ORDINI ARCHITETTONICI

Enciclopedia Italiana (1935)

ORDINI ARCHITETTONICI

Giorgio ROSI

. In senso generico si chiama in architettura ordine una serie di elementi simili, allineati orizzontalmente, come finestre, arcate, nicchie, mensole, e così via. Ma più particolarmente si chiama ordine architettonico quell'organismo che struttivamente si ricollega al sistema trilitico ed è cioè costituito da tre elementi dei quali due portanti e uno portato, e che esteticamente presenta caratteristiche costanti e corrispondenti a determinate regole decorative e stilistiche.

Perché si possa parlare di ordine architettonico è necessario infatti che gli elementi portanti o di piedritto abbiano una forma particolare che è quella, secondo i casi, della colonna o del pilastro il quale ne è la derivazione; e che l'elemento portato presenti quelle caratteristiche decorative oltre che costruttive per le quali esso prende a volta a volta il nome di trabeazione o di architrave o di cornice. Questa definizione può apparire artificiosa in quanto comprende solo forme stilisticamente già mature e determinate, escludendo quelle rudimentali dalle quali le prime sono derivate; ma è giustificata dal fatto che senza una certa determinatezza formale si ritorna all'accezione generica accennata in principio e che appunto perché generica non presenta speciale interesse.

Invece nei limiti più ristretti ora definiti l'ordine architettonico costituisce una creazione artistica d'importanza eccezionale, che attraverso lunghi e varî sviluppi è stata per secoli il mezzo espressivo fondamentale dell'architettura europea.

Le regioni nelle quali si formarono gli ordini architettonici furono quelle del bacino del Mediterraneo orientale e dell'Asia anteriore, le cui civiltà (egiziana, cretese, micenea, ecc.) ce ne presentano quelli che possiamo considerare i primi esempî già sufficientemente formati.

L'espressione stilistica del trilite che ci lasciarono gli Egiziani, mentre dal punto di vista costruttivo risponde maggiormente al concetto e all'etimologia del sistema, non presenta in modo completo gli elementi formali che caratterizzano l'ordine. Anche l'architettura persiana, se sotto l'aspetto della funzione delle varie parti si avvicina maggiormente al tipo che fu poi l'organismo architettonico classico che ebbe e diffuse il nome di ordine, non contribuì alla sua formazione, ché anzi gli elementi decorativi di essa rimasero per la maggior parte isolati e senza sviluppi.

Al contrario, le forme dell'arte preellenica del bacino egeo (minoica, micenea, protodorica) si debbono considerare come i primi esempî di quella fusione tra forme costruttive e decorative, che diede origine agli ordini nell'architettura classica.

Nelle colonne, quali appaiono negli edifici e nelle rappresentazioni pittoriche dei palazzi di Creta e delle stazioni continentali della civiltà micenea, si trovano infatti già formati gli elementi caratteristici dell'ordine dorico greco: il capitello, costituito da una scozia e da un grosso toro sorreggente l'abaco, contiene già gli elementi che sviluppandosi daranno origine al dorico arcaico. Degna di nota è in questo campo, una caratteristica che riapparirà dopo secoli e per ragioni ben diverse nell'architettura dell'alto Medioevo, e che consiste nella rastremazione del fusto inversa rispetto a quella che fu poi comune alla colonna nei tempi successivi. Infatti le colonne minoiche e micenee sono svasate verso l'alto e si è riconosciuta in questa forma, insolita e contraria alla sensibilità estetica e struttiva comune, una prova dell'origine naturalistica delle forme decorative, in quanto essa deve considerarsi derivata dall'imitazione del fusto della palma usata in quelle regioni per la costruzione dei sostegni lignei. Anche il motivo decorativo a zig-zag che avvolge il fusto si può considerare la stilizzazione della corteccia della palma.

Nel periodo arcaico dell'architettura greca, gli ordini architettonici presero una forma definitiva, nelle loro linee generali, polarizzandosi fin da principio in due sistemi che si dicono dorico e ionico, ai quali si aggiunsero poi il corinzio, che fu dapprima una varietà dello ionico, e presso i Romani il toscano e il composito.

Prima degli elementi e degli sviluppi particolari di ciascuno di essi, conviene esaminare i caratteri e le vicende comuni a tutti, giacché gli ordini architettonici, espressione d'una stessa civiltà artistica, ebbero evoluzione e sorti analoghe.

