Onde sismiche

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2007)

Onde sismiche

Giuliano F. Panza

Le onde che si propagano dalla sorgente sismica (che nell'approssimazione puntiforme può essere fatta coincidere con l'ipocentro) provocano nel mezzo attraversato una deformazione temporanea, ossia uno scuotimento del suolo, la cui ampiezza massima, in generale, diminuisce con la distanza dalla sorgente. Dall'ipocentro del terremoto si irradiano due tipi di onde sismiche, indicate come onde primarie (P) e onde secondarie (S). Le onde P si propagano provocando nel mezzo attraversato sollecitazioni di compressione e dilatazione, mentre nelle onde S l'oscillazione delle particelle avviene in direzione perpendicolare rispetto alla direzione di propagazione. In un mezzo continuo elastico, omogeneo, isotropo e illimitato possono propagarsi soltanto le onde P e le onde S dirette. Nel caso della Terra, la presenza di una superficie libera e di una stratificazione interna determina la propagazione di un'ulteriore classe di onde la cui ampiezza si riduce piuttosto rapidamente (con legge esponenziale) con la profondità all'interno del mezzo. Tali onde si propagano con velocità che dipende dal periodo dell'onda stessa, ovvero sono disperse. Queste onde di superficie che, date le loro ampiezze e frequenze, sono in generale responsabili dei principali danni causati dai terremoti, possono essere suddivise: in onde di Rayleigh (R) e onde di Love (L). Al passaggio delle onde L il moto delle particelle avviene nel piano orizzontale ed è trasversale rispetto alla direzione di propagazione delle onde. Le onde R fanno vibrare il terreno secondo orbite ellittiche, nel piano verticale, spesso retrograde rispetto alla direzione di propagazione dell'onda.

I terremoti tettonici, che costituiscono la grande maggioranza degli eventi sismici naturali, hanno origine, per lo più, nella crosta terrestre, cioè nella parte più fragile della litosfera; essi avvengono per fratturazione e successivo scorrimento relativo di blocchi litosferici che sono separati da una faglia. Durante il terremoto l'energia elastica accumulata in archi di tempo molto lunghi sotto l'azione degli sforzi tettonici è repentinamente rilasciata, in parte sotto forma di onde sismiche, in parte determinando deformazioni permanenti del terreno, sviluppo di calore e così via. Le vibrazioni del terreno causate dal terremoto, ossia le onde sismiche, si trasmettono in tutte le direzioni, attraverso il terreno stesso, a partire dalla superficie di frattura (la faglia). Quando le deformazioni del suolo, sia permanenti (in prossimità della sorgente) sia transitorie (dovute al passaggio delle onde sismiche), interessano il fondo del mare o la terraferma in prossimità della costa, allora è possibile che il terremoto generi un maremoto o tsunami.

Onde sismiche e loro origine

Le onde che si propagano dalla sorgente sismica provocano nel mezzo attraversato una deformazione temporanea del suolo, la cui ampiezza massima, in generale, diminuisce con la distanza dalla sorgente. La fratturazione che dà origine alle onde può durare da pochi secondi a qualche minuto, mentre la durata della propagazione di un'onda sismica può arrivare a decine di minuti. In particolare, le onde a più lungo periodo, meno attenuate, possono percorrere il globo anche più volte e dare origine alle oscillazioni libere della Terra.

Soltanto nel 1760 ci si rese conto che i terremoti hanno origine all'interno della Terra e circa cento anni più tardi furono compiuti i primi tentativi sistematici di applicare allo studio dei terremoti i principî e le leggi della fisica lineare, grazie allo studio di Robert Mallet The great neapolitan earthquake del 1857, pubblicato nel 1862. Bisogna attendere la fine dell'Ottocento per vedere formulata una scala per la misura dell'intensità di un terremoto, basata sugli effetti dello stesso su persone e cose (la scala Mercalli); solamente nel 1935 Charles F. Richter introdusse il concetto di magnitudo di un terremoto, basato sulla misura strumentale dell'ampiezza e durata delle onde sismiche (moto del suolo) in un dato sito.

