DE FERRARI, Orazio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE FERRARI (Ferrari), Orazio

Alessandra Frabetti

Figlio di Andrea Ferrari e di una Martetta, nacque a Voltri (Genova) il 22 ag. 1606 (Voltri, Arch. d. chiesa di S. Erasmo, Notaio Geronimo Merello, filza 2, sc. 653, f. 225, cit. da Alfonso, 1973, p. 82).

Già il Ratti (1768, p. 286) ne aveva precisato mese e anno di nascita, dati rivelatisi esatti, nonostante le incertezze di altre biografie, da quando il Cabella (1908, p. 229), traendo la notizia dallo stesso archivio, ne indicò anche il giorno e i nomi di entrambi i genitori.

Il 15 dic. 1631 il D. sposò (nell'atto matrimoniale trascritto dallo stesso Alfonso, 1973. il cognome è già De Ferrari) Giorgetta Ansaldo, nipote del pittore voltrese Giovanni Andrea Ansaldo, presso il quale era a bottega. Giorgetta era tenuta cara dall'Ansaldo come una figlia, tanto che in qualche biografia il D. viene indicato erroneamente come suo genero. È evidente che l'inizio dell'alunnato dei D. presso l'Ansaldo, ammesso dalle fonti e confermato dalle opere, risaliva a parecchi anni prima, se già intorno al 1630 egli eseguì in proprio, ancorché tuttora inquadrato nella bottega dell'Ansaldo, almeno tre opere: il Martirio di s. Sebastiano (Voltri, SS. Nicolò ed Erasmo) per la compagnia dei Camalli, dipinto che il Cabella (1908) denunciava già sconciato da un restauro inesperto, una Madonna con Bambino, s. Gerolamo e s. Simone Stok (Voltri, S. Ambrogio) e le Nozze mistiche di s. Caterina (Genova, S. Marco al Molo).

Tutte e tre le operesono rivelatrici degli stretti rapporti stilistici con l'Ansaldo nel momento della sua massima apertura verso Rubens, ancorché condizionata dalla formazione manieristica. Le Nozze mistiche di s. Caterina, specialmente, rivelano una conoscenza della pittura rubensiana, più nelle soluzioni formali e coloristiche che nell'essenza concettuale, come, ad esempio, il preziosismo della materia pittorica e certi cangiantismi, che va oltre la mediazione dell'Ansaldo; va al di là anche della volgarizzazione che della pittura di Rubens andavano facendo gli stessi artisti fiamminghi a Genova: il dipinto di S. Marco al Molo rappresenta uno dei più precoci e, tutto sommato, meno superficiali approcci all'arte del pittore fiammingo da parte di un pittore ligure, prima della grande ripresa rubensiana - con conseguenze inedite per Genova - intorno alla metà dei secolo.

Fortemente rubensiane, e di un tono meno aristocratico, sono anche una Decollazione del Battista nella parrocchiale di Montoggio, assegnata dal Castelnovi 0971, p. 130) circa allo stesso tempo, e le due tele con l'Adorazione dei pastori e l'Adorazione dei magi, già in S. Vittore, ora in S. Carlo a Genova (Ratti, 1780, 1, p. 223).

Nel 1634, in aprile, il D. lasciò Voltri per Genova, dove si stabilì definitivamente, prendendo alloggio in piazza dei Luxoro (doc. in Arch. di Stato di Genova, Not. Gio. Andrea Celesia, filza 43, 21 aprile, sc. 747. cit. da Belloni, 1974, p. 25); da quel momento è probabile che il D. abbia iniziato anche ad esercitare autonomamente la professione con una sua bottega, mentre la famiglia aumentava.

Nello stesso anno, infatti, il 15 ottobre, venne battezzato in S. Giorgio a Genova (Arch. parrocchiale, Libro dei battezzati 1630-1650) il primo dei figli maschi di cui si abbia notizia e, presumibilmente, il maggiore, Andrea (gli altri, Tommaso: 1639, Maria Caterina: 1640, Bartolomeo: 1642, Giovanni Battista: 1647, Gregorio Bonaventura: 1650., Carlo Gregorio: 1652, verranno battezzati tutti in S. Lorenzo: Arch. parr., Libro dei battezzati 1626-1666; docc. in Alfonso, 1973, p. 83).

