Ombra

Enciclopedia Dantesca (1970)

ombra

Federigo Tollemache
Domenico Consoli

Se prescindiamo dal caso speciale della canzone CI (Al poco giorno...), che esamineremo nel corso dell'articolo, il vocabolo ricorre assai raramente in rima e, in tal caso, è sempre al singolare (Rime: una volta su due occorrenze; Commedia: 6 volte su 90 occorrenze). Ciò si deve, evidentemente, alla sua complessità fonetica, difficilmente ripetibile in altri vocaboli. Le poche parole con cui viene a trovarsi in rima sono tutte forme verbali alla III singolare dell'indicativo presente. Tre di queste forme, che ricorrono una sola volta ciascuna, sono anche derivati di o.: adombra, aombra, ombra. Le altre forme sono disgombra (1 volta), ingombra (3 volte), e sgombra (1 volta). inoltre, in If XXXII 59 e 61, o. rima con sé stessa.

In una prima serie di occorrenze o. vale " mancanza di luce diretta " e pertanto si presenta come opposizione alla luce del sole (o della luna).

Anzitutto, con ricco contenuto poetico, nella descrizione del Paradiso terrestre: Pg XXVIII 32 sotto l'ombra perpetüa, che mai / raggiar non lascia sole ivi né luna; XXIX 5 le salvatiche ombre; XXXIII 109 un'ombra smorta, / qual sotto foglie verdi e rami nigri / sovra suo freddi rivi l'alpe porta. Lo stesso contrasto col sole si avverte nelle similitudini: Pg XXVII 79 Quali si stanno... / le capre... / tacite a l'ombra, mentre che 'l sol ferve; Pd XIV 116, e XXIII 81 prato di fiori / vider, coverti d'ombra, li occhi miei. Valore psicologicamente più profondo hanno Rime CI 1 e 8 Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra / son giunto... / Similemente questa nova donna / si sta gelata come neve a l'ombra; e Pg IV 104 ivi eran persone / che si stavano a l'ombra... / come l'uom per negghienza a star si pone, mentre in Pg XXX 89 o. ha un'accezione quasi tecnica, geografica: la terra che perde ombra (l'Africa quando il sole tocca lo zenit).

Più spesso, invece, si tratta della forma proiettata da qualche corpo.

Ci sono, anzitutto, i corpi celesti (compresa la terra): Rime C 9 per lo grand'arco / nel qual ciascun di sette [pianeti] fa poca ombra; Pd IX 118 Da questo cielo [Venere], in cui l'ombra s'appunta / che 'l vostro mondo face; XXX 3. Di carattere scientifico, al contrario, sono Cv II XIII 9 l'ombra che è in essa [la luna], la quale non è altro che raritade del suo corpo, e Pd XXII 140, dove D. confuta la teoria precedente: Vidi la figlia di Latona incensa / sanza quell'ombra che mi fu cagione / per che già la credetti rara e densa. Più numerosi i casi in cui l'o. è proiettata dal corpo umano. Nella già ricordata canzone CI è oggetto di amore l'o. dell'amata: l'amor ch'io porto pur a la sua ombra (v. 27); sol per veder do' suoi panni fanno ombra (v. 36). Nel Purgatorio, poi, l'o. del corpo di D. è per le anime ragione di meraviglia (III 90 Come color dinanzi vider rotta / la luce in terra dal mio destro canto, / sì che l'ombra era da me a la grotta, / restaro; così anche V 34 e XXVI 7), e il suo dileguarsi fa capire ai due poeti e a Stazio che il sole è tramontato: 'l sol corcar, per l'ombra che si spense, / sentimmo dietro (XXVII 68). L'assenza dell'o. di Virgilio, d'altra parte, fa temere a D. di essere stato abbandonato dal maestro e provoca dalla parte di questo una spiegazione sulla natura dei corpi dei trapassati: cfr. III 26. Menzione particolare richiede If XXXII 61 non quelli [Mordret] a cui fu rotto il petto e l'ombra / con esso un colpo per la man d'Artù, dove o. si riferisce all'immagine imperfetta proiettata dal corpo di Mordret e dovuta al colpo sferrato dal re che lo trafisse da parte a parte, permettendo così al sole, secondo la leggenda, di passare attraverso la ferita (" al trarre della lancia il sole passò per la fedita, sì che ivi si ruppe l'ombra del corpo ", Anonimo). In altri passi il riferimento è ai colli (Rime CI 37 Quandunque i colli fanno più nera ombra), o alla montagna del Purgatorio: Pg VI 51, e XXVIII 12 la parte / u' la prim' ombra gitta il santo monte. Ha senso letterale, infine, anche in Rime CI 23 dal suo [della donna] lume non mi può far ombra / poggio né muro mai, e in Pd XXXIII 96 la 'mpresa / che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo.

In numerosi passi della Commedia o. designa la parvenza corporea attribuita dal poeta agli abitanti dei tre regni d'oltretomba.

Ricorre, anzitutto, con significato generale (Pg XXV 101 Però che quindi [la forma] ha poscia sua paruta, / è chiamata ombra), e con riferimento ai diversi stati d'animo: Pg XXV 107 Secondo che ci affliggono i disiri / e li altri affetti, l'ombra si figura; Pd IX 72 giù [nell'Inferno] s'abbuia / l'ombra di fuor, come la mente è trista. Assai più spesso si riferisce a una o più persone determinate. Talvolta ha valore indicativo: If X 53 Allor surse... un'ombra [C. Cavalcanti], lungo questa; XVI 4 tre ombre (Guido Guerra, Tegghiaio Aldobrandi e Iacopo Rusticucci); XXXIII 135 l'ombra che di qua dietro mi verna (Branca Doria); Pg II 83 l'ombra (Casella); VI 72 e VII 67 (Sordello); VIII 109 L'ombra che s'era al giudice raccolta (Corrado Malaspina); XIV 28 l'ombra che... domandata era (Guido del Duca); XXI 10 e 110, e XXIII 131 (Stazio); XXIII 41 (Forese). Ma in Pg XXI 20 se voi siete ombre che Dio sù non degni, Stazio chiama o. non solo Virgilio; bensì, per un ben comprensibile abbaglio, anche Dante. In qualche caso, invece, il termine è accompagnato da attributo o da altra preziosa nota psicologica: If IV 83 quattro grand'ombre (Omero, Orazio, Ovidio, Lucano); XII 118 un'ombra da l'un canto sola (Guido di Montfort); XXX 25 due ombre smorte e nude (Gianni Schicchi e Mirra); Pg XIII 100 un'ombra ch'aspettava / in vista (Sapia); XVIII 82 quell'ombra gentil per cui si noma / Pietola più che villa mantovana (Virgilio); Pd III 34 l'ombra che parea più vaga / di ragionar (Piccarda). E ancora, con la formola ‛ l'o. di ': If II 44 del magnanimo quell'ombra (Virgilio); III 59 l'ombra di colui / che fece per viltade il gran rifiuto; IV 55 l'ombra del primo parente (Adamo); XXIX 136 l'ombra di Capocchio; Pd XV 25 l'ombra d'Anchise; If IV 81 l'ombra sua (con allusione a Virgilio); VIII 48 così s'è l'ombra sua [Filippo Argenti] qui furïosa.

Oltre a designare una o più persone determinate, o. viene usato al plurale per gruppi, schiere di anime: If V 49 vid'io venir, traendo guai, / ombre portate da la detta briga, e 68 più di mille / ombre [Virgilio] mostrommi; VI 34 e 101, XXXIV 11, Pg V 1, VI 26, XI 26, XIII 68, XVIII 140, XX 17 e 143, XXIII 14, XXIV 4, Pd III 67. Anche al plurale, poi, la voce è talora accompagnata da attributo o da altra frase descrittiva: If XXIX 6 l'ombre triste smozzicate; XXX 80 l'arrabbiate / ombre; XXXII 35 l'ombre dolenti; Pg VIII 44 le grandi ombre (i principi della valletta); XIII 47 ombre con manti / al color de la pietra non diversi, e 83 le divote / ombre; XXVI 9 molt'ombre. Casi simili quelli di Pg XXVI 32 e 70, nei quali si ha ciascun'ombra (con cui va, ovviamente, Pd V 107 sì come ciascuno a noi venia, / vedeasi l'ombra piena di letizia); If XXXII 59 tutta la Caina / potrai cercare, e non troverai ombra / degna più d'esser fitta in gelatina; XIII 108 per la mesta / selva / saranno i nostri corpi appesi, / ciascuno al prun de l'ombra sua molesta. Del tutto singolare è If IX 24 quella Eritón cruda / che richiamava l'ombre a' corpi sui, in cui o., per essere contrapposta a ‛ corpo ', viene a significare in definitiva ‛ anima '.

Menzione speciale meritano due casi dovuti a esigenze artistiche particolari, nei quali o., per la sua natura immateriale, viene contrapposta al corpo: Pg II 79 (il tentativo di abbraccio tra D. e Casella, suggerito al poeta da situazioni analoghe dell'Eneide [II 792-794, Enea e Creusa; VI 700-702, Enea e Anchise]): Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto!; XXI 132 e 136 (il tentativo di Stazio di abbracciare umilmente Virgilio): Già s'inchinava ad abbracciar li piedi / al mio dottor, ma el li disse: " Frate, / non far, ché tu se' ombra e ombra vedi ". Ed ei surgendo: " Or puoi la quantitate / comprender de l'amor ch'a te mi scalda, / quand'io dismento nostra vanitate, / trattando l'ombre come cosa salda ", a cui aggiungiamo If I 66 qual che tu sii, od ombra od omo certo, dove o. significa " mera apparenza ".

Altre occorrenze ripetono, al figurato, i significati letterali esposti sopra. Così all'oscurità naturale risponde quella morale: Cv I IV 11 E queste macule [macchie involontarie] alcuna ombra gittano sopra la chiarezza de la bontade della persona umana, e IV XXI 8; Pd XIX 66 Lume non è, se non vien dal sereno / che non si turba mai; anzi è tenèbra, / od ombra de la carne o suo veleno. Al significato di " forma soltanto proiettata da un corpo " fa capo anzitutto il senso figurato di " immagine ", " figura ", " parvenza ": Rime LVIII 1 Deh, Violetta, che in ombra d'Amore / negli occhi miei sì subito apparisti, dove Barbi-Maggini intendono appunto " in figura "; Cv I I 14 [le canzoni senza il commento] aveano d'alcuna oscuritade ombra (o. è contrapposto a luce, § 15); II VIII 15, IV XXVII 16 E questa etade [la senettute] pur ha seco un'ombra d'autoritade; Pg XII 65 Qual di pennel fu maestro o di stile / che ritraesse l'ombre e ' tratti ch'ivi / mirar farieno uno ingegno sottile?; XIII 7 Ombra non lì è né segno che si paia; Pd I 23 tanto che l'ombra del beato regno / ... io manifesti; XIII 19 Imagini, chi bene intender cupe / ... e avrà quasi l'ombra de la vera / costellazione. E qui si può anche ricordare Ep VII 29 quoniam in eius [Golia] occasu nox et umbra timoris castra Philistinorum operiet. Si veda ancora Rime CI 16 si mischia il crespo giallo e 'l verde / sì bel, ch'Amor lì viene a stare a l'ombra, " all'ombra dei capelli e della ghirlanda "; " e si può intendere, come vuole il Contini, ma senza necessità, che Amore vada a stare negli occhi della donna, perché questi stanno all'ombra dei capelli e della ghirlanda " (Barbi-Pernicone); Pd III 114 [Costanza] sorella fu, e così le fu tolta / di capo l'ombra de le sacre bende, che lo coprivano; ‛ sotto l'o. ' richiama un'idea di ‛ protezione ', ‛ difesa ': Pg XXXI 140 chi palido si fece sotto l'ombra / sì di Parnaso...; Pd VI 7 sotto l'ombra de le sacre penne / [l'aquila romana] governò 'l mondo (l'immagine è tolta da Ps. 16, 8 " sub umbra alarum tuarum protege me "). E qui ricordiamo anche Ep IX 5 suppliciter tempestiva deposco quatenus me sub umbra tutissima vestri Culminis taliter collocare dignemini.