L'origine più frequente di un terremoto è di natura: (a) tettonica, quando esso è dovuto alla rottura di una faglia; (b) vulcanica, quando esso precede, accompagna o segue eruzioni vulcaniche o, comunque, è connesso al movimento del magma. I terremoti di origine tettonica sono i più diffusi, oltre a essere i più pericolosi. Per completezza, ricordiamo che esistono altri eventi capaci di indurre vibrazioni nel terreno, quali violentissime esplosioni come quelle nucleari e l'impatto sulla Terra di enormi meteoriti. Se gli esperimenti nucleari sono effettuati in prossimità di una faglia, possono innescare anche terremoti di origine tettonica. Questa possibilità è stata frequentemente utilizzata durante la Guerra fredda, per mascherare esperimenti nucleari sotterranei. Infatti, il monitoraggio sismico è un metodo ampiamente utilizzato, nell'ambito degli accordi internazionali in materia di controllo delle esplosioni nucleari, perché quest'ultime generano terremoti i cui treni d'onda hanno caratteristiche diversificabili da quelle degli eventi di origine tettonica.

Tipi di onde sismiche, loro velocità di propagazione e durata dei terremoti

fig. 2

Il terremoto è un insieme di treni d'onda che, a partire dalla porzione della faglia che ha subito la rottura (ipocentro), si propaga attraverso la Terra. Dall'ipocentro del terremoto si irradiano due tipi di onde sismiche, indicate come onde primarie (P) e onde secondarie (S), e definite anche onde di corpo, in quanto si propagano all'interno della Terra che, al loro passaggio, si comporta quasi come un mezzo elastico perfetto. Le onde P, che sono le più veloci, si propagano come onde sonore, provocando nel mezzo attraversato sollecitazioni di compressione e dilatazione (fig. 2 onda P); la loro velocità, espressa dalla relazione

[1] formula

formula

dove λ e μ sono i parametri di Lamé e ϱ è la densità del mezzo attraversato dall'onda, è molto variabile, fino a un massimo, nella litosfera, di circa 8 km/s e di oltre 13 km/s nelle parti più interne. Queste onde viaggiano sia nei solidi sia nei fluidi e sono anche definite longitudinali, poiché le oscillazioni delle particelle indotte dal loro passaggio avvengono lungo la direzione di propagazione.

Nelle onde S l'oscillazione delle particelle avviene in direzione perpendicolare rispetto alla direzione di propagazione (fig. 2 onda S) e per tale motivo esse sono chiamate anche onde trasversali o di taglio. Le onde S viaggiano, con velocità

[2] formula

formula

minore di quelle delle onde P (in generale VP /VS≈1,7, ma soprattutto nelle coperture sedimentarie, non mancano forti scostamenti da tale valore medio) e non determinano variazioni di volume al loro passaggio. Questo tipo di onde si propaga solo attraverso i solidi e la sua assenza indica la presenza di fluidi nel mezzo attraversato (per es., il nucleo liquido all'interno della Terra). I percorsi delle onde di corpo sono alquanto complessi, in quanto la loro velocità e direzione di propagazione varia al variare delle caratteristiche fisiche del mezzo attraversato, generando fenomeni di riflessione e rifrazione; conseguentemente, in superficie, oltre alle onde dirette provenienti dall'ipocentro, giungono anche onde (riflesse e rifratte) che hanno compiuto un diverso percorso attraverso i vari livelli della crosta terrestre. In un mezzo continuo elastico, omogeneo, isotropo e illimitato possono propagarsi soltanto le onde P e le onde S dirette.