Di Andrea (anzi Giovanni Andrea) scrive lo stesso Soprani (1674, p. 221), poi ripreso pari pari dalle altre fonti anche di lingua tedesca, compreso il Füssli (1779), dando origine involontariamente a un'omonimia con l'altro grande pittore genovese, Giovanni Andrea De Ferrari, che non ha mancato di generare, per esempio in A. Moir (The Ital. followers of Caravaggio, II, Cambridge, Mass., 1967, p. 261 n. 42), l'equivoco sconcertante del D. scambiato come fratello minore di questo. Andrea è definito dal Soprani (1674) pittore tanto provetto da eguagliare il padre e tanto precoce da dipingere, a soli dodici anni, un ritratto di Agostino Paoletti, padre agostiniano nel giro della cultura aprosiana, che si conserva a Ventimiglia nella stessa Biblioteca Aprosiana (attualmente in restauro presso la Soprintendenza per i Beni artist. e stor. della Liguria). Se le notizie fornite dal Soprani, che, del resto, le attingeva direttamente, rispondessero al vero, i rapporti tra i De Ferrari e l'Aprosio sarebbero databili già a metà circa del quinto decennio del secolo.

In una corrispondenza tra P. Aprosio e Tommaso Oderico, datata 1° apr. 1650 (Belloni, 1974, p. 31), viene citato il D. in termini da lasciare supporre una certa familiarità con l'erudito intemelio. Premessa ipotetica e possibile per i successivi contatti del pittore con i Grimaldi di Monaco e con la sua attività monegasca che infatti daterebbe dal 1651: l'ipotesi e formulata anche da Belloni (1974, p. 32), in alternativa con l'altra, secondo la quale sarebbe stata Aurelia Spinola, moglie genovese del figlio del principe regnante Onorato II Grimaldi, Ercole, che morì nello stesso 1651, a voler affidare l'opera celebrativa al compatriota. Tale ipotesi troverebbe conferma nel fatto che uno dei cicli dei discussi e assai restaurati affreschi monegaschi del D., quello della Galleria, rappresenta infatti La giovinezza, le fatiche e la morte di Ercole con chiaro riferimento iconologico e agiogiafico al giovane principe, alle sue gesta e alla sua morte precoce. Tuttavia, prima di giungere ad imprese di tale prestigio internazionale, il D. andava svolgendo in patria un'attività sempre più impegnativa, tale da giustificarne, a un certo punto, la fama oltre i confini della sua città.

Nella fattispecie, dopo aver reso l'ultimo devoto omaggio all'Ansaldo portando a termine un suo Transito della Madonna per la distrutta chiesa di S. Francesco in Castelletto, lasciato interrotto per la morte del maestro (A38), opera che, al tempo del Ratti (1768), non era più in loco, il D., che aveva certamente già alle spalle anni di professione autonomamente svolta, come ricorda anche il Ratti che cita come prima opera un S. Nicolò da Tolentino in contemplazione della Vergine per S. Agostino, intraprese a dipingere per molte chiese delle Riviere: un S. Pietro apostolo, documentato al 1640, per la cappella Vacca in S. Giacomo di Rupinaro in Chiavari (attualmente in S. Giovanni; documentato nella Biblioteca civica di Chiavari, Mss. Busco; cfr. Belloni, 1974, p. 28), e altre numerose pale d'altare, specie nelle chiese del Ponente quali quelle di Celle Ligure, Sanremo, Albenga, Loano (da Longhi, 1926, attribuita all'Assereto), Pietra Ligure, Toirano, Varazze; quest'ultime tutte restituite al D. dal Castelnovi (1971, pp. 162 s.). Tra queste anche la Madonna col Bambino e i ss. Felice da Cantalice, Michele e Lucia nella parrocchiale di Arenzano, sulla quale il Belloni (1974, p. 29) lesse la data del 1646.

Agli stessi anni, dopo il 1640, risale la pala con la Madonna e il Bambino, s. Pietro, s. Giovanni Evangelista e altri santi della parrocchiale di Loano, che il Castelnovi (1971, p. 130) considera un'opera chiave per l'evoluzione stilistica del pittore nel momento in cui, pur conservando sensibilmente i legami con l'Ansaldo, chiarisce la propria tendenza per l'ordine strutturale, la nitida scansione compositiva in rispondenze simmetriche: in sostanza, una semplificazione delle elucubrazioni manieristiche per un innato bisogno di verità. Nel 1641 il D. aveva firmato e datato ("Horat D. Ferr. F. 1641") un'Ultima Cena nel refettorio del convento di Nostra Signora del Monte, alle spalle di Genova, la prima opera firmata di suo pugno e pertanto a buon diritto da lui considerata una importante affermazione professionale.

