OMOPOLARI ed ETEROPOLARI, LEGAMI

Enciclopedia Italiana (1935)

OMOPOLARI ed ETEROPOLARI, LEGAMI

Giovanni Battista Bonino

. Il problema della costituzione intima dei composti chimici, della natura e del dinamismo delle forze misteriose che si esercitano fra gli atomi nelle molecole e nei sistemi pluriatomici in genere fu sempre ritenuto un problema fondamentale per la chimica. La tendenza ad assimilare queste forze a forze puramente fisiche ha costituito certamente nella chimica uno degli spunti più interessanti di progresso. Le belle esperienze di Davy (1806) sulla decomposizione dei composti per mezzo della corrente elettrica portarono già questo insigne sperimentatore a pensare che le forze elettrostatiche avessero un'importanza di primo piano nella formazione dei composti chimici. Berzelius (1819) accolse con entusiasmo quest'idea e ne trasse una teoria divincolandosi tra le molteplici difficoltà fisiche dell'argomento mercé un acuto senso delle analogie saldamente poggiato sui fatti. Tale senso poi divenne tradizionale e prezioso nella chimica permettendo ad essa di anticipare dei risultati per la cui trattazione fisica e quantitativa molti anni per alcuni di essi risultati si dovettero attendere, e molti anni per altri si dovranno attendere ancora.

Con Berzelius nasce la teoria eteropolare del legame chimico con l'ipotesi che gli atomi che si uniscono in molecola abbiano cariche opposte e che la loro unione sia conseguenza delle forze elettrostatiche coulombiane che ne derivano.

Lo sviluppo ulteriore della chimica e della chimica fisica ha potuto però mettere in evidenza che il meccanismo "di legame" tra gli atomi non è sempre della stessa natura. Si possono ad un primo esame classificare alcune forme fondamentali di "legami" tipici.

1. Un primo tipo (detto legame ionico) si ha nel caso in cui la molecola può giungere alla dissociazione elettrolitica in ioni di carica opposta portando, in soluzione, un contributo alla conducibilità elettrica. Il caso limite di questo tipo di "legame" è appunto il "legame eteropolare" dovuto essenzialmente all'attrazione elettrostatica della carica positiva di un ione sulla carica negativa di un'altro. Il prototipo di una tale forma di "legame" ci è dato dal cloruro di sodio (NaCl). In soluzione acquosa il cloruro di sodio si dissocia in ioni cloro carichi negativamente e in ioni sodio carichi positivamente.

2. La molecola non si dissocia in ioni ma per es. sotto l'azione del calore si può dissociare in atomi. Si parlerà allora di un "legame atomico". Così due atomi di H, di N, di O si possono legare in una molecola la quale non presenta la proprietà di dissociarsi elettroliticamente in soluzione, come analogamente per es. non si dissocia elettroliticamente in soluzione una molecola di metano. Il caso estremo di questo tipo di legame è il legame omopolare nel quale non si uniscono gli ioni in virtù delle loro cariche elettriche di segno opposto, ma invece si uniscono atomi che restano legati da elettroni secondo un meccanismo del tutto particolare su cui daremo un cenno più avanti. Anche le forze di coesione nei solidi e nei liquidi si possono riportare a questo secondo tipo.

Vi sono poi delle forme di unione di atomi in molecole che pur derivando da uno o dall'altro o anche da ambedue i tipi precedenti, presentano qualche cosa di particolare e di tipico per il verificarsi di fenomeni che non possono rientrare nettamente nelle due categorie di legami omopolari ed eteropolari e costituiscono quindi dei casi a sé. Un esempio ci è offerto dalla costituzione della molecola del benzolo.

Come meglio diremo innanzi i due tipi di "legami" omopolari ed eteropolari non costituiscono in realtà due classi nettamente distinte. Sono invece i due casi limiti della possibilità di legame fra due o più particelle (atomi o gruppi di atomi); ma c'è tutta una gamma di stati intermedî fra il legame eteropolare puro e quello omopolare puro, gamma che ci può far passare in modo continuo e non brusco per una stessa molecola a seconda delle condizioni, da un tipo estremo sino all'altro tipo estremo di legame.

