazione dei 100 m. La cosa non sfuggì al CIO, che fece pervenire subito la raccomandazione di "accogliere tutti o nessuno". Hitler continuò a ricevere chi desiderava, come la velocista statunitense Helen Stephens ‒ che invitò anche nel 'nido d'aquila' di Berchtesgaden, offerta gentilmente rifiutata ‒ ma discretamente, nel retro del suo palco. Non era presente, quando si celebrò il secondo oro di Owens, come non c'era stato in occasione del primo.

Il giorno dopo, si riprese con i 200 m. Alle 15.00, nella seconda semifinale, il vento era di 3 m/s a favore, quando Owens sfrecciò davanti a Osendarp in 21,3″, lasciando a due decimi l'olandese. La finale si corse alle 18. Owens questa volta era in corsia esterna, in terza c'era l'americano Mack Robinson, in seconda Osendarp. Owens andò in fuga dalla partenza e al traguardo aveva più di 3 m su Robinson e Osendarp. Questi divenne poi tristemente noto come volontario delle SS all'Aia e dopo la guerra fu processato per crimini di guerra e scontò in prigione 7 anni. Vincendo in 20,7″ con vento nella norma, Owens dominò pur non essendo certo uno specialista delle curve: negli USA aveva quasi sempre corso la distanza in rettilineo.

La staffetta fu disputata dopo due utili giorni di riposo. L'8 agosto, alle 15, nelle batterie della 4x100 m, gli americani prevalsero in 40″, eguagliando il proprio mondiale, davanti agli azzurri in 41,1″. Nella finale, alle 15.15 del giorno successivo, Owens in prima frazione diede con ampio margine il cambio a Metcalfe davanti al tedesco Wilhelm Leichum e all'italiano Orazio Mariani; poi Foy Draper e Wykoff mantennero il vantaggio sul ritorno degli italiani, splendidi secondi, e dei tedeschi.

Nato a Danville, nell'Alabama, il 2 settembre 1913, Owens iniziò la sua carriera nel 1932. Avviato all'atletica da Frank Riley alla East Technical High School di Cleveland, a 19 anni corse i 100 m in 10,3″ con vento favorevole e le 100 yards con curva in 9,6″. L'anno dopo, il 17 giugno 1933, ai campionati interscolastici dell'Ohio vinse i 100 m in 9,4″ (record scolastico per 17 anni) e le 220 yards (queste in linea retta) in 20,7″, e saltò 7,56 m in lungo. Nello stesso anno entrò alla Ohio State University, dopo aver esaminato 28 proposte di borse di studio; nella prima stagione gareggiò poco ma fu comunque secondo dietro Metcalfe ai campionati AAU (Association of American universities). L'anno dell'esplosione fu il 1935, quando mise a frutto il lavoro con il coach Larry Snyder, che lo faceva schierare in tre o quattro gare ogni weekend. Il 25 maggio ad Ann Arbor, Michigan, ai campionati dei dieci Stati dell'Ovest (i 'Big Ten'), Owens, sebbene reduce da un incidente alla schiena che si era procurato giocando a football con i compagni, nello spazio di un'ora e un quarto conseguì quattro record del mondo (9,4″ sulle 100 yards; 8,13 m nel lungo, primato durato fino al 1960; 20,3″ sulle 220 yards; 22,6″ sulle 220 yards senza curva; i primati valevano anche sulle distanze metriche inferiori, quindi in realtà furono cinque i record del mondo battuti e uno eguagliato). Il 4 luglio Owens si confrontò ai campionati AAU con i migliori sprinter, finendo terzo dietro Eulace Peacock e Metcalfe nei 100 m. Peacock batté Owens anche nel lungo e lo superò altre due volte a fine stagione. Owens e Snyder fecero tesoro dell'insegnamento, e nel 1936 Jesse era giunto alla perfezione. Prima di Berlino, Owens realizzò un 10,2″, record del mondo, sui 100 m ai campionati universitari, e vinse la stessa gara a quelli dell'AAU. Poi arrivarono i Trials, a New York, con la doppietta 100-200 m che lo lanciò verso l'Olimpiade.

