Orientalismi

Enciclopedia dell'Italiano (2011)

orientalismi

Marco Mancini

Definizione, classificazione, studi

Gli orientalismi come categoria etnoculturale

Il termine orientalismi include classi molto ampie di ➔ prestiti assunti dall’italiano in varie epoche. A differenza di altre denominazioni che fanno riferimento a realtà etnogeografiche ed etnolinguistiche più o meno circoscritte (quali, ad es., ➔ arabismi o ➔ russismi), quella degli orientalismi si potrebbe definire una categoria ideologica prima ancora che linguistica in senso stretto: «“orientale” è stato a lungo tutto ciò che, nel corso della storia, la cultura europea e quella italiana a partire dal medioevo hanno incontrato in territori extraeuropei “al di là del mare”» (Mancini 1992: 30).

L’Europa ha guardato per secoli all’Oriente come a un mondo remoto, incognito, dal quale provenivano notizie vaghe, imprecise, capaci bensì di suscitare curiosità ma mai un interesse e uno studio realmente approfonditi.

Una simile connotazione di estraneità o, meglio, di irriducibile alterità culturale assegnata all’Oriente ha corrisposto da un canto alla creazione di una specifica categoria etnoculturale, quella dell’orientalismo inteso come «Oriente orientalizzato» (Said 1991: 72); dall’altro, come necessario riflesso a livello linguistico, a tipologie affatto particolari di ricezione delle parole di origine orientale. In questo senso gli orientalismi rientrano a pieno titolo nell’ambito più vasto degli esotismi linguistici.

In ciò la cultura linguistica italiana ha ereditato dall’epoca classica e medioevale, senza soluzioni di continuità, l’equivalenza tra esotico e orientale. Nelle geografie immaginarie dell’antichità e del medioevo (si pensi, ad es., all’Imago Mundi di Onorio d’Autun o alla Historia Hierosolimitana di Jacopo da Vitry: cfr. Di Palma 1985) l’Oriente costituiva soprattutto un «luogo mentale» popolato di terre «che sono un vuoto dell’esperienza» (Lago 2010: 108), la cui mappa era intessuta di leggende, di mostri, di mirabilia che facevano di questa plaga una «terra di diversità» (Zaganelli 1997: 41).

Ai mirabilia, sin dai capitoli della Naturalis Historia di Plinio, fanno puntuale riscontro citazioni di singoli atomi lessicali che costellano trattati scientifici e relazioni di viaggio, forme di scrittura che via via si infittiscono tra il tardo medioevo e il Rinascimento per culminare nella grande raccolta delle Navigationi et viaggi del Ramusio (1550-1559), vera e propria enciclopedia dei saperi d’oltremare.

Gli orientalismi antichi

Non pochi furono gli orientalismi già in fase latina (Mancini 1992: 46-53; Cardona 1998: 411-412) che ebbero poi continuazione nelle lingue romanze e, nella fattispecie, in italiano, a testimonianza di un flusso di contatti commerciali e di sporadici interessi per l’Oriente sin da epoca romana (Miller 1974; De Romanis 1996).

Si pensi ad antichi indianismi come il nome del «pepe» (< lat. piper < gr. péperi < indiano pippalī- forse per tramite iranico), dello «zucchero» (< lat. saccharum < gr. sákkharon < pāli sakkharā-), del «sandalo» (< lat. santalum < gr. sántalon < indiano ant. candana-), della «canfora» (< gr. kaphurá < aramaico [siriaco] qāpūr < pāli kappūra), dello «zenzero» (< lat. gingiber < gr. ziggíberis < pāli singivera), del «berillo» (< lat. beryllum < gr. bḗryllos < pāli veḷūriya-; cfr. Cardona 1980-1981), del «garofano» (< lat. caryophyllon in Plinio, Nat. Hist. XII, 30 < gr. karyóphyllon < indiano ant. kalikāphala-) o a qualche persianismo come il nome del «pistacchio» (< lat. pistacium < gr. pistákion < mediopersiano pistak, pers. mod. pistah; cfr. Pagliaro 1943).

Un capitolo a parte è rappresentato dai «cristianismi» (Mancini 1998: 366-369; ➔ cristianesimo e lingua), per lo più parole della lingua speciale delle prime comunità cristiane, grecismi vetero- e neotestamentari di derivazione aramaica o, più di rado, ebraica: it. serafino (< lat. seraphin < gr. serapheín < ebraico mišnico plurale śǝrāpîn), cherubino (< lat. cherubin < gr. kheroubeín < ebraico mišnico plurale kǝrûbîn), pasqua (< lat. pascha incrociatosi con pascua «pascoli» < gr. páskha < aramaico *pasḥā, cfr. siriaco peṣḥā), sabato (< lat. sabbata/sabbatum < gr. sábbata < giudeo-aramaico šabbǝtā’; cfr. siriano šabbǝtā), abate (< lat. abatem < gr. abbâs < giudeo-aramaico abbā’ «padre»), geenna (< lat. gehenna < gr. géenna < giudeo-aramaico palestinese *gehinnān; cfr. ebr. gê Hinnom «valle di Ennom»).

I percorsi linguistici e testuali degli orientalismi

Attinti da relazioni e da cronache di viaggio, da narrazioni di esploratori e missionari (si pensi a nomi come Marco Polo, Odorico da Pordenone, Lodovico di Varthema, Francesco Carletti, Filippo Sassetti, Pietro della Valle o al gesuita Daniello Bartoli autore della monumentale Historia della Compagnia di Giesu pubblicata alla metà del Seicento; ➔ età barocca, lingua dell’), a produzioni letterarie di largo consumo, inclusa la cosiddetta letteratura coloniale (due nomi per tutti: l’Emilio Salgàri dei cicli malesi e indiani e il Mario dei Gaslini dei romanzi d’Africa: cfr. rispettivamente Mancini 1993 e Ricci 2005: 104-151) e, oggi, a reportage giornalistici, a guide turistiche, a descrizioni di mode ‘esotiche’ di vario genere (nella cucina, nel vestiario, nell’oggettistica), gli orientalismi portano impressi lo stigma dell’occasionalità e, insieme, della lontananza che sono tipici di qualunque xenismo (Fusco 2006).

L’estraneità comincia spesso dalle grafie che denunciano lo scarso adattamento dei prestiti ma anche le trafile che hanno subito lungo le rotte delle lingue coloniali. La maggior parte degli orientalismi, infatti, nei significanti e nelle correlate manifestazioni grafiche (con lezioni spesso incerte nelle edizioni disponibili) mostra il complicato e, spesso, tortuoso itinerario migratorio che è tipico dei mots voyageurs (Vidos 1965: 295-310 e 364-378). È il caso di voci dravidiche cinquecentesche come betole/betre «foglia del betel» < port. betel/betre < malayāḷaṁ verrila; catamerone «specie di zattera» < port. catamarão < tamil kaṭṭamaram «zattera di tronchi legati»; pagodo «tempio; idolo; sorta di moneta» < port. pagode < tamil pakavati di origine indiana; ciattini «mercanti» < port. chatim < tamil ceṭṭi; areca «frutto dell’areca» < port. areca < malayāḷaṁ aṭekka; bambu < port. bambu < tamil vampu.

Analoghe considerazioni per molti indianismi settecenteschi e ottocenteschi come jungla, dall’ingl. jungle (< hindī jaṅglā «terreno non coltivato»), bungalow/bengalow, dall’ingl. bungalow (hindī < baṅglā «bengalese»), cipay, dal fr. cipaye (< port. sipay < hindī sipāhī «soldato a cavallo», parola di origine persiana).

Un’eccezione significativa al lungo elenco di prestiti marcati da ispanografie, lusografie, francografie, anglografie sono le voci amariche che costellano la letteratura coloniale italiana: in questo caso la diretta assunzione dai lessici indigeni è comprovata dalle evidenti italografie: damerà «falò» (< amarico e tigrino damarā, datazione in Ricci 2005: 128), esciuk «spina» (< amarico ešoh, tigrino ešokh, datazione in Ricci 2005: 130), querà (< tigrino kwerā, datazione in Ricci 2005: 131).

Una caratteristica sociolinguistica che accomuna tutti gli orientalismi, al pari di tanti altri «prestiti a distanza» (Fusco 2008: 47), consiste nel rinvio a forme di contatto assolutamente episodico (Belardi 2006: 64). In sostanza si tratta di voci che non implicano un reale meccanismo di interferenza interlinguistica, l’esistenza, cioè, di meccanismi di integrazione e di successivo acclimatamento che rimontino a parlanti bilingui (Gusmani 19862: 23-26). Piuttosto ci troviamo dinnanzi all’ingresso occasionale di singole parole, spesso scarsamente comprese nel loro profilo morfologico, ristrette a pochi domini tecnici e di modesta circolazione, mediate in genere da lingue europee di superstrato in Oriente (il greco nell’antichità, il portoghese, l’inglese, il francese in epoca moderna e contemporanea). Molto probabilmente il veicolo linguistico da cui i prestiti sono stati attinti inizialmente sarà stato una qualche varietà semplificata, un pidgin a base lessicale europea (Cardona 1986: 702-703).

Questa constatazione vale soprattutto per gli orientalismi di cui è infarcita la letteratura di viaggio dal Quattrocento in poi. Le singole citazioni degli orientalismi sono quasi sempre accompagnate da un interpretamentum: «il naic, cioè il signor della città» (Cesare Federici), «una maniera di soldati che domandano amocchi» (Filippo Sassetti), «parao (zoè una barchetta piccola)» (Lodovico di Varthema). È probabile che «dietro queste citazioni occorra ricostruire una procedura deittico-onomasiologica tale per cui l’informatore rispondeva a una precisa domanda del viaggiatore riguardo a un determinato oggetto che attirava la sua attenzione» (Mancini 1992: 127; Cardona 1986: 703).