Dopo le belle ricerche di Bohr (1913-14) sulla costituzione elettronica degli atomi, Kossel riprese in modo suggestivo l'idea berzeliana mostrando come due atomi avrebbero potuto assumere cariche elettriche opposte per poi unirsi eteropolarmente in un aggregato. Per es. per l'ipotetica formazione di una molecola di NaCl Kossel suppone che un elettrone dell'atomo di sodio (l'elettrone più "esterno" e cioè 3s) passi più stabilmente sull'atomo di cloro che possiede già per suo conto sette elettroni "esterni". Allora il sodio diverrebbe uno "ione sodio" carico positivamente (per la perdita di un elettrone) e viceversa il cloro passerebbe a "ione cloro" negativo per l'acquisto dello stesso elettrone. Le configurazioni elettroniche di questi due ioni (partendo da quelle dei rispettivi atomi) risulterebbero allora:

Ma facilmente si vede che la configurazione elettronica dello ione sodio è identica a quella dell'atomo di neon e quella dello ione cloro coincide con la configurazione elettronica dell'atomo di argo. Kossel attirò in modo speciale l'attenzione dei chimici su questo fatto e cioè sulla tendenza degli elementi ad assumere lo stato ionizzato (polare) per cessione o acquisto di elettroni passando a configurazioni elettroniche corrispondenti al tipo "gas raro" (cioè 1s2 ovvero 1s22s22p6 ... xs2xp6).

Con tale concezione si poteva rispondere a una delle più forti obiezioni opposte alla teoria di Berzelius che divideva gli atomi in elettropositivi e in elettronegativi e non riusciva perciò a spiegare come mai il carbonio potesse con la stessa facilità combinarsi nel metano (CH4) con 4 atomi di idrogeno (elettropositivi) ovvero nel tetracloruro di carbonio (CCl4) con 4 atomi di cloro (elettro negativi).

Invero si poteva supporre con Kossel che nel metano il carbonio assumesse i quattro elettroni dei quattro idrogeni per dare uno ione con carica quadrupla:

mentre nel tetracloruro di carbonio (CCl4) il carbonio avrebbe dovuto cedere quattro elettroni ai quattro atomi di Cl restando uno ione positivo:

Nel primo caso il carbonio assume la configurazione del neon, nel secondo quella dell'elio. Però sia nel metano sia nel tetracloruro di carbonio le forze che uniscono gli atomi secondo queste vedute sono sempre forze puramente coulombiane concepite secondo il modo della fisica classica. Se ne dedurrebbe perciò la sufficienza delle idee classiche a descrivere i fenomeni di valenza, cosa che viceversa è in contraddizione con lo sviluppo ulteriore della teoria della valenza. Recentemente però Urbain ha tentato di rielaborare e sostenere una tale idea, che però oggi si deve ritenere come rappresentante di un caso limite e perciò non atta a descrivere in modo corretto (neppure qualitativo) i fatti chimici.

Molta fortuna ebbe tuttavia questa concezione elettropolare fra i chimici non solo perché non li obbligava a concetti fisici superiori, ma anche perché riallacciandosi alle vecchie idee berzeliane poteva in certo modo essere in accordo con la nota regola di Abbegg che dice: "la somma delle valenze positive e negative di un elemento è uguale a otto". Invero, siccome la configurazione elettronica a tipo "gas raro" degli ioni ha un livello elettronico esterno xs2xp6 e cioè di otto elettroni, è chiaro che per un atomo la somma degli elettroni (e cioè delle elettrovalenze) necessarî per completare la configurazione al tipo gas raro sul livello x, più il numero di elettroni che è necessario viceversa togliere allo stesso atomo per avere la configurazione a tipo gas raro sul livello principale (x−1), dà appunto nettamente il valore di otto per tutti gli elementi aventi solo elettroni sui sottolivelli s e p.

Però anche un sommario esame mette a nudo l'insufficienza della teoria eteropolare a poter da sola spiegare i fenomeni di valenza. Anche se il concetto di "deformabilità" ionica attraverso alle idee di Fayans e dei suoi allievi ha portato un notevole perfezionamento alla teoria eteropolare delle molecole, questa teoria purtroppo si arresta di già di fronte alla molecola più semplice: quella dell'idrogeno.

L'idea eteropolare ci permette bensì di spiegare in via elementare se non rigorosa certi aggregati di particelle, ma incontra delle gravissime difficoltà in tutti quei sistemi dove l'empirismo ci mostra una profonda differenza qualitativa e quantitativa tra le forze intramolecolari e intermolecolari. Così (e tutta la chimica organica ce lo dimostra) in un numero preponderante di casi le "valenze" di un elemento mostrano di "saturarsi" reciprocamente con quelle di un altro, nulla restando o quasi di affinità per un terzo atomo. Due atomi d'idrogeno si uniscono in una molecola H2 che si mostra perfettamente satura e incapace a "legare" un terzo atomo. Ora se le forze di valenza fossero essenzialmente eteropolari, è ovvio che nel campo di uno ione potrebbero restare attratti anche più ioni senza giungere a casi di così regolare e aritmetica saturazione delle valenze come appare nella maggior parte dei casi della chimica organica.

