Ontologia

Dizionario di filosofia (2009)

ontologia


Termine usato per la prima volta al principio del 17° sec. da Lorhard (1606) e Goclenio (1613) e divulgato soprattutto da Wolff (1730) per designare la scienza dei caratteri universali dell’ente; è corrispondente quindi a quella «prima filosofia» del più maturo Aristotele, chiamata poi «metafisica», che si proponeva lo studio dell’ὂν ᾗ ὄν, dell’«ente in quanto ente», prescindendo cioè dalle determinazioni che contraddistinguono l’una dalle altre sfere dell’essere, oggetto delle scienze filosofiche particolari (quali fisica, psicologia, teologia, ecc.). Il termine o. restò in tal modo consacrato alla parte suprema di ogni dottrina oggettivistica del reale, ed ebbe grande importanza nei sistemi (come quelli, per es., di Rosmini e Gioberti) consideranti la conoscenza del puro «essere» o «ente» come primo e necessario fondamento di ogni altro sapere; mentre fu respinto, o diversamente interpretato, dalle filosofie soggettivistiche e idealistiche, che risolsero l’o. in «filosofia trascendentale» (Kant) o in «ideologia» (Galluppi). Il termine è stato ripreso da Husserl, per indicare la scienza che studia le strutture essenziali proprie delle varie scienze, e da Heidegger, a designare la scienza del fondamento dell’essere (➔ ontologico/ontico). Una posizione autonoma occupa l’o. di N. Hartmann, che, influenzato dalla fenomenologia di Husserl, privilegia tuttavia in modo specifico il problema dell’essere, intendendo l’essere come qualcosa di originario, antecedente a tutte le distinzioni e opposizioni filosofiche (come, per es., quelle tra soggetto e oggetto, tra realismo e idealismo). Nell’essere va rilevata poi una fondamentale divisione, quella tra essere reale, che passa all’esistenza, ed essere ideale, dotato invece di una sua propria aprioristica validità (l’essere dei valori, cioè, e dei principi logici). Possono rientrare sotto l’etichetta di o., sia pure in un senso molto particolare, le ricerche svolte in campo di filosofia della logica soprattutto da Quine, sul problema della natura delle entità di cui si parla in una teoria e del rapporto tra logica estensionale e logica intenzionale. Quine ritiene, riguardo al primo problema, che «essere» vada interpretato come «essere valore d’una variabile»; che cioè, in altri termini, siamo tenuti ad ammettere l’esistenza di tutte quelle entità i cui nomi possono figurare come valori delle variabili impiegati nella teoria. Per quanto riguarda il secondo problema, Quine tende a caratterizzare come tipi di entità assolutamente distinte, argomento di due logiche separate, le entità della logica estensionale e quelle della logica intenzionale (pur ammettendo la possibilità di servirsene nella stessa logica, introducendo opportune regole che evitino le confusioni).