ORMEA, Carlo Vincenzo Ferrero, marchese di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

ORMEA, Carlo Vincenzo Ferrero, marchese di

Andrea Merlotti

ORMEA, Carlo Vincenzo Ferrero, marchese di. – Vassallo di Roasio, nacque a Mondovì il 5 aprile 1680 da Alessandro Marcello (1655-1732) e da Anna Ferrero (m. