ONU e organizzazioni internazionali

Enciclopedia del Novecento III Supplemento (2004)

ONU e organizzazioni internazionali

Alberto Indelicato

di Alberto Indelicato

sommario: 1. Introduzione. 2. L'ONU dopo la fine della guerra fredda: a) i nuovi membri; b) gli equilibri in seno al Consiglio di sicurezza. 3. Le missioni di mantenimento e di imposizione della pace: a) ex Iugoslavia; b) Africa; c) America; d) Asia; e) le ragioni degli insuccessi e il 'diritto di ingerenza'. 4. Le convenzioni sui diritti dell'uomo e i tribunali internazionali. 5. UNESCO, OMS e AIEA. 6. Le altre organizzazioni internazionali. □ Bibliografia.

1. Introduzione

Gli avvenimenti che hanno investito l'Europa orientale nel biennio 1989-1991 e che sono culminati nella fine dell'Unione Sovietica hanno avuto gravi ripercussioni anche su molte organizzazioni internazionali. La disgregazione del sistema comunista europeo portò anzitutto alla dissoluzione del Patto di Varsavia, che ne aveva rappresentato la struttura diplomatico-militare. Venne a cadere anche il COMECON (Consiglio di Mutua Assistenza Economica) che, per la verità, aveva avuto soltanto la funzione di stanza di compensazione tra le economie dei paesi comunisti europei, sulla base di regole, praticamente fissate dall'URSS, a cui gli altri membri - specialmente la Romania - avevano cercato di sottrarsi. Si dissolse anche, per intervenuta inutilità, il COCOM (Coordinating Committee), organismo con sede a Parigi - nato nel 1949 per volontà degli Stati membri della NATO, cui si aggiunse più tardi il Giappone - che sorvegliava le esportazioni di materiali e prodotti strategici in tutti i paesi comunisti.

2. L'ONU dopo la fine della guerra fredda

a) I nuovi membri

L'ente internazionale più importante, l'ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), subì anch'esso profonde trasformazioni sostanziali, a cominciare dal numero dei suoi membri. Bisogna risalire all'epoca della decolonizzazione, cioè agli anni sessanta, per assistere a un aumento degli Stati membri comparabile a quello avvenuto nel 1990 e negli anni seguenti. Paradossalmente, il primo mutamento riguardò la scomparsa di uno Stato, in quanto la Repubblica Democratica Tedesca fu incorporata nella Repubblica Federale di Germania. Subito dopo, lo smembramento dell'Unione Sovietica diede luogo alla nascita di numerosi nuovi Stati che furono accolti nell'ONU. Ucraina e Bielorussia ne facevano già parte grazie a un espediente messo in atto nel 1945 da Stalin per accrescere il peso sovietico in seno all'Assemblea generale. Ora quella finzione si trasformava in realtà. Diventarono nuovi membri gli Stati baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), già presenti nella Società delle Nazioni; i tre Stati caucasici (Armenia, Georgia e Azerbaigian); la Moldavia e cinque nuovi Stati asiatici (Kazachstan, Turkmenistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan). La Cecoslovacchia subì la secessione della Slovacchia, che si proclamò indipendente nel 1993, e ovviamente ambedue furono rappresentate nell'ONU.

La nascita di questi nuovi Stati avvenne in maniera pressoché pacifica, ma non fu così per quelli sorti dalla disgregazione della Repubblica Federale Socialista di Iugoslavia, che nel giro di alcuni anni si smembrò in varie entità statali, tutte poi rappresentate presso il Palazzo di Vetro: Slovenia, Croazia, Macedonia, Bosnia-Erzegovina e Repubblica Federale di Iugoslavia, formata dalla Serbia e dal Montenegro, quest'ultimo periodicamente tentato da velleità di secessione. Delle vicende che condussero a queste nuove formazioni e che richiesero l'intervento dell'ONU si dirà in seguito. Qui è bene aggiungere che gli Stati che entrarono a far parte delle Nazioni Unite furono accolti anche in tutte le varie agenzie specializzate (UNESCO, FAO, UNICEF, UNCTAD, Organizzazione Mondiale della Sanità, ecc.). Infine, a seguito di un referendum popolare, anche la Svizzera, che già aveva aderito alle suddette agenzie, chiese di entrare a far parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.

b) Gli equilibri in seno al Consiglio di sicurezza

Da un punto di vista formale, i mutamenti nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si ridussero al fatto che la Russia subentrò alla scomparsa Unione Sovietica in qualità di membro permanente con diritto di veto. Tuttavia, furono avanzate proposte per aumentare il numero dei membri permanenti (naturalmente senza diritto di veto): gli Stati Uniti, in particolare, all'inizio degli anni novanta avrebbero visto con favore l'ingresso del Giappone e della Germania in quel ristretto gruppo, in considerazione del nuovo peso, demografico ed economico, che i due Stati avevano assunto. La Germania, inoltre, si era riunificata anche grazie all'appoggio degli Stati Uniti e, quindi, sarebbe stata nell'organo esecutivo delle Nazioni Unite una sicura alleata. Gli Stati Uniti pensavano anche di aumentare ulteriormente, di dieci o anche più, il numero complessivo dei membri elettivi.

