Omosessualita

Enciclopedia del Novecento III Supplemento (2004)

Omosessualita

Asher Colombo

di Asher Colombo

Omosessualità

sommario: 1. Introduzione. 2. La nascita degli omosessuali moderni. 3. Il coming out. 4. La diffusione di una subcultura gay e lesbica nelle grandi città. 5. Coppie, famiglie di fatto e matrimoni omosessuali. □ Bibliografia.

1. Introduzione

Termini come 'omosessualità' e 'omosessuali' ci appaiono oggi come ovvi e non problematici. 'Omosessuale' può venire utilizzato come aggettivo, in riferimento a determinati atti, oppure come sostantivo, per indicare coloro che sono attratti da persone dello stesso sesso e che, in alcuni casi, definiscono se stessi come gay o come lesbiche. Queste due diverse accezioni del termine sono radicate in due concezioni opposte dell'omosessualità, che si sono confrontate per lungo tempo, ma che vengono sempre più messe in discussione da una crescente mole di ricerche che soprattutto storici, ma anche sociologi, demografi, psicologi, economisti e antropologi, hanno accumulato negli ultimi anni. La prima posizione, nata e sviluppatasi all'interno di un filone di ricerca interessato soprattutto agli aspetti eziologici dell'omosessualità, viene definita 'essenzialista'. Secondo gli essenzialisti l'omosessualità è una condizione permanente e immutabile della specie umana, così come di quelle animali, spiegabile a partire da fattori pre-sociali, che possono essere biologici (per esempio squilibri ormonali nell'età adulta o precedenti la nascita) o psicologici (per esempio problemi di adattamento familiare). La seconda posizione, la cui formulazione può essere fatta risalire a un articolo apparso alla fine degli anni sessanta (v. McIntosh, 1968), definita 'costruzionista', nasce in contrapposizione alla prima e afferma che l'omosessuale è un 'ruolo' e che l'omosessualità è cambiata nel corso del tempo. Mentre gli essenzialisti affermano che l'omosessualità è un universale biologico - e quindi immutabile, come il disporre di due gambe sulle quali sostenersi e camminare - i costruttivisti sostengono che se i comportamenti omoerotici, ovvero rivolti a persone dello stesso sesso, sono sempre esistiti, l'omosessuale è il prodotto di un lungo processo storico, e che vi sono diverse forme di omosessualità, le quali variano nel tempo e a seconda delle società.

Le ricerche sulle cause genetiche dell'omosessualità non hanno finora raggiunto risultati condivisi all'interno della comunità scientifica. Passi avanti sono però stati fatti nel campo delle scienze sociali. Spinti dall'emergenza AIDS, infatti, alcuni governi dei paesi industrializzati hanno promosso per la prima volta negli anni novanta indagini rigorose e approfondite sui comportamenti sessuali della popolazione, tra cui l'omosessualità. I risultati di queste indagini hanno messo in crisi molte delle certezze su questo tema. Innanzitutto si è rinunciato a fornire una definizione univoca di omosessualità. Se vogliamo studiare l'omosessualità, affermano gli studiosi, dobbiamo considerare separatamente tre diverse dimensioni analitiche ed euristiche. La prima è costituita dai 'sentimenti', che a loro volta comprendono sia i desideri sia gli affetti: l'attrazione che si ha verso una persona e l'amore che si sente nei suoi confronti. La seconda è data dai 'comportamenti', dall'attività erotica. La terza dimensione è costituita dalla 'identità', dall'insieme di significati che una persona attribuisce a quello che sente o che fa. Ognuna di queste tre dimensioni è stata interpretata e vissuta in modo differente in diverse epoche storiche o in diverse società nella stessa epoca. Per esempio, nel nostro paese solo negli ultimi trent'anni l'orientamento sessuale è stato espresso e si esprime con frasi del tipo "sono gay", "sono lesbica", "sono omosessuale", "sono eterosessuale".