Dopo i Giochi, Owens gareggiò l'ultima volta a White City, il 15 agosto, con una 4x100 m. Poi fu sospeso dall'AAU per non aver accettato un impegno in Svezia e si ritirò dallo sport. Fece campagna elettorale per Alf Landon contro Roosevelt, poi accettò un lavoro a Cleveland come istruttore dei ragazzi, ma si esibì anche in sfide contro cavalli, cani e moto. Fallita la sua linea di abbigliamento, aprì un'agenzia di pubbliche relazioni e si diede all'attività di conferenziere. Forte fumatore, morì di tumore al polmone a Tucson, Arizona, il 31 marzo 1980.

Si è già detto dell'argento italiano nella staffetta 4x100 m, la più titolata della storia olimpica azzurra. Ne era leader il primo frazionista, Orazio Mariani, milanese innamorato dell'atletica e un po' spaccone. A Berlino aveva detto a Gianni Caldana, compagno di staffetta e poi apprezzato tecnico, indicando Owens: "Io a quel negher non lo vedo neanche...", ma in finale, al cambio, gli fu dietro. Altri atleti italiani si misero in evidenza a Berlino. Il lunghista Arturo Maffei vi trovò l'affermazione più grande della sua carriera, quando il vento lo sospinse a 7,73 m (nonostante tutto omologato come record italiano, resistito 30 anni), quarto posto a un solo centimetro dal giapponese Tajima. Maffei, viareggino del 1909, aveva cominciato come calciatore nel Peretola; giocò da portiere lì e nelle due squadre di Sesto Fiorentino in cui successivamente militò. Nella stessa US Sestese provò il lungo e, quando arrivò all'Assi Giglio Rosso, il marchese Luigi Ridolfi lo convinse a lasciare il calcio (era fra le riserve della Fiorentina). Nel lungo conquistò otto titoli nazionali e agli Europei un argento nel 1938 e un oro nel 1939.

Una pagina che valeva oro, per un paese che ancora rimpiangeva Lunghi, fu scritta negli 800 m da Mario Lanzi: un vero talento senza capacità tattiche, una forza della natura che in finale trovò la strada sbarrata per l'oro solo dal nero John Woodruff, studente a Pittsburgh, che lo anticipò sul filo di quattro decimi. Lanzi ci aveva messo troppo a sbarazzarsi di Philip Edwards, e lo colpì con un gesto di rabbia dopo l'arrivo. Anche la medaglia fu maltrattata, scagliata contro un muro e raccolta dal suo compagno di camera, il discobolo Giorgio Oberweger, che gliela ridiede il giorno dopo. Lanzi era di Castelletto Ticino, si era venduto i sussidiari per fare sport, iniziando con il ciclismo, che lasciò per l'atletica dopo una frattura, ereditandone le cosce muscolose quasi da velocista. Spaziava dai 400 ai 1500 m, entrò a far parte della squadra azzurra nel 1934 e vi restò 17 anni. Agli Europei collezionò un argento e un bronzo e anche grazie alle staffette ottenne 18 titoli nazionali. Era in gara quando nel 1939, all'Arena di Milano, il tedesco Rudolf Harbig ottenne sugli 800 m, con 1′46,6″, un mondiale destinato a durare fino al 1967; alle sue spalle Lanzi lo sollecitò concludendo in 1′49″.

Se l'argento di Lanzi fu straordinario, l'oro di Ondina Valla fu incredibile. Valla, nata a Bologna il 19 dicembre 1915, si chiamava in realtà Trebisonda, nome italiano di una cittadina turca, che per il padre era la più affascinante del mondo. L'inizio della sua carriera risale ai tempi della quinta elementare alla De Amicis, quando partecipò alle prove di salto in alto per i Littoriali e arrivò a 1,10 m. La sua grande rivale fu Claudia Testoni, di un anno più giovane (nata il 20 maggio 1916), con la quale si trovò alla Bologna Sportiva, dopo che si erano già misurate alle medie nelle corse brevi, sulle barriere, nel salto. Per riassumere i successi ottenuti dalle due atlete, si può ricordare che al termine della carriera Valla aveva all'attivo un titolo olimpico, un mondiale eguagliato mai omologato, 27 record italiani in dieci anni, 14 titoli italiani assoluti, 16 partecipazioni in nazionale azzurra con 25 vittorie; Testoni un titolo europeo, 4 migliori prestazioni mondiali, 28 record italiani, 19 titoli e 17 maglie della nazionale con 25 vittorie. Valla, in nazionale a 14 anni e a 15 campionessa italiana, aveva vinto nell'indifferenza generale i Giochi mondiali universitari a Torino nel 1933; due anni dopo sia lei sia Testoni erano quinte nella classifica mondiale degli 80 m ostacoli con 12″.