Quest'opera è anche da considerare come una sintesi, se non come un assoluto superamento, degli schemi manieristici ansaldiani e rubensianì e delle nuove tendenze ad una forma di naturalismo, delinito sbrigativamente talvolta come un aspetto dei caravaggismo riformato. Un tipo di naturalismo che dalla fine del secondo decennio del secolo, coincidente a un di presso con il ritorno del Fiasella da Roma, era affiorato, di quando in quando, nella complicata temperie della pittura genovese della prima metà del Seicento, richiamato anche da altri eventi culturali, quali la presenza a Genova dei Vouet dal 1618 al 1621, di Orazio Gentileschi dal 1621 al 1623, del Velázquez nel 1629 e, infine, il viaggio a Roma dell'Assereto nel 1639, assai significativo per il De Ferrari.

Ma lo spirito di naturalezza e di verità, come si coglie nel Cenacolo del Monte, e ancora più nel grande Cenacolo, presumibilmente più tardo, nella sacrestia di S. Siro - opera di proporzioni veramente imponenti (m. 4,57 × 7,90) dipinta per l'oratorio dei disciplinanti (già cit. dal Soprani, 1674, p. 220; ricordata dal Longhi, 1926, p. 44; pubbl. da Labò, 1945, pp. 3-13) -, dove l'apparato prospettico, tuttora ansaldiano, si frantuma soprattutto nella puntigliosa e compiaciuta caratterizzazione dei tipi degli apostoli, delle loro espressioni e della loro gestualità accostabile al linguaggio dell'Assereto.

Le innegabili analogie con l'Assereto, tali da provocare talvolta confusioni attributive, ma giustificate anche dal comune alunnato presso l'Ansaldo che - come tiene a precisare il Castelnovi (1971, p. 133) - avvenne comunque in tempi diversi, richiedono dei distinguo nella considerazione dei contenuti. A differenza del naturalismo drammatico di Assereto, nel D. prevale il senso di una narrazione realisticamente chiara e concentrata, quasi sempre priva di concitazione, con osservazioni naturalistiche che non affondano in una visione tragica della vita, semmai con qualche compiacimento per la bella materia, quella che Longhi (1926) chiamò "le larghezze veneto-caravaggesche", alimentate dalle mai conchiuse esperienze rubensiane e vandyckiane, che infatti riaffioreranno nel D. nel momento in cui tutta la pittura genovese, con Valerio Castello, prenderà coscienza di questi valori sedimentati nella propria cultura artistica, tanto da giustificare la definizione per il D. di "barocco naturalistico", che lo stesso Longhi formulò fin dagli anni 40 (1979, p. 17).

Un punto di tangenza con l'Assereto può essere, semmai, un'altra comune esperienza vissuta in tempi sfalsati, l'accostamento ai pittori milanesi della generazione carliana (ad es. l'Estasi di s. Francesco di Palazzo Rosso: Griseri, 1959 e la Circoncisione della coll. Ferrari: Bonzi, 1960), ed è probabile che esso sia avvenuto per il tramite di Luciano Borzone, notoriamente in rapporto con Milano, i modi del quale, scarni ed espressivamente intensi, avrebbero avuto un ruolo non secondario nella complessa formazione del D. (Manzitti, 1969, p. 221); questi, tuttavia, ne interpreta il pittoricismo in chiave luministica, senza mai mortificarne il colorismo.

Significativi in tal senso sono da considerarsi dipinti come la Decollazione del Battista dell'Istituto degli orfani a Genova, restituita al D. dal Castelnovi (1971, p. 131), dopo che l'Alizeri (1846-47, p. 110-35, e 1875, p. 498), pur lasciando incerta la paternità, ne aveva colto lo spirito attribuendola a un autore "... in tutto caravaggesco"; la Lavanda dei piedi in S. Francesco da Paola (Castelnovi-Pancrazi, 1971, p. 18), opera splendidamente matura; il notissimo S. Agostino che lava i piedi a Cristo dell'Accademia Ligustica, già nella chiesa del Crocifisso; e infine, ma cronologicamente precedente, il S. Giacomo consacra s. Pietro martire vescovo di Praga nell'oratorio genovese di S. Giacomo della Marina, ancora intavolato entro le quadrature scenografiche dell'Ansaldo derivate, a loro volta, dal S. Ignazio del Rubens al Gesù, ma consapevolmente volto ad un'interpretazione pittorica del luminismo caravaggesco, che ha indotto il Castelnovi (1953, p. 24) a rievocare la pittura del Piazzetta.