Un accenno a parte richiede la già ricordata canzone CI (Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra), d'imitazione arnaldesca, citata non senza una certa compiacenza da D. stesso in VE II X 2 a proposito della melodia, e in XIII 2 laddove si tratta della rima, ma da lui implicitamente condannata in XIII 12 per la sua inutilis aequivocatio, quae semper sententiae quicquam derogare videtur. In questa canzone-sestina o. è una delle sei parole-rima disposte in ciascuna delle sei strofe.

Nel primo verso (Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra / son giunto) e al v. 8 (come neve a l'ombra), o. vale " mancanza di luce diretta ", e nel primo verso del commiato (Quandunque i colli fanno più nera ombra, v. 37) indica la forma proiettata dai colli. Ai vv. 27 l'amor ch'io porto pur a la sua ombra, e 36 sol per veder do' suoi panni fanno ombra, il riferimento è all'o. della donna amata e a quella dei suoi vestiti; al v. 23, poi (dal suo lume non mi può far ombra / poggio né muro mai né fronda verde), l'espressione ‛ fare o. ' significa " fare ostacolo ". Finalmente, al v. 16 Amor lì viene a stare a l'ombra, come già si è detto, o. ha senso metaforico.

Bibl. - G. Busnelli, Ombre e luci animate nella D.C., in " Civiltà Cattolica " II (1910) 36-51; É. Gilson, Dante's notion of a shade: Purgatorio XXV, in " Mediaeval Studies " XXIX (1967) 124-142 (v. " Studi d. " XLVI [1969] 364).

Saldezza delle ombre. - Per affrontare il problema circa la saldezza delle o., bisogna prendere le mosse dalla teoria del corpo aereo (Pg XXV 79-108), secondo la quale alla morte dell'uomo l'anima si scioglie dalla carne portando con sé allo stato potenziale sia le facoltà umane (vegetativa e sensitiva) sia quella divina (intellettiva), le prime mute, inerti, impossibilitate ad attuarsi poiché prive degli organi a ciò necessari, l'ultima, nella triplice forma di memoria, intelligenza e volontà, ben più acuta di prima per la mancanza di limitazioni corporali.

Pervenuta alla sua destinazione ultraterrena (limitatamente all'Inferno e al Purgatorio; i beati del Paradiso, così come appaiono nei cieli, non hanno aspetto corporeo; nell'Empireo però D. li vedrà con la vesta... chiara [Pg I 73], col corpo aureolato di luce, cioè negli aspetti che essi assumeranno dal giorno del Giudizio [cfr. Pd XIV 42-57 e XXX 44-45], l'anima irradia l'aria che la circonda con la medesima virtù formativa che aveva plasmato le membra vive, nella medesima misura di allora (così e quanto), imprimendovi le forme del corpo reale, come il sole permea di colori iridescenti l'atmosfera umida.

Nasce così una parvenza di corpo che riproduce fedelmente i tratti di quella che era stata la figura umana del vivente. Con procedimento non dissimile l'anima, ovvero o. (Però che quindi ha poscia sua paruta, / è chiamata ombra [vv. 99-100], cosa cioè percepibile e immateriale), costruisce anche gli organi sensoriali, il che consente agli abitanti dell'oltretomba non solo di parlare, ridere, sospirare, manifestare nella fisionomia e nei gesti affetti diversi (cfr. Virg. Aen. VI 733 " hinc metuunt cupiuntque, dolent gaudentque "), ma anche di visualizzarsi concretamente davanti alla fantasia dantesca in tutti gli atti e gli stati della vita reale.