Letteratura sugli orientalismi: dizionari e altro

In un saggio sugli Orientalia contenuti nel XX volume del Französisches etymologisches Wörterbuch del von Wartburg, Alessandro Bausani e Giorgio Cardona denunciavano la superficialità dei lemmi etimologici dedicati alle voci asiatiche e ne traevano una conclusione che si può ritenere, purtroppo, valida ancor oggi: «tra gli occidentalisti è diffuso un atteggiamento etno- e glottocentrico nei confronti di tutto ciò che è orientale (comprendendo magari nell’Oriente anche l’Europa dell’Est): per una sorta di doppia verità scientifica, il grado di esattezza richiesto quando si parla di una lingua europea non è lo stesso che vale per una lingua asiatica, o comunque per le lingue ‘altre’» (Bausani & Cardona 1970: 132; cfr. anche Cardona 1998: 410-411; nonché Mancini 1992: 27-28 con una esemplificazione tratta dall’etimologia della voce it. azzurro < pers. *lāžūrd allotropo di lāžward, cfr. armeno lažurd, lat. mediev. lazurus, su cui vedi anche Cardona 1975: 549-550).

Lo spoglio dei dizionari etimologici più accreditati della lingua italiana quali il DEI (Dizionario etimologico italiano, 1950-57, molto ricco di entrate lessicali esotiche) e il DELI (Dizionario etimologico della lingua italiana, 19992) induce a considerazioni simili: vi domina per lo più «un superficiale rinvio etimologico che non si impegna minimamente con l’aspetto formale, semantico, culturale dell’archetipo» (Mancini 1992: 26). Riguardo al Prontuario etimologico della lingua italiana (Migliorini & Duro 19532), un altro strumento abbastanza quotato, si deve osservare che raramente si spinge a dichiarare gli archetipi orientali e, quando lo fa, la citazione non è sempre ineccepibile: si vedano, tra i molti, i casi di azzurro, dove la forma persiana è citata in modo scorretto, di bambù, dove si parla erroneamente di provenienza malese e non tamil, di giungla, dove l’archetipo è ricondotto inspiegabilmente al sanscrito e non all’hindī, di pagoda, dove ci si limita a un rinvio a una qualche «lingua dell’India». Viceversa più preciso, anche se oltremodo stringato, è Devoto 19682. Per la nostra lingua manca un dizionario comparabile con l’inglese Hobson-Jobson 19032; al di fuori della bibliografia etimologica corrente gli orientalismi sono stati di rado oggetto di una trattazione sistematica. Oltre ai profili diacronici in Mancini 1992, 1994a, e alla voce enciclopedica di Cardona (1998), si vedano i repertori Zingarelli (1996), De Mauro & Mancini (2001) che si segnala, fra l’altro, per l’utilissima appendice che contiene anche esotismi acclimatati (il volume è basato sul Grande dizionario della lingua italiana dell’uso, GRADIT, 1999-2007, in cui gli orientalismi sono lemmatizzati, per lo più, accompagnati dalla marca d’uso ES[otismo] seguita dal riferimento alla lingua di provenienza, ebr[aico], ar[abo], ecc.). Un coup d’œil, privo però di reali ed esaustivi approfondimenti sul côté orientalistico, si ha in Zolli (1991: 173-202). In queste due pubblicazioni, abbastanza sorprendentemente, il capitolo degli «orientalismi» è separato da quello dedicato alle «voci esotiche» all’interno del quale compaiono le «voci di origine asiatica», cioè indianismi, malesismi, sinismi. Invecchiato il Lokotsch (1927), unico repertorio di tutte le voci di origine orientale penetrate nelle lingue europee, la cui affidabilità è, però, molto relativa; assolutamente impraticabile, viceversa, Zaccaria 1919, ricchissimo di lemmi ma disordinato e del tutto inaffidabile sul piano etimologico (Pellegrini 1994).

Più abbondante e più precisa è la bibliografia sulle singole quote di prestito (per i riferimenti vedi infra): a parte ovviamente il settore specifico degli arabismi, esiste ormai un buon numero di pubblicazioni sull’afflusso in italiano dei turchismi, degli ebraismi, degli indianismi e dei dravidismi, dei persianismi, dei malesismi, dei nipponismi, dei sinismi e di voci provenienti da altre lingue dell’Estremo Oriente quali il mongolo o il tibetano. Specificamente dedicati al complesso degli orientalismi nelle scritture di viaggio italiane sono Cardona (1971); Cardona (1971-1973); Cardona (1975); Pozzi (1991); Mancini (1994b); Pozzi (1994).

Stratificazioni diacroniche: orientalismi nelle scritture di viaggio e di mercatura

Sul piano di quelle che Beccaria chiama le «stratificazioni» del lessico italiano (Beccaria 2008: 21) la quota degli orientalismi si fa decisamente corposa solo a partire dal periodo rinascimentale e postrinascimentale. Precedentemente a tale fase, a parte i numerosi arabismi commerciali, scarsi sono gli orientalismi (islamismi inclusi) che non rechino tracce della veicolazione araba.

Lo studio degli orientalismi in Marco Polo e nei viaggiatori trecenteschi conferma il ruolo centrale della mediazione araba. A parte toponimi e antroponimi, infatti, pochissimi sono i prestiti che risalgono direttamente a fonti persiane o mongole (Marco Polo probabilmente aveva competenza di entrambe le lingue): balasci «pietra preziosa» < pers. balaxš, allotropo di balaxšī «pietra del Badaxšān» (Cardona 1975: 553), cuicucci «guardie» < mongolo güyükči (Cardona 1975: 740), fafur < pers. faġfūr «principe» (Cardona 1975: 619, cfr. partico baγpuhr), iasdi «stoffa di Yazd» < pers. yazdī (Cardona 1975: 645), nasicci «broccato dorato» < pers. nasīč (Cardona 1975: 678), quesitan «guardia» < mongolo kešikten (Cardona 1975: 704-705).

La scoperta di nuovi paesi a Est dell’Europa, inizialmente solcati da pochi viaggiatori o missionari, successivamente trasformati in territori di conquista punteggiati da empori coloniali, fece dell’Oriente leggendario una terra cognita di cui si cominciarono a descrivere usi e costumi e, in fase più tarda, le lingue stesse. L’ampliamento dell’orizzonte commerciale, grazie alle nuove rotte marine tracciate dopo l’apertura nel 1498 della via delle Indie a opera di Vasco de Gama, corrispose a un enorme incremento delle transazioni economiche sotto l’egida dei Portoghesi «i quali oggidì sono Signori di tutto ’l mare Oceano», come ebbe a scrivere nel 1516 il mercante fiorentino Andrea Corsali (Ramusio 1979: 29). Questo progressivo controllo degli smerci lungo le rotte monsoniche (Milanesi 1976: 11; Milanesi 1985) è segnalato, per così dire, da fondazioni militari che costellano le coste dell’Oceano Indiano da Goa verso Est fino a Macao e all’Asia sud-occidentale. Col crollo dell’Estado da India portoghese (dalla seconda metà del XVII secolo) la dominazione coloniale passò prima agli olandesi, quindi alla corona britannica che esercitò un ferreo controllo su queste rotte sino al XX secolo. Parallelamente al flusso di orientalismi dovuti al contatto commerciale e alle prime descrizioni etnologiche e linguistiche delle popolazioni orientali (un lessico del malese e del bisaya filippino si trova già in Pigafetta: cfr. rispettivamente Pigafetta 1972 e Soravia 1994; si veda anche lo straordinario contributo dei padri Gesuiti, primo fra tutti il grande sinologo Matteo Ricci, iniziatori di quella che è comunemente definita linguistica missionaria: cfr. Poli 1995-1996; Poli 2006; Mancini 2007), l’Oriente ‘esotico’ cominciò a fornire un armamentario di descrizioni mirabolanti che finiranno col divenire una vera e propria moda a partire dall’Ottocento.

In alcuni viaggiatori del tardo Cinquecento come Lodovico di Varthema (che mostra competenza attiva di una varietà dravidica, il malayāḷaṁ), Filippo Sassetti (che aveva cognizioni di sanscrito) e del Seicento come Pietro della Valle (che dominava il persiano e il turco) e Francesco Carletti (che si interessa della grafia cinese e di quella giapponese), la passione etnologica si unisce ormai a un buon addestramento linguistico. E le citazioni di materiale orientale si fanno più accurate e decisamente più fededegne: casi esemplari sono autori come Pietro della Valle per i persianismi (Mancini 1992: 134) o Domenico Sestini per i turchismi (Mancini 1992:149-152).

La classificazione più utile, anche se raramente praticata nella bibliografia scientifica, è quella per aree di provenienza degli orientalismi. Nelle scritture del periodo rinascimentale sino all’Ottocento risultano particolarmente abbondanti gli indianismi, i dravidismi, i malesismi (il malese era la lingua franca praticata dai musulmani nell’arcipelago delle Molucche), la maggior parte dei quali giunti attraverso il portoghese (Cardona 1971-1973); anche i turchismi ebbero buona diffusione in Europa dal momento che la dinastia ottomana rappresentò per secoli un attore di tutto rispetto sulla scena politica europea (l’apprendimento della lingua turca fu precoce in Italia come dimostra la diffusione di grammatiche in pieno Cinquecento: cfr. Cardona 1969a; Cardona 1969b; Mancini 1990; Mancini 1992: 110-117 e 149-153); più circoscritta, infine, la circolazione dei persianismi, e, in misura ancor meno cospicua, dei nipponismi (esclusivamente all’interno di fonti missionarie e tutti mediati dal portoghese: Mancini 2009).