Il dorico e lo ionico si formarono contemporaneamente fra il secolo VII e il VI sulle rive opposte dell'Egeo, dello Ionio e del Tirreno, dove ebbero le massime manifestazioni nei templi dei santuarî più famosi. Il tipo planimetrico e costruttivo di questi edifici era allora, e rimase per secoli, pressoché immutato (v. tempio) mentre le forme stilistiche dei loro elementi subirono ininterrottamente un'evoluzione che rispecchiò il gusto dei tempi e che si può riassumere in un raffinamento progressivo degli effetti, ottenuto con la diminuzione dei contrasti e degli aggetti, l'assottigliamento delle membrature, l'irrigidimento delle curve. In qualche monumento, la cui costruzione si protrasse per lungo tempo o che ebbe a subire trasformazioni e parziali ricostruzioni, le fasi successive si scorgono talora appunto per le diversità che le varie parti presentano fra loro: l'esempio più completo di tale fenomeno si trova oggi nello Heraīon di Olimpia, nel quale le colonne lignee dell'antichissimo tempio, di cui una era ancora in situ al tempo di Pausania, furono sostituite durante il corso di varî secoli da altre in pietra, cosicché i loro caratteri mutarono continuamente, seguendo l'evoluzione dello stile, che in quel periodo di formazione fu rapida e profonda.

Dagli edifici sacri gli ordini passarono a far parte anche di altre costruzioni pubbliche come portici (στοαί), accessi monumentali (propilei), grandi sale di riunione (v. ipostilo), e così via, finché in periodo ellenistico li troviamo usati nell'edilizia privata, in forme ormai stereotipe e scheletrite, ma di non comune eleganza.

La ricerca di novità che caratterizzò in tutte le arti il periodo ellenistico, si manifestò in questo campo dell'architettura, oltre che nelle proporzioni, anche nell'uso degli ordini architettonici, e specialmente con l'uso promiscuo di essi in uno stesso edificio. Già nel sec. V, e forse nel VI, si erano avuti nello stesso tempio ordini diversi all'esterno e all'interno: ciò si suppone ad es. per il Partenone, si constata nel tempio di Basse e nei propilei di Atene, tutti del sec. V; soluzioni analoghe erano nel tempio di Tegea, nella thólos di Epidauro e in altri edifici del sec. IV. Ma più immediato contatto ebbero poi il dorico e lo ionico negli edifici civili di rilevanti dimensioni, come le στοσί già citate e le grandi sale ipostile riservate alle adunanze numerose. In queste, dovendosi provvedere a sostenere le coperture per mezzo di numerosi piedritti, per lo più colonne, di altezze diverse per le inclinazioni dei tetti, si preferì per quelle più alte lo ionico, per le altre il dorico, secondo le proporzioni caratteristiche di ciascun ordine. La sala ipostila di Delo mostra il più significativo esempio di questo e di altri minori adattamenti degli ordini alle speciali necessità dell'edificio.

Cammino parallelo dovette in pari tempo seguire l'architettura etrusca della quale, per quanto riguarda le forme degli ordini, ben poco conosciamo di sicuro, essendo l'alzato degli edifici etruschi in legno e quindi interamente scomparso. Ma, come dalle descrizioni di Vitruvio e dal ritrovamento delle sostruzioni in pietra possiamo farci un'idea del loro tipo planimetrico, così da qualche avanzo, specie d'architettura funeraria, dai rivestimenti fittili ritrovati e dalla sopravvivenza nell'architettura romana di varî elementi e perfino di un nuovo ordine, che poi si disse appunto toscano, possiamo arguire le loro caratteristiche estetiche. Di queste, non molto dissimili nell'insieme da quelle dell'architettura greca, sono degne di nota il frequente uso di motivi decorativi figurati, e dell'alto stilobate, accessibile da un lato solo per mezzo d'una gradinata, che diede origine al piedistallo, il quale fu a sua volta una delle più notevoli innovazioni dell'architettura romana.