fig. 3

La presenza di una superficie libera, o di una o più discontinuità nelle proprietà fisiche del mezzo attraversato (per es., mezzi stratificati) determina invece la propagazione, in prossimità di queste, di un'ulteriore classe di onde, dette di superficie, la cui ampiezza si riduce rapidamente con la profondità all'interno del mezzo e che si propagano con velocità che dipende dal periodo dell'onda stessa (fenomeno di dispersione). Le onde di superficie si suddividono a loro volta in onde di Rayleigh (R) e onde di Love (L). Al passaggio delle onde L (fig. 2 onda L) il moto delle particelle avviene nel piano orizzontale ed è trasversale rispetto alla direzione di propagazione delle onde. Le onde R fanno vibrare il terreno secondo orbite ellittiche, nel piano verticale (fig. 2 onda R), e sono spesso retrograde rispetto alla direzione di propagazione dell'onda. Questa regola è violata in presenza di coperture sedimentarie poco compatte, nelle quali il moto può essere progrado e fortemente polarizzato nel piano orizzontale. Ciò, frequentemente, è alla base della concentrazione di danni, osservata in corrispondenza di terreni con scarse qualità geotecniche. Per quanto riguarda la durata del treno d'onda generato da un terremoto, si osserva che, di solito, quella del cosiddetto strong motion, cioè della parte violenta della vibrazione sismica (dovuta alle onde S e soprattutto a quelle di superficie) è dell'ordine di 10÷20 s (fig. 3), anche se, in alcuni casi (in modo particolare quando il terreno è molto soffice), lo strong motion si protrae molto più a lungo (anche per alcuni minuti).

In generale, il moto del suolo causato da un evento sismico è tridimensionale, perciò sempre scomponibile in una componente verticale e due orizzontali. La componente verticale può risultare predominante rispetto a quelle orizzontali, o viceversa, e questo ha spesso portato all'erronea classificazione dei terremoti in sussultori o ondulatori, così come assolutamente erronea è la credenza diffusa che le cavità carsiche siano in grado di attenuare le onde sismiche. In realtà, per una data sorgente sismica, la percezione di un moto prevalentemente verticale (sussultorio) od orizzontale (ondulatorio) dipende dalla posizione del sito dove si osservano le onde sismiche rispetto all'orientazione della sorgente (la faglia), e non può essere considerata una proprietà generale della sorgente stessa. Nella colonna di sinistra della figura 3 sono mostrati tre accelerogrammi, cioè l'andamento temporale dell'accelerazione del terreno nelle tre direzioni (nord-sud, est-ovest e verticale) durante un terremoto. I segnali mostrati nella colonna centrale, sono stati ottenuti integrando rispetto al tempo gli accelerogrammi e corrispondono alle velocità con cui si è mosso il terreno al passaggio delle varie onde sismiche. Un'ulteriore integrazione rispetto al tempo ha permesso di ottenere gli spostamenti del suolo riportati nella colonna di destra. Dalla figura 3 è evidente la grande differenza nel contenuto in frequenza dei tre tipi di segnale e si vede come la parte rilevante di energia sia trasportata dalle onde a più lungo periodo e disperse (le onde di superficie).