L'idea non fece molta strada per numerose ragioni: anzitutto i nuovi seggi permanenti avrebbero sconvolto l'equilibrio complessivo del Consiglio, accrescendo il peso degli occidentali - e degli europei in particolare - rispetto a quello degli altri gruppi regionali, nei quali vi erano paesi, demograficamente non meno importanti e con economie in rapido sviluppo (ad esempio, l'India), che avrebbero potuto ambire a un analogo trattamento. All'opposizione della maggioranza degli Stati si aggiunse quella di alcuni paesi europei (tra cui l'Italia) che per effetto del cambiamento di status della Germania e del Giappone avrebbero visto diminuire la loro importanza. Infine, il fatto che un terzo Stato europeo, oltre alla Francia e al Regno Unito, diventasse membro permanente nel Consiglio di sicurezza mal si sarebbe conciliato con l'idea - che era circolata, peraltro senza avere seguito - di un seggio per l'Unione Europea in quanto tale.

Un'altra proposta prevedeva la creazione di seggi 'semipermanenti', da attribuire a rotazione a Stati che, oltre a essere tra i maggiori contribuenti al bilancio dell'Organizzazione, fossero attivi partecipanti alle sue iniziative nei campi umanitario e di mantenimento della pace. Ma anche questa proposta ha trovato forti e per il momento insuperabili opposizioni.

Da un punto di vista sostanziale, invece, ci si attendeva che si verificassero importanti mutamenti. Infatti la nuova situazione politica internazionale, così diversa da quella in cui si erano trovate ad agire le Nazioni Unite nel loro primo mezzo secolo di vita, suscitò in molti la convinzione, o almeno la speranza, che esse avrebbero incontrato minori difficoltà nel realizzare i compiti indicati dallo Statuto. Si riteneva che, venuto meno lo scontro ideologico tra regimi comunisti e democrazie occidentali, nulla avrebbe potuto ostacolare l'azione concorde degli Stati per la salvaguardia della pace. In precedenza molti conflitti locali erano stati provocati o appoggiati dalle grandi potenze non soltanto in nome di contrapposte concezioni politiche, ma anche per mere ambizioni egemoniche; la fine della guerra fredda avrebbe potuto perciò diminuire, così almeno si sperava, anche le occasioni di guerre limitate.

Ben presto si vide però che tali speranze avevano scarso fondamento. L'Organizzazione delle Nazioni Unite, infatti, si è trovata a dover affrontare, dopo la fine dell'Unione Sovietica, un numero assai più elevato di crisi (oltre quaranta) che nel lungo periodo precedente. Ma non tutte quelle portate all'attenzione degli organi societari - in parte conflitti tra Stati, ma anche guerre civili (per le quali la competenza delle Nazioni Unite è quanto meno dubbia) - hanno provocato risoluzioni concrete del Consiglio di sicurezza. Dobbiamo tuttavia accennare alle più gravi, per le quali l'ONU ha ritenuto necessaria una qualche forma di intervento.

3. Le missioni di mantenimento e di imposizione della pace

a) Ex Iugoslavia

Gravi crisi furono quelle conseguenti alla dissoluzione della Iugoslavia. A differenza di ciò che era avvenuto nell'Unione Sovietica e in Cecoslovacchia, infatti, in questo caso le spinte centrifughe sfociarono in guerre civili presto trasformatesi in conflitti tra Stati.

Nel 1990 tre degli Stati membri della Federazione iugoslava - la Slovenia, la Croazia e la Macedonia - proclamarono la secessione non sopportando la politica centralista del governo guidato dal presidente serbo-montenegrino Slobodan Milošević, il quale reagì inviando l'esercito e la polizia nelle province ribelli. Mentre per la Macedonia - costretta a cambiare il suo nome in FYROM (The Former Yugoslav Republic of Macedonia) per le proteste della Grecia - e per la Slovenia la situazione si risolse in maniera pressoché incruenta (in Slovenia gli scontri durarono solo dieci giorni), lo stesso non avvenne per la Croazia, in cui viveva (precisamente nella Krajina e in Slavonia) una popolazione serba particolarmente numerosa. Di fronte alla creazione di uno Stato indipendente croato, la Krajina dichiarò dunque di volersene a sua volta staccare, appoggiata nella sua ribellione da truppe federali.

Fu a questo punto che le Nazioni Unite, dopo aver decretato l'embargo delle armi nei confronti di tutti i contendenti, nominarono un mediatore nella persona dell'ex segretario di Stato statunitense Cyrus Vance, incaricandolo di far rispettare il cessate il fuoco proclamato dal Consiglio di sicurezza. Ma né la risoluzione delle Nazioni Unite, né gli sforzi del mediatore, né la presenza di un contingente di 14.000 caschi blu - incaricati di tener divisi i contendenti, di demilitarizzare il territorio conteso e di mantenere la pace - poterono impedire rinnovate offensive dei Serbi.

Un ulteriore sforzo fu compiuto con il piano detto Vance-Owen (David Owen era il mediatore nominato dalla Comunità Europea), senza però giungere ad alcun risultato per il rifiuto delle due parti di accettare qualsiasi compromesso. All'inizio del 1995 i Croati cercarono di rioccupare il territorio ancora controllato dai Serbi in Slavonia, attraversando le linee tenute dalle forze di pace delle Nazioni Unite. I Serbi reagirono bombardando Zagabria. Le ostilità cessarono soltanto quando, alla fine di quello stesso anno, Croati e Serbi firmarono con i rappresentanti dei Bosniaci gli accordi di Dayton, di cui si dirà in seguito. Il territorio della Slavonia orientale, che pure era stato occupato dalla minoranza serba, fu posto per due anni sotto il controllo delle Nazioni Unite e restituito alla Croazia nel gennaio del 1998.

