ORFINO DA LODI

Federiciana (2005)

Orfino da Lodi

Edoardo D'Angelo

Sulla vicenda biografica di O., giudice, nella prima metà del XIII sec., presso le amministrazioni comunali e imperiali nell'Italia centrosettentrionale, è possibile ricavare informazioni da tre tipologie di fonti: in via primaria e diretta, dalle affermazioni che l'autore stesso fa nel suo poema, il De regimine et sapientia potestatis; da alcune glosse, che ne accompagnano il testo così come tramandatoci dall'unico testimone (attualmente conservato presso la Biblioteca Capitolare di Monza); infine, attraverso alcuni documenti pubblici, dati in Italia settentrionale e centrale tra gli inizi e la metà del XIII secolo.

Nel De regimine, l'autore accenna a se stesso in tre passi. Da una lettura attenta del primo, il più importante sotto questo rispetto (vv. 1547-1578), e da alcune glosse che lo accompagnano, è possibile ricavare i seguenti dati: l'autore vi si nomina e definisce "Orfinus, iudex generalis" e "actor" al seguito di Federico d'Antiochia (figlio illegittimo di Federico II), vicario imperiale, affermando di essere originario di Lodi, in Lombardia; egli ha un figlio di nome Marco (in seguito conte, probabilmente, di Osimo), cui è dedicato il poema e, come il padre, avviato alla carriera giuridica; l'opera deve essere stata scritta nel 1245 (nel testo, quello di stesura, è indicato come l'anno in cui Federico d'Antiochia era vicario generale in Italia centrale); al momento di comporre il poema, O. sembra essere vecchio (vv. 1551-1552: "carmina [...] ordine [...] disposta senili").

È possibile ricavare ulteriori notizie, come detto, da alcuni documenti d'archivio. Il primo è un privilegio dell'imperatore Ottone IV di Brunswick in favore della città di Lodi, datato al 1o maggio 1210 (Codice diplomatico laudense, Milano 1879-1885, II, 1, nr. 229, p. 254): tra i testimoni lodigiani presenti all'atto figurano i nomi di "Ruffinus et Presbyter, imperialis curie iudices" (Ruffinus è forma perfettamente equivalente a Orfinus). Il secondo documento è datato Bologna, 2 gennaio 1222 (Magister Tolosanus, Chronicon Faventinum, in R.I.S.2 XXVIII, 1, a cura di G. Rossini, 1936-1939, nr. XXXIX): il conte di Romagna, Goffredo di Blanderata, stabilisce un'alleanza col comune di Bologna; giurano, tra gli altri, due collaboratori del conte: "dominus Roffinus de Lodo iudex domini comitis" e "dominus Prevede de Lodo notarius eiusdem domini comitis". Si tratta, evidentemente, della medesima coppia di personaggi citati nell'atto lodigiano del 1210. Un terzo documento è più tardo, del 3 aprile 1239 (Historia diplomatica, V, 1, p. 214): alla pubblica lettura di una lettera di Federico II al podestà di Vicenza, Enrico da Eboli, è presente, tra altri colleghi, "Ruffinus de Laude iudex". Un documento dato in Foligno, aprile 1241 (pubblicato in R.I.S.2, XXVI, 2, 1933, pp. 23-25), fa ancora riferimento al personaggio; e così si verifica in altri documenti fulginati del 1241, dove un "Ruffinus iudex" appare quale vicario del podestà cittadino Guglielmo Crispo. Un ulteriore documento, noto già a Francesco Torraca, e segnalato da Pagano, è dato in Macerata, 20 luglio 1249 (Macerata, Archivio Priorale, II.L; è una cartulavenditionis). Vi compare un "dominus Ruffinus de Laude, iudex in Marchia generalis per dominum Riczardum, comitem Theatinum et vicarium in Marchia generalem, et alias iudex ordinarius".