Le ricerche hanno così potuto mostrare che, a seconda della dimensione che consideriamo, varia sensibilmente la quota di popolazione che possiamo definire 'omosessuale'. Non solo: esse hanno evidenziato che la coincidenza di queste tre dimensioni è tutt'altro che scontata e che non esistono sequenze prestabilite di passaggio dall'una all'altra nelle biografie individuali. Analizzando congiuntamente i dati di una serie di indagini a campione sui comportamenti sessuali condotte negli Stati Uniti nel 1994, Edward Laumann e colleghi hanno mostrato che meno dell'8% degli uomini e delle donne ha dichiarato di essere stato almeno una volta attratto da una persona dello stesso genere o dal pensiero di avere rapporti sessuali con una persona dello stesso genere. Ma la quota di coloro che si definiscono gay, lesbica, omosessuale o anche solo bisessuale è ancora inferiore: poco meno del 3% tra gli uomini, poco più dell'1% tra le donne.

Se si guarda però ai comportamenti, ovvero alla quota di persone che hanno avuto partners sessuali dello stesso genere, questa è del 4,9% tra gli uomini e del 4,1% tra le donne nell'arco di vita dai diciotto anni in avanti, del 4,1% per gli uomini e del 2,2% per le donne se si considerano gli ultimi cinque anni, e solo del 2,7% tra gli uomini e dell'1,3% tra le donne nell'ultimo anno (v. Laumann e altri, 1994, pp. 283-320).

Questi valori sono molto diversi da quelli spesso citati e che vengono fatti risalire al pionieristico lavoro di Alfred C. Kinsey, per altro non basato su un campione estratto in modo statisticamente rigoroso, secondo cui il 37% della popolazione maschile americana nel periodo compreso tra l'adolescenza e la vecchiaia avrebbe almeno un'esperienza omosessuale conclusasi con un orgasmo, mentre il 10% di essa sarebbe stata "più o meno esclusivamente omosessuale" (ovvero si sarebbe collocata sempre al di sopra della posizione '5' della celebre scala graduata da 0 a 6; v. Kinsey e altri, 1948, pp. 650-651). Innanzitutto, nei risultati delle ricerche più recenti i valori variano a seconda della definizione che diamo di omosessualità, ovvero a seconda che la riconduciamo a desideri, comportamenti o identità. In secondo luogo, i dati mostrano che i comportamenti sessuali variano anche nel corso della vita di un individuo. In terzo luogo, nessuno dei valori registrati raggiunge il 10% che sarebbe stato rilevato nella ricerca di Kinsey. Una conferma indiretta dell'attendibilità dei dati statunitensi viene da indagini altrettanto rigorose condotte in Gran Bretagna e Francia. Dall'indagine britannica risultava che tra gli uomini una quota variabile tra il 6 e l'1%, a seconda che si prenda in considerazione tutta la vita o l'ultimo anno, e tra il 3 e lo 0,4% tra le donne, ha avuto rapporti sessuali con partners dello stesso sesso (v. Wellings e altri, 1994). Secondo l'indagine francese le percentuali riferite a tutta la vita e all'ultimo anno sarebbero rispettivamente 4% e 1% per gli uomini e 0,4 e 3% per le donne (v. Spira e Bajos, 1993; v. Sandfort, 1998).

Infine, queste indagini mostrano che l'esperienza dell'omosessualità è molto diversa nei due generi. In particolare, considerando le diverse dimensioni - desideri, comportamenti e identità - la frequenza delle esperienze omoerotiche di qualsiasi tipo è inferiore tra le donne. Anche le donne che hanno desiderato avere esperienze omosessuali o che sono state attratte dall'idea di averne traducono questi desideri in atti concreti meno frequentemente degli uomini. Il genere, quindi, influenza fortemente l'esperienza omosessuale, e si può affermare che le donne omosessuali sono più simili alle donne eterosessuali che agli uomini omosessuali, e viceversa che gli uomini omosessuali sono più simili agli uomini eterosessuali che alle donne eterosessuali.