Nel frattempo un'altra grave crisi nell'ex Iugoslavia aveva richiesto l'intervento delle Nazioni Unite: a seguito di un referendum indetto dalla popolazione musulmana, la Bosnia-Erzegovina si era anch'essa dichiarata indipendente. Alla proclamazione si era opposta la popolazione serba ortodossa ivi presente (circa un terzo del totale) e ovviamente il governo di Belgrado, che si affrettò a mandare le sue truppe, occupando il 60% del territorio. Contemporaneamente scoppiò un conflitto anche tra la popolazione musulmana (che sperava nell'aiuto dei paesi islamici) e quella croata appoggiata da Zagabria. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che aveva riconosciuto il nuovo Stato nel 1992 e decretato sanzioni nei confronti di Belgrado, inviò una missione 'umanitaria', forte all'inizio di 7.000 uomini, i quali non riuscirono tuttavia a svolgere efficacemente i loro compiti, anche perché poco attrezzati e autorizzati ad agire solo nell'ambito definito 'umanitario' (disponevano, tra l'altro, soltanto di armi leggere).

I numerosi accordi di tregua, che faticosamente si riuscì a raggiungere, furono tutti puntualmente violati, e le truppe internazionali furono spesso prese in ostaggio dagli armati dell'uno o dell'altro campo. Le forze di pace non poterono quindi impedire che i Serbo-bosniaci occupassero alcune delle sei aree proclamate 'zone sicure' dalle Nazioni Unite, tra cui la città di Srebrenica, dove furono massacrati settemila musulmani.

A contrastare la 'pulizia etnica' praticata dai Serbi, mentre i caschi blu gradualmente si ritiravano, intervenne la NATO che, con attacchi aerei ripetuti, costrinse i Serbi e i Serbo-bosniaci a ritirarsi dalle aree che avevano occupato. A un esercito di 60.000 uomini - in prevalenza statunitensi, britannici e francesi (I-For) - fu quindi affidato il compito di mantenere la pace. Alla fine del 1995, quando già le popolazioni croata e musulmana avevano concluso un accordo costituendo una 'federazione bosniaca', i rappresentanti delle due suddette componenti si incontrarono con quelli della componente serba a Dayton (Ohio, Stati Uniti), dove, con la mediazione degli Stati Uniti, furono stabilite le condizioni per la creazione di un nuovo Stato trinazionale (serbo-croato-musulmano) internazionalmente riconosciuto. Il relativo trattato fu poi firmato a Parigi. Fu comunque evidente che alla soluzione provvisoria del problema bosniaco le Nazioni Unite, in definitiva, avevano dato un contributo molto limitato.

Dopo la Bosnia-Erzegovina fu la volta del Kossovo, territorio che non aveva avuto in passato, nonostante la sua popolazione fosse per il 90% di etnia albanese, lo status di repubblica (come la Slovenia, la Croazia, la Macedonia e la stessa Bosnia-Erzegovina), ma solo quello di provincia autonoma in seno alla Serbia. Nel 1989 tale autonomia era stata soppressa dal presidente della Repubblica serba Milošević, il quale nove anni dopo, divenuto presidente della Federazione serbo-montenegrina, ordinò di reprimere le agitazioni dei Kossovari che protestavano contro l'oppressione del governo centrale. Gli albanofoni del Kossovo reagirono proclamando l'indipendenza e organizzando un loro esercito.

Le Nazioni Unite in questo caso si trovarono di fronte a una situazione ben diversa da quelle precedenti: il Kossovo era una provincia, non una delle repubbliche della Iugoslavia, per cui non era possibile riconoscerne, come avrebbero voluto i suoi abitanti, l'indipendenza, anche se i Serbi vi avevano iniziato una cruenta operazione di pulizia etnica non dissimile da quelle effettuate in Croazia e in Bosnia-Erzegovina. Non fu quindi l'ONU - il cui Consiglio di sicurezza, nell'incertezza dell'esito di una votazione, evitò di pronunciarsi - a intervenire, bensì un 'gruppo di contatto', formato dagli Stati Uniti, da alcuni Stati europei (Francia, Germania, Regno Unito, Italia e Russia) e da rappresentanti serbi e kossovari, a tentare di porre fine per ragioni umanitarie a un conflitto che si era trasformato in una vera e propria guerra civile.

Tuttavia, le conclusioni a cui giunse quel gruppo di contatto riunito a Rambouillet, vicino Parigi, non sfociarono in un accordo concreto a causa del rifiuto di Milošević. La NATO ritenne allora di dover intervenire, anche senza la copertura delle Nazione Unite, con bombardamenti aerei che si protrassero per 75 giorni e che costrinsero Milošević a cedere, lasciando che il Kossovo rimanesse sotto la protezione delle truppe dell'Alleanza Atlantica e con una amministrazione provvisoria affidata alle Nazioni Unite.