Indianismi

batton «usura» < port. batão < hindī baṭṭān (Cardona 1971-1973: 198; Pozzi 1991: 1086); braganino «moneta» < port. barganim < hindī bārakānī (Cardona 1971-1973: 199-200); vedi anche catù; canichino «panno» < port. canequim < koṅkaṇī khaṅkī (Soravia 1989: 372); catù «legno medicinale» < port. catú < hindī kaṭh (Soravia 1989: 373; Pozzi 1991: 1095); caurim «conchiglie» < port. caurim < hindī kauṛī (Cardona 1971-1973: 209; Soravia 1989: 373; Pozzi 1991: 1095); copra «frutto indiano» < port. copra < hindī khoprā (Cardona 1971-1973: 207); curia «misura, peso» < port. corja < hindī koṛi (Cardona 1971-1973: 200; Pozzi 1991: 1108); gioghi «yogi» < port. jogue < hindī jogī (Cardona 1971-1973: 193; Soravia 1989: 375, Pozzi 1991: 1220; cfr. anche il poliano congiugati, Cardona 1975: 605); gito «moneta» < hindī jītal (Pozzi 1991: 1132); mordiscin «colica» < port. mordexim < marāṭhī moḍśī «colera» (Cardona 1971-1973: 211; Soravia 1989: 376-377); naic «capo» < port. naique < hindī nāyak (Cardona 1971-1973: 196); raia/ragiù «re» < hindī rājā (Soravia 1989: 378, Pozzi 1991: 1186); rapia «moneta indiana» < hindī rūpya (Pozzi 1991: 1192); sari «veste femminile indiana» < hindī sāṛī (Pozzi 1991: 1196); solaro «tetto di palanchini» < port. solar < hindī śolā (Cardona 1971-1973: 184); tanco «cassone d’acqua» < port. tanque < marāṭhī tãkẽ (Cardona 1971-1973: 192); tanga «moneta» < port. tanga < hindī ṭaṅgā (Cardona 1969b: 226, Cardona 1971-1973: 203; Pozzi 1991: 1206).

Malesismi

amocco «corpo speciale di soldati» < port. amouco < malese amok «essere preso da furore omicida» (Cardona 1971: 43; Cardona 1971-1973: 194; Soravia 1989: 368; Pozzi 1991: 1073); annippa «albero» < port. nipa < malese nipah (Cardona 1971-1973: 205; Pozzi 1991: 1160); bada «rinoceronte» < port. bada < malese badak (Cardona 1971-1973: 209; Soravia 1989: 370; Pozzi 1991: 1190); calaia «stagno» < port. calaim < malese kalang (Pozzi 1991: 1091); calaluzi «piccola barca» < port. calaluz < malese kelulus (Cardona 1971-1973: 186; Pozzi 1991: 1091); calambucco «legno di aloe» < port. calamba < malese kelembak (Cardona 1971-1973: 206; Soravia 1989: 372); capel «sorta di barca» < port. capel < malese kapal (Pozzi 1991: 1093); catte «peso» < port. cate < malese kati (Cardona 1971-1973: 200); ciampana «piccola imbarcazione» < port. champana < malese sampan (Cardona 1971-1973: 187; Pozzi 1991: 1099); clisse «pugnale» < port. cris < malese keris (Cardona 1971-1973: 183); conderino «peso» < port. condorim < malese kanduri (Cardona 1971-1973: 200); dachien «peso» < port. dachêm < malese dacing (Cardona 1971-1973: 201); ganta «peso» < port. ganta < malese gantang (Cardona 1971-1973: 201); ganza «moneta» < port. gança < malese gangsa (Cardona 1971-1973: 201; Pozzi 1991: 1130); ghingone/ghingano «tessuto di cotone» < port. guingões < malese ginggang (Pozzi 1991: 1132); giambo «frutto» < port. jambo < malese jambu (Cardona 1971-1973: 207; Soravia 1989: 374); giunco «sorta di nave» < port. junco < malese jung (Cardona 1971-1973: 188; Soravia 1989: 375; Pozzi 1991: 1132); lantea «specie di barca» < port. lante(i)a < malese lantey (Cardona 1971-1973: 189); pico «misura» < port. pico < malese pikul «carico di un uomo» (Cardona 1971-1973: 201); prao «specie di barca» < port. paró < malese perahu (Cardona 1971-1973: 191; Soravia 1989: 378; Pozzi 1991: 1171); puchio «sorta di radice odorosa» < port. pucho < malese pucuk (Cardona 1971-1973: 208); saranghi «capitani di marina» < port. sarangue < malese serang (Cardona 1971-1973: 191); sombaia «preghiera» < port. zumbaya < malese sembahyang (Cardona 1971: 44; Cardona 1971-1974: 194; Soravia 1989: 378); tael «peso» < port. tael < malese tahil (Cardona 1971-1973: 203); varella «idolo» < port. varella < malese berhala (Cardona 1971-1973: 194).

Dravidismi

adicario «comandante» < port. adigar < tamil atikāri (Cardona 1971-1973: 194); aquila «legno aloe» < port. águila < malayāḷaṁ akil (Cardona 1971-1973: 205; Soravia 1989: 378); areca «frutto» < port. areca < malayāḷaṁ aṭekka (Cardona 1971-1973: 205; Soravia 1989: 369; Pozzi 1991: 1076); balloni «tipo di barca» < port. balão < tamil vaḷḷam (Cardona 1971-1973: 186); bambu < port. mambu/bambu < tamil vampu (Cardona 1971: 43; Cardona 1971-1973: 205; Soravia 1989: 370; Pozzi 1991: 1084; Cardona 1998: 415); betel «foglia di betel» < port. betre/bétele/betel < malayāḷaṁ verrila (Cardona 1969b: 216-217; Cardona 1971-1973: 205; Soravia 1989: 371; Pozzi 1991: 1087); biza «peso» < port. biça < tamil vīcai (Cardona 1971-1973: 199; Pozzi 1991: 1087); cairo «corda di fibra di cocco» < port. coiro/cairo < tamil kayiru (Cardona 1971-1973: 206); candil «peso» < port. candil < tamil kaṇṭi (Cardona 1971-1973: 200); cascia «moneta» < port. caixa < tamil kācu (Cardona 1971-1973: 200); catamerone «sorta di zattera» < port. catamarão < tamil kaṭṭamaram (Cardona 1971-1973: 187); catre «legname da letto» < port. catre < malayāḷaṁ kaṭṭil (Soravia 1989: 373; Pozzi 1991: 1095); ciattini «mercanti» < port. chatim < tamil ceṭṭi (Cardona 1971: 43; Cardona 1971-1973: 195; Soravia 1989: 373; Pozzi 1991: 1099); cionama «gesso da masticare con il betel» < port. chuna < malayāḷaṁ cuṇṇāmba (Soravia 1989: 373; Pozzi 1991: 1100); colae «cappuccio» < port. culae < tamil kullāyi (Cardona 1971-1973: 184; Pozzi 1991: 1101); comolanga «zucca» < port. conbalingua < malayāḷaṁ kumpaḷam (Pozzi 1991: 1101); corcapel «frutto» < port. carcapuli < malayāḷaṁ koḍukka puli (Pozzi 1991: 1105); giunconi «diritto di passo» < malayāḷaṁ cunkam (Soravia 1989: 375); godon «magazzino» < port. gudão < tamil kiṭaṅku (Cardona 1971-1973: 198; Pozzi 1991: 1133); lagne «noce di cocco acerba» < port. lanha < malayāḷaṁ ila nīr (Soravia 1989: 376); manga «frutto del mango» < port. manga < tamil mānkāy (Cardona 1971-1973: 208; Soravia 1989: 376; Pozzi 1991: 1151); mangelino «peso» < port. mangelim < telugu maṅcāḷi (Cardona 1971-1973: 201); mecoa «casta dei pescatori» < port. macua < tamil mukkuvaṉ (Cardona 1971-1973: 195; Pozzi 1991: 1153); naire «capo» < port. naire < malayāḷaṁ nāyar (Cardona 1971: 44; Cardona 1971-1973: 196; Soravia 1989: 377; Pozzi 1991: 1159); olla «sorta di foglia per scrivere» < port. ola < tamil ōlai (Cardona 1971: 44; Cardona 1971-1973: 184; Soravia 1989: 377; Pozzi 1991: 1164); pagoda «tempio; idolo; moneta» < port. pagode < tamil pakavati (Cardona 1971-1973: 194; Soravia 1989: 377-378; Pozzi 1991: 1169); palanchino «lettiga» < port. palanquin < tamil pallaku (Cardona 1971-1973: 184; Pozzi 1991: 1169); panicale «maestro» < port. panical < malayāḷaṁ paṇikan (Pozzi 1991: 1170); patolla «sorta di panno» < port. patola < malayāḷaṁ paṭṭuḍa (Cardona 1971-1973: 204); polias «casta infima» < port. poleas < malayāḷaṁ pulayaṉ (Cardona 1971: 44; Cardona 1971-1973: 196; Soravia 1989: 378; Pozzi 1991: 1183); sapon «sorta di legno» < port. sapão < malayāḷaṁ capaṅṅam (Cardona 1971-1973: 208); saia «radice per tinture» < malayāḷaṁ cāyaver (Pozzi 1991: 1194); tane «piccole barche» < port. tona < tamil tōṉi (Cardona 1971-1973: 192; Pozzi 1991: 1206); tara «moneta» < port. tara < tamil tāram (Cardona 1971-1973: 203; Pozzi 1991: 1206); tarega «carica nobiliare» < port. tarega < tamil tarakaṉ (Cardona 1971-1973: 196; Pozzi 1991: 1206-1207); tiva «specie di casta» < port. tiva < malayāḷaṁ tīvan (Pozzi 1991: 1209); zamorino «titolo principesco» < port. zamorin < malayāḷaṁ sāmūri (Cardona 1971: 45; Cardona 1971-1973: 196).