Tutte le ricerche sono concordi nell'indicare che, oltre al genere, vi sono almeno altri quattro fattori che influenzano la frequenza con cui gli individui hanno avuto esperienze omosessuali nella vita. Tale frequenza cresce con il titolo di studio - proprio e dei genitori - e con la dimensione demografica del luogo di nascita e di quello di residenza; diminuisce invece al crescere dell'età e del livello di pratica religiosa (v. Fabris e Davis, 1978; v. Laumann e altri, 1994; v. Wellings e altri, 1994; v. Buzzi, 1998; v. Sandfort, 1998, pp. 71, 91, e tab. 3.7; v. Barbagli e Colombo, 2001).

2. La nascita degli omosessuali moderni

Nell'ultimo quarto del XX secolo, e in particolare negli ultimi dieci anni, grandi mutamenti sono avvenuti nel campo della morale e dei comportamenti sessuali nei paesi occidentali. Gli atteggiamenti della popolazione di questi paesi verso i rapporti sessuali prematrimoniali, la masturbazione e la sessualità nell'adolescenza sono cambiati. Molte indagini mostrano che una vera e propria svolta è avvenuta anche nel campo dell'omosessualità. Per quanto la maggioranza della popolazione di questi paesi ritenga ancora oggi che i rapporti sessuali tra due adulti dello stesso sesso siano da disapprovare, questa quota è fortemente diminuita nel corso del tempo. Negli Stati Uniti, nel 1973, oltre il 70% della popolazione riteneva che tali rapporti fossero 'sempre da condannare'; questa quota è rimasta stabile o è addirittura lievemente cresciuta nel corso degli anni settanta e ottanta, ma negli anni novanta ha cominciato a ridursi e nel 1998 era scesa al 56% (v. Loftus, 2001). In Gran Bretagna la diminuzione è stata ancora più marcata: nel 1985 gli intervistati che condannavano i rapporti sessuali tra adulti dello stesso sesso erano sette su dieci, mentre nel 2000 erano meno di cinque su dieci (v. Park e altri, 2002, pp. 217-221). In Italia, tra gli appartenenti alla generazione dei nati prima del 1932 tre su quattro condannano le esperienze omosessuali, mentre tra gli appartenenti alle generazioni nate dopo il 1964 il rapporto si riduce a uno su due (v. Barbagli e Colombo, 2001, p. 89). Cambiamenti nella stessa direzione sono stati registrati in indagini comparate condotte in sedici paesi industrializzati, tra cui l'Italia, con la sola eccezione dell'Irlanda, dell'Ulster e del Giappone. Restano tuttavia grandi differenze tra paesi tradizionalmente tolleranti verso l'omosessualità, come quelli dell'Europa settentrionale, e altri meno tolleranti, come l'Ungheria (v. Inglehart, 1997, tr. it., p. 358; v. Widmer e altri, 1998).

Il cambiamento non ha riguardato solo gli atteggiamenti verso gli uomini e le donne omosessuali, ma anche i comportamenti e i modi di vita di questi ultimi. In parte tali comportamenti si sono modificati in seguito alla diffusione dell'attivismo politico di gay e lesbiche, al consolidamento dei movimenti collettivi e alla capacità di questi ultimi di influenzare l'agenda politica di molti governi. Così nel corso degli anni novanta si è assistito a una vera e propria svolta, che si è tradotta nel riconoscimento da parte di molti governi europei delle unioni di fatto tra persone dello stesso sesso, fino all'accesso - in alcuni casi - all'istituto matrimoniale. Ma i cambiamenti sono dovuti in parte all'accelerazione di processi in corso già da tempo, che hanno dispiegato in modo sempre più visibile i propri effetti, concorrendo a produrre ciò che alcuni studiosi definiscono l"omosessuale moderno'.

In forma molto sintetica, sono quattro le dimensioni che dobbiamo prendere in considerazione se vogliamo descrivere la svolta verificatasi nell'ultimo scorcio di secolo.