Tutte le difficoltà che l'ONU aveva incontrato in precedenza nell'ex Iugoslavia derivavano dai termini del mandato ricevuto: il compito di mantenere la pace si rivelava impossibile là dove essa non esisteva già; d'altro canto, l'imposizione della pace implicava necessariamente non soltanto uno specifico mandato, ma anche la possibilità di ricorrere alla forza, possibilità che l'ONU direttamente non aveva. Le missioni del primo tipo sono previste nel capo VI dello Statuto, mentre quelle del secondo possono essere decise in base al capo VII. In ogni caso è necessario che alcuni Stati mettano a disposizione delle forze armate, che se chiamate a imporsi ai belligeranti corrono grandi rischi e finiscono col partecipare esse stesse al conflitto. Il ricorso al capo VII si era verificato nel 1950, in occasione dell'aggressione alla Corea del Sud da parte di quella del Nord, e in seguito nel 1991 nei confronti dell'Iraq, nel 1999 per Timor Est e nel 2001 nei confronti dell'Afghanistan.

b) Africa

Negli stessi anni in alcuni paesi africani in preda a guerre civili o tribali (Somalia, Ruanda e Burundi), le Nazioni Unite si trovarono di fronte a difficoltà analoghe a quelle incontrate nei Balcani. Dopo la cacciata del dittatore Muhammad Siad Barre, la Somalia era precipitata in una lotta tra vari clan, mentre si disgregava completamente l'organizzazione dello Stato. L'ex Somaliland britannico aveva dichiarato la sua indipendenza e a Mogadiscio, come in altre parti del paese, si erano installati governi guidati da 'signori della guerra' dediti a saccheggi e persecuzioni. Di conseguenza, anche il sistema economico fu completamente sconvolto e la carestia che ne derivò produsse centinaia di migliaia di morti.

Le organizzazioni umanitarie non riuscivano a far pervenire i loro aiuti, che prima di raggiungere i destinatari venivano saccheggiati dalle varie bande o distrutti nel corso dei loro conflitti. L'ONU decise di provare a imporre la pace. A tale scopo nel 1993 gli Stati Uniti e numerosi altri paesi, tra cui l'Italia, misero a disposizione 35.000 uomini cui era affidato il compito di costringere le varie fazioni a cessare il fuoco, permettere la distribuzione degli aiuti alle popolazioni e, se possibile, giungere alla ricostituzione di un governo centrale unitario. Non soltanto non si riuscì a raggiungere questi scopi, ma le stesse forze delle Nazioni Unite subirono gravi perdite, sicché un anno dopo dovettero essere ritirate. Il limitato contingente di caschi blu rimasto, formato da militari di paesi africani e asiatici, non poté far altro che assistere al perpetuarsi delle faide in quell'infelice paese.

Non dissimile nelle sue cause e nei suoi tragici sviluppi fu la crisi del Ruanda, già colonia belga, abitata da due diverse etnie: gli Hutu, maggioritari, e i Tutsi; questi ultimi, pur essendo in numero inferiore, avevano tradizionalmente detenuto il potere per anni. I contrasti tra le due popolazioni sembrarono risolti quando, nel 1991, fu approvata una Costituzione che prevedeva elezioni con la partecipazione di diversi partiti. Tuttavia, ancor prima che tali elezioni si tenessero - e nonostante la presenza di un piccolo contingente di caschi blu - i Tutsi, temendo un'offensiva degli Hutu, tentarono una ribellione che fu duramente repressa. Le vittime furono almeno un milione, mentre centinaia di migliaia di civili di entrambe le etnie fuggirono nei vicini Congo (Zaire) e Tanzania.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nell'aprile del 1994 decise l'invio di una missione di assistenza umanitaria per la popolazione civile e per organizzare il rimpatrio dei profughi, ma i paesi occidentali, che avevano già ritirato i loro uomini per non essere implicati in quelle lotte fratricide, rifiutarono di mettere a disposizione i contingenti di caschi blu necessari a fermare il massacro. Quel rifiuto, confermato pochi mesi più tardi di fronte a un'analoga situazione prodottasi nel vicino Burundi, suscitò le pubbliche proteste del Segretario generale dell'ONU, Boutros Boutros Ghali. Anche nelle due ex colonie africane del Portogallo, Angola e Mozambico, nelle quali si affrontavano opposte fazioni, le Nazioni Unite inviarono missioni di pace o di osservazione e tentarono mediazioni. La loro azione non ebbe un successo duraturo, anche se fu possibile controllare in entrambi i paesi che le elezioni a cui partecipavano le differenti fazioni si svolgessero regolarmente.

c) America

Maggior successo ebbe l'intervento dell'ONU in alcune guerre civili scoppiate nell'America Centrale (Salvador, Guatemala e Haiti). In varie occasioni è stata l'OSA (Organizzazione degli Stati Americani) a svolgere per conto delle Nazioni Unite i compiti di mantenimento della pace e di supervisione nel corso di elezioni.

d) Asia

In Asia, fra la fine degli anni novanta e l'inizio del Duemila, l'ONU riuscì a realizzare due operazioni in certo modo anomale rispetto ai suoi compiti originari: aiutare una popolazione a ottenere l'indipendenza, e sconfiggere e cacciare una classe politica non soltanto antidemocratica, ma anche colpevole di ospitare, proteggere e addirittura agire di concerto con una grande organizzazione terroristica.