Turchismi

achazi/achinzi/agazi/aganzi/ancazi/anchizi/alechingi/alcanzi «membro di un corpo di razziatori a cavallo» < turco akıncı, da akın «raid» (Mancini 1990: 95; Cardona 1969a: 6); aga/agha «ufficiale» < turco ağa (Mancini 1990: 96; Cardona 1969a: 6; Cardona 1969b: 195); arz «petizione» < turco arz, prestito dall’ar. ‛arḍ (Mancini 1990: 96); azamigli «paggi stranieri» < turco acamı oğlan (Mancini 1990: 96; Cardona 1969a: 7); azapidi «fante, marinaio» < gr. biz. azápides < turco azap, prestito dall’ar. ‛azab «scapolo» (Mancini 1990: 96; Mancini 1992: 116, Cardona 1969b: 196); bascià «sovrano» < turco paşa, prestito dal pers. pādišāh, spesso raccostato al turco baş «capo» (Mancini 1990: 80-81 e 86-87; Mancini 1992: 113; Cardona 1969a: 7; Cardona 1969b: 197); bayran/bayram «giorno festivo» < turco bayram (Mancini 1990: 96; Cardona 1969b: 197); bey «comandante» < turco bey (Castagneto & D’Amora 2006: 35-37); beogli «figlio del bey» < turco bey-oğlu (Mancini 1990: 104); belarbei/beglerbey/bellerbei/bilarbei «bey dei bey» < turco beylerbeyi (Mancini 1990: 104; Mancini 1992: 115; Cardona 1969b: 197); biluchbasi «comandante di compagnia» < turco bölük-başı (Mancini 1990: 104); bizacho «coltello» < turco biçak (Mancini 1990: 97); bosdocani «mazza ferrata» < turco bozdoğan (Mancini 1990: 97); bostazi(bassa) / bestanzi(bassi) / bostanzi(bassa) / bostangi(bassa) / bostansi / mostanzi(bassi) «giardiniere» < turco bostancı < pers. bustān «giardino» (Mancini 1990: 97); caripoglan/cheripigiti/garibigether/carepie/charipigi/caripigielar/coribolani/cazipitellar «corpo formato da figli di stranieri» < turco ġarib-oğlan, plur. ġarib-oğlanlar (Mancini 1990: 105-106; Mancini 1992: 114); cesnegirbassi/zesnigeri «capo degli ufficiali addetti all’assaggio dei cibi» < turco çaşnigir-başı, prestito dal pers. čāšnīgīr «assaggio» (Mancini 1990: 106; Mancini 1992: 116); chiechaia/chichaza/cachaia/zachaia/cecaia «luogotenente» < turco kahya [kjaˈhja] < pers. kadxūda «signore della casa» (Mancini 1990: 98; Cardona 1969b: 202); defterderi/defterdar/defender «ministro delle finanze» < turco defterdar, prestito dal pers. daftardār (Mancini 1990: 98-99; Cardona 1969a: 8); doloman/dulimani/dolimano/tuliman «sorta di mantello» < turco dolama (Mancini 1990: 99); iannizeri/giannizzero «nuova milizia» < turco yeni-çeri (Mancini 1990: 80-81; Mancini 1992: 114-116; Cardona 1969b: 210); jajabassi «capo dei fanti» < turco yaya-başı (Mancini 1990: 107); maidan «piazza» < turco meydan (Mancini 1990: 99; Cardona 1969b: 212); mastabè «panca di pietra» < turco mastabe, mistabe, prestito dall’ar. masṭaba, misṭaba (Mancini 1990: 99-100); mastrapani/mastapam/mastrapano «boccale» < turco maşrapa, prestito dall’ar. mašraba (Mancini 1990: 100); miralem «signore della bandiera» < turco emir alem (Mancini 1990: 100); mugievegio «tipo di turbante portato dai funzionari» < turco mücevveze, prestito dall’ar. muǰawwaz (Mancini 1990: 108); mutafaragù/mutafeacha/mutaferncha/mutafracha/mufadachar «membro della guardia feudale a cavallo» < turco müteferrika (Mancini 1990: 100; Cardona 1969b: 212); nesanzi(bassi)/sinanzi(bassi)/miscaxi(bassi)/nessanci(bassi) «capo degli ufficiali che appongono il sigillo del Sultano» < turco nişancı başı, cfr. pers. nišān «sigillo» (Mancini 1990: 100-101; Cardona 1969b: 214); odabassi «uomo deputato alle camere; ufficiale dei giannizzeri, ossia capo-camerata» < turco oda-başı (Mancini 1990: 107); olaco «messaggero» < turco ulak (Mancini 1990: 101; Cardona 1969b: 215); sangiacc/sangiach/sanzacchi «stendardo; ripartizione amministrativa» < turco sancak (Mancini 1990: 80; Mancini 1992: 113 e 115; Cardona 1969b: 219); sarameni «prefetto» < turco şehremini, prestito dal pers. šahramīnī < pers. šahr «città» e il prestito arabo amīn preposto (Mancini 1990: 108); segmenbassi «capo degli addetti ai cani» < turco seğmen(başı)/seyman-başı, prestito dal pers. sagbān (Mancini 1990: 109); seraio «palazzo del Sultano» < turco seray (Mancini 1990: 101-102; Cardona 1969a: 8; Cardona 1969b: 221); silicari/sulasteri «armigero» < turco silahdar, prestito dal pers. silaḥdār (Mancini 1990: 87; Mancini 1992: 117; Cardona 1969b: 224); solachi/salichi/solari «palafreniere» < turco solak (Mancini 1990: 102-103, Cardona 1969a: 8); spachidi/spachides «membro di un corpo di cavalleria» < gr. biz. spakhídes < turco sipahi (oğlan) (Mancini 1990: 103; Mancini 1992: 115; Cardona 1969b: 223-224); subasci «addetto all’acqua; edìle» < turco su-başı (Mancini 1992: 114; Cardona 1969a: 9; Cardona 1969b: 224); zamadam «valigia» < turco camadan, prestito dal pers. ǰāmedān (Mancini 1990: 109); zebegibassi «capo degli armieri» < turco cebeci-başı (Mancini 1990: 109; Mancini 1992: 116).

Persianismi

azar «moneta» < pers. hazār «mille» (Pozzi 1991: 1082); basalucchi «sorta di moneta» < port. bazaluco < pers. bāzār rūka «denaro da mercato» (Cardona 1971: 44; Cardona 1971-1973: 199; Soravia 1989: 370-371; Pozzi 1991: 1085); bazaro «mercato» < pers. bāzār (Cardona 1969b: 197); boffettano «sorta di tessuto» < port. bofetá < pers. bafta «tessuto» (Cardona 1971-1973: 204); bogra «tipo di cibo» < pers. būġrā (Cardona 1969b: 197); bustan «giardino» < pers. bustān (Mancini 1992: 136 nota); carvasarà «caravanserraglio» < pers. kārwān-sarāy (Cardona 1969b: 200); chiac/chiach/chiah/chiachi/sciac/siach «re» < pers. šāh (Cardona 1969b: 201); chiorvan «zuppa» < pers. šūrwā (Cardona 1969b: 202; Mancini 1992: 136 nota nella variante sciorba); corchi «arciere» < pers. qūrčī (Cardona 1969b: 205); curazina «maglia d’acciaio del Xūrāsān» < pers. xūrāsānī (Cardona 1969b: 206); dusciab «acqua dolce» < pers. dušāb (Mancini 1992: 136 nota); gaglia pilaf «sorta di pilav» < pers. qalīya pilaw (Cardona 1969b: 209); ghilan «fanghi» < pers. plur. gilān (Mancini 1992: 136 nota); gulistan «roseto» < pers. gulistān (Mancini 1992: 135 nota); larini «moneta» < port. larim < pers. lārī (Cardona 1969b: 211; Cardona 1971-1973: 201; Pozzi 1991: 1146); masc «legume» < pers. māš (Mancini 1992: 136 nota); mola «religioso musulmano» < pers. mollā (Cardona 1969b: 213; Mancini 1992: 194 con datazione secentesca); mucurdar «guardasigilli» < pers. muhrdār (Cardona 1969b: 213); nagara «strumento musicale» < pers. naqqāra (Cardona 1969b: 214); narangi/naranze «arancia» < pers. nāranǰī (Cardona 1969b: 214); ordu «esercito» < pers. urdū (Cardona 1969b: 215); paigiami «calzoni persiani» < pers. pāyǰāma (Cardona 1969b: 215; Mancini 1992: 42); parvanachi «ufficiale governativo» < pers. parwānačī (Cardona 1969b: 216); patichiach/padisac «pascià» < pers. pādišāh (Cardona 1969b: 216); pul «moneta» < pers. pūl (Cardona 1969b: 218); rahdari «custodi delle strade» < pers. rāhdār (Mancini 1992: 136 nota); ravavà «strumento musicale» < pers. rawāwa (Cardona 1969b: 218); sadi «moneta» < pers. sad «cento» (Pozzi 1991: 1194); sinabaffi «tessuto» < port. sinabafa < pers. šānbāft (Cardona 1971-1973: 204); taruga «governatore» < pers. dārūga (Cardona 1969b: 226); techenemo «sorta di panno» < pers. takyanamad (Cardona 1969b: 226); tulipani «turbanti» < pers. dūlband (Cardona 1969b: 229); tumano «moneta» < pers. tūmān «diecimila» (Cardona 1969b: 229; Cardona 1975: 742-743); zer «oro» < pers. zar (Mancini 1992: 136 nota).