Alla vigilia di Berlino nessuno le intervistò, si sapeva che Valla eccelleva nello stile, Testoni, maturata più tardi, azzurra dai 16 anni, era più potente. La rivalità era aspra, quasi non si parlavano. In una delle batterie degli 80 m ostacoli Testoni fu prima in 12″, in un'altra Valla seconda con 11,9″. In una semifinale, spinta dal vento, Valla scese a 11,6″, che valeva il mondiale dell'epoca, mentre nell'altra Claudia arrivò terza e rischiò l'esclusione. La finale si corse il 6 agosto: Testoni, in seconda, soffriva di dolori mestruali; Valla, in quinta, faceva fatica a camminare per il mal di gambe. Poi seppe recuperare una non felice partenza e si buttò insieme ad altre quattro sul filo. Fu subito dichiarata prima, poi lo studio del photofinish assegnò l'argento alla tedesca Anni Steuer e il bronzo alla canadese Elizabeth Taylor, che per pochi millesimi escluse dal podio Testoni. L'oro non risolse la rivalità antica e le due restarono separate anche nella 4 x 100 m (seconda e quarta frazione), dove furono quarte. Finiti i Giochi fu Testoni ad avere i risultati migliori, ottenendo il titolo continentale e scendendo fino a 11,3″, primato battuto da Fanny Blankers-Koen nel 1939.

Ad Amsterdam la nazionale azzurra di calcio aveva vinto il bronzo, con atleti praticamente professionisti. Poi il CIO aveva imposto restrizioni alla FIFA, chiedendo solo dilettanti. Gli italiani, campioni del mondo, oggettivamente poco si aspettavano dalla formazione di studenti che Vittorio Pozzo aveva messo forzatamente in piedi, anche se molti di loro avevano ricche 'borse di studio' e giocavano in serie A. Un mese di collegiale a Merano introdusse l'avventura olimpica di questi ragazzi, che debuttarono contro gli USA il 3 agosto: un gol dell'ala destra Annibale Frossi, friulano di Muzzana del Turgnano, che giocava in B (ma passò all'Inter subito dopo i Giochi) e si distingueva per i suoi occhiali infrangibili tenuti fermi da una fascia, rimediò all'espulsione di Pietro Rava, terzino della Juve. Le cose cambiarono subito con il Giappone (8-0), annichilito da 4 gol di Carlo Biagi, 3 di Frossi e uno di Giulio Cappelli. La sofferta semifinale con la Norvegia raffreddò gli animi: finì 1-1, con rete del solito Frossi nei supplementari. Nell'altra semifinale, quando il Perù era in vantaggio per 4-2 sull'Austria, i tifosi sudamericani invasero il campo per la gioia; fu chiesta la ripetizione dell'incontro, ma il Perù rifiutò e ritirò la squadra; a Lima la polizia dovette presidiare l'ambasciata tedesca. Contro gli azzurri in finale ci fu dunque la scuola danubiana, confronto ritenuto impari. Non successe niente per oltre un'ora, finché Frossi al 70′ non andò a segno; dieci minuti dopo Eduard Kainberger gelò le speranze italiane. Nei supplementari Frossi segnò subito, al 2′, e l'Italia resistette all'assedio austriaco. In squadra c'erano anche Alfredo Foni, terzino della Juventus, che con Frossi (avevano debuttato assieme in B nel Padova) divise poi successi come allenatore, guidando anche la nazionale, e Ugo Locatelli dell'Inter. Pozzo era al secondo trionfo, dopo il Mondiale 1934 poi replicato nel 1938. Alla guida degli azzurri vinse 63 delle 95 partite disputate.