La molecola d'idrogeno secondo la concezione eteropolare classica dovrebbe essere costituita nel modo seguente:

e cioè dovrebbe essere una molecola "polare" nel senso moderno della parola e dovrebbe perciò possedere un forte momento elettrico, funzione della distanza internucleare. Tale momento è contraddetto dalle esperienze. La mancanza di assorbimento selettivo nell'ultrarosso da parte dell'idrogeno molecolare e viceversa l'intensità del suo effetto Raman dimostrano che la ripartizione della carica nella molecola dell'idrogeno è perfettamente simmetrica e in netta contraddizione quindi con l'ipotesi eteropolare.

Un tale sistema di unione o di legame fra due atomi d'idrogeno che porta a molecole perfettamente simmetriche rispetto alla distribuzione della carica negativa lo diremo "legame omopolare".

Fatti ed esempî di questo tipo hanno convinto i chimici che possono esistere dei sistemi speciali di elettroni costituiti simultaneamente da elettroni di due atomi formanti una molecola (es. biatomica) e capaci di legare i due atomi o ioni stessi per quanto questi due atomi (come nel caso dell'idrogeno) siano elettricamente neutri ovvero abbiano carica elettrica dello stesso segno e non possano perciò legarsi eteropolarmente.

Già nel 1914 Bohr tentò una spiegazione fisica di una simile idea servendosi puramente dei mezzi della meccanica e della teoria quantistica classica. Egli calcolava che i due protoni dell'idrogeno potessero restare legati simultaneamente in molecola da un sistema di due elettroni (doppietto elettronico) ruotanti su un'orbita circolare in un piano perpendicolare all'asse molecolare e a una distanza intermedia fra i due nuclei. Però questo tentativo di Bohr incontrò gravi difficoltà, e con i mezzi della fisica classica non si riuscì a descrivere il legame omopolare. Per questa descrizione invece si è dimostrata assai più adatta e feconda la moderna meccanica quantistica.

L'osservazione empirica dei fatti chimici porta già a formulare l'ipotesi che ad ogni "tratto" di valenza omopolare (nel senso chimico organico) corrisponda una coppia di elettroni. G. N. Lewis mostrò sulla base di una massa notevole di dati sperimentali come tale coppia di elettroni che unisce due atomi costituisca un qualche cosa di saturo in modo che un terzo atomo col suo elettrone non può partecipare allo stesso "legame" dei primi due.

Riassumiamo a larghi tratti, nel caso più semplice della formazione della molecola d'idrogeno, come la meccanica quantistica abbia potuto interpretare il legame omopolare.

Siano dati due atomi d'idrogeno nello stato fondamentale, ciascuno descritto dalle proprie funzioni ondulatorie rispettivamente ψ1 e ψ2, funzioni che dovranno in genere soddisfare a un'equazione fondamentale (di Schrödinger) del tipo:

Per il primo atomo si suppone il nucleo nell'origine delle coordinate e l'elettrone disterà r1 da questa origine. La funzione ψ1 si scrive:

(E0 = energia dell'atomo allo stato fondamentale; a0 = raggio dell'orbita elettronica [nel senso di Bohr] in detto stato).

Per il secondo atomo la posizione del nucleo è determinata dal vettore R e quella dell'elettrone da r2; la funzione ondulatoria si scriverà:

I valori ∣ψ12 e ∣ψ22 ci dànno in ciascun punto dello spazio la densità della probabilità della carica e cioè la probabilità di presenza del relativo elettrone. Questi due valori si possono interpretare anche in senso ondulatorio come la distribuzione spaziale dei quadrati delle ampiezze di un'onda di frequenza

nel senso di de Broglie e di Schrödinger.

Se i due atomi sono a grande distanza tra loro non interagiscono e la funzione ondulatoria della coppia potrà essere data dal prodotto delle funzioni: U0 = ψ1 ψ2 e l'energia della coppia sarà come è ovvio:

Cioè le due funzioni ondulatorie che descrivono i due atomi si possono considerare alla stregua di due pendoli eguali e indipendenti (non accoppiati): ciascuno conserva il proprio periodo di oscillazione.