Nipponismi

amida «nome di divinità» < giapp. amida, appellativo del Buddha < sanscrito amitābha- «luce senza fine» (Mancini 2009: 66-67); beobi/biobus «paravento» < giapp. byōbu (Mancini 2009: 67); bonzo «monaco» < giapp. bōzu, cfr. port. bonzo (Mancini 1992: 142); camis/cami «divinità» < giapp. kami (Mancini 2009: 67); catane «spada» < giapp. katana (Mancini 2009: 66-67); chia/cià «tè» < giapp. cha (Cardona 1972; Cardona 1971-1973: 206; Mancini 2009: 66-67); come «riso crudo» < giapp. kome (Mancini 2009: 67); cunebes «pompelmo giapponese» < giapp. kunenbo (Mancini 2009: 67); daibut «nome di divinità» < giapp. daibutsu «grande Buddha» (Mancini 2009: 67), dair/dairi/dairy «procuratore» < giapp. dairi (Mancini 2009: 66-67); fasce «bacchette per mangiare» < giapp. hashi (Mancini 2009: 67); fotoques/fatochi «nome di divinità» < giapp. hotoke, appellativo del Buddha (Mancini 2009: 66-67); funee «nave, imbarcazione» < giapp. fune (Mancini 2009: 67); gincò «ginko bilobata L.» < giapp. ginkyo (Mancini 2009: 67); mesci «cibo» < giapp. meshi (Mancini 2009: 67); misol «pasta di soia fermentata» < giapp. miso (Mancini 2009: 67); otoni «signore feudale» < giapp. o-toni, con o- prefisso con funzione onorifica (Mancini 2009: 67); saburai «samurai» < giapp. samurai (Mancini 2009: 67); sama < giapp. -sama suffisso con funzione altamente onorifica (Mancini 2009: 67); sciaca/xaca «nome di divinità» < giapp. shaka appellativo del Buddha < sanscrito śakya- (Mancini 2009: 67); tono/dono «signore feudale» < giapp. tono (Mancini 2009: 66-67); sciro «succo» < giapp. shiru (Mancini 2009: 67); taico «signore» < giapp. ant. taikun (Mancini 2009: 67); tatami «particolare tipo di tappeto» < giapp. tatami (Mancini 2009: 67); tori, unotori «metodo del cormorano (pesca col cormorano)» < giapp. u-no tori (Mancini 2009: 67); xogun/xongun/xongunsama «generale» < giapp. shōgun; la lezione xongunsama è la stessa voce congiunta col suffisso onorifico -sama (Mancini 2009: 67).

Stratificazioni diacroniche: orientalismi in epoca moderna

Dopo l’esplosione cinquecentesca, nel XVII e nel XVIII secolo la quota degli orientalismi in italiano non s’incrementò in misura consistente, anche per l’oggettiva diminuzione del numero di relazioni di viaggio specie a partire dalla seconda metà del Seicento. Non mancarono comunque anche in questi anni viaggiatori «desiderosi di vedere e di riferire quello che vedono» (Perocco 1985: 144), nomi come Carlo Ranzo, Tommaso Alberti, Giovanni Battista Bonelli, Giovanni Filippo De Marini, Francesco Algarotti, Alberto Fortis.

Si diffondono in italiano poche voci, mediate per lo più da lingue ‘coloniali’ (tra parentesi retrodatazioni rispetto al GRADIT): caffè (< turco kahve), sorbetto (< turco şürbet), sciacallo (< fr. chacal < turco çakal di origine persiana, 1820 in «Il Raccoglitore» 29), harem (< turco haram di origine araba), odalisca (< fr. odalisque < turco odalık «cameriera», 1819 in «Il Raccoglitore» 13), orang-utan (< ingl. orang-utan < malese orang-utan «uomo della foresta»), pandito (< hindī paṇḍit), kapok (< ingl. kapok < malese kapok), pangolino (< fr. pangolin < malese pengguling «quello che si arrotola», 1766 in «Il corriere letterario»), lama (< tibetano bla-ma «un religioso»), ginseng (< fr. ginseng < cinese rénshēn, 1671 in F. Redi, Esperienze intorno alle cose naturali), cocchio (< ungh. kocsi, 1545 in B. Rositini & P. Rositini, Le comedie del acetissimo Aristofane), ciarda (< ungh. csárdás).

Le forme di contatto, seppure remoto, con le lingue orientali ricevettero un deciso impulso nel corso del XIX secolo: acquistano cittadinanza in italiano parole come babirussa (< fr. babiroussa < malese babi «maiale» e rusa «cervo», 1780 in de Buffon, Storia naturale), cachi (< ingl. khaki < hindī xākī, 1833 in Dizionario delle scienze naturali), catechu (< ingl. catechu < kannaḍa kāchu, 1745 in G.P. Bergantini, Voci italiane d’autori approvati dalla Crusca), corindone (< fr. corindon < tamil kuruvindam, 1807 in G.B. Brocchi, Trattato mineralogico e chimico sulle miniere di ferro, II), gimkana (< fr. gymkana < ingl. gymkhana < hindī gendxāna), guttaperca (< malese getah perca «gomma a striscia», 1857 in «Museo di scienze e letteratura», 1, n.s.), pagaia (< fr. pagaie < malese pengayuh), patchouli (< fr. patchouli < tamil passilai), pompelmo (< oland. pompelmo < tamil pampaḷimāsu, 1726 in P.B. Clarici, Istoria e coltura delle piante), teck (< ingl. teck < tamil tekku), vetiver (< fr. vétiver < tamil vettiver). Qualche ebraismo penetra in questi anni attraverso le varietà giudeo-italiane (Mancini 1992:153): kipur (< ebr. [yôm] kippûr), talet (< ebr. ṭallît), talmud (< ebr. talmûd), tora (< ebr. tôrâh).

La lingua italiana, a seguito delle avventure coloniali, ha assunto qualche voce somala come dubat «soldato coloniale» < somalo duubcad «turbante bianco» (1935), e il nome dello stupefacente chat < somalo jaad (1973 nella rivista «Africa» 28; viceversa, è di trafila inglese la variante qat dall’allotropo somalo qaad: 1953 in «Annali della società di medicina ed igiene tropicale della Somalia» 5); e altre parole dalle lingue semitiche del Corno d’Africa, circolanti per lo più nella letteratura ‘esotistica’ durante il Ventennio fascista (per le datazioni di questi termini cfr. Ricci 2005: 121-132): ras «capo» (< amarico ras), abuna propr. «nostro padre; vescovo» (< ge’ez abuna; se ne conosce un’isolata attestazione cinquecentesca in Andrea Corsali), enghiera «pane» (< tigrino engērā, amarico enǧarā), gheber «vergine» (< somalo del Benadir gebér), ghember «sgabelli» (< somalo del Benadir gámbar), ambessa «leone» (< amarico e tigrino anbasā), naurì «vergogna» (< tigrino nawri), negus «appellativo dell’imperatore d’Etiopia» (< amarico nǝgus), tec «bevanda etiopica leggermente alcolica» (< amarico ṭaǧǧ).

Cambiano in primo luogo le modalità di accesso dei parlanti: se in precedenza solo gli orientalismi commerciali avevano conosciuto un’ampia diffusione nel parlato (e nello scritto), laddove gli orientalismi etnografici o scientifici erano sempre limitati a una circolazione ristretta, in epoca moderna la progressiva diffusione dei media cartacei prima, di quelli telematici poi, ha radicalmente mutato le condizioni di impiego degli orientalismi.

Le singole voci sono attinte in modo indiretto attraverso agenzie giornalistiche, notizie di seconda mano contenute in reportage, in libri di viaggio (spesso di grande successo come nel caso di Marocco o di Costantinopoli di E. De Amicis), in romanzi di autori stranieri. Ai nostri giorni il volano dei media fa sì che le parole circolino in modo quasi istantaneo e, si direbbe, addirittura inatteso, una sorta di esposizione continua e inarrestabile all’esotismo culturale globalizzato e, dunque, all’esotismo linguistico. Gli orientalismi pullulano nei menù degli etnoristoranti, nei negozi di abbigliamento e, come hanno mostrato alcune ricerche sul linguistic landscape delle lingue immigrate, nelle insegne dei negozi e dei mercati di quartieri ad alta concentrazione di immigrazione, come l’Esquilino a Roma (Bagna 2006). Le avvisaglie di un tale incremento nell’afflusso di orientalismi in italiano si ebbero già in pieno Ottocento grazie alla diffusione della stampa popolare. È il caso dei nipponismi nella scrittura brillante delle rubriche del giovane ➔ Gabriele D’Annunzio su «La Tribuna» di Roma (Trifone 1991; Mancini 2009) o nelle riviste di avventura (in un racconto, ad es., pubblicato il 19 dicembre 1878 sul «Giornale illustrato dei viaggi e delle avventure di terra e di mare» compaiono nipponismi come samurai, togin, ciàa-jia, daimios, taicun). Analoghe considerazioni valgono per gli indianismi e i malesismi nella narrativa di traduzione (cfr. parole come cipay, coolie, currie, henne, mahut, mikado nelle versioni dal francese dei libri di Verne, o come avatar, paria, durbar, toddy nelle versioni dall’inglese di Walter Scott: rispettivamente Fusco 2001 e Benedetti 1974) e, soprattutto, per le anglografie e le francografie che si alternano in Salgàri (vedi § 3.1 con riferimento a Mancini 1993).

La circolazione degli orientalismi nella letteratura di traduzione continua ancor oggi. A parte la narrativa di viaggio (di autori come Guido Gozzano, ➔ Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, e, ancora, Paolo Rumiz e Stefano Malatesta), le versioni italiane, ad es., di scrittori quali Yukio Mishima, Yunichiro Tanizaki o Banana Yoshimoto sono ricche di nipponismi nel lessico del vestiario, della religione, della cucina (a questi romanzi spesso è annesso un vero e proprio glossario, vedi § 3.2). Molti gli ebraismi e le voci jiddish nelle traduzioni dei romanzi di Singer o di Yeoshua.