La popolazione che lottava da anni per sottrarsi al dominio straniero era quella di Timor Est, ex colonia portoghese illegalmente annessa dall'Indonesia nel 1976. Quel colpo di mano, mai riconosciuto dall'ONU, aveva portato a continue rivolte e tensioni, in quanto l'ex potenza coloniale aveva continuato a battersi affinché venisse concessa almeno una certa autonomia alla popolazione che, a differenza di quella indonesiana, è di lingua portoghese e di religione cattolica. Le frequenti manifestazioni di malcontento violentemente represse dalle forze armate e dalla polizia, nonché da gruppi di irregolari indonesiani, indussero il Consiglio di sicurezza, nell'autunno del 1999, a imporre all'Indonesia di tenere un referendum, i cui risultati furono inequivocabili: l'80% della popolazione di Timor Est si pronunciò per l'indipendenza, alla quale però si opposero alcune milizie irregolari indonesiane appoggiate dalle autorità di Giacarta. Per porre fine alle violenze delle milizie, il Consiglio di sicurezza decise un'azione di imposizione della pace ai sensi del capo VII dello Statuto. All'intervento militare, forte di duemila uomini e posto sotto il comando australiano, parteciparono truppe di vari paesi, tra cui seicento italiani. L'amministrazione del territorio e la ricostruzione furono affidate provvisoriamente alle Nazioni Unite.

La seconda energica azione fu diretta contro l'Afghanistan, il cui regime - ispirato al fanatismo religioso dei suoi leaders (i Talebani) - ospitava, proteggeva e agiva di concerto con un'organizzazione terroristica di integralisti musulmani (al-Qā'ida) responsabile di attentati (che avevano provocato circa 200 morti) contro ambasciate statunitensi in Africa. Il Consiglio di sicurezza aveva solennemente condannato il regime dei Talebani anche per le sue violazioni dei diritti dell'uomo e per la sua incapacità di dare ordine e stabilità al paese. Quando l'11 settembre del 2001 un altro gravissimo attentato dei terroristi di al-Qā'ida distrusse le Twin Towers di New York facendo più di 3.000 vittime, le Nazioni Unite chiesero formalmente al governo afghano di consegnare il capo e gli altri dirigenti di al-Qā'ida. Poiché tale richiesta non venne accolta, il Consiglio di sicurezza autorizzò l'uso della forza da parte di una coalizione di Stati. Il governo dei Talebani fu eliminato e in Afghanistan è stato installato un governo provvisorio con il compito di preparare il terreno per nuove istituzioni democratiche sotto la supervisione dell'ONU.

Un'altra crisi che le Nazioni Unite avevano dovuto affrontare fu quella dell'Iraq che, dopo otto anni di guerra con l'Iran (1980-1988), nell'agosto del 1990 aveva invaso e occupato il vicino Kuwait. Il Consiglio di sicurezza chiese alle autorità irachene di porre termine all'occupazione e, di fronte al loro rifiuto, autorizzò la liberazione del Kuwait attraverso l'intervento militare di una vasta coalizione di Stati. Il Consiglio di sicurezza, tuttavia, non si limitò a ripristinare lo status quo ante, ma impose all'Iraq diversi obblighi e limitazioni di sovranità per impedirgli di tentare nuove avventure e privarlo delle armi di distruzione di massa di cui aveva fatto largo uso sia durante la guerra contro l'Iran, sia contro i suoi stessi cittadini di etnia curda che avevano tentato di ribellarsi. Una delle misure adottate consistette proprio nella protezione internazionale dei territori abitati principalmente da questa popolazione. Inoltre, per assicurare il rispetto delle limitazioni imposte, e in particolare della proibizione di possedere e acquistare nuovi armamenti non convenzionali, furono fissate alcune sanzioni, tra cui, importantissima, quella sul contingentamento delle esportazioni di petrolio, ammesse soltanto per permettere l'acquisto di cibo e medicine (oil for food ).

Il controllo sul rispetto degli obblighi imposti fu affidato a ispettori nominati dalle Nazioni Unite e, per ciò che riguardava gli armamenti nucleari, a esperti dell'AIEA (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica). Negli anni seguenti apparve evidente che il governo di Baghdad, malgrado nuove risoluzioni del Consiglio di sicurezza, cercava di sottrarsi in ogni modo a quel controllo, sino al punto di espellere dal suo territorio gli ispettori inviati dall'ONU (1998).

Tale atteggiamento portò a una nuova crisi: l'Iraq fu sottoposto a ripetuti attacchi aerei da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito e, da ultimo, il Consiglio di sicurezza emanò una nuova risoluzione (la 1441 del novembre 2002) che ingiungeva al governo iracheno di procedere alla reale e definitiva eliminazione delle armi di distruzione di massa e nominava nuovi ispettori per effettuare i controlli. La risoluzione, tuttavia, diede luogo a diverse interpretazioni tra i membri del Consiglio di sicurezza, specie tra i cinque con diritto di veto: Stati Uniti e Regno Unito, ritenendo che l'Iraq continuasse a nascondere armi proibite e a non collaborare sostanzialmente con gli ispettori delle Nazioni Unite, sostenevano che la risoluzione 1441 autorizzava senz'altro il ricorso alla forza per ottenere il disarmo intimato, mentre per Francia, Russia e Cina - che peraltro insistevano perché agli ispettori fosse concesso un periodo più lungo per compiere la loro opera - l'eventuale intervento militare doveva essere autorizzato da una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza (alla quale almeno la Francia avrebbe opposto il veto).