Buona parte di questa dottrina è di origine tomistica, specie per quanto riguarda il possesso virtuale, da parte delle anime, delle potenze sensitive (" potentiae sensitivae, et aliae similes, non manent in anima separata nisi secundum quid, scilicet ut in radice ", Sum. theol. Suppl. 70 1c; " oportet dicere quod actus sensitivarum potentiarum nullo modo maneant in anima separata, nisi forte sicut in radice remota ", 70 2c), sì che per esse si renda avvertibile il tormento del fuoco eterno; ma da s. Tommaso D. si allontana nell'assegnare alle anime un corpo sia pure fittizio, ipotesi che l'autore della Summa combatte in contrasto con certe tendenze dei padri d'ispirazione platonica (Clemente Alessandrino, Origene, ecc.) per i quali ciò che esiste nello spazio deve avere un suo localizzabile ricettacolo: " Quamvis autem animabus post mortem non assignentur aliqua corpora quorum sint formae vel determinati motores, determinantur tamen eis quaedam corporalia loca per congruentiam quandam secundum gradum dignitatis earum, in quibus sint quasi in loco, eo modo quo incorporalia in loco esse possunt " (Sum. theol. Suppl. 69 1c; incerta la posizione di s. Agostino, per la quale v. Civ. XXI 10, e De Genesi ad litteram XII 33; del resto, non par deciso nemmeno D. ancora in Cv II VIII 13 vedemo continua esperienza de la nostra immortalitade ne le divinazioni de' nostri sogni, le quali essere non potrebbono se in noi alcuna parte immortale non fosse; con ciò sia cosa che immortale convegna essere lo rivelante, [o corporeo] o incorporeo che sia... e dico ‛ corporeo o incorporeo ' per le diverse oppinioni ch'io truovo di ciò).

Qualche analogia è dato tutt'al più cogliere fra la soluzione dantesca e l'ipotesi tomistica circa il corpo aereo assunto dagli angeli nelle apparizioni ai mortali: " dicendum quod, licet aer, in sua raritate manens, non retineat figuram neque colorem; quando tamen condensatur, et figurari et colorari potest, sicut patet in nubibus. Et sic angeli assumunt corpora ex aere, condensando ipsum virtute divina, quantum necesse est ad corporis assumendi formationem " (Sum. theol. I 51 2 ad 3). La differenza fondamentale sta nel fatto che il corpo degli angeli è di origine prodigiosa (" virtute divina "), mentre le ombre si costituiscono per processo naturale, sì che, paradossalmente, il Gilson ha potuto negare l'esistenza duratura nel mondo poetico di D. di vere e proprie anime separate dal momento che subito dopo il distacco dal corpo l'energia figurativa di esse si esercita ancora, e con successo, a comporre membra e organi; solo che essendo il materiale a disposizione non più il sangue ma l'aria, il prodotto di questa nuova attività sarà un corpo tutto particolare, visibile ma intangibile.

Tuttavia, più che con precise tesi teologiche la concezione dantesca delle o. si allinea con la tradizione letteraria delle visioni medievali e soprattutto col racconto virgiliano: " Di, quibus imperium est animarum, umbraeque silentes " (Aen. VI 264); " forma tricorporis umbrae " (v. 289); " ni docta comes tenuis sine corpore vitas / admoneat volitare cava sub imagine formae, / inruat et frustra ferro diverberet umbras " (vv. 292-294); " umbrarum hic locus est... / corpora viva nefas Stygia vectare carina " (vv. 390-391), e v. l'intervento di Anchise (vv. 724-751).