A questo punto dell'evoluzione artistica italica e greca la conquista romana permise la fusione delle due correnti, dalla quale, dopo un primo periodo di predominanza formale greca, si sviluppò nello stesso tempo e per effetto del perfezionamento costante del lato costruttivo negli edifici a vòlta, la vera grande architettura romana, che ridusse gli ordini architettonici greci a una funzione puramente decorativa; non però secondaria, ché anzi alcuni schemi come quello dell'ordine che inquadra l'arco, furono un motivo costante e caratteristico di tutta l'arte romana. Appunto per il nuovo indirizzo decorativo dato agli ordini architettonici dagli artisti romani, ebbe grande sviluppo l'uso di sovrapporli in uno stesso edificio, non più due soli, come avevano già fatto i Greci in certe grandi στοαί, ma fino a quattro, come nel Colosseo a Roma, dove, al disopra dei tre piani di arcate inquadrate successivamente da mezze colonne doriche, ioniche e corinzie, si svolge un quarto ordine di semipilastri sormontati da un robusto cornicione a forti mensole. Di questo uso, dovuto alla grandiosità delle costruzioni romane a varî piani, si trovano esempî in edifici d'ogni sorta e destinazione, teatri, palazzi, archi trionfali (Atene, Eleusi), porte civiche (Treviri), tombe (Saint-, Rémy, Petra) e soprattutto in quella che fu la più fastosa manifestazione dell'architettura romana, le pubbliche terme. Ai tre ordini greci si aggiunse allora il composito, di creazione prettamente romana, mentre il dorico si veniva trasformando, per influsso dell'arte italica precedente, verso quel tipo che fu poi detto appunto toscano.

Nell'architettura del basso impero gli elementi degli ordini cominciarono a essere adoperati con maggiore libertà, come nel caso delle colonne sorreggenti direttamente gli archi, finché anche gli elementi stessi cambiarono di proporzione, di sagomatura e di decorazione per essere poi sostituiti da forme completamente nuove. Per tutto il Medioevo gli ordini sembrarono e furono dimenticati, nonostante qualche isolata apparizione, dovuta evidentemente a quell'emulazione dell'antico che rimase sempre viva nei centri di maggiore cultura. Tali sono certi colonnati romanici toscani e cosmateschi nei quali tutto spira gusto e tradizioni classiche.

Col Rinascimento l'imitazione dell'antico, lo studio e l'interpretazione dei trattati romani, il gusto dell'arte regolata da canoni matematici stabiliti, riportarono in onore gli ordini classici. Fu dapprima un'imitazione dei singoli elementi usati però secondo schemi spiccatamente quattrocenteschi, ben diversi da quelli romani. Poi, nel Cinquecento, furono gli stessi schemi romani applicati quanto era possibile agli edifici nuovi; tornò così l'ordine a inquadrare le arcate e le nicchie, il pilastro composto a sostituire la colonna isolata, e così via. Nello stesso periodo, a diffondere quella che si chiamava la buona architettura, si cominciarono a scrivere i trattati sugli ordini, trattati che volevano essere volgarizzazioni di Vitruvio, ma erano in realtà codificazioni, un po' fredde come tutte le regole astratte, del gusto personale degli autori. I trattati furono numerosi, opera di artisti anche valentissimi, come L. B. Alberti, S. Serlio, A. Palladio, V. Scamozzi e altri minori. Loro scopo fu di stabilire regole numeriche fisse, basate su una unità di misura detta modulo che fu il diametro o il semidiametro della colonna alla base, per stabilire le proporzioni delle altre membrature. Nelle figure a p. 470 si ha il raffronto delle proporzioni dei varî ordini secondo diversi autori.

Il sistema ebbe un'importanza più didattica che artistica giacché gli architetti seguitarono a disegnare gli ordini obbedendo alla loro sensibilità, specialmente nei secoli successivi, quando la fantasia regnò nell'architettura come nelle altre arti, manifestandosi però, più che nelle forme degli elementi, nel modo di riunirli in composizioni impreviste e suggestive, piene di contrasti e di effetti.

La passione archeologica, iniziatasi alla fine del sec. XVIII e cresciuta nella prima metà del XIX, fece tornare in onore gli ordini antichi, specialmente greci, la cui fredda eleganza contrastava e reagiva all'impeto delle composizioni barocche, derivate attraverso il Rinascimento dagli ordini romani. Anche a questa tendenza non mancarono i teorici, come A. R. Mengs, J. J. Winckelmann, e sopra tutti F. Milizia, acerrimo critico dell'arte dei secoli immediatamente precedenti il suo. Dopo la moda archeologica, più erudita che ispirata, il tentativo di adattare gli ordini ai materiali e ai bisogni nuovi mise in onore strane forme tratte da motivi di decorazione architettonica classica e tradotte in ferro e in ghisa; infine la tendenza alla nuda semplicità ha schematizzato e irrigidito gli antichi gloriosi elementi in rudi stilizzazioni geometriche.