In primo luogo sono cambiati i sistemi di classificazione con cui sono state definite le relazioni tra partners dello stesso sesso. In passato i comportamenti sessuali erano distinti secondo un'opposizione concettuale tra attivo e passivo che riguardava gli atti e che poteva essere applicata tanto ai rapporti sessuali tra uomini e donne quanto a quelli tra uomini. Tale opposizione è stata gradatamente sostituita da un'altra, nata col cristianesimo, che riguarda gli attori e che distingue tra omosessualità e eterosessualità. Questa tesi, che nuove ricerche (v. Barbagli e Colombo, 2001, pp. 223-224) hanno però recentemente indotto a riconsiderare, è stata sostenuta per la prima volta da Michel Foucault. Nella sua Storia della sessualità egli ha affermato che alla fine del XIX secolo, in coincidenza con la transizione dall'egemonia del discorso religioso a quella del discorso medico, si passò dalla 'sodomia' come particolare tipo di atti vietati, all'omosessuale come 'personaggio', come 'specie' particolare (v. Foucault, 1976; tr. it., p. 42).

In secondo luogo sono cambiati i tipi di relazioni omoerotiche. Studiando il passato e confrontando diverse forme di omosessualità, storici e antropologi hanno messo in evidenza l'esistenza di almeno tre diverse forme di relazioni tra partners dello stesso sesso.

Le 'relazioni strutturate per età' si costituiscono su una forte differenza di anni tra i due partners e si basano su una struttura gerarchica fondata su una distribuzione diseguale del potere e del prestigio. Diseguale è anche la distribuzione dei ruoli sessuali, perché il partner gerarchicamente sovraordinato è quello che penetra e riceve il piacere, mentre il partner subordinato è penetrato e dà piacere al primo. Sono esempi di questo modello il rapporto 'pederastico' nella Grecia e Roma antiche, parzialmente riconducibile alle forme di trasmissione di valori e conoscenze da una generazione a un'altra (v. Cantarella, 1995) e le relazioni diffuse in alcune zone della Melanesia basate sulle cosiddette 'pratiche di inseminazione del giovane', il cui scopo è quello di favorire l'insorgere della virilità del giovane e di prepararlo a diventare un guerriero (v. Herdt, 1984; v. Murray, 2000). Una variante di questo modello si ha quando il giovane assume un ruolo attivo e l'adulto uno passivo. Si tratta di un cambiamento parzialmente documentato già per il Cinquecento, ma che si diffonde nell'Ottocento.

La seconda forma di relazione omoerotica è invece basata sulle trasformazioni di genere, e prevede che uno dei due partners assuma il ruolo, l'abbigliamento, gli ornamenti, il modo di muoversi e di presentarsi tipico dell'altro sesso, spesso in forma tipizzata o esagerata. Esempi di questo modello sono i cosiddetti berdache, diffusi tra le popolazioni native del Nordamerica; gli 'invertiti' della Francia e dei Paesi Bassi dell'inizio del Settecento e coloro che in Inghilterra venivano chiamati mollies, un termine già usato per le prostitute; le lesbiche, definite butch per distinguerle dalle femmes, che negli Stati Uniti degli anni settanta, ma anche in Europa a partire dagli anni ottanta, formavano coppie basate su una rigida separazione di genere con altre lesbiche non mascolinizzate. In questo tipo di relazioni, a differenza di quanto accade nel tipo precedente, una distribuzione squilibrata dei ruoli sessuali era assai più rara: al suo interno non vi era più un partner sessualmente solo 'attivo' o 'passivo', ma i ruoli specializzati erano spesso intercambiabili sulla base di considerazioni legate al piacere e non più alla distribuzione gerarchica del potere e del prestigio.

L'ultima forma è costituita dalle relazioni egualitarie, caratterizzate dalla reciprocità sessuale, dalla tendenziale eguaglianza di status tra i partners per quanto riguarda l'età, il prestigio, il ruolo di genere, l'accesso alle risorse. È questo il modello oggi sempre più diffuso nei paesi occidentali, in particolare nei grandi centri urbani, tra gli strati sociali più benestanti e istruiti e nella popolazione giovanile.