Altre sorprese vennero dal pentathlon moderno e dalla vela. Il capitano Silvano Abbà, che i giornali chiamavano Abba, istriano di Rovigno, orfano di padre, iscritto all'Accademia di Modena grazie ai sacrifici della mamma maestra, perfezionatosi a Pinerolo e Tor di Quinto, ottimo cavaliere, fu selezionato per la difficile specialità decoubertiniana. Ma non fu l'equitazione a lanciarlo a Berlino, bensì la corsa finale, in cui Abbà recuperò punti preziosi che gli consentirono di raggiungere il bronzo. Morì il 24 agosto 1942 durante la ritirata di Russia, quando al comando del 4° squadrone dei Savoia Cavalleria a Isbuschenskij guidò la carica, spezzando l'accerchiamento delle nostre truppe a prezzo della vita.

Da Kiel arrivò una notizia ancora più incredibile: l'oro nella classe 8 metri dell'equipaggio guidato da Giovanni Leone Reggio, genovese di Sturla. Fra le continue discussioni ‒ si mandavano i filmati a Berlino per svilupparli e discutere i tanti reclami ‒ la vittoria italiana mise d'accordo i norvegesi (sulla cui barca, in argento, c'era anche il primo olimpionico dei Giochi invernali, il saltatore Jacob Thams) e i tedeschi, che avevano a bordo Alfred Krupp, erede della dinastia e delle acciaierie.

Tre ori vennero dalla scherma, al solito prodiga. Il miglior fiorettista fu Giulio Gaudini, un romano di 31 anni che respinse i francesi guidati da Edouard Gardère. La spada italiana registrò l'en plein, con Franco Riccardi, milanese, oro, e alle sue spalle Saverio Ragno, futuro padre dell'olimpionica Antonella, e al terzo posto Giancarlo Cornaggia Medici, campione uscente. Un tale trionfo non poteva che condurre a segno anche la squadra, che infatti diede il terzo oro. Fra gli esultanti azzurri spadisti vi erano anche il futuro presidente della scherma e vicepresidente del CONI, Renzo Nostini, ed Edoardo Mangiarotti, alla prima delle sue 13 medaglie olimpiche.

Un bel bilancio, insomma, per la squadra azzurra: quarta, con 8 ori e dietro ai tedeschi, agli americani e agli ungheresi.

Un'Olimpiade così ricca meritava anche quello che passa alla storia come 'il film' sull'Olimpiade. Fu commissionato a Leni Riefenstahl, attricetta del regime diventata operatrice e poi regista, sicuramente di fede nazionalsocialista, anche se perse un fratello sul fronte russo. Prussiana, nata a Berlino nel 1902, aveva debuttato in regia con La luce azzurra, che al Führer era piaciuto molto, poi aveva documentato il congresso del partito nazista del 1933, le meraviglie delle forze armate del Reich e il raduno di Norimberga. Olympia la qualifica come uno dei grandi di sempre dietro la macchina da presa. Realizzato con una troupe di 33 persone, riprendendo le gare con 14 cineprese, mezzi subacquei e macchine automatiche nei punti impervi, il film è un inno al bello, al gesto, al corpo umano, con ampio utilizzo del nudo. Hitler vi appare solo due minuti, Owens ne esce bene, il decathleta USA Glenn Morris, di cui Riefenstahl si invaghì, è la star. A Venezia, il film fu presentato in due parti, nel 1938, il CIO lo premiò l'anno dopo. In seguito Riefenstahl girò ancora per Hitler nel nido d'aquila a Berchtesgaden, documentando le tenerezze al Führer di Eva Braun. Dopo la guerra si diede alla fotografia, realizzando un reportage in Nubia che la fece riscoprire. Girò il mondo fino a superare i 100 anni: morì nel 2003, ma il suo film vive ancora nel ricordo e nell'apprezzamento di molti.

Medagliere

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