Ordine dorico. - L'ordine dorico, che appare contemporaneamente nella Grecia propriamente detta e nelle colonie greche d'Occidente (Italia Meridionale e Sicilia), ha evidenti punti di contatto con quelle forme dette appunto protodoriche, delle quali si è parlato a proposito dell'arte cretese-micenea. Ci mancano però i punti intermedî dell'evoluzione e gli stadî preparatorî dell'ordine dorico che ci appare già stilisticamente formato fra il sec. VII e il VI a. C. Tale mancanza deve essere spiegata col fatto che prima di quel tempo l'alzato degli edifici era in gran parte di legno ed è quindi scomparso senza lasciare avanzi. Cosicché dei templi più antichi (Thermos, Prinià) si può riconoscere il tipo planimetrico, ma solo congetturare le caratteristiche dell'elevazione. Dell'originaria costruzione lignea l'ordine dorico si può però considerare come la stilizzazione in pietra specialmente, come vedremo, in alcune parti della trabeazione.

Nel dorico arcaico i due elementi costitutivi dell'ordine, colonna e trabeazione, constano già delle parti che, pure attraverso tante evoluzioni e trasformazioni, rimarranno sempre caratteristiche di questa forma di arte. La colonna risulta di un fusto e di un capitello; la trabeazione si divide in architrave, fregio e cornice, che nell'arte greca prende il nome di γεῖσον. Il fusto, decorato di scanalature verticali a spigolo vivo (da 16 a 24 nel periodo più arcaico, 20 nel periodo classico), è dapprima rastremato secondo una superficie conica; in seguito il suo profilo segue una larghissima curva a cui si dà il nome di entasi. Il capitello si compone d'un abaco di pianta quadrata e d'un echino di pianta circolare e d'una forma che potrebbe paragonarsi a quella d'un bacile più o meno svasato. Sotto l'echino in alcuni esemplari più arcaici si trova una strozzatura a profilo di scozia che ricorda l'analogo elemento miceneo; nei tipi più formati restano invece tre sottili solchi a segnare l'inizio del fusto.

Sul capitello sta appoggiato l'architrave, la parte cioè della trabeazione alla quale è affidato l'ufficio statico di sostenere quelle soprastanti, che costituiscono la copertura dell'edificio. Privo, salvo rarissime eccezioni (Asso nella Troade), di decorazione, esso consta di grossi blocchi e regge quella parte intermedia della trabeazione che si disse genericamente per tutti gli ordini fregio e che per il dorico in particolare prese il nome di triglifo, per la presenza dei triglifi (v.), elementi decorativi che lo spartivano ritmicamente in scomparti uguali, detti metope (v.). La cornice infine presenta un gocciolatoio molto sporgente, quasi privo di sottocornice, cioè di modanature di sostegno, e con la faccia inferiore inclinata secondo le necessità pratiche della sua funzione. Questa faccia inferiore fu divisa da mutuli, cioè da una sorta di larghe bassissime mensole inclinate, costellate di piccoli rilievi circolari dette gocce e corrispondenti, in numero doppio, ai sottostanti triglifi. I triglifi e i mutuli sono stati interpretati appunto come la sopravvivenza decorativa di forme strutturali lignee, rappresentando gli uni le testate delle travi del soffitto interno, gli altri le tavole chiodate al disotto della gronda. Questa fu costituita dalle modanature sovrastanti al gocciolatoio, dette sima, interrotta da doccioni per lo più in forma di teste d'animali (leoni, arieti) e coronata da antefisse salienti in corrispondenza dei filari di tegole del tetto retrostante.

I mezzi costruttivi e i caratteri estetici di ciascuna parte dell'ordine si troveranno sotto le rispettive voci. Nell'architettura greca gli uni e gli altri rimasero quasi sempre gli stessi, cambiando solo le loro proporzioni reciproche secondo una linea evolutiva costante, per la quale, come si è accennato, dalla robustezza quasi eccessiva degli edifici del sec. VI, dovuta alla forte rastremazione della bassa colonna, all'echino schiacciato e fortemente espanso, alla trabeazione altissima (fino a 1/4 dell'intero ordine), con l'architrave molto sviluppato, si passò gradatamente durante il sec. V, a forme più equilibrate e armoniche, fino alla gracile eleganza dell'architettura del periodo ellenistico, dalla colonna slanciata variamente scanalata, dal piccolo capitello appena svasato, dalla trabeazione sviluppata longitudinalmente, anche per la maggiore distanza interposta fra colonna e colonna. Più che l'esposizione di dati numerici, la cui varietà è illimitata, vale a dare un'idea di siffatta evoluzione il confronto visivo fra monumenti delle varie epoche riuniti nelle tavole.