In terzo luogo, sono cambiati i criteri di selezione del partner relativamente al genere e all'orientamento sessuale. Nel passato questa selezione era fatta più frequentemente seguendo un principio esogamico, ovvero si cercavano tanto partners dello stesso genere quanto partners del genere opposto; oggi tende a prevalere un criterio endogamico, ovvero si cercano esclusivamente partners dello stesso genere e dello stesso orientamento sessuale. Ma per un certo periodo è esistito un modello di endogamia debole, in cui la scelta ricadeva su partners dello stesso genere ma che non si consideravano omosessuali, bensì eterosessuali.

Infine, un cambiamento rilevante è avvenuto nella subcultura, ovvero in quel sottoinsieme di elementi materiali e immateriali - luoghi di incontro, gruppi e associazioni, gergo e stili di abbigliamento - elaborato e utilizzato tipicamente da un determinato segmento della società (v. Gallino, 1988, pp. 686-688). Particolare rilievo assumono a questo riguardo i luoghi della socialità omosessuale; nella stragrande maggioranza dei casi questi in passato erano segreti, spontanei e misti, ovvero frequentati da omosessuali ed eterosessuali, mentre oggi, come vedremo, sono in misura crescente pubblici, organizzati ed esclusivi, ovvero frequentati e gestiti solo da gay e lesbiche.

3. Il coming out

L'espressione oggi prevalentemente utilizzata per definire il processo che conduce dalla prima attrazione per una persona dello stesso sesso alla definizione di se stessi come omosessuali è coming out. Tuttavia questa espressione, che richiama il debutto in società delle giovani, è stata usata con significati diversi nel corso del tempo. Oggi essa viene impiegata per indicare l'atto del dichiarare la propria omosessualità a familiari, amici, parenti, insegnanti, datori di lavoro, colleghi, appartenenti alle stesse associazioni, partiti, movimenti collettivi. Negli anni trenta, invece, quando fece la sua prima apparizione, il coming out non era la dichiarazione di un gay o di una lesbica a persone eterosessuali, bensì l'uscita pubblica nell'ambiente omosessuale alla presenza di altri omosessuali; un esempio di coming out poteva quindi essere il primo ingresso in un locale gay o lesbico di una persona fino a quel momento non dichiarata. Negli anni settanta questa espressione cominciò a essere impiegata nel contesto della nascita dei movimenti omosessuali, i quali proponevano il coming out tanto come atto individuale, inteso a rifiutare la vergogna e la colpa e a sancire l'uscita dalla 'doppia vita', quanto come atto collettivo, che permette allo stesso tempo di lottare contro l'oppressione e la discriminazione e di generare un sentimento di solidarietà tra gli oppressi (v. Weeks, 19902, pp. 191-192).

Ma altre caratteristiche del coming out hanno contribuito a cambiarne la natura. Oggi tale processo costituisce una sorta di rito di passaggio, ovvero un evento atteso, sostenuto e incoraggiato dalla 'comunità omosessuale', che molti gay e lesbiche considerano un momento di svolta cruciale e che oppone nettamente gay e lesbiche dichiarati da una parte e omosessuali cosiddetti 'velati' dall'altra. Attualmente, in Italia, oltre due madri su cinque e un padre su tre sono a conoscenza dell'omosessualità del proprio figlio o della propria figlia, e nella maggior parte dei casi tale conoscenza è la conseguenza di una dichiarazione esplicita da parte dei figli.

Accanto allo slittamento del significato, gli studiosi hanno osservato altri tre cambiamenti del coming out: in primo luogo è cresciuto il numero di omosessuali dichiarati; in secondo luogo è diminuita l'età in cui ci si dichiara (v. Herdt e Boxer, 1993, p. 6); infine, sono aumentati gli ambiti in cui avviene il coming out (oltre alla famiglia, il posto di lavoro, la scuola ecc.).