Ne consegue che una ricerca di fonti o suggestioni culturali non si presenti opportuna nemmeno quando sia da discutere la questione specifica della saldezza delle o. nell'Inferno e nel Purgatorio.

Se ci fermiamo a certi inequivocabili dati del contesto, non par dubbio che gli abitatori dell'oltretomba siano privi di una reale consistenza fisica: Noi passavam su per l'ombre che adona / la greve pioggia, e ponavam le piante / sopra lor vanità che par persona (If VI 34-36); Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto! / tre volte dietro a lei le mani avvinsi, / e tante mi tornai con esse al petto (Pg II 79); come tali essi non hanno peso, sicché la barca di Flegiàs sembra carca soltanto all'ingresso di D. (If VIII 27- 28); si lasciano trapassare dai raggi del sole senza dare ombra (Pg III 19-21, 28-30), non smuovono i sassi nel camminare: Siete voi accorti / che quel di retro move ciò ch'el tocca? / Così non soglion far li piè d'i morti (If XII 80-82; e cfr. i vv. 29-30 quelle pietre, che spesso moviensi / sotto i miei piedi per lo novo carco: ‛ novo ' il ‛ carco ' esercitato da D. perché inusuale).

Ma intanto tale incorporeità non vale nei rapporti tra Virgilio e D., se il poeta latino abbraccia e bacia il discepolo (If VIII 43); gli difende gli occhi da Medusa (IX 58-60), lo guida con mani pronte a Farinata (X 37-38), lo prende di peso su di sé (XIX 43-44, 124-125 e 127, XXIII 37 e 50), lo avvince con le braccia e lo sostiene sulla groppa di Gerione (XVII 96), lo sospinge (XXIV 24 e 32), gli dà di piglio rendendolo reverente di fronte a Catone (Pg I 49-51), ne deterge il viso dalle caligini infernali (vv. 127-128) e così via; e d'altra parte anche le o., tra di loro, si comportano come se avessero un vero corpo.

Vero è che quest'ultima circostanza può rientrare nell'apparato prodigioso connesso alla punizione fisica della quale Virgilio si fa illustratore in Pg III 31-33 A sofferir tormenti, caldi e geli / simili corpi la Virtù dispone / che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli, con l'esplicita diffida a non varcare il limite del quia e a non cercare razionali motivi di tanto mistero. Onde non ci meraviglieranno i tormenti fisici sofferti dalle anime a causa del fuoco, del freddo, del vento, della pioggia, ecc., o provocati dall'una di esse all'altra (valga per tutti il caso dell'arcivescovo Ruggieri e del conte Ugolino) o esercitati sulle o. da demoni o altri mostri infernali; e nemmeno certi eventi apparentemente estranei alla normale economia dei regni ultraterreni, in quanto complementari al viaggio dantesco, ma ugualmente recuperabili a un piano provvidenziale per occulti decreti divini: Virgilio che risospinge nella morta gora Filippo Argenti (If VIII 41-42), Sinone che percuote col pugno l'epa di Mastro Adamo a sua volta ricevendo sul volto la percossa dura di questo (XXX 102-105) e altri simili esempi, alcuni dei quali vedono D. stesso probabile strumento di una superiore giustizia, come quando egli, confessando di non sapere se voler fu o destino o fortuna (If XXXII 76), dà col piede nel viso a Bocca degli Abati confitto nel Cocito (v. 78) e poi lo prende per la cuticagna minacciando di ‛ dischiomarlo ' per indurlo a nominarsi (vv. 97-105).