Da tale documentazione è possibile così tracciare una determinazione biografica abbastanza precisa dell'autore del De regimine et sapientia potestatis. Come data ante quam per la nascita si può orientativamente indicare il 1190. O. diventa giudice dopo il settembre 1209 (come tale risulta conosciuto da Ottone IV). Nel 1210 fa parte del governo del podestà milanese Ugo di Prealone, nel quadro di una politica lodigiana di stampo filottoniano, contraria dunque a papa Innocenzo III e al suo pupillo di allora, Federico II. Ma in seguito, una decina di anni dopo, al momento dell'organizzarsi anche a Lodi della politica in chiave strettamente dicotomica (da un lato i guelfi Sommariva, dall'altro i ghibellini Overgnaghi), O. fa la sua scelta, che lo porta nel campo filoimperiale. Il giurista-poeta trova modo di citare nell'opera più volte la sua città natale e il suo patrono, s. Bassiano, ma Lodi, in realtà, aderì spesso alla parte guelfa, creando non pochi problemi all'imperatore (una ribellione dovette essere stroncata nel sangue dal ghibellino Manfredi II Lancia, nel 1237). Certamente tra il 1211 e il 1222 (ma più probabilmente non prima del 1220), O. e il collega Presbitero si allontanano da Lodi, per recarsi in altre città del Centro-Nord a prestare i propri servizi di dottori in diritto. A Bologna nel 1222 e poi, nella primavera del 1239, nella ghibellina Vicenza. Ritroviamo con certezza O. a partire dal 1241 a Foligno, quale vicario del podestà, e a Spoleto, al servizio di Giacomo di Morra. In Italia centrale resta sicuramente fino al 1245, al seguito di Federico d'Antiochia (ma forse fino al 1246, per il breve periodo in cui Giacomo di Morra fu vicario). Nel 1249 è attestato ancora nella Marca anconetana (Macerata), al seguito di un altro stretto collaboratore (e figlio illegittimo) dell'im-peratore Federico, Riccardo conte di Chieti. La data della morte sembra potersi fissare agli anni tra il 1250 e il 1252: se è senex (circa sessantenne) nel 1245, e se tra il 1252 e il 1260 la sua opera viene saccheggiata senza ritegno da un anonimo frate francescano, è allora probabile che quel 1252 possa essere stato l'anno della fine della sua vicenda terrena.

Il De regimine et sapientia potestatis è un poema di circa 1.600 versi sulla figura, il ruolo, le caratteristiche del podestà nelle città comunali a metà del sec. XIII.

Il poema ci è giunto tramite il manoscritto di Monza (Biblioteca Capitolare, b. 11/71), della fine del sec. XIII. Si tratta di un codice abbastanza scorretto in più punti, a causa della inettitudine dello scriba. Dell'opera esistono, sulla base di questo testimone unico, varie edizioni: quelle di Ceruti (1869) e della Castelnuovo (1968) risultano a tutt'oggi superate dal bel lavoro di Sara Pozzi (1998), che accoglie anche le numerosissime glosse e note presenti nel codice.

Si tratta, dal punto di vista strutturale, di un poema didascalico, composto di differenti tipologie di versi: al più consueto esametro dattilico (spesso strutturato con la rima cosiddetta leonina), infatti, si alternano distici elegiaci e dimetri giambici. Così anche la struttura contenutistica appare non esattamente coerente ed omogenea. Vi si possono identificare tre sezioni: 1. un elogio della casa imperiale sveva; 2. un'esaltazione della Natura, e la storia dell'umanità da Adamo fino all'incarnazione di Cristo; 3. la descrizione dei comportamenti, e la saggezza politica, di chi esercita il potere come podestà comunale.

Relativamente alla stratigrafia compositiva, si è già detto come il poema sia stato scritto con tutta probabilità nel 1245 ("tunc fuit hic scriptus tractatus", si dice al v. 1575). Non osta a questa datazione la presenza all'interno del testo di riferimenti alla congiura antifedericiana dei Fasanella (v. Capaccio [1246], congiura di), verificatasi nella primavera del 1246, cui aveva partecipato lo stesso Giacomo di Morra (costretto, dal fallimento, a riparare a Roma): la sezione del testo che a questa si riferisce, infatti, i vv. 1-279, sono stati, ad avviso di Caretta, aggiunti al poema dopo il suo completamento, avvenuto in terra anconetana durante il vicariato di Federico d'Antiochia. L'introduzione di questa trattazione, infatti, potrebbe ben avere il valore di una forte presa di distanza, da parte di O., dai congiurati e dalle loro famiglie.