Ma se si avvicinano i due atomi (seguendo simbolicamente il citato modello) l'interazione delle due funzioni ondulatorie può assimilarsi all'interazione di due pendoli uguali che vengano debolmente accoppiati. Le due oscillazioni non sono più coincidenti: l'oscillazione unica si sdoppia in una coppia di oscillazioni che si possono ottenere come in un ordinario caso di risonanza. L'energia non sarà più 2 E0: questo livello si sdoppierà corrispondentemente in due altri livelli:

dei quali uno più alto e l'altro più basso del livello imperturbato.

Vediamo di dare un cenno (per quanto incompleto) di un facile meccanismo di calcolo per una simile perturbazione nel caso di due atomi d'idrogeno che si legano in molecola.

Potremmo descrivere un sistema di due atomi (astraendo per ora da ogni interazione) con una funzione U0 che diremo appunto funzione imperturbata relativa al sistema dei due atomi. Questa funzione viene costruita mediante le funzioni elettroniche dei singoli atomi (ψi) fra i quali si dovrà studiare "il legame omopolare". Ma la meccanica quantica ci mostra che in generale tale funzione è possibile costruirla matematicamente in molti modi. Tra questi dovremo però fare una scelta in base a un criterio fisico: il principio di Pauli, il quale postula che la funzione U0 deve essere antisimmetrica negli elettroni e cioè deve essere tale che permutando le coordinate dei due elettroni la funzione cambi soltanto il segno. Una tale funzione U0 nel caso di due atomi di idrogeno e cioè di 2 elettroni 1, 2 può essere data dal determinante:

dove con il simbolo ψ12 per es. s'indica la funzione dell'elettrone 1) nella quale si sono sostituite le coordinate dell'elettrone 2). Queste funzioni si scriveranno, come è ovvio, nelle tre coordinate di posizione e nella coordinata di spin.

Ma di queste funzioni U0 imperturbate (nel caso di due atomi di idrogeno) non ne abbiamo una sola poiché a seconda del valore dello spin (± 1/2) assegnato a uno e all'altro degli elettroni potremo avere quattro funzioni come risulta dalla seguente tabella:

Studiamo ora come si possano "perturbare" queste funzioni allo scopo d'indagare se tra le possibili perturbazioni ve ne è una che possa portare fisicamente al legame omopolare fra i due atomi. Per questo seguiamo un metodo di approssimazione supponendo che dato un gruppo di funzioni imperturbate Ui0 una prima soluzione del problema di perturbazione ci sia data da particolari combinazioni lineari di queste:

Se H è l'operatore hamiltoniano del problema, Wi il valore dell'energia associata alla funzione Ui, allora l'equazione di Schrödinger:

diventa:

Moltiplicando per Uj0* (complesso coniugato di Uj0) ed integrando si ha

dove:

Si ha cioè un gruppo di equazioni simultanee lineari per S che in generale non hanno soluzioni che annullino la (2) a meno che sia nullo il determinante dei coefficienti (HjkWj dik). Ponendo a zero questo determinante, si ha un'equazione (equazione secolare) dalla quale si dovranno possibilmente dedurre i valori dei livelli energetici Wi.

Consideriamo allora il caso in cui i due atomi d'idrogeno abbiano elettroni a spin eguale (parallelo) e cioè + 1/2 e + 1/2.

Si avrà da considerare la funzione U10.

da cui:

Siccome gli operatori presi in considerazione (H, 1) sono simmetrici rispetto agli elettroni, si può semplificare ancora questa espressione in:

Una semplificazione si ha ancora separando le parti delle autofunzioni che dipendono solo dallo spin degli elettroni dalle parti che dipendono dalle coordinate di posizione. Se gli operatori sono indipendenti dallo spin e se si trascurano le interazioni magnetiche si scriverà in questo caso:

dove f (a) è la parte dell'autofunzione che dipende solo dal gruppo di coordinate di posizione a, e ϕ è la parte che dipende dallo spin. Tutte queste funzioni devono soddisfare alle condizioni di ortogonalità e di normalizzazione e cioè:

che nel caso delle funzioni di spin ϕjk, dato che gli spin possono solo avere i valori + 1/2 e − 1/2 rispetto a una data direzione, si trasformano in:

Si ha subito nel calcolo degli integrali:

se ψi* e ψi hanno lo stesso spin, in caso diverso tali integrali sono eguali a 0 essendo annullati dai prodotti ϕj ϕk che per la condizione di ortogonalità (6) sono appunto nulli.

Se indichiamo gli integrali

Si ha per le (5):

e

Identico risultato si avrebbe per WIV cioè facendo interagire due atomi d'idrogeno con elettroni a spin eguale − 1/2 e − 1/2.