4. La diffusione di una subcultura gay e lesbica nelle grandi città

Un altro importante cambiamento che ha investito il mondo omosessuale è l'aumento quantitativo e il cambiamento qualitativo dei luoghi in cui gay e lesbiche si incontrano per motivi politici, culturali, ricreativi, commerciali, associativi. Possiamo distinguere quattro diverse istituzioni che caratterizzano ciò che i partecipanti definiscono 'scena omosessuale' e che gli studiosi nel campo delle scienze sociali definiscono 'subcultura'. La prima è costituita dalla somma dei locali che svolgono una funzione ricreativa, come i bar, i pubs, le discoteche, i clubs. La seconda è costituta da circoli, raggruppamenti politici e di movimento, centri culturali, archivi di documentazione, biblioteche e videoteche, centri di informazione e orientamento, ma anche gruppi religiosi, sportivi, subculturali. La terza include esercizi commerciali e strutture di servizio che stanno acquisendo spazio e popolarità crescenti. Infine, c'è la grande varietà di luoghi rivolti a favorire gli incontri occasionali e impersonali tra partners. Questi ultimi hanno storicamente svolto una funzione di grande importanza nelle società del passato; la loro presenza è spiegabile in parte con la necessità di disporre di ambienti anonimi in cui potersi incontrare in conseguenza dell'ostilità e della disapprovazione, se non del rischio di sanzioni, che caratterizzano molte società. Tuttavia, va anche osservato che i luoghi di incontro sessuale impersonale riguardano solo ed esclusivamente la componente maschile del mondo omosessuale, a conferma anche della precisa struttura di genere che caratterizza l'omosessualità.

tab. II

Negli ultimi decenni - nel dopoguerra in alcuni paesi come gli Stati Uniti, negli ultimi trent'anni (con un'accelerazione nell'ultimo decennio) in altri come l'Italia - il numero di questi luoghi e locali è straordinariamente cresciuto. In Italia, per esempio, i locali sociali e ricreativi sono oggi otto volte di più rispetto all'inizio degli anni sessanta, e le associazioni, che all'epoca non esistevano, negli anni novanta ammontavano a un numero oscillante tra 40 e oltre 110. Il numero di locali commerciali o di erogazione di servizi di qualsiasi genere è cresciuto di oltre venti volte. La tab. II mostra le dimensioni di questa crescita in Italia tra il 1962 e il 2001. Tale crescita si è verificata tanto nelle regioni centro-settentrionali, in cui la scena omosessuale è stata tradizionalmente più sviluppata, quanto in quelle meridionali e nelle isole, e oggi le differenze tra queste due aree del paese sono inferiori a quelle di vent'anni fa.

I luoghi di incontro, in particolare per il sesso impersonale, sono esistiti anche nel passato più lontano. Studi sul Rinascimento hanno documentato che già nella Firenze e nella Venezia del XV secolo esistevano luoghi di incontro conosciuti, un gergo specializzato e anche dei segni di riconoscimento reciproco utilizzati da coloro che erano dediti ad attività 'sodomitiche'. Ma nella stragrande maggioranza dei casi questi erano confusi con quelli di altre attività disapprovate - come la prostituzione, la frequentazione delle taverne, il gioco d'azzardo - e non è provato che i frequentatori condividessero un senso di appartenenza (v. Rocke, 1996, pp. 150 ss.). I cambiamenti che hanno caratterizzato questi luoghi sono stati fondamentalmente tre. Innanzitutto, essi sono sempre meno segreti e sempre più pubblici; la ricerca di incontri anonimi in luoghi nascosti si fa sempre più rara, mentre si cercano sempre più relazioni, anche solo erotiche, e amicizie in luoghi visibili e manifesti. Inoltre, essi sono sempre meno il risultato del semplice incontro spontaneo tra frequentatori che con l'andare del tempo finisce per caratterizzare specificamente il locale, e sempre più il frutto di un'offerta esplicita di imprenditori o attori collettivi, come il movimento o le organizzazioni omosessuali. Infine, mentre in passato erano frequentati tanto da eterosessuali che da omosessuali, oggi tali luoghi tendono a essere gestiti e frequentati solo da questi ultimi, ovvero sono sempre meno misti dal punto di vista dell'orientamento dei frequentatori, e sempre più esclusivi. Nell'Italia della seconda metà degli anni settanta tra i locali che abbiamo definito sociali e ricreativi uno su quattro era esclusivo; nel 2001 lo era uno su due, e dinamiche simili, se non ancora più vistose, si sono registrate negli altri paesi europei.