Queste contrastanti posizioni e la decisione degli Stati Uniti e del Regno Unito di invadere l'Iraq senza una nuova risoluzione furono unanimemente considerati un ulteriore grave colpo inferto all'autorità delle Nazioni Unite e diedero nuovo impulso alle proposte di una loro riforma. Soltanto alla fine di maggio del 2003 la crisi dell'Organizzazione fu superata a seguito dell'approvazione da parte di tutti i membri del Consiglio di sicurezza (con l'assenza del solo rappresentante della Siria) di una risoluzione che, pur lasciando agli Stati Uniti e al Regno Unito grandi poteri nell'amministrazione dell'Iraq, prevedeva che alcuni poteri potessero essere esercitati da 'un rappresentante speciale' del Segretario generale dell'ONU, all'uopo nominato.

e) Le ragioni degli insuccessi e il 'diritto di ingerenza'

Da quanto si è detto appare evidente che dopo la fine della guerra fredda, contrariamente alle speranze ottimistiche e nonostante alcuni limitati successi, si debba prendere atto che le Nazioni Unite non sempre sono in grado di svolgere quei compiti di mantenimento della pace che dovrebbero costituire la loro principale ragion d'essere. Ciò dipende da una molteplicità di cause, e in particolare dal fatto che si è andata diffondendo la convinzione che la pace da tutelare non sia soltanto quella tra gli Stati, ma anche quella interna a ogni singolo Stato, ovvero che si debbano tutelare pure i cittadini dalle persecuzioni dei rispettivi governi, sia perché esse costituiscono una manifesta violazione dei diritti dell'uomo, sia per la grave instabilità che ne deriva. È questo ciò che si è chiamato 'diritto di ingerenza'. Il compito di evitare la violazione dei diritti dell'uomo non può essere affidato che a un organismo come l'ONU, al quale perciò l'opinione pubblica chiede un ampliamento delle sue funzioni. L'ONU però non ha i mezzi finanziari e umani indispensabili per assolvere tale compito. Come si è già rilevato, infatti, le forze militari necessarie possono esser fornite unicamente dagli Stati membri, che in linea generale sono disposti a concederle soltanto se hanno degli interessi diretti nella situazione da risolvere.

In ogni caso, qualsiasi attività delle Nazioni Unite può, nella migliore delle ipotesi, sospendere un conflitto, ma non eliminarne le cause profonde, vale a dire non può evitare che una crisi, temporaneamente risolta, possa successivamente ripresentarsi. Il problema israelo-palestinese - più volte, e anche recentemente, affrontato dagli organi dell'ONU - è una riprova di tale incapacità. Ciò vale, a maggior ragione, quando non sia in gioco un conflitto tra Stati, ma una lotta tra clan o fazioni intestine.

4. Le convenzioni sui diritti dell'uomo e i tribunali internazionali

Anche per impulso del Segretario generale (il ghanese Kofi Annan, succeduto nel 1997 all'egiziano Boutros Ghali) e di alcune organizzazioni non governative, l'ONU ha svolto una notevole attività nel campo degli accordi internazionali. Convenzioni relative ai problemi demografici, all'ambiente, alla famiglia sono state elaborate e sottoposte alla firma e alla ratifica degli Stati. Particolare attenzione è stata dedicata ai diritti dell'uomo: sono state preparate convenzioni sui diritti delle donne e dell'infanzia, sui diritti politici e civili, su quelli economici e sociali, sul genocidio, sulle discriminazioni per motivi razziali. Dei 189 Stati membri, tuttavia, soltanto poche decine le hanno ratificate. È stata d'altra parte approvata la creazione di un Alto commissariato per i diritti umani, che si è affiancato alla già esistente Commissione per i diritti umani.

Probabilmente l'iniziativa più ambiziosa che è stata presa dall'ONU negli ultimi anni è stata la creazione della Corte Penale Internazionale, a seguito dei lavori tenuti a Roma nel giugno-luglio 1998. Essa era stata preceduta dall'istituzione di due corti speciali che hanno effettivamente processato alcuni dei responsabili dei massacri in Ruanda - pronunciando sentenze severe - e iniziato un processo a carico di responsabili politici dell'ex Iugoslavia (compreso l'ex presidente Slobodan Milošević). La Corte Penale Internazionale dovrebbe avere carattere, competenza e giurisdizione generali: dovrebbe agire nei confronti degli individui che, nello svolgimento di funzioni politiche o di attività militari, si siano resi colpevoli, dopo il 1° luglio 2002, di genocidio, crimini contro l'umanità o crimini di guerra. Il relativo trattato è entrato in vigore con la ratifica di 60 membri, divenuti successivamente 89. Il 13 marzo 2003 hanno giurato all'Aia (sede della Corte) i diciotto giudici eletti dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite; alla fine di aprile è stato nominato il pubblico ministero, un giurista argentino. Restano da approvare le norme di procedura. La giurisdizione della Corte è sussidiaria di quella degli organi giurisdizionali nazionali: soltanto nel caso in cui questi non vogliano o non possano agire il processo avrà luogo di fronte alla Corte Internazionale. È da tener presente che vari Stati - come Stati Uniti, Cina, Russia, India, Libia e Israele, alcuni dei quali hanno partecipato ai lavori di Roma per l'elaborazione del trattato - si sono rifiutati di sottoscriverlo o, come gli Stati Uniti, di ratificarlo, temendo che dei loro cittadini possano essere oggetto di accuse dettate da preconcetti politici. Queste assenze indubbiamente incidono negativamente sull'importanza e sull'efficienza della Corte.

5. UNESCO, OMS e AIEA

Tra le varie agenzie specializzate vale la pena ricordare l'UNESCO, dalla quale nel 1984 e 1985 si erano ritirati rispettivamente Stati Uniti e Regno Unito, accusando l'allora direttore generale, il senegalese Amadou-Mahtar M'Bow, di cattiva amministrazione e di parzialità politica. La critica era diretta in particolare al suo progetto di un Nuovo Ordine Mondiale dell'Informazione e della Comunicazione (NOMIC), considerato da alcuni membri occidentali come un sistema per instaurare una sorta di controllo, se non di censura, sulla stampa indipendente.