L'integrale ab ∣H∣ ab = Q ci rappresenta l'energia d'interazione elettrostatica tra le quattro particelle (2 protoni e 2 elettroni) nel senso classico ed è, alle ordinarie distanze interatomiche, per la molecola d'idrogeno piccola di fronte ad α che rappresenta la parte dell'energia d'interazione (energia di scambio) strettamente legata al procedimento quantistico. Siccome nel nostro caso ρ ≪ 1 e α > o ne viene che l'energia WI è > o e cioè i due atomi interagiranno fra loro nel senso della repulsione e non potrà formarsi legame molecolare.

Si giunge così al risultato fondamentale che due atomi d'idrogeno a spin eguale non possono formare un legame omopolare e quindi (data l'omopolarità della molecola d'idrogeno) non possono formare una molecola.

Studiamo allora l'interazione di due atomi d'idrogeno i cui elettroni siano a spin opposto (+ 1/2 e − 1/2). Abbiamo in questo caso da prendere in considerazione le funzioni UII0 e UIII0.

dovremo scrivere analogamente a quanto è stato detto sopra:

Per il calcolo di Wm si dovrà quindi annullare il determinante dei coefficienti:

Da quanto si è detto è facile vedere che:

per cui l'equazione secolare tra gli stati II e III (che ci dà appunto l'energia W di interazione fra i due atomi d'idrogeno a spin opposto [antiparallelo]) si scrive:

La risoluzione di questa equazione ci mostra una radice che ha un particolare significato chimico fisico e cioè:

Siccome l'integrale di scambio α supera di molto in valore assoluto l'integrale di Coulomb Q, ne verrà in questo caso dimostrata la possibilità di avere un'energia d'interazione negativa e cioè una vera e propria energia di "legame" tra i due atomi. Il calcolo degli integrali mostra che W effettivamente presenta un minimo accentuato in funzione della distanza dei due nuclei (vedi fig.1) fatto che ci mostra come il sistema molecolare costituito da due atomi di idrogeno che interagiscono con spin antiparallelo può essere considerato come stabile. Dunque condizione necessaria affinché i due atoni di idrogeno possano formare una molecola è che i loro elettroni abbiano spin antiparallelo. Lo spin elettronico è perciò un fattore fondamentale nella costituzione del legame omopolare. Si può di qui intravvedere di quale grande importanza sarebbero queste considerazioni entrando nel campo della chimica organica dove il tipo fondamentale di interazione fra gli atomi è certamente il tipo omopolare.

Nella fig. 1 è raffigurato l'andamento di Q in funzione della distanza interatomica (curva 1); nella curva 2 si dimostra il corrispondente andamento di α. La curva 3 ci darebbe l'andamento di Q − α e la curva 4 l'andamento di Q + α che interpreta con la presenza di un minimo dell'energia in funzione della distanza dei due nuclei d'idrogeno la formazione omopolare della molecola.

Forme intermedie. - Si immagini ora invece una molecola di tipo HCl. Questa si può immaginare sia sotto la forma eteropolare (e cioè formata da due ioni

dissociabile elettroliticamente) sia sotto la forma omopolare non dissociabile ripetendo un ragionamento analogo a quello già fatto per la molecola d'idrogeno.

In un numero grandissimo di molecole dobbiamo pensare possibili ambedue le forme. Sia We l'energia di interazione della molecola eteropolare e W0 quella della molecola omopolare. Se i due livelli We e W0 non sono vicini (v. fig. 2) si avrà che il rapporto tra il numero di molecole eteropolari ne e quello delle molecole omopolari n0 sarà dato da:

e i due tipi di molecole esisteranno distintamente.

Se i due livelli We e W0 sono assai vicini (v. fig. 2) essi potranno invece perturbarsi. Avremo cioè l'"accoppiamento" tra i due livelli stessi. Le due forme non avranno più esistenza distinta e la forma risultante passerà per una stessa molecola nel tempo un grandissimo numero di volte tra la forma eteropolare e la forma omopolare senza corrispondere nettamente né all'una né all'altra. La funzione propria corrispondente ad un tale stato si potrà scrivere come una combinazione lineare delle due funzioni proprie delle due forme eteropolare e omopolare.

Questo è effettivamente il caso più frequente nella pratica dove difficilmente si avrà a che fare con legami omopolari puri o eteropolari puri. Anche i legami della chimica organica non sono legami omopolari puri ma le loro funzioni contengono sempre più o meno dei termini eteropolari.