Ma da un lato appare difficile sistemare in una dimensione rigorosamente escatologica certi episodi nei quali la fisicità delle o. è elemento determinante (si pensi a Brunetto Latini che prende D. per un lembo della veste, in If XV 23-24), dall'altro i rapporti normalmente corporei tra le anime conoscono qualche importante eccezione: tre volte gli abitanti dell'oltretomba si abbracciano e baciano alla maniera di uomini vivi (Pg VI 74-75, VII 13-15, XXVI 31-33), una volta ne sono all'opposto impediti proprio per la ‛ vanità ' della persona: Già s'inchinava ad abbracciar li piedi / al mio dottor, ma el li disse:. " Frate, / non far, ché tu se' ombra e ombra vedi ". / Ed ei surgendo: " Or puoi la quantitate / comprender de l'amor ch'a te mi scalda, / quand'io dismento nostra vanitate, / trattando l'ombre come cosa salda " (Pg XXI 130-136), dov'è sintomatico il netto contrasto fra l'iterato ricordo della condizione di o. e la saldezza delle cose materiali; inoltre, mentre di solito i trapassati non posseggono peso e camminando non lasciano impronte, i sodomiti sembrano fuori di tale norma se Iacopo Rusticucci, dopo un realistico cenno al visitatore sconosciuto che ‛ frega ' i piedi vivi per l'Inferno, ‛ pesta ' a sua volta le orme di Guido Guerra (If XVI 33-34): " ogni dannato ", annota il Mattalia, " cerca di pestare le orme di chi lo precede immediatamente poiché in quel luogo, calpestato di fresco, la sabbia è meno ardente ".

Ma anche a non voler concedere valore probante all'esempio, trasferendo in zona metaforica sia la prima che la seconda immagine, non par dubbio che D., partito - non è da escludere - dal proposito di raffigurare le anime come vanità che par persona, ombre vane fuor che ne l'aspetto, dimentichi egli stesso per primo tale vanità, trattando le o. come cose salde, allorché una particolare esigenza d'arte, un forte bisogno di concretezza e incisività espressiva (si confronti la giovanile poetica di Vn XXV già impegnata a dimostrare che in poesia si possa parlare di cosa astratta sì come fosse sustanzia corporale [§ 1]) prende il sopravvento su precalcolate ragioni o tesi programmatiche: una felix culpa che condanna all'insuccesso tutti i tentativi, per sottili e ingegnosi che siano, di regolamentare la diversa consistenza delle o. e di spiegare le contraddizioni fra questo o quel luogo.

Quasi superfluo è infine aggiungere che ugualmente evidente si afferma la volontà dantesca di sfumare e alleggerire il senso della corporeità a mano a mano che si procede dall'Inferno al Purgatorio e dal Purgatorio al Paradiso, in ovvia coerenza con una progressione delle anime verso l'ultima perfezione, alla quale sono riferibili soltanto forme di pura luce, la più eletta, la meno materiale fra tutte le cose che toccano i sensi, almeno secondo il comune modo d'intendere.

Bibl. - A.F. Ozanam, D. et la philosophie catholique au trezième siècle, Parigi 18594, 115; É. Daniel, Essai sur la D.C., ibid. 1873, 154; A. Graf, Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo: demonologia di D., Torino 1893; N. Scarano, La saldezza delle ombre nella D.C., in " Nuova Antol. " 10 settembre 1895, 127-151 (poi in Saggi danteschi, Livorno 1905); R. Petrosemolo, La saldezza delle ombre nella D.C., Palermo 1896; E. Sacchi, Realtà o apparenze?, in " Giorn. d. " VI (1898) 337-346; G. Gargano Cosenza, La saldezza delle ombre nel Poema dantesco, Castelvetrano 1902 (recens. di G.A. Venturi, in " Bull. " X [1903] 79-83); M. Porena, Delle manifestazioni plastiche del sentimento nei personaggi della D.C., Milano 1902, 76-77; G. Sbavaglia, La saldezza delle ombre nella Commedia di D., Manduria 1906; G. Busnelli, Ombre e luci animate nella D.C., in " Civiltà Cattolica " II (1910) 36-51; R.U. Montini, Della saldezza delle ombre nella D.C., in " Giorn. d. " XXXIV (1931) 169-190; E. Gilson, Dante's Notion of a Shade: Purgatorio XXV, in " Mediaeval Studies " XXIX (1967) 124-142.

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