Nel 1997, dieci anni dopo l'uscita di scena del discusso direttore generale, il Regno Unito è rientrato nell'organizzazione; quattro anni dopo anche gli Stati Uniti hanno ripreso il loro seggio. Nel frattempo era stato abbandonato il NOMIC ed era stato eletto un direttore generale giapponese (Koïchiro Matsuura), cioè per la prima volta era stato chiamato a ricoprire questa carica un asiatico. Nella nuova atmosfera internazionale l'UNESCO sembra aver ritrovato la sua vera vocazione nel campo della diffusione dell'istruzione e della protezione dei beni culturali, specie nelle zone in cui essi sono minacciati dall'intolleranza o da guerre civili e internazionali.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si è trovata a combattere in particolare due patologie, sviluppatesi la prima - AIDS (Acquired Immuno-Deficiency Syndrome) - all'inizio degli anni ottanta e la seconda - SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome), una forma prima sconosciuta di polmonite - nel 2003. L'AIDS ha colpito particolarmente i paesi africani, mentre la SARS la Cina e alcune città del Canada. L'OMS da un canto ha lanciato campagne per l'identificazione dei virus responsabili (quello dell'AIDS è stato identificato nel 1981) e dall'altro, in attesa che si trovassero cure sicure, ha raccomandato ai governi misure preventive, soprattutto igieniche, affinché le infezioni fossero circoscritte e debellate.

Molto importante si è rivelata l'attività dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, organizzazione indipendente ma collegata alle Nazioni Unite. Oltre a esercitare i suoi compiti di sostegno e consulenza per i paesi che intendono creare una loro industria nucleare civile, l'AIEA ha il compito di controllare che i paesi firmatari del Trattato di non proliferazione nucleare non utilizzino materiale fissile per la costruzione di armi atomiche. A questo scopo nel 1997 l'Agenzia ha proposto nuove regole di verifica per scoprire attività nucleari non dichiarate e non ammesse. Essa ha intanto effettuato controlli sull'Iran, sospettato di produrre armi nucleari, oltre che, su richiesta dell'ONU, sull'Iraq negli anni successivi al 1991, dopo che l'intervento delle Nazioni Unite aveva portato alla liberazione del Kuwait. Nuove ispezioni si sono svolte in Iraq nel periodo tra la fine del 2002 e l'inizio del 2003, anch'esse su richiesta del Consiglio di sicurezza. Questi controlli sono stati interrotti quando Stati Uniti e Regno Unito hanno attaccato l'Iraq.

Una questione non meno grave affrontata dall'AIEA ha riguardato la Corea del Nord, uno Stato che, pur avendo sottoscritto il Trattato di non proliferazione nucleare e un accordo di denuclearizzazione della penisola coreana, era sospettato di produrre plutonio nelle sue centrali nucleari civili. Nel 1994 esso aveva concluso un trattato con gli Stati Uniti, in base al quale si impegnava, contro assistenza tecnica e fornitura di energia, a smantellare le sue centrali sostituendole con altre ad acqua leggera (e quindi non in grado di produrre plutonio) e a mettere il plutonio prodotto in passato sotto il controllo dell'AIEA. Gli ispettori dell'Agenzia, tuttavia, non furono posti in condizione di svolgere la loro opera e nel 2002 il governo di Pyongyang ha denunciato i trattati sottoscritti, sostenendo che gli Stati Uniti non avevano rispettato quello del 1994, e ha dichiarato di voler costruire armi nucleari. L'AIEA non ha potuto far altro che prendere atto di tali prese di posizione, rilevando come esse costituissero delle violazioni degli accordi stipulati, e informarne il Consiglio di sicurezza dell'ONU, il quale, tuttavia, piuttosto che decretare sanzioni, ha ritenuto opportuno che i paesi più direttamente interessati - Corea del Sud, Giappone, Russia, Cina e Stati Uniti - continuassero a negoziare per giungere a una soluzione.

6. Le altre organizzazioni internazionali

Anche la NATO ha risentito della mutata situazione internazionale. Creata come alleanza difensiva contro eventuali tentativi dell'URSS di attaccare i paesi membri, specie europei, essa si è trovata in certo modo ad aver vinto senza aver mai affrontato il nemico, se non sul piano diplomatico e propagandistico. Dopo la disgregazione dell'URSS e del suo sistema, i suoi ex alleati, poi convertitisi in democrazie di tipo occidentale, hanno chiesto di aderire all'Alleanza atlantica e in essa alcuni di loro - la Polonia, l'Ungheria, la Repubblica Ceca - sono stati ammessi nel 1999. Nel 2003 sono stati accolti altri sette Stati: i tre baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), Slovenia, Slovacchia, Romania e Bulgaria. Altri tre Stati balcanici (Albania, Croazia e Macedonia) sono candidati all'adesione. D'altro canto la Russia, in un primo tempo contraria al fatto che i paesi del centro e dell'est europeo e gli Stati già inclusi nell'URSS fossero accolti nella NATO, a sua volta è stata invitata a stabilire una partnership for peace, cioè a partecipare a un programma di cooperazione militare che l'avrebbe associata ad alcune iniziative della NATO. Nel 1997 si è andati oltre: è stato concluso l'Atto fondatore sulle relazioni reciproche Russia-NATO, con cui quest'ultima s'impegnava a consultarsi con Mosca sui maggiori problemi politici. Questo però non significa che l'Alleanza debba sentirsi in alcun modo condizionata nel prendere le sue decisioni.