La glossa ai vv. 1572-1578 è molto importante ai fini della ricostruzione della biografia di Orfino. Da essa, oltre a notizie sulla data di stesura del poema, inferiamo, insieme alla notizia della contea affidata al figlio Marco, il fatto che O. sarebbe stato autore di una seconda opera, "in quo iudicis [...]onis animi [...] de omnibus magistris" (secondo la lettura della glossa offerta da Caretta, 1976, p. 245). Questa 'seconda' opera potrebbe essere identificata nei vv. 797-1239 dello stesso De regimine: un'altra glossa marginale, infatti, ci assicura che a questa sezione mancherebbero ancora "multa carmina".

L'analisi stratigrafica conduce a considerare inequivocabilmente il De regimine, nella sua stessa struttura genetica, piuttosto che un'opera unitaria e compatta, come un centone composto di sezioni staccate (peraltro ben identificabili dalle rubriche che nel manoscritto le contraddistinguono). All'interno della terza delle sezioni così come identificate dalla Pozzi, Caretta ne vedeva una quarta, costituita da quella trattazione sui giudici (vv. 797-1239, cui farebbero seguito le parti finali sui causidici, i notai, i cavalieri, i giochi d'azzardo e i legati), che stando alla glossa dovrebbe rappresentare invece un'opera a sé stante.

Il titolo del poema, dunque, sarebbe quello della terza sezione (forse quella composta per prima), che avrebbe poi inglobato tutta l'opera, perché è l'argomento di maggiore interesse. L'unità che si intravede nella composizione può essere identificata nel passaggio logico dalla creazione dell'uomo, e lo sviluppo della sua storia, in direzione dello stabilimento delle leggi che regolano la società umana, fino al governo podestarile "inteso come supremo esercizio del diritto e, quindi, delle funzioni a quello connesse" (ibid., p. 246).

Il poema è senz'altro frutto dell'intensa esperienza giuridica, politica e umana fatta dall'autore in trent'anni di servizio in qualità di giudice nelle più importanti città e corti filosveve d'Italia centrale e settentrionale. Si tratta, a conti fatti, di un piccolo manuale di saggezza pratica, dedicato al figlio Marco: una dottrina condensata in versi in verità semplici, quasi 'orecchiabili' (grazie all'uso della rima interna).

fonti e bibliografia

Manoscritti: Monza, Biblioteca Capitolare, b. 11/71 (già 231).

Edizioni: A. Ceruti, Orfino da Lodi,De regimine et sapientia potestatis, "Miscellanea di Storia Italiana", 7, 1869, pp. 27-94; L. Castelnuovo, ibid., "Archivio Storico Lodigiano", 16, 1968, pp. 1-115; Orfino da Lodi, De regimine et sapientia potestatis. Comportamento e saggezza del podestà, a cura di S. Pozzi, Prefazione di A. Caretta, Lodi 1998 (recensioni: G. Andenna, "Aevum", 73, 1999, pp. 590-593; R. Valentì Serra, "Revue d'Histoire Ecclésiastique", 95, 2000, p. 305). Historia diplomatica Friderici secundi, V, 1; F. Hertter, Die Podestàliteratur Italiens im 12. und 13. Jahrhundert, Leipzig-Berlin 1910, pp. 75-79; C.H. Haskins, Latin Literature under Frederick II, "Speculum", 3, 1928, pp. 129-151, 132; A. Pagano, Intorno al poemetto di Orfino da Lodi, Nicotera 1936; A. Caretta, Contributo ad Orfino da Lodi, "Aevum", 50, 1976, pp. 235-248.

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