Fino a tutto il periodo di formazione dell'architettura romana, anche in Italia lo stile dorico seguì la stessa evoluzione che in Grecia. Nell'ambito della civiltà etrusca esso fu però una forma importata e di frequente trasformata dal gusto locale come si vede ad esempio nelle cosiddette tombe doriche di Norchia. Con l'affermarsi dell'architettura romana il dorico greco fu dapprima adattato agli schemi romani, come ad esempio a Roma stessa nel Tabularium, dove un ordine dorico d'imitazione greca inquadra le arcate di struttura prettamente romana; poi gradatamente trasformato verso quelle forme che, per reminiscenza erudita della loro derivazione etrusca, furono dette ordine toscano. Anche Vitruvio infatti nel sec. I d.C. dà per il dorico regole ben diverse da quelle del dorico greco, e vano sarebbe cercare applicazioni di quest'ultimo nei monumenti italiani del suo tempo, e più ancora in quelli successivi.

Solo in qualche località della Grecia, seguendo forse inconsueti criterî di rispetto o di ambientamento, si costruirono per opera degl'imperatori di Roma edifici fedelmente ispirati ai modelli greci del periodo migliore, come ad esempio i Grandi Propilei e il Tempio di Artemide, sorti a Eleusi al tempo di Adriano e di Antonino Pio.

A Roma, invece, gli elementi dorici vennero trasformandosi variamente: si adottò più spesso l'architrave tripartito proprio dell'ordine ionico (vedi appresso); si abolirono i triglifi del fregio e si trascurò la loro corrispondenza con le colonne sottostanti, in modo da aumentare l'intercolunnio secondo i nuovi usi decorativi dell'ordine, destinato il più delle volte a incorniciare archi; si aggiunse alla colonna la base e il piedistallo, si stabilizzò il profilo dell'echino in un quarto di cerchio; si rinunciò generalmente alle scanalature del fusto e si aggiunse invece al disopra di esso e al disotto dell'echino una piccola modanatura isolata, detta collarino, in modo da creare in continuazione del modesto capitello una zona anulare simile all'anthémion (ἀνϑέμιον) del capitello ionico.

In queste forme il dorico fu risuscitato dagli artisti del Rinascimento ed ebbe singolare fortuna, specialmente durante il Cinquecento, per il suo carattere di geometrica semplicità. Né molto dissimile fu il dorico adoperato nei secoli successivi, quando la fantasia degli architetti si manifestò più che altro nelle applicazioni grandiose e originali, delle quali l'esempio più imponente è certamente il colonnato berniniano di S. Pietro a Roma, che ci mostra appunto l'uso in forme planimetricamente insolite di un ordine dorico fedele alle regole dei trattati.

Per effetto della crescente erudizione archeologica il dorico greco rinacque nel secolo XIX ed ebbe frequenti manifestazioni, alle quali però la grandezza delle dimensioni non evitò la fredda artificiosità propria delle opere derivate più dallo studio che dalla fantasia.

Ordine ionico. - Apparve dapprima nelle colonie greche dell'Asia Minore, presso le quali rimase sempre in onore, dando forma ai santuarî maggiori, mentre nel resto della Grecia si diffuse specialmente per i templi più piccoli. L'origine naturalistica floreale dell'elemento decorativo più saliente dello ionico, la voluta del capitello, sembra dimostrata dai tipi più arcaici (Neandria, Atene), dove essa parte dal fusto e si avvolge sui due lati opposti contenuta entro piani frontali paralleli, come la trasformazione plastica d'una primitiva decorazione pittorica. Anche per la trabeazione ionica si è supposta un'origine tettonica lignea, spiegando i dentelli, che negli esempî più antichi occupano il posto del fregio, come i travicelli della copertura che in certe tombe della Licia erano ancora fedelmente riprodotti. Nelle forme più mature, però, queste sopravvivenze sono profondamente trasformate e difficilmente riconoscibili.