Effetti della distanza epicentrale e amplificazione locale delle onde sismiche

fig. 4

L'ampiezza delle onde sismiche in genere decresce rapidamente all'aumentare della distanza dall'epicentro (proiezione in superficie dell'ipocentro), in accordo col principio di conservazione dell'energia. Le onde di superficie, di regola, dominano le registrazioni − soprattutto velocità e spostamento − degli eventi superficiali (profondità dell'ipocentro non superiore a ∼20 km) e sono, dunque, le responsabili dei maggiori danneggiamenti. La capacità distruttiva di un terremoto, in ogni caso, oltre che dalla profondità dell'ipocentro, dipende da molteplici altri fattori, quali, per esempio, l'energia liberata, la durata del rilascio di energia all'ipocentro e le condizioni geologiche locali. Si possono, infatti, osservare elevati valori locali del moto sismico anche a grande distanza dall'epicentro, sia per fenomeni di riflessione o rifrazione delle onde, sia, soprattutto, per amplificazioni locali causate da terreni piuttosto deformabili. Tali amplificazioni possono, in casi particolarmente critici, anche più che raddoppiare localmente il moto sismico. Un esempio è quanto accadde, nel terremoto di Loma Prieta del 1989, al quartiere di Marina di San Francisco (costruito sui detriti del terremoto del 1906) e al Bay Bridge (i cui piloni affondano nel fango della Baia di San Francisco), nonostante la grande distanza (100 km) dall'epicentro. Inoltre, come si è recentemente osservato in varie registrazioni ottenute nei pressi della sorgente, il moto del suolo in prossimità dell'epicentro contiene spesso onde a lungo periodo (2÷5s), generate sia per la cosiddetta interferenza costruttiva delle onde sismiche, dovuta alla direttività della propagazione della frattura (ossia all'effetto, sulle onde sismiche, del progressivo propagarsi del fronte di frattura lungo la faglia), sia a causa del moto del suolo associato alla dislocazione geodetica permanente (cioè alla deformazione permanente del terreno a seguito del terremoto). Tali fenomeni, indicati rispettivamente come directivity pulse (impulso originato dalla direttività) e fling-step (picco impulsivo in velocità dovuto alla dislocazione geodetica permanente), possono influire in modo rilevante sul moto del suolo vicino alla sorgente sismica (fig. 4). L'ampiezza della componente verticale di un terremoto è spesso inferiore a quella delle componenti orizzontali (che corrisponde, orientativamente, a non più dei 2/3 dell'ampiezza di quest'ultime): in zona epicentrale si possono verificare, a causa di particolari meccanismi di rottura della faglia, ampiezze della componente verticale maggiori di quella delle componenti orizzontali.

Contenuto energetico dei terremoti nel campo della frequenza ed effetti della rigidezza del terreno

Di solito, le onde sismiche trasportano energia prevalentemente in un campo di frequenze f=Ω/2π=1/T, dove Ω è la frequenza angolare o pulsazione e T il periodo di oscillazione, che variano in un intervallo piuttosto ampio, da frequenze inferiori a 1 Hz fino a 10÷30 Hz. Purtroppo, in questo intervallo di frequenze rientrano anche quelle che caratterizzano il comportamento vibratorio, nelle direzioni orizzontali, della maggior parte delle strutture edificate. Il contenuto energetico delle onde alle diverse frequenze di un terremoto (ossia lo spettro di energia) dipende dalle proprietà elastiche del terreno attraverso cui l'onda si propaga: mentre per un terreno rigido l'energia del terremoto è solitamente concentrata alle frequenze più alte (alcuni Hz), per un terreno molto soffice essa può essere rilevante anche a frequenze notevolmente più basse (frazioni di Hz). Esempi di questo tipo di fenomeni sono i terremoti disastrosi che colpirono Mexico City, nel 1985, e Bucarest, nel 1940 e nel 1977.

Misure dell'entità dei terremoti legate all'ampiezza delle onde

Per misurare l'entità dei terremoti sono utilizzate sia scale qualitative sia scale quantitative legate all'ampiezza e durata del treno d'onde. Le scale qualitative sono quelle d'intensità: esse si basano sulla valutazione dell'entità degli effetti (danni) causati dal terremoto. Le intensità massime misurate in prossimità dell'epicentro si dicono intensità epicentrali. Le scale di intensità, quali la scala Mercalli e le sue successive varianti, sono caratterizzate da valori interi e, quindi, sono discrete: cioè, nella scala Mercalli due terremoti sono di entità diversa se differiscono almeno per un'unità di intensità. L'importanza delle misure d'intensità risiede principalmente nel fatto che queste permettono di far riferimento anche a terremoti storici (per i quali non sono disponibili registrazioni strumentali) per la stima della pericolosità sismica. Ciò è molto importante in Italia, paese che vanta una storia scritta antica e dove è stato possibile ritrovare negli archivi (parrocchie e comuni) dettagliate informazioni sui danni causati dai terremoti significativi verificatisi negli ultimi 1500 anni (in qualche caso anche prima).