Quest'ultimo dipinto è firmato e datato ("Horat. s. Fer. s. F/1647") e, pertanto, non solo fornisce un'importante documentazione per una delle tappe stilistiche del pittore, ma offre un termine cronologico, o, in ogni caso, un orientamento, anche per la datazione degli altri importanti dipinti dello stesso oratorio che rappresentano una vera e propria insostituibile antologia della pittura genovese. Uno di questi dipinti è un'altra opera del D., la Vergine del Pilar appare a s. Giacomo, non datata, ma probabilmente un poco più tarda della prima storia, per una certa enfasi nei gesti dei personaggi e per un incrociarsi di complesse diagonali compositive ad andamento libero e aperto, tale da far pensare a un nuovo orientamento stilistico del D. in direzione del gusto barocco, che stava giusto aprendosi a Genova sulla scia del Castiglione e di Valerio Castello, ambedue presenti nell'oratorio.

In questa fase di attività dei D. intorno alla metà del secolo, fase che, raccogliendo il suggerimento longhiano, continueremo a chiamare dei barocco naturalistico, dovrebbero cadere dipinti quali le due versioni del Sacrificio di Isacco nel palazzo vescovile di Udine (Longhi, 1961, p. 499) e nella Pinacoteca di Ascoli Piceno (P. Torriti, Mostra di opere restaurate, Urbino 1970, pp. 176 s.); le due versioni del Cristo guarisce il cieco nato conservate in Palazzo Bianco e nella Quadreria della Cassa di risparmio di Genova e Imperia a Genova, già in palazzo Doria di via Nuova (Garibaldi), dove è registrato dalle guide antiche (Torriti, 1970, p. 137); il Cristo e l'adultera di Palazzo Bianco, nel quale riaffiora, tra le altre, la componente fiamminga in un'interpretazione più vandyckiana che rubensiana - che si ritroverà anche nelle varie versioni degli Ecce Homo: Brera; palazzo Torriglia a Chiavari (cfr. Podestà, 1964, p. 113, fig. 4); Gall. Corsinì di Roma (già attribuita al Van Dyck stesso e, fin dal 1916, da Longhi messa in relazione con il D., cui ormai è restituita); quella in collezione privata genovese (Pittori genovesi..., 1969, scheda e fig. 19), nella quale vanno riconosciute, oltre le componenti vandyckiane e caravaggesche, le tracce del manierismo tardivo del Cigoli, e proprio nelle soluzioni date al dipinto eseguito per il famoso concorso Massimi cui, com'è noto, partecipò anche il Caravaggio con il quadro di Genova.

Stesso clima stilistico di ascendenza vandyckiana anche nel Cristo alla colonna della Pinacoteca di Savona restituita al D. (Podestà, 1964, fig. 6; La Pinacoteca di Savona, 1975, sch. 41) dopo che da Longhi (1926) era stata data all'Assereto, e nella versione dello stesso tema, di notevole qualità, conservata nel convento dei cappuccini di Voltaggio (Romano, 1978, pp. 136 s.). A queste possono essere associate le due versioni, variate nelle figure dei carnefici, del Martirio di s. Lorenzo nel Museo nazionale di Cagliari (Naitza Scano, 1974), e in collezione privata (Belloni, 1971, fig. 10), dove la posa e la torsione della figura del santo non vanno messe tanto in relazione con il drammatico Martirio di s. Bartolomeo dell'Assereto all'Accademia Ligustica, com'è stato fatto, quanto con un certo trapasso da moduli manieristici a soluzioni prebarocche. Anche in tutte queste opere, infatti, nonostante le insistenti analisi veristicamente tipologiche dei manigoldi, la gamma cromatica calda e luminosa che impreziosisce la superficie pittorica e le stesse pose dei diversi protagonisti, via via sempre più teatralmente esasperate, denunciano l'orientamento del Pittore verso il "barocco naturalistico". Il Sacrificio di Isacco nella versione della Pinacoteca di Savona, già attribuita all'Assereto ma restituita al D. dal Castelnovi (1971, p. 163), rivela poi una enfasi e un empito dinamico del tutto inconsueti nel pittore e pertanto rivelatori di un orientamento stilistico non ancora del tutto collaudato.