La colonna consta qui, oltre che del fusto e del capitello, della base, ed è decorata da scanalature più numerose che nel dorico (24 nel periodo classico, ma fino a 44 nel periodo arcaico) più profonde e separate da listelli. Il capitello, di proporzioni e tipi varî, più o meno ricchi di modanature e d'intagli ornamentali, presenta come elemento caratteristico due volute, al disopra delle quali si appoggia l'abaco di pianta quadrata. La presenza delle volute porta come conseguenza che i lati del capitello risultino simmetrici a due a due, ma non tutti uguali. Nel caso più comune d'un ordine svolgentesi su quattro lati d'un edificio o d'una corte, la diversità dei lati ortogonali dello stesso capitello portava l'interruzione nella continuità d'aspetto dell'insieme; all'inconveniente si ovviò con la creazione d'un tipo di capitello d'angolo simmetrico rispetto a un asse diagonale, che coincide con la bisettrice dell'angolo stesso. Qui le volute si trovano su due lati contigui e s'incontrano in un avvolgimento angolare inclinato di 45° rispetto alle fronti delle volute stesse, mentre i loro fianchi si svolgono su due lati successivi. Elemento non indispensabile, ma che completa il capitello ionico del periodo classico, è una fascia interposta fra le volute e il fusto, che per la decorazione più usata si disse anthémion e costituisce un anello ornamentale passato poi, come già accennato, anche nell'ordine dorico romano con il collarino.

Nella trabeazione ionica l'architrave è diviso in tre zone sovrapposte e leggermente aggettanti l'una sull'altra, e terminato da una modanatura caratteristica formata da una gola rovescia e da un listello. Il fregio, che negli esempî più arcaici è occupato dai dentelli, cresce in seguito d'altezza e diviene una fascia continua, decorata, come già le metope del fregio dorico, da rappresentazioni figurative, onde il nome di zooforo. La cornice, semplice e sottile in origine, aumentò d'altezza e d'aggetto, quando i dentelli passarono a farne parte come elemento di sostegno al gocciolatoio.

L'evoluzione dello ionico consistette, come per il dorico, nell'affinare alcuni forti contrasti e aggetti: così il grosso toro e l'alta scozia adorni di sottili scanalature orizzontali che costituivano la base arcaica, furono sostituiti da modanature più sottili variamente decorate da motivi di superficie; le volute perdettero della loro sporgenza e rigidità; i dentelli divennero un semplice intaglio decorativo. Ma è necessario riconoscere che, come già per lo stile dorico, quanto si acquistava in armonica eleganza di proporzioni, tanto si perdeva in originalità e forza di effetti. Qualità che si ricercarono nell'interpolazione di elementi nuovi, specialmente figurati, come le teste che si affacciano fra le volute dei capitelli nel tempio di Apollo a Didima.

Nell'arte italica preromana qualche cosa di simile allo ionico greco era contemporaneamente in uso, e ne abbiamo le tracce nei capitelli del tempio italico di Pesto e in quei pilastrini bassi e di piccolo rilievo che decorano la Porta Marzia di Perugia, e sono da attribuire all'arte etrusca.

Con i Romani lo ionico subì vicende analoghe a quelle del dorico: dapprima imitato con fedeltà da modelli greci, adattati però ai gusti e alle costumanze locali, come nel tempio della Fortuna Virile a Roma, pseudoperiptero fornito d'un alto podio secondo la tradizione italica, nel quale lo ionico si trasformò, per l'aggiunta del piedistallo, l'abolizione delle scanalature e l'irrigidimento delle volute, che perdettero la ricchezza e la sinuosità degli esemplari greci per seguire forme più geometriche e robuste.

Nell'arte cristiana primitiva e per tutto il Medioevo, se il tipo classico e completo dell'ordine ionico scomparve, rimase però sempre in un certo onore il suo capitello, imitato a preferenza degli altri con forme timide e incerte, ma evidentemente ispirate dai modelli classici.

Il Rinascimento, che fu fenomeno italiano e che dell'antichità classica conobbe e ammirò soprattutto Roma, ne imitò anche in questo campo la magnifica arte. Da quegli esempî, sanciti anche dalla autorità dei trattatisti, non si discostarono gran che neanche gli artisti dei secoli successivi. Le innovazioni si limitarono se mai a qualche elemento decorativo; si diffuse così verso la fine del Cinquecento e rimase in onore anche nei periodi seguenti, quel tipo di capitello michelangiolesco che risulta costituito da quattro volute angolari dai cui occhi pendono nastri e festoni che li collegano.

In questa forma rimase lo stile ionico per tutto il periodo barocco e il rococò, specialmente oltralpe, mentre riapparve timidamente nelle forme greche originarie con l'arte neoclassica che lo ebbe in grande onore per suo carattere di fredda eleganza così consono al gusto del sec. XIX.