Tuttavia, il vero problema dell'Alleanza consiste nella sua mutata natura e nell'identificazione delle sue nuove funzioni. Concepita come alleanza politica di difesa tradizionale, una volta venuto meno il pericolo a cui avrebbe dovuto far fronte, essa rischiava di rivelarsi superflua. Con gli interventi in Bosnia e in Kossovo, l'Alleanza ha dimostrato di sapersi adoperare anche per il ripristino della pace, per la stabilizzazione e per la tutela dei diritti umani. Ci si chiede perciò se la NATO non debba ormai essere utilizzata come strumento per affrontare rischi diversi da quelli classici, quali quelli derivanti dall'instabilità nell'area euro-atlantica e dalle crisi originate nelle regioni contigue da contrasti etnici e religiosi, da contese territoriali o addirittura da violazioni dei diritti umani. Principalmente, però, l'Alleanza dovrebbe servire a contrastare il fenomeno del terrorismo che ha assunto un carattere particolarmente minaccioso.

Si tratterebbe in ogni caso di compiti che, oltre a non esser previsti dal trattato istitutivo, sono evidentemente molto ambiziosi e richiedono mezzi e strumenti al momento inesistenti o insufficienti. Inoltre, non è sempre facile raggiungere il consenso di tutti i membri intorno a tali compiti e ai loro limiti. Non poche preoccupazioni sul futuro dell'Alleanza sono infatti sorte in occasione della seconda guerra contro l'Iraq, intrapresa - come si è detto - da Stati Uniti e Regno Unito in disaccordo con altri membri, quali la Francia e la Germania. Si è trattato, è vero, di un intervento 'fuori area', per il quale non erano previste né la partecipazione, né la solidarietà attiva dell'Alleanza. Tuttavia, la netta opposizione di alcuni suoi membri non può non essere considerata un segno di debolezza della NATO nel suo insieme.

Uno degli sviluppi più importanti dell'Unione Europea è stato l'introduzione della moneta unica: l'euro. Come era stato stabilito nel Trattato di Maastricht, dodici dei quindici membri dell'Unione che avevano soddisfatto le condizioni di stabilità economica e di bilancio fissate hanno introdotto la moneta unica a partire dal 1° gennaio 2002, stabilendo come sola banca d'emissione la Banca Centrale Europea (BCE), con sede a Francoforte sul Meno. Sono rimasti fuori per il momento il Regno Unito, la Svezia e la Danimarca.

Si è trattato di un non piccolo passo sulla strada di una reale unificazione, anche se a esso si dovrebbe poter associare una politica economica e finanziaria, così come una politica di difesa ed estera comuni, il che non è semplice da raggiungere. Più in generale, il processo di maggior coesione dovrà passare attraverso la creazione di istituzioni europee dotate di reali poteri sovrani. A tale scopo una 'Convenzione' è stata incaricata di formulare una proposta di costituzione. Essa è stata formata da 105 rappresentanti, cittadini degli attuali 15 Stati membri, e 39 osservatori in rappresentanza dei 10 Stati candidati (di cui si dirà in seguito). Più esattamente, sono stati rappresentati i parlamenti, i governi, le regioni, il Parlamento europeo e la Commissione. La Convenzione, oltre a elaborare un preambolo contenente i principî a cui dovrà ispirarsi l'Unione, ha formulato proposte sui suoi vari aspetti: organi costituzionali e loro poteri, rapporti tra Commissione, governi e Parlamento europeo, nomina di un presidente e durata del suo mandato, nomina del presidente della Commissione e numero dei commissari, modalità di adozione delle decisioni (unanimità, maggioranza qualificata, maggioranza semplice) a seconda delle differenti questioni. Il lavoro si è concluso nel primo semestre del 2003 e il progetto è stato presentato il 20 giugno dello stesso anno; in occasione del Consiglio Europeo del giugno 2004 si è giunti a un accordo sulla Costituzione Europea, che entrerà in vigore quando sarà stata ratificata da tutti gli Stati membri.

Nel 2004 sono entrati a far parte dell'Unione altri dieci Stati: Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Slovacchia, Malta e Cipro (la zona greca). In un momento successivo è previsto l'ingresso di Romania e Bulgaria, mentre la candidatura della Turchia potrà essere esaminata in seguito, alla luce, tra l'altro, delle modifiche che in tale paese saranno apportate alla Costituzione e della soluzione che verrà data al problema di Cipro (la cui zona turca è sotto la protezione di Ankara).

L'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea (OSCE), di cui dopo il 1990 sono entrati a far parte anche tutti gli Stati sorti dalla disgregazione dell'URSS e della Iugoslavia, ha svolto principalmente compiti di osservazione nel continente, specie nei paesi in cui si sono svolte elezioni dopo guerre o guerre civili o dove si temono brogli o violenze. Per la sua origine (è l'erede istituzionalizzata della Conferenza per la Sicurezza conclusasi con l'Atto Finale di Helsinki del l° agosto 1975) e per la sua composizione, non sembra che essa possa svolgere ulteriori funzioni. Analoghe attività hanno svolto altre organizzazioni 'continentali', quali l'Organizzazione dell'Unità Africana (OUA) e l'Organizzazione degli Stati Americani (OSA).

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