Questo è anche il momento, 1651-52, nel quale vanno a cadere il soggiorno e i lavori monegaschi in palazzo Grimaldi, dei quali sopravvivono con certezza i citati affreschi, sia pure ripresi più volte, delle quattordici lunette con le Storie di Ercole della Galleria, mentre la Storia di Alessandro Magno, con i Segni dello zodiaco nei pennacchi, affrescata nella sala del trono, risulta francamente di difficile lettura ed attribuzione. Del resto, di tutta l'attività di frescante del D. non è più possibile dare un giudizio critico, né fissare un parametro di confronto: perduti l'Assunta e i quattro evangelisti nel coro della distrutta chiesa di S. Vito, gli affreschi di S. Andrea., quelli della cappella Lercari alla Consolazione, sconciate le storie affrescate nella cappella di S. Andrea Avellino in S. Siro (di cui restano invece due tele), 'tutti affreschi genovesi documentati dalle fonti, a cui vanno aggiunte le distrutte "... pitture a fresco nel coro della Chiesa di S. Vittore" - anche essa distrutta - indicate da un ms. dell'Archivio di Stato di Genova (839, c. 2) riferito da Belloni (1974, p. 35).

Le fonti e la letteratura monegasca (Saige, 1891; Labande, 1918, pp. 170 s.) lasciano intuire che, oltre gli affreschi, il D. fornì al principe Onorato II oggetti di antiquariato e di curiosità, nonché tele sue, di cui un elenco, con rispettivi soggetti, è pubblicato da Belloni (1974, p. 35), sulla scorta di una fonte non precisata, datata 1731. Certo il principe monegasco dovette tenere il pittore genovese in grande considerazione, se nel novembre del 1652, nella locale chiesa di S. Nicola, gli conferì (Soprani, 1674) il collare dell'Ordine di S. Michele, che consentì al pittore di fregiarsi del titolo di cavaliere; il che egli fece talvolta anche nel firmare i suoi dipinti successivi a quell'evento, come, ad es., l'Adorazione dei pastori con s. Francesco dell'Albergo dei poveri a Genova, firmata e datata "Il Cavall. Orat. De Ferrari F. 1653", e, probabilmente, il Transito di s. Giuseppe della parrocchiale di Sestri Levante firmato e datato: "... [illegg.] Oratius De Ferr.i 1654".

Tra i lavori di questo ultimo periodo della sua vita vi sono le tele da lui eseguite per il ciclo del Santo Volto in S. Bartolomeo degli Armeni a Genova.

Per esse disponiamo di una documentazione di prima mano: la relazione manoscritta (1672) di un barnabita, testimone oculare degli avvenimenti (Arch. di Stato di Genova, n. 246, cc. 17-18: Relazione dell'acquisto di S. Bartolomeo degli Armeni), resa nota da Belloni (1975, pp. 16 s.); nella relazione viene anche espresso il giudizio molto lusinghiero che sul pittore correva in quel 1654: "tra i pittori di Genova era allora o il primo o a nessun altro secondo". A lui infatti era stata affidata la commissione dell'intero ciclo (che doveva aggiungersi alla pala preesistente del Paggi), commissione che, interrotta per la morte del D., fu poi portata avanti da altri pittori. Secondo il documento citato, i quadri effettivamente eseguiti dal D. e pagati di tasca dal padre provinciale dell'Ordine furono quattro: Anania tenta invano di dipingere il ritratto di Cristo ordinatogli da re Abgar; Anania riceve da Cristo il velo con la sua vera immagine; Anania vede in sogno il Volto Santo circonfuso di fuoco; Anania presenta il Volto Santo da lui dipinto al re Abgar. Di queste storie non esiste più il terzo episodio, il Sogno di Anania, ma le tele tuttora esistenti, e in loco, sono sufficienti a ribadire la tendenza del pittore ad accentuare, attraverso la magniloquenza degli atteggiamenti, le tonalità cromatiche eccezionalmente chiare e luminose, quasi prive di contrasti chiaroscurali, il senso del "magico", del "fantastico", con il quale egli offre un'interpretazione tutta barocca dell'agiografia edessena (Dufour Bozzo, 1974).

Il D. morì a Genova, con tutta la sua famiglia, durante la peste del 1656-57.

