Orfeo

Enciclopedia Dantesca (1970)

Orfeo

Giorgio Padoan

. Mitico poeta della Tracia, figlio di Eagro (secondo alcuni mitografi, di Apollo) e della musa Calliope, O. avrebbe ottenuto la cetra in dono da Mercurio che l'aveva inventata; sommo cantore e musico (e come tale ricordato ripetutamente anche dagli scrittori latini più familiari a D.), al suo canto si muovevano le selve, si fermavano i fiumi, si ammansivano le fiere. Partecipò all'impresa degli Argonauti (cfr. Stazio Theb. V 344). D. poté conoscere il mito famoso di O. ed Euridice - che largo posto occupa nella letteratura, antica e moderna - dal racconto di Ovidio Met. X 1-85 (e cfr. anche Virgilio Georg. IV 454-527).

La ninfa Euridice, sposa di O., fuggendo il pastore Aristeo che l'inseguiva, venne morsa mortalmente da un serpente celato nell'erba. O., in preda al più profondo sconforto, discese agl'Inferi muovendo con il suo canto a pietà l'intero regno dei morti e ottenendo da Persefone che Euridice potesse ritornare nel mondo dei viventi dietro a lui: a patto però che egli non si volgesse a guardarla. O., ormai prossimo all'uscita, si lasciò vincere dal desiderio di rivedere l'amata: e così la perdette definitivamente. Visse da allora vita celibe e misogina; perciò - secondo Ovidio Met. XI 1-84 - si attirò l'odio delle Baccanti che nel loro furore orgiastico lo sbranarono gettandone le membra nell'Ebro. Il truce delitto delle Baccanti sarebbe stato poi punito dallo stesso Bacco. Secondo Rabano Mauro De Universo XVIII 4 (Patrol. Lat. CXI 499), la cetra di O. sarebbe stata assunta a costellazione celeste. Il Boccaccio (Geneal, deor. V 12; Esposizioni, ediz. Padoan, pp. 248-251) attesta che secondo il mitografo Teodonzio l'introduzione dei riti bacchici spetterebbe proprio a O.; e le Baccanti si sarebbero ritenute da lui vituperate in quanto quei riti - dai quali erano esclusi gli uomini - venivano a coincidere con il periodo mestruale (donde sarebbe stato dato alle partecipanti l'appellativo di Menadi), rendendo così noto il loro naturale difetto.

Il nome di O. ricorre in Cv II I 3: un passo che è assai significativo non tanto per la spiegazione allegorica offertavi (essa si adegua infatti alle chiose scolastiche allora più correnti: cfr., ad esempio, Bernardo Silvestre Comentum super sex libros Eneidos, ediz. Riedel, p. 54) quanto perché prendendo spunto da alcuni versi di Ovidio (Met. XI 1-2) D. espone ciò che egli intende per senso allegorico (ben s'intende, all'altezza cronologica del Convivio; per la Commedia il discorso si fa più complesso): questo [scil. il senso allegorico] è quello che si nasconde sotto 'l manto di queste favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna: sì come quando dice Ovidio che Orfeo facea con la cetera mansuete le fiere, e li arbori e le pietre a sé muovere; che vuol dire che lo savio uomo con lo strumento de la sua voce fa[r]ia mansuescere e umiliare li crudeli cuori, e fa[r]ia muovere a la sua volontade coloro che non hanno vita di scienza e d'arte: e coloro che non hanno vita ragionevole alcuna sono quasi come pietre.

Occorre qui avvertire che l'edizione del '21 ha ritenuto di dover emendare i due faccia o facia o facea di molti codici autorevoli in fa[r]ia, che non è però attestato in alcun manoscritto (la Simonelli propone invece di leggere: che vuol dire c[om]e lo savio, ripristinando la lezione faccia: tuttavia ha osservato il Pézard (Le " Convivio " de Dante. Sa lettre, son esprit, in " Annales Univ. Lyon ", Lettres, s. 3, IX [1940], 15-26) che la lezione attestata dai codici dà senso accettabile, in quanto per D. (e non solo per lui, ma per la cultura di cui egli è espressione) O. è personaggio storicamente vissuto; e quindi lo savio uomo può indicare non genericamente " il saggio " ma precisamente Orfeo (e cfr., ad esempio, Boccaccio Esposizioni, ediz. cit., p. 250: " E furono le forze della sua [scil. di Orfeo] eloquenzia grandissime in tanto che, in qual parte esso voleva, aveva forza di volgere le menti negli uomini "). Vedi al proposito la voce ALLEGORIA: L'esegesi allegorica dei miti e dei personaggi, partic. p. 160.

Comunque l'Alighieri apprendeva da Aristotele (Metaph. I lect. IV 83) che Museo, O. e Lino erano stati i primi poeti-teologi (" primi famosi in scientia fuerunt quidam poetae theologi... Orpheus, Museus et Linus "; sull'argomento, anche in relazione a D., v. E.R. Curtius, La littérature européenne et le Moyen Âge latin, Parigi 1956, 266 ss.): e incluse pertanto O. tra la filosofica famiglia del Limbo (If IV 132; per l'accoppiamento O.-Lino, cfr. Virgilio Buc. IV 55-57). È singolare che il poeta non accenni mai al bellissimo mito di Euridice (e al viaggio nell'oltretomba) né alla truce fine di O., pure così ampiamente descritti da Ovidio.

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