Tali luoghi, locali, gruppi, che costituiscono la subcultura omosessuale, non sono in genere distribuiti in modo omogeneo, ma tendono a concentrarsi in aree specifiche di un paese. Tutti gli studi mostrano che la loro distribuzione, al pari di quella degli uomini e delle donne omosessuali, è fortemente influenzata da fattori legati al contesto, in particolare dalla dimensione demografica. I dati più attendibili su questo fenomeno provengono ancora una volta dalle ricerche condotte negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia. Negli Stati Uniti, per esempio, la dimensione demografica del comune di residenza influenza la probabilità di dichiarasi gay o lesbica, di avere o avere avuto rapporti con partners dello stesso sesso, e anche la probabilità di averli desiderati. Anche in Italia la frequenza con cui le persone dichiarano a se stesse e agli altri di essere gay o lesbiche, oltre ad essere più alta nelle regioni centro-settentrionali che in quelle meridionali, varia, come abbiamo già accennato, al variare del comune di nascita (v. Barbagli e Colombo, 2001, pp. 88 ss. e 189 ss.). Queste differenze dipendono dal fatto che i grandi centri urbani esercitano un'attrazione per l'anonimato che offrono e per il minor grado di controllo sociale sugli individui; essi creano anche le opportunità per lo sviluppo di sentimenti omoerotici e delle identità omosessuali.

È qui, nei grandi centri urbani, che la presenza di gay e lesbiche raggiunge una soglia critica quanto a dimensioni e che la subcultura omosessuale guadagna i livelli più alti di visibilità; ed è anche grazie a questa visibilità che si sviluppano e diventano progressivamente più influenti le organizzazioni, le associazioni e i gruppi che insieme costituiscono il movimento omosessuale.

5. Coppie, famiglie di fatto e matrimoni omosessuali

La gran parte degli uomini e delle donne omosessuali ha oggi una stabile relazione di coppia con un partner dello stesso sesso. Secondo una recente indagine condotta su un campione di gay e lesbiche, una quota tra il 40 e il 49% dei primi e tra 58 e 70% delle ultime, a seconda dell'età, ha una relazione fissa. Una percentuale consistente di queste coppie, maggiore tra le lesbiche che tra i gay, convive. Dai trentacinque ai quarant'anni convivono un gay su cinque e una lesbica su tre (v. Barbagli e Colombo, 2001, pp. 202-203). Molte indagini condotte in altri paesi forniscono risultati coerenti con quelli indicati (v. Nardi, 1997; v. Colombo, 2000, pp. 46-49).

Tali dati mostrano che in questo campo è avvenuto un grande cambiamento. Se in passato relazioni stabili tra persone dello stesso sesso che si definivano entrambe omosessuali erano rare, difficili e osteggiate non solo all'esterno, ma anche all'interno del mondo omosessuale, a partire dagli ultimi quindici anni esse sono sempre più diffuse. Si tratta di un cambiamento di grande rilievo, che ha avuto inizio tra le lesbiche ed è più diffuso tra queste ultime che non tra i gay, tra le persone con livelli di istruzione più elevata, tra i residenti nelle grandi città italiane centro-settentrionali, tra gli individui più secolarizzati e fra chi accetta più facilmente la propria omosessualità (v. Barbagli e Colombo, 2001, pp. 204-205).