Analogamente il recente successo di traduzioni di romanzi e di biografie su donne indiane, pakistane, iraniane ad opera di autori/autrici come Javier Moro, Shobhaa Dé, Diana Mohamadi, Maryam Ansaly, Nafissa Haji, Sara Yalda – per citarne solamente alcuni – ha contribuito sensibilmente alla diffusione di orientalismi, specie indianismi e persianismi presso numerosi lettori/lettrici italiani. In questo caso gli orientalismi (riportati in anglografia o in francografia secondo la lingua originale del romanzo) riempiono ogni pagina con il chiaro scopo di conferire un colore locale e irresistibilmente esotico alle realtà descritte. Il meccanismo stilistico, dunque, è sempre il medesimo, già sperimentato nella narrativa avventurosa dell’Ottocento.

Si vedano le liste di persianismi in S. Yalda, Il paese delle stelle nascoste, titolo originale Regard persan (trad. it. Casal Monferrato, 2009): gaz (p. 14) < pers. gaz «pianta di tamarindo»; rupush (p. 20) < pers. rūpuš «sorta di velo»; touman (p. 22) < pers. tūmān «moneta iraniana»; sikandjebin (p. 44) < pers. sakanǰabīn «specie di sciroppo, ossimele»; chai-khané (p. 53) < pers. čāy-xānah «casa del tè»; bazari (p. 84) < pers. bāzārī «commerciante»; sefid-ab (p. 85) < pers. safed-āb «tinta bianca per cosmetici femminili», propr. «acqua bianca»; halva (p. 188) < pers. ḥalwā’ «torta», prestito arabo.

Ancora qualche esempio tratto dal glossario in appendice al volume di S. Shakib, Il sussurro della montagna proibita, titolo originale Eskandar (trad. it. Milano, 2010, pp. 533-535): akhund < pers. axūnd variante di axānd «maestro»; arbab < pers. arbāb «possidenti», plur. di rabb, prestito arabo; ashs < pers. āš «zuppa»; baradar < pers. birādar «fratello»; batshe < pers. bača «bambino»; div < pers. dīw «dèmone»; djub < pers. ǰubb «fonte d’acqua», prestito arabo; farangi < pers. farangī «europeo»; faravahr < pers. faravahr «anima, nella religione zoroastriana»; gheymeh < pers. qīmah «spezzatino di carne»; giweh < pers. gewah «scarpe di cotone»; goshne < pers. gušnah «affamato»; khob < pers. xūb «buono»; korsi < pers. kursī «tavolino»; naft < pers. naft «petrolio»; namuss < pers. nāmūs «reputazione», prestito arabo; purdah < ingl. purdah < pers. pardah «tenda» (cfr. Hobson-Jobson 1903: 744); sangak < pers. sangak «pane cotto su pietra»; torshi < pers. turšī «sottoaceti»; zur-khaneh < pers. zūr-xānah «palestra».

Colpiscono, infine, le abbondanti farciture indiane in S. Dé, Notti di Bollywood, titolo originale Starry Nights (trad. it. Milano, 2007): qui si contano non meno di un centinaio di lemmi accompagnati quasi sempre da una glossa. A titolo esemplificativo ne citiamo alcuni: bhangi (p. 9) < hindī bhaṅgī «persona di bassa casta»; paan (p. 10) < pān «betel»; kajal (p. 12) < hindī kājal propr. «nerofumo»; gulam (p. 15) < hindī gulām «amante»; haraami (p. 18) < hindī harāmī «bastardo»; salwar kameez (p. 21) < hindī śalvār kamīz «pantalone camicetta»; tola (p. 21) < hindī tolā «unità di misura per metalli preziosi»; gunah (p. 24) < hindī gunāha «colpa, peccato»; bhooka (p. 25), < hindī bhūkhā «affamato»; murgi (p. 27) < hindī murgī «pollo»; apsara (p. 35) < hindī apsarā «ninfa»; beedi (p. 37) < hindī bīṛī «specie di sigaretta indiana»; mala (p. 43) < hindī mālā «ghirlanda, rosario»; tulsi (p. 43) < hindī tulsī «basilico»; pakora (p. 43) < hindī pakauṛā «frittella di legumi»; murda (p. 44) < hindī murdār «cadavere».

Di diffusione più circoscritta sono, infine, quegli orientalismi che fanno riferimento alle discipline letterarie, musicali, religiose e linguistiche orientali. Si tratta di un corpus lessicale vasto ma noto, in genere, ai soli cultori delle singole materie. È il caso delle scienze religiose indiane, iraniche, cinesi, giapponesi o del metalinguaggio delle grammatiche ebraiche, arabe, cinesi, per citare i primi esempi che vengono alla mente. In questo ambito specialistico vanno fatti rientrare anche i nipponismi relativi alle arti marziali (tra parentesi la data di prima attestazione secondo Mancini 2009: 81-83): aikidoka «chi pratica l’aikido» (1987), bo «lungo bastone in alcune arti marziali» (1977), bogu «armatura di protezione usata per praticare il kendo» (1994), boken «nel kendo, spada di legno usata nei kata» (1977), dojo «palestra di arti marziali giapponesi» (1971), ippon «nel judo e karate punto ottenuto eseguendo una determinata tecnica» (1965), judo (1922), kata «combattimento figurato» (1965), keikogi «tipico abbigliamento per praticare l’aikido e il kendo» (1982), kumite «combattimento» (1977), kyudo «l’arte, la pratica del tiro con l’arco tradizionale» (1976), osaekomi «nelle fasi di lotta a terra del judo, immobilizzazione» (1976), shinai «nel kendo, spada da allenamento costituita da quattro stecche di bambù unite fra loro da un’impugnatura e una guardia in cuoio» (1970), shuriken «arma da lancio usata dai ninja, specialmente a forma di stella con punte acuminate» (1977), tonfa «corto bastone con impugnatura trasversale usato in alcune arti marziali» (1986), wazaari «nel judo e nel karate, mezzo punto ottenuto eseguendo una tecnica» (1965). Analoghe osservazioni valgono per i termini musicali di origine cinese (Masini 2006: 22).

Nei paragrafi che seguono vengono raggruppati gli esotismi per lingua-modello; le datazioni degli indianismi salgariani (§ 3.1) si trovano in Mancini (1993), quelle dei nipponismi (§ 3.2) vengono riportate secondo Mancini (2009), quelle dei sinismi (§ 3.3), tranne che non sia espressamente indicata una retrodatazione, si trovano nel GRADIT; lo stesso vale per gli ebraismi (§ 3.4) e per i magiarismi (§ 3.5).

Indianismi e malesismi salgariani

abd-hut < hindī abdhūt «fachiro indiano»; achumunu < sanscrito ācamana- «l’atto di sorseggiare acqua con le palme delle mani prima di una cerimonia»; admikanevalla < hindī ādmīkhānewālā «che mangia gli uomini», epiteto della tigre; arak < hindī arak «sorta di liquore» (Cardona 1971-1973: 209); arecche < malayāḷaṁ aṭekka «il seme della palma arecha catechu» (Cardona 1971-1973: 205; Soravia 1989: 370); arghilah < hindī haṛgīlā «specie di uccello, leptoptilus argala»; babù < hindī bābū « titolo di rispetto»; badul < kannaḍa bāwul «sorta di pipistrello»; bâg < hindī bāgh «tigre»; bang < hindī bhāṅg «estratto di cannabis satiua»; bangle < marāṭhī baglā «specie di barca» (il termine, nella forma pagheis, compare già in Sassetti: cfr. Soravia 1989: 377); bans < hindī bāns «specie di bamboo»; bansy < hindī bānsī «strumento a fiato»; benafuli < hindī benāphulī «qualità di riso» (Bausani & Cardona 1970: 124); bighana (femm.) < hindī bighanā «lupo» (masch.); bin < hindī bīn «sorta di liuto»; biscnub < hindī bišnawī «membro di una setta religiosa»; bengalow < hindī baṅglā, propr. «bengalese», nome di un tipo di abitazione; cangi < hindī kāñjī «farinata di sapore aspro»; cipay/sipai < hindī sipāhī «cavaliere», prestito dal pers.; cobir bor < hindī kabīr baṛ propr. «grande banyan»; comareah < sanscr. kumāriyā- «principesca» riferito a un tipo di elefante; cornac, probabilmente dall’espressione singalese kūrawa-nāyaka «capo degli elefanti»; carry < tamil kaṟi «curry» (Bausani & Cardona 1970: 127; il termine compare già in Pietro Della Valle: Parodi 1987: 286); devadasi < hindī devadāsī «schiava al servizio degli dèi»; dondy < hindī dandī «particolare tipo di asceta»; dooté < hindī dhotī «sorta di abito»; fakiro < hindī faqīr, prestito dall’ar., propr. «povero», voce già settecentesca; gautha [sic] < hindī ghaṇṭā «campana»; ghat < hindī ghāṭ «luogo sacro digradante verso la riva di un fiume»; ghi < hindī ghī «burro bollito»; guru < hindī gurū «sacerdote hindù»; hauda < hindī hauda «sedile posto sul dorso di un elefante»; jagra < port. jagra «zucchero di palma» < malayāḷaṁ cakkarā; jemmadar < jam‛dār «ufficiale», prestito dal pers.; jungla < ingl. jungle < hindī jaṅglā, propr. «terreno non coltivato»; kaskpanayas < hindī xasxāna «casa per l’erba xas, andropogon muricatum», prestito dal pers.; kurty < hindī kurtī «sorta di abito»; languti < hindī laṅgotī «sorta di abito»; madace-pongol < tamil māṭu poṅkal «Pongol delle vacche, nome di una festa»; marabù < fr. marabout < ar. murābiṭ «sacerdote musulmano» (Hobson-Jobson 1903: 7a; Lokotsch 1927: 112); maharaiah < sanscr. mahārājā, nominativo sing., propr. «grande sovrano»; mahut < hindī mahāwat «conduttore di elefanti»; manti < hindī mahantī, propr. «stato di essere mahant, capo di un ordine religioso»; merghee < hindī mṛgī «antilope», appellativo di una particolare razza di elefanti; mindi < hindī mehndī «lawsonia alba»; mirdeng < hindī mirdaṅg «sorta di tamburo»; molanghi < hindī malaṅg «specie di uccello»; mur-punky < hindī morpaṅkhī letteralmente «che ha la coda di pavone (mor)», nome di un particolare tipo di imbarcazione; mussalchi < ingl. mussalchi < hindī maš‛alcī «portatore di torcia»; nagu < hindī nāgā «appartenente a un ordine mendicante hindù»; nagapautciami < hindī nāgapañcamī «festa consacrata ai Nāga»; nagatampo < hindī nāgacampā «pianta dai fiori profumati»; nanek-punthy < hindī nānak-panthī «seguace del sikh Nānak-Šāh»; narghilè < hindī nārgīleh «bottiglia»; nartachi < hindī nartakī «danzatrice»; nilgò < hindī nīlgāū, propr. «vacca blu», soprannome dell’antilope tragocamelus; nim < hindī nīm «sorta di pianta, azadirachta indica»; onugonum < sanscr. anugamana- «postcremazione», altro nome della cerimonia della satī, la cremazione delle vedove; pipal < hindī pīpal «ficus religiosa»; poerum-pongol < hindī param poṅgal «grande pongal», nome di una festa; punka (femm.) < ingl. punka < hindī paṅkhā (masch.) «sorta di ventaglio»; putscie < hindī pūjā «rito»; praho < ingl. prahu < mal. perahu «imbarcazione» (Cardona 1971-1973: 190-191; Soravia 1989: 378 per attestazioni precedenti); rajah < sanscr. rājā, nominativo sing. di rājan- «sovrano» (cfr. anche Soravia 1989: 378); ramanandy < hindī rāmānandī «discepolo di Rama»; ramsinga < hindī rāmsiṅgā «sorta di corno dal suono profondo»; rubdira mandali < hindī rudramaṇḍalī «ghirlanda di Rudra», nome di un serpente; rupia < hindī rūpya «moneta»; sagù < hindī sāgū «specie di palme»; saniassi < hindī sanyāsī «ordine dei brahmini»; sapwallah < hindī sāpwālā «incantatore di serpenti»; saranguy < hindī sāraṅgī «strumento a corda»; sari < hindī sāṛī «abito femminile»; sarinda < hindī sārinda «strumento a corda»; sciambaga < hindī campak «michelia champaka», parola già documentata in Pietro Della Valle; scikari < hindī šikārī «accompagnatore, guida nelle battute di caccia»; semidar < hindī zamīndār «possidente terriero», prestito dal pers.; sitar < hindī sitār «strumento a corda»; subadhar < hindī ṣūbadār «comandante di una provincia», prestito dal pers., già in Pietro Della Valle; sudra < sanscr. śūdra- «appartenente alla quarta casta hindù»; tam-tam < hindī ṭam-ṭam «sorta di tamburo»; tara < malayāḷaṁ taṛa, propr. «germoglio, sorta di pianta»; tarwar < hindī tarwār, variante di talwār «corta arma da taglio»; tatti < hindī ṭaṭṭī «sorta di pasta fatta di radici che si applica alle aperture delle finestre»; tcita < hindī cītā «specie di felino, felis jubala»; thug < ingl. thug < hindī ṭhag, propr. «ingannatore»; tody < ingl. tody < hindī tāṛī «succo fermentato del tar» (la voce compare già in Pietro Della Valle); vetiver < tamil veṭṭivēr «specie di pianta».

Nipponismi

azuki «varietà di soia con semi di vari colori, simile per gusto e forma ai fagioli» (1938); bakufu «il governo degli shogun» (1901, l’espressione «governo della tenda» si trova già nella Lettera annuale del Giappone scritta dal padre portoghese Luis Frois, Roma 1590); bancha «varietà di tè giapponese» (1869); banzai «grido con cui i militari giapponesi si lanciavano all’attacco», propr. «centomila anni» (1898); bunraku «teatro giapponese di marionette» (1960); bushido «il complesso delle norme della casta militare giapponese» (1905); cha no yu «arte di preparare e servire il tè» (1898); cho «unità di misura» (1873); daikon «varietà giapponese di rafano» (1898); futon «sottile materasso imbottito di cotone» (1912); geta «zoccoli di legno giapponesi» (1929); gigaku «antica danza pantomimica» (1939); go-ban «antico gioco giapponese» (1917); gominuki «gara di lotta giapponese che consiste in cinque incontri» (1912); gyokuro «varietà pregiata di tè verde giapponese» (1945); habutae «tessuto di seta, fitto e lucido» (1899); haibun «breve componimento, talvolta umoristico» (1956); haikai «componimento poetico giapponese» (1899); haiku «breve componimento poetico» (1938); harakiri «suicidio rituale» (1868; Cardona 1998); hiragana «sillabario giapponese derivato da forme corsive di caratteri cinesi» (1899); ikebana «arte giapponese di disporre fiori e piante» (1928); jidaimono «dramma storico» (1939); jujutsu «arte marziale» (1907); kabuki «genere teatrale giapponese» (1899); kagura «antica pantomima di ispirazione scintoistica» (1872); kakemono «dipinto giapponese eseguito su una striscia verticale di stoffa o di carta» (1897); kangakusha «studioso della filosofia cinese» (1956); karoshi «morte improvvisa causata da stress» (1992); katakana «sillabario giapponese derivato dai caratteri cinesi» (1838); keiretsu «serie di aziende collegate in una catena produttiva e commerciale» (1981); ki «energia vitale del corpo» (1987); kombu «alga rossa del genere Litotamnio» (1956); koto «strumento giapponese a tredici corde» (1876); matcha «varietà di tè verde» (1992); mirin «distillato di riso» (1905); monogatari «componimento in prosa, talvolta mista a versi» (1884); musume «ragazza che si prostituisce nelle case di piacere giapponesi» (1866); nada «canale marino» (1875); nanukayami «febbre dei sette giorni» (1919); nashi «pianta originaria della Cina ottenuta per ibridazione» (1910); nengo «ciascuna delle ere in cui i giapponesi suddividono la loro storia dal 645 d.C. a oggi» (1915); nigiri «specie di sushi» (1974); nikki «genere letterario, diffuso nei secoli IX e XI» (1957); no «genere drammatico giapponese» (1904); obi «nel costume giapponese, larga cintura di seta» (1873); on «pronuncia giapponese dei caratteri cinesi» (1937); pachinko «tipico gioco d’azzardo giapponese» (1972); raku «antica tecnica giapponese di lavorazione dell’argilla» (1982); ramen «tagliatelle di farina» (1987); renga «poesia a catena» (1915); ronin «nel Giappone feudale, samurai che, rimasto senza il signore, era costretto a esercitare altre attività o a diventare fuorilegge» (1899); ryokan «albergo, originariamente di categoria economica, in stile tradizionale giapponese» (1968); samisen «strumento musicale giapponese» (1894); sashimi «piatto tipico della cucina giapponese a base di pesce» (1981); satsuma «varietà di mandarino originaria del Giappone» (1891); seitan «vivanda a base di glutine» (1983); sencha «varietà pregiata di tè verde» (1945); sensei «maestro di arti marziali» (1877); seppuku «harakiri» (1905); shakuhachi «flauto dritto di canna di bambù» (1994); shamisen «strumento simile al liuto» (1876); shibai «forma di teatro giapponese» (1899); shinto «scintoismo» (1896); shite «nel teatro no, l’attore protagonista» (1962); sodoku «malattia infettiva tropicale» (1924); sukiyaki «vivanda a base di carne» (1971); sumo «tipo di lotta giapponese» (1922); sumotori «lottatore di sumo» (1904, in Emilio Salgari, L’eroina di Port Arthur, nella variante sumatori); surimono «tipo di xilografia diffusa in Giappone tra i secoli XVIII e XIX» (1977); sushi «piatto tipico giapponese» (1910); sushi bar «locale dove vengono consumate porzioni di sushi e sashimi» (1988); susuki «pianta ad alto fusto del genere Miscanto» (1938); tabi «calzino di cotone con l’alluce separato dalle altre dita» (1904); takigoto «strumento musicale con cassa trapezoidale e corde di seta» (1908); tanka «componimento poetico in cinque versi» (1899); temaki «specie di sushi» (1992); tenno «titolo ufficiale dell’imperatore giapponese» (1879); tenri-kyo «setta scintoista» (1929); tenshi «titolo dell’imperatore del Giappone» (1908); tofu «specialità a base di soia» (1880); tokonoma «nelle abitazioni giapponesi tradizionali, nicchia nella parete per disporvi fiori, vasi, oggetti d’arte» (1926); tsunami «enorme ondata solitaria» (1908); tsutsugamushi «malattia infettiva esantematica» (1922); ukiyo-e «genere pittorico» (1939); umeboshi «prugna secca conservata sotto sale» (1980); uta «poesie giapponesi senza rima» (1873); yakuza «organizzazione criminale giapponese» (1972); yayoishiki «ceramica giapponese dell’età del bronzo» (1959); yukata «kimono di cotone leggero» (1979); yumi «tradizionale arco giapponese di bambù o legno» (1995); zafu «cuscino imbottito di fibre naturali» (1992).