Diversamente dalle scale qualitative, quelle quantitative misurano caratteristiche del terremoto legate direttamente alle onde da esso generate. Per esempio, la scala inizialmente definita da Richter misura la magnitudo (M) come il logaritmo decimale della massima ampiezza misurata da un sismometro campione situato a 100 km dall'epicentro; questa quantità fu poi generalizzata a tutte le distanze e a qualsiasi tipo di sismometro. A differenza della scala d'intensità, la scala delle magnitudo è una scala continua: cioè, la magnitudo media di due terremoti di diversa entità può differire anche per un solo decimo. La magnitudo di un evento registrato strumentalmente può essere calcolata in molti modi, a partire da diverse caratteristiche del sismogramma (altezza del picco massimo, durata del segnale, ecc.). Le definizioni di magnitudo utilizzate più di frequente, oltre alla magnitudo locale, si basano sulla misura delle ampiezze delle onde di corpo (mb) o delle onde superficiali (MS) o sulla durata del treno d'onde (Md). Infine, esiste una definizione di magnitudo derivata dalle intensità (MI). Richter, assieme a Beno Gutenberg, propose anche la formula che lega l'energia (E) di un terremoto alla sua magnitudo:

[3] log10E = 11,8 + 1,5 M.

Quest'equazione, pur essendo una relazione empirica e, dunque, caratterizzata da un certo errore, permette di calcolare con buona approssimazione l'energia di un terremoto a partire dal segnale registrato da una sola stazione di rilevamento sismico. Dato che la scala Richter è una scala logaritmica, l'aumento di qualche decimo di magnitudo comporta un notevole incremento dell'entità del terremoto. Oltre che in base alla magnitudo, l'entità di un terremoto è spesso valutata in base all'accelerazione massima del terreno (PGA, Peak ground acceleration). Sia la magnitudo sia l'accelerazione di picco sono in grado di descrivere solo parzialmente la pericolosità del terremoto: infatti, oltre all'energia da esso sviluppata e ai valori massimi del moto del terreno, è di estrema importanza anche la distribuzione dell'energia sismica rispetto alle diverse frequenze che compongono il treno d'onde del terremoto. È ovvio, infatti, che, a parità di energia sismica complessiva, è ben diverso se tale energia è associata a frequenze lontane da quelle che caratterizzano le costruzioni o se essa è, per esempio, coincidente con tali frequenze. Pertanto, terremoti caratterizzati da un'eguale magnitudo e da un uguale valore dell'accelerazione di picco del terreno possono risultare di violenza assai diversa.

Per valutazioni più accurate dell'entità di un terremoto, occorre far uso delle cosiddette funzioni di risposta in frequenza (spettri, ecc.), che, descrivono la distribuzione dell'energia sismica nel campo della frequenza. Tutte queste considerazioni hanno anche un notevole risvolto pratico nella prevenzione, mediante la costruzione di scenari realistici di danno atteso in caso di forte terremoto. La definizione di scenari realistici richiede il concorso di competenze diverse, come quelle di sismologi, di geologi e di ingegneri civili, per definire il tipo e l'intensità dello scuotimento, gli eventuali effetti di amplificazione locale, la risposta delle costruzioni e il danno a esse procurato. Essi rappresentano uno degli strumenti più validi per reagire ai disastri naturali e per la loro mitigazione. Gli scenari forniscono agli amministratori solidi argomenti di decisione, permettendo, tra l'altro, di stimare il valore e la necessità di interventi specifici e di mettere a punto strategie di riduzione della vulnerabilità delle costruzioni.

Bibliografia

Aki, Richards 2002: Aki, Keiiti - Richards, Paul G., Quantitative seismology, 2. ed., Sausalito (Cal.), University Science Books, 2002.

Dolce 2004: Dolce, Mauro - Martelli, Alessandro - Panza, Giuliano F., Proteggersi dai terremoti: le moderne tecnologie e metodologie e la nuova normativa sismica, Milano, 21/mo secolo, 2004.

Panza 2001: Panza, Giuliano F. - Romanelli, Fabio - Vaccari, Franco, Seismic wave propagation in laterally heterogeneous anelastic media: theory and applications to seismic zonation, "Advances in geophysics", 43, 2001, pp. 1-95.

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