Ordine corinzio. - Fu dapprima una varietà dello ionico limitata al solo capitello, il che è dimostrato, oltre dal fatto che nelle altre parti dell'ordine non vi erano differenze notevoli, anche dalla derivazione comune dai prototipi più antichi di Neandria e di Megara Iblea. Le analogie con quest'ultimo sono particolarmente notevoli in quel capitello, oggi noto solo attraverso disegni, che già appartenne al tempio di Apollo a Basse, opera probabilmente dello stesso architetto del Partenone ateniese, Ictino (metà del sec. V). In esso le due parti occupate dalle foglie di acanto e dalle piccole volute soprastanti sono nettamente separate; inveee negli esempî del secolo seguente, ad esempio nella thólos di Epidauro e nel monumento coragico di Lisicrate ad Atene, il concetto naturalistico ha il sopravvento, gli anelli di foglie rivestono una porzione più grande del capitello, le volute diventano viticci sorgenti dallo stesso cespo di acanto attorcigliati in caulicoli d'evidente imitazione vegetale.

Nell'ordine corinzio della stessa thólos di Epidauro si riscontra, forse per la prima volta, un'altra innovazione che ebbe nel periodo ellenistico e poi nell'arte romana grande fortuna, ed è il fregio a profilo curvilineo anziché piano, privo di decorazione scolpita e d'un andamento simile a quello di un'alta gola di scarso aggetto. Pure del periodo ellenistico furono proprie altre trasformazioni e mescolanze di parti di ordini diversi. Ricordiamo fra le prime il capitello decorato di foglie lanceolate derivate forse da quelle del loto, e che insieme con l'altro detto pergameno, a baccellature avvicinate, si ritiene d'ispirazione egiziana, sia per l'elemento decorativo, sia per la caratteristica sagoma a calice.

Prima d'esaminare gli aspetti del corinzio a Roma, dove ebbe la maggiore fortuna, bisogna citare, per i suoi caratteri d'interesse e originalità grandissimi, un monumento della Grecia fatto edificare da un romano intorno alla metà del sec. I a. C. I piccoli propilei che Appio Claudio Pulcro fece costruire all'ingresso del sacro recinto di Eleusi presentano all'esterno un portico formato da un ordine misto di elementi diversi. Base e fusto sono quelli del corinzio normale; il capitello invece ha un abaco di pianta esagonale ai cui angoli corrispondono alternativamente tre motivi vegetali e tre grifoni, sorgenti tutti da un anello di grandi foglie d' acanto. Su questo capitello di forma veramente unica si appoggia una trabeazione composta d'un architrave tripartito, d'un fregio dorico con triglifi ai quali si alternano e si sovrappongono i simboli del culto eleusino, e d'una cornice con dentelli e mensole di forma parallelepipeda.

L'architettura romana predilesse l'ordine corinzio fino dai suoi inizî, come mostrano anche i monumenti sepolcrali recentemente scoperti a Sarsina, che risalgono forse agli ultimi tempi della repubblica e presentano un'applicazione generale ed evoluta di quell'ordine. Caratteri generali del corinzio romano furono la frequente abolizione delle scanalature del fusto, per il quale si preferirono levigati monoliti di materiali pregevoli e colorati, la cornice con dentelli e mensole sorreggenti il gocciolatoio, il piedistallo, decorato spesso sulle sue facce di bassorilievi, e le foglie d'acanto lasciate talora nella loro forma schematica, senza l'intaglio decorativo delle costole e il frastaglio del contorno lobato, elementi consoni a un'architettura, come quella romana, di masse e dimensioni imponenti, dai marcati chiaroscuri contrastanti con ampie superficie.

Da questi tipi romani discesero le forme dell'arte cristiana e bizantina nelle quali gli elementi stessi si contrassero entro timidi rilievi, appena incisi dalla rappresentazione disegnativa di sagome e motivi decorativi. Sono derivazioni del corinzio romano ad esempio i capitelli detti teodosiani e quelli, pure bizantini, dalle foglie aperte e sfuggenti come mosse dal vento, lavorate da lunghe file di fori ottenuti col trapano.

Durante il Medioevo, come per lo ionico, solo qualche esempio cosmatesco e toscano ci mostra la sopravvivenza delle forme classiche, imitate talora con fedeltà maggiore di quella che si seguì al principio del Rinascimento, quando pur in mezzo all'entusiasmo per la ricerca e lo studio dell'antico, la fantasia degli artisti non sempre volle rinunciare alla propria vena decorativa. E la tradizione della individualità dell'arte decorativa medievale si mantenne presso i lapicidi del Quattrocento che seguitarono a variare, entro il rinato schema classico, i partiti decorativi che potevano esservi contenuti. Furono allora preferiti quei tipi di capitello che nell'andamento geometrico delle volute, delle palmette, degli ornati sono così diversi dal severo corinzio romano, del quale seguivano pure le proporzioni e accompagnavano le altre parti dell'ordine, e piuttosto richiamano, certo per un incontro puramente casuale, i primitivi esempî della Grecia arcaica.