Sinismi

falun gong < cinese fǎlúngong «setta sincretistica particolarmente diffusa in Cina», comp. di fǎ «legge», lún «ruota» e gōng «arte, tecnica» (1976 in «Il Mondo» 28, parte I); kin < cinese qín «antico strumento musicale cinese a corde»; king < cinese qìng «strumento musicale cinese costituito da una sorta di xilofono»; kung fu < cinese gōng fu, propr. «tecnica ginnica, arte marziale» (1974 in G. Cesarano, Manuale di sopravvivenza); lung chin < cinese lóngjǐng «varietà di tè verde dalla foglia piatta»; pai-xiao < cinese páixiāo «flauto multiplo», comp. di pái «accostato, in fila» e xiào «flauto»; ping-pong < cinese pīng-pāng, originariamente voce onomatopeica (1934 in «La lettura» 34); pipa < cinese pípá «strumento musicale cinese simile a un liuto corto»; pu-erh < cinese pǔ’ěr «varietà di tè post-fermentato a foglia larga»; qi gong < cinese qìgōng «forma intermedia tra meditazione e ginnastica», comp. di qì «energia» e gōng «tecnica»; shao-lin chuan < cinese shàolínquán «tipo di arte marziale simile al kung fu»; sheng < cinese shēng «antico strumento a fiato»; tai chi chuan < cinese táijíquán «tipo di arte marziale», comp. di tái «estremo», ji «limite», quán «pugno»; tazebao < cinese dazibao; titse < cinese dízi «antico flauto traverso di bambù»; tuina < cinese tūiná «tecnica di massaggio propria della medicina cinese», comp. di tui «spingere» e na «afferrare» (1992 in D. Reid, Il tao della salute, del sesso e della longevità); tzu < cinese cí «genere poetico della lirica arcaica cinese», propr. «testo; espressione» (1950 in «L’Italia che scrive»); wing chun < cinese wǒng chūn «tipo di kung fu», propr. «celebrare la primavera»; wok < cinese cantonese wok «pentola cinese a uno o due manici» (1976 in «Abitare»); wonton < cinese húntun «raviolo tipico della cucina cinese»; wu < cinese wú «gruppo di dialetti cinesi parlati nella parte inferiore della vallata dello Yangtze Kiang»; wuxiapian < cinese wǔxiápiàn «film dei cavalieri erranti, genere cinematografico cinese»; yang < cinese yáng «nella filosofia cinese il principio attivo, positivo, maschile dell’universo» (1850 in F. Puccinotti, Storia della medicina, I); yin < cinese yīn «nella filosofia cinese il principio passivo, negativo e femminile dell’universo» (1850 in F. Puccinotti, Storia della medicina, I); yuan < cinese yuàn «ciascuna delle commissioni in cui si divideva il consiglio di stato nella Cina nazionalista», propr. «cortile, corte» (1943 in «Rivista marittima»).

Ebraismi

etrog < ebr. etrōg «varietà di cedro impiegata in usi liturgici» (1923 in «Annali della regia stazione di agrumicultura e frutticultura in Acireale»); haganah < ebr. hăgānâh, propr. «difesa»; «organizzazione militare ebraica, sorta in Palestina durante il mandato britannico» (1948 in «Relazioni Internazionali» 12); halisah < ebr. ḥălîṣâh, propr. «liberazione»; «nel diritto ebraico, rinuncia formale da parte del fratello del defunto a prenderne in moglie la vedova»; hanukkah < ebr. ḥănûkkâh, propr. «consacrazione», festa ebraica (1927 in S. Aurigemma, Tripoli e le sue opere d’arte); hared < ebr. ḥārēd, propr. «colui che teme (Dio); «ebreo ultraortodosso»; hazzan < ebr. mišnico ḥazzān «ministro del culto ebraico» (1934 in «Genus» 1-2); kasher < ebr. kāšēr «giusto, adatto» poi «puro» (la variante kosher è tipica della pronuncia ashkenazita); kibbutz < ebr. qibbûṣ, propr. «riunione, assemblea» (1946 in «Rivista di Etnografia» 1-4); kinnor < ebr. kinnôr «antico strumento ebraico simile alla lira» (1730 in A. Calmet, Il tesoro delle antichità sacre, II); kippah < ebr. kippâh «piccolo copricapo a forma di calotta» (1988 in Arte e cultura ebraiche in Emilia Romagna); knesset < ebr. kenèset «congresso» (1964 in «Bollettino di informazioni costituzionali e parlamentari» 15); massebah < ebr. maṣṣēbâh «stele sacra di pietra, simile a un menhir, propria del culto ebraico» (1932 in «Studi e materiali di storia delle religioni» 8); massot < ebr. maṣṣôt «pane azzimo»; menorah < ebr. mǝnôrâh «candeliere»; mohar < ebr. môhar «nel diritto ebraico, somma versata dal fidanzato alla famiglia della sposa» (1905 in «Rivista d’Italia» n. 8); nisan < ebr. nîsān «settimo mese del calendario ebraico» (1750 in A. Calmet, Il tesoro delle antichità sacre, V); olah < ebr. ‛ôlâh «nella religione ebraica, la forma più elevata di sacrificio offerto a Dio» (1909 in «Il Rinnovamento» 5); parashah < ebr. pārāšâh «sezione, ognuna delle sezioni del testo della Torah»; pesach < ebr. pesaḥ, propr. «passaggio», festa ebraica (1851 in A. Bianchi-Giovini, La storia biblica dalla creazione del mondo alla traslazione degli Ebrei a Babilonia); piyyut < ebr. piyyûṭ «poesia», dal gr. poiētḗs (1869 in «Annali delle Università toscane» 11); purim < ebr. pûrîm, propr. «le sorti», festa religiosa ebraica; qabbalah < ebr. qabbālâh, propr. «tradizione» (1896 in «Nuova antologia di scienze, lettere e arti» 146); qedeshim < ebr. qǝdēšîm, propr. pl. di qādēš «adoratore, nell’antico Oriente semitico; adoratori, spesso fanatici, di oggetti sacri» (1935 in E. Zolli, Israele. Studi storico-religiosi); rosh ha-shanah < ebr. rōš haš-šānnâh «festa di capo d’anno»; sabra < ebr. tsàbar «nativo di Israele» (1959 in «Oriente moderno» 39); seder < ebr. sēder «ordine delle cerimonie e delle azioni che si compiono durante la cena di Pesach» (1700 in G. Rondelli, Urania, custode del tempo); selihah < ebr. sǝlîḥâh «perdono, preghiera penitenziale ebraica» (1935 in E. Zolli, Israele. Studi storico-religiosi); shabbath < ebr. šabbāt «sabato» (1906 in «Rivista storico-critica delle scienze teologiche» 2); shalom < ebr. šalôm «pace», saluto ebraico (1869 in «Annali delle Università toscane» 11); sheol < ebr. šǝ’ôl «l’oltretomba» (1843 in R. Mastriani, Dizionario geografico-storico-civile del Regno delle Due Sicilie); shibboleth < ebr. šibbôlet, propr. «spiga di grano», secondo la narrazione biblica, parola usata per individuare e sopprimere gli Efraimiti; di qui, attraverso l’ingl. shibboleth, «parola o locuzione che determina l’appartenenza del parlante a un certo gruppo linguistico o sociolinguistico» (1843 in Don Giovanni, poema di Lord Byron); shoah < ebr. šô’âh, propr. «annullamento; lo sterminio del popolo ebraico a opera dei nazisti» (1959 in «Annali dell’Istituto Orientale di Napoli – sezione Romanza» 48); shofar < ebr. šôfār «strumento musicale di origine antichissima simile a un corno» (1863 in «L’Educatore israelita» 11); sukkot < ebr. sukkôt, propr. «capanne», festa ebraica (1916 in Profezia di Isaia figlio di Amoz); tammuz < ebr. tammûz «decimo mese del calendario ebraico»; tefillim < ebr. tǝpillîm, variante di tǝpillîn, «preghiere»; tishri < ebr. tišrî «primo mese del calendario ebraico» (1869 in D. Castelli, Leggende talmudiche); yeshivà < ebr. jǝšîbâh, propr. «posto a sedere», scuola religiosa ebraica (1964 in «Comunità»); zaddik (< ebr. ṣaddîq «giusto; guida spirituale della comunità chassidica») (1923 in D.A. Lattes, Apologia dell’ebraismo).

Magiarismi

gulasch < ted. Gulasch < ungh. gulyás, prestito decurtato, propr. gulyás-leves «zuppa del mandriano»; honvéd < ungh. honvéd «soldato dell’esercito ungherese», comp. di hon «patria» e véd «difensore» (1849 in D. Bruschelli, Il vero amico del popolo); komondor < ungh. komondor «razza di cani da pastore»; kuruc < ungh. kuruc «eroe, patriota nell’epica popolare magiara» (1929 in Zs. Bátky, L’Ungheria); kuvasz < ungh. kuvasz «razza di cani da pastore molto simili al maremmano»; palotás < ungh. palotás «danza nobile in tre movimenti» (1952 in A. Della Corte & G. Pannain, Storia della musica, III); paprika < ungh. paprika, dal serbocroato paprika, propr. «peperone» (1841 in «Biblioteca di commercio» 1); puli < ungh. puli «razza di cani da pastore, di origine ungherese»; puszta < ungh. puszta «vasta pianura stepposa» (1831 in «Biblioteca italiana o sia Giornale di letteratura, scienze ed arti» 63); tanya < ungh. tanya «dimora tipica della pianura ungherese» (1923 in «La lettura» 23); tarogato < ungh. tárogató «strumento popolare ungherese simile all’oboe» (1919 in «La lettura» 19); tokaj < ungh. tokaj «tipo di vino», da Tokaj, cittadina dell’Ungheria); verbunk < ungh. verbunk «danza nazionale ungherese di ritmo ternario», dal ted. Werbung «arruolamento», perché eseguita in origine durante le cerimonie di reclutamento (1951 in «Lares» 17-19).

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