Fonti e Bibl.: R. Soprani, Le vite de' pittori, scoltori et architetti genovesi..., Genova 1674, pp. 219 s. (221 per Giov. Andrea); R. Soprani-C. G. Ratti, Vite de' pittori, scultori, ed architetti genovesi, I,Genova 1768, pp. 211, 286-89; J. H. Füssli, Alliemeines Künstlerlexikon…, Zürich 1779, p. 233; C. G. Ratti, Instruzione..., Genova 1780, I, pp. 73, 91, 93, 100 s., 103 ss., 146, 203, 223, 246, 336 (ma risultata poi opera di B. Carbone), 337, 345. 390; 11, pp. 25, 57, 59; Descriz. della città di Genova da un anonimo del 1818, a cura di E. e F. Poleggi, Genova 1969, p. 99; G. Banchero, Descriz. di Genova..., III,Genova 1846, p. 49; F. Alizeri, Guida artistica di Genova, I-II,Genova 1846-47, passim; Catal. d. Esposiz. artistico-archeologico-industriale, Genova 1868, p. 64; F. Alizeri, Guida... per la città di Genova, I,Genova 1875, pp. 61, 65, 78, 133, 142, 144, 195, 383, 412, 498; G. Saige, Documents histor. relatifs à la principauté de Monaco depuis le quinzième siècle, Monaco 1891, p. CLXV; W. Suida, Genua, Leipzig 1906, p. 185; G. B. Cabella, Pagine voltresi, Genova 1908, pp. 229 s.; L. H. Labande, Inventaires du Palais de Monaco, Monaco 1918, pp. 170 s.; R. Longhi, Scritti giovanili [1916; 1922], Firenze 1961, pp. 260, 2681 499, 500, 547; M. Labò, L'Oratorio di S. Giacomo della Marina..., in Il Comune di Genova, IV (1924), pp. 432 ss.; R. Longhi, L'Assereto (1926), in Saggi e ricerche, Firenze 1967, ad Ind.; Mostra di pittori genovesi del Seicento e Settecento (catal.), Milano 1938, p. 39; M. Labò, Il Cenacolo di O. D. a S. Siro di Genova, in Emporium, CI (1945), pp. 3-13; A. Morassi, Mostra d. Pittura del '600 e '700 in Liguria (catal.), Genova 1947, pp. 69 s. n. 85; G. V. Castelnovi, I dipinti di S. Giacomo della Marina, Genova 1953, pp. 23-26; M. Bonzi, La "Susanna" di O. D., in Genova, settembre 1956, p. 15; A. Griseri, Appunti genovesi, in Studies in the History of Art dedicated to W. E. Suida, London 1959, pp. 320 s.; M. Bonzi, Un'opera di O. D., in Liguria, XXVII (1960), 6, p. 16; P. Rotondi, Arte a Sarzana (catal.), Genova 1961, n. 34; R. Manning-B. Suida Manning, Genoese masters Cambiaso to Magnasco (catal.), Dayton, Ohio, 1962, n. 30; P. Torriti, La Quadrera dell'Acc. Ligustica... in Genova, Genova 1963, tavv. XLIX (attrib. altern. con Gio. Andrea De Ferrari); L. A. Podestà, Inediti di Pittori genovesi del XVII sec., in Emporium, CXXXIX (1964), pp. 113-16, figg. 2-6; C. Marcenaro-I. M. Botto, Dipinti genovesi del XVII e XVIII sec., Genova 1964, p. 12, schede VIII, IX; A. Pérez Sánchez, Pintura ital. del siglo XVII en España, Madrid 1965, p. 531; C. Dall'Orto, Voltri. Antologia di cose fatti e Personaggi, II,Genova (Voltri) 1967, pp. 347 ss.; Pittori genovesi a Genova nel '600 e nel '700 (catal.), Genova 1969, pp. 47-55; C. Manzitti, Riscoperta di L. Borzone, in Commentari, XX (1969), pp. 217, 221 s.; P. Torriti, Tesori di Strada Nuova, Genova 1970, p. 137; A. Pérez Sánchez, Pintura ital. del siglo XVII (catal.), Madrid 1970, nn. 77, 78 (attrib. non condivise); P. Torriti, Ricordi di vecchie gallerie genovesi, in Studi di storia d. arte in on. di A. Morassi, Venezia 1971, p. 243, fig. 3; G. V. Castelnovi, in La pittura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, Genova 1971, pp. 130-35, 162 s.; G. V. Castelnovi-E. Pancrazi, La basilica di S. Francesco da Paola..., Genova 1971, p. 18, tavv. XIII-XV; D. Bodart, Notes sur l'influence flamande dans la peinture génoise du XVIIe siècle, in Revue des archéologues et historiens d'art de Louvain, IV (1971), p. 181; G. Meriana-C. Manzitti, Alta Valle Scrivia…, Genova 1973, pp. 1 32, 139; L. Alfonso, Liguri illustri: A. Ansaldo e O. D., in La Berio, XIII (1973), 2-3, pp. 82, 83; V. Belloni, Penne, pennelli e quadrerie, Genova 1973, pp. 52, 57, 64, 66; C. Dufour Bozzo, Il "Sacro volto" di Genova, Roma 1974, pp. 76-80; V. Belloni, Pittura genovese del Seicento, II, Maestri e discepoli, Genova 1974, pp. 25-39, 138 (con indicazioni di documenti d'archivio); Id., Caröggi crêuse e möntae. Documenti di storia, cultura, mecenatismo, vita genovese dal Cinque all'Ottocento, Genova 1975, pp. 16 ss.; M. G. Naitza Scano, Due inediti di O. D. al Museo naz. di Cagliari, in Studi sardi (Sassari), XXIII (1974), pp. 2-21; P. Torriti, Le collezioni d'arte della Cassa di risparmio di Genova e Imperia, Genova s. d. [ma 1975]; La Pinacoteca di Savona (catal.), Savona 1975, schede 40 s., p. 274; M. Newcome Schleier, Maestri genovesi dal Cinque al Settecento, in Biblioteca di disegni, X, Firenze 1977, p. 12; G. Romano, in Musei dei Piemonte: opere restaurate (catal.), Torino 1978, pp. 136 s., nn. 25, 36; M. G. Naitza Scano, Un altro inedito di O. D., in Studi sardi, XXIV (1978), pp. 271-79; R. Longhi, Progetti di lavoro: "Genova Pittrice",in Paragone, XXX (1979), 349-51, pp. 15, 17 s., 22 s., tavv. 86-91; Repertorio di bibliografia per i Beni culturali della Liguria, a cura di L. Grassi Maltese, Genova 1980, p. 368; G. Fusconi, Revisione degli studi sui disegni genovesi tra Cinque e Settecento, in Boll. d'arte, LXV (1980), fasc. 6, pp. 58, 62; G. Fusconi-E. Gavazza, Disegni genovesi dal XVI al XVII sec. dalle collez. del Gabin. naz. d. stampe (catal.), Roma 1980, p. 114; M. Marini, Caravaggio e il naturalismo internaz., in Storia dell'arte ital., II, 2, Torino 1981, pp. 430 s.; J. K. Ostrowski, Van Dyck et la peinture génoise du XVIIe siècle, Cracovie 1981, p. 43; La Liguria delle Casacce (catal.), II, Genova 1982, p. 52, scheda 36; F. Marzinot, Un patrimonio da salvare. L'Oratorio di S. Giacomo della Marina, in La Casana, XXIV (1982), p. 13; Le collez. del Museo di Capodimonte, a cura di R. Causa, Milano 1982, pp. 104 e fig., 147; I. M. Botto, in Il Museo dell'Accademia Ligustica di belle arti. La Pinacoteca, Genova 1983, scheda 53, pp. 41 s.; G. Biavati, Preliminari a Stefano Magnasco, in Paragone, 1984, n. 409, pp. 4-39 passim; C. Astro-L. F. Thevenon, La peinture au XVII s. dans les Alpes-Maritimes, Nice 1985, pp. 14-25; V. Belloni, A proposito di cinque tele sconosciute di O. D., in La Squilla (Recco), sett-ott. 1985, pp. 24-26; P. Donati, in Gall. naz. di Pal. Spinola: interventi di restauro, 9, Genova 1986, pp. 45-48; F. R. Pesenti, La pitt. in Liguria…, Genova 1986, pp. 433-88; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, pp. 459 s. (sub voce Ferrari, Orazio de'); Encicl. Ital., XII,p. 480; Diz. encicl. Bolaffi, IV, pp. 398 s. (sub voce Ferrari, Orazio de).

CATEGORIE
TAG

Giovanni andrea de ferrari

Giovanni andrea ansaldo

Museo di capodimonte

Adorazione dei magi

Orazio gentileschi