Ma nel Cinquecento con i trattatisti il classico corinzio romano trionfò definitivamente e rimase come elemento caratteristico anche dei secoli seguenti, durante i quali si arricchì maggiormente di trovate decorative ed ebbe dalla fantasia di qualche geniale artista aspetti nuovissimi, come ad esempio quelli, ora schematizzati ora esuberanti, inventati da F. Borromini.

Nel sec. XIX la corretta freddezza delle regole stabilite dai trattati ebbe rare eccezioni, che produssero scarse e non sempre felici novità.

Ordine toscano. - Così fu chiamato dai trattatisti del Cinquecento un ordine formatosi in Italia da forme simili al dorico, che oggi gli archeologi, sulla scorta di Vitruvio, preferiscono chiamare tuscaniche. Si tratta d'una specie di dorico dal fusto non scanalato, ma provvisto d'una grossa base, che si considera come il portato della architettura etrusca. Il toscano dei trattati risulta perciò simile al dorico romano, ma ancora più semplice, con fregio privo di triglifi, e per questi suoi caratteri fu molto usato specialmente in composizioni robuste e rustiche.

Ordine composito. - Fu anche creazione romana e lo si definisce comunemente come un corinzio leggermente modificato, specie nel capitello che risultò dalla fusione del corinzio con lo ionico ed ebbe, sopra i tre anelli di foglie d'acanto, quattro volute angolari, fra le quali talora trovarono posto elementi figurati, cari all'arte romana. Fu considerato anche durante il Rinascimento, l'ordine più ricco e decorativo, ed ebbe quindi molta voga nel periodo barocco.

Ordine rustico. - Corrispose a ciò che fu il bugnato nella muratura continua; fu cioè un ordine che si valse di parti apparentemente non finite per raggiungere un maggiore effetto di robustezza. Servì in periodo romano specialmente per opere di carattere utilitario, come acquedotti (Porta Maggiore) o strutture di sostegno (sostruzioni del tempio di Claudio sul Celio). Durante il Rinascimento e nei secoli seguenti ebbe numerosissime applicazioni nelle ville, nelle porte di città, nell'architettura militare, ecc.

Ordine figurato. - Oltre che con le funzioni decorative alle quali si è già fatto cenno a proposito dei varî ordini, l'elemento figurativo fu usato talora nell'architettura antica con funzioni veramente architettoniche, prendendo il posto delle colonne nel sostenere la trabeazione. Dopo gli imponenti esempî egiziani, rappresentati dagl'immobili colossi che sorreggono le pesantissime coperture lapidee di quegli edifici, un altro non meno gigantesco ce ne offre il tempio di Zeus ad Agrigento, nel quale una fila di titani alternati alle semicolonne contribuiva a sostenere sulle braccia ripiegate al disopra del collo l'enorme trabeazione dorica.

Con carattere invece di composta eleganza l'arte ionica si servì di figure femminili, avvolte di adorni pepli, per sorreggere il frontone del pronao nei "tesori" che i Sifnî e gli Cnidî eressero a Delfo per ospitare i loro donativi. Un capitello a calice (calato) collega la testa eretta delle fanciulle con l'epistilio della trabeazione, splendida d'una ininterrotta decorazione scultorea. Di figure simili, che si dissero poi cariatidi (v.), si servì l'architetto della loggetta dell'Eretteo sull'Acropoli ateniese, famosa per le quattro magnifiche figure, diritte sull'alto podio e sorreggenti, senza rigidezza, la elegante cornice ionica priva di fregio. Altri esempî dell'uso di figure umane in funzione architettonica sono dati dal portico interno dei già citati propilei di Appio Claudio Pulcro ad Eleusi e dal portico dei Giganti ad Atene, probabilmente d'età adrianea.

Il Rinascimento e il Barocco si dilettarono spesso di simile uso, specie in facciate, portali, camini, anche sotto forma di erme, cioè di mezze figure umane sorgenti da un pilastro. Le figure furono allora proporzionate alle altre parti dell'ordine sulla base dell'interpretazione antropomorfica della colonna, cara ai teorici del tempo, secondo la quale i rapporti fra diametro e altezza di essa corrispondono ai canoni statuarîche legano l'altezza della testa a quella dell'intero corpo umano.

V. tavv. LXIX-LXXVI.