Un altro cambiamento riguarda le organizzazioni e i movimenti politici gay e lesbici che negli ultimi anni hanno chiesto con insistenza sempre maggiore la rimozione delle discriminazioni all'accesso a forme di regolarizzazione delle unioni di fatto, al matrimonio, alla possibilità di formare famiglie complete, quindi con figli, nonché a istituti come quelli dell'adozione o della fecondazione artificiale anche al di fuori del matrimonio, e anche se non si tratta di persone di sesso opposto. In Italia un'indagine su 3.500 gay e lesbiche ha mostrato che il 92% era 'assolutamente d'accordo' o 'd'accordo' sull'approvazione da parte del Parlamento italiano di una legge per il riconoscimento delle unioni civili. Una ricerca condotta in una grande città del nord ha confermato che la quasi totalità degli intervistati è d'accordo su tale riforma, mentre l'ipotesi dell'apertura del matrimonio civile alle coppie omosessuali, per quanto più controversa, raccoglie comunque il consenso di oltre due su tre intervistati (tre su quattro nel caso delle lesbiche; v. Bertone e altri, 2003, p. 142). A differenza dell'Italia, dalla fine degli anni ottanta alcuni paesi hanno introdotto leggi per il riconoscimento legale delle coppie formate da persone dello stesso sesso. Questo processo è iniziato nel 1986 in Danimarca e si è successivamente diffuso in tutti i paesi dell'Europa settentrionale per poi raggiungere parte dell'Europa centrale e meridionale. Oggi sei paesi europei dispongono di norme sulle cosiddette registered partnerships: la Danimarca dal 1989, la Norvegia dal 1993, la Svezia dal 1995, l'Islanda e la Groenlandia dal 1996, l'Olanda dal 1998. In questi paesi alla fine del 2000 oltre 30.000 europei avevano ottenuto lo stato di coppia registrata (v. Waaldijk, Small change, 2001). I dati mostrano che, ad eccezione dell'Islanda, questa istituzione ha avuto maggiore diffusione tra le coppie gay che tra le coppie lesbiche. Altri tre paesi - Francia, Belgio e Germania - hanno poi adottato la legislazione scandinava e olandese, introducendovi delle modifiche che non riconoscono alla registered partnership lo stesso valore giuridico del matrimonio. La Francia ha adottato il PACS (Patto Civile di Solidarietà) nel 1999 e, al marzo 2001, ne erano stati celebrati 37 mila, anche se in questo dato non sono distinguibili le unioni tra persone dello stesso sesso e quelle tra persone di sesso opposto (v. Festy, 2001). Analoghe legislazioni sono state poi adottate dal Belgio nel 2000 e dalla Germania nel 2001. Infine, a questi paesi vanno aggiunte altre amministrazioni regionali autonome o parzialmente tali in Spagna (Aragona, Navarra, Catalogna, Valencia) e in Svizzera (Ginevra; v. Waaldijk, Towards the..., 2001; v. Wintemute, 2001). Danimarca, Svezia e Olanda consentono anche l'adozione, e quest'ultimo paese è stato il primo a introdurre nel 2001 l'accesso parificato all'istituto matrimoniale per persone di sesso opposto o dello stesso sesso, seguito nel 2003 dal Belgio.

Un altro grande cambiamento riguarda i figli, perché in Italia oggi più della metà degli uomini e delle donne gay e lesbiche dichiara di desiderare un figlio (v. Barbagli e Colombo, 2001, pp. 215-216). Molti dati, però, mostrano che una quota significativa di uomini e donne omosessuali e di coppie conviventi omosessuali, in particolare lesbiche, hanno già dei figli. In Italia, per esempio, un gay su dieci di età superiore ai trentacinque anni ha un figlio, e tra le lesbiche questa quota sale a una su cinque. Nella stragrande maggioranza dei casi non si tratta di figli adottati o procreati con l'inseminazione artificiale, bensì di figli nati all'interno di una relazione eterosessuale, spesso precedente il processo di coming out. Che gay e lesbiche siano anche padri e madri, e che coppie gay e lesbiche siano impegnate e nelle cure parentali risulta anche da altre indagini. Nel 1990, per la prima volta, il censimento statunitense ha consentito la registrazione delle coppie di fatto, oltre che di quelle coniugali, anche nel caso in cui queste fossero formate da partners dello stesso sesso. Per quanto sottostimati e non privi di limiti, questi dati svelano comunque per la prima volta che il 5% delle coppie gay e il 22% di quelle lesbiche, contro il 36% delle coppie formate da partners di sesso opposto conviventi e il 59% delle coppie coniugate, già oggi sono impegnati nell'allevare e nell'educare uno o più figli (v. Black e altri, 2000, p. 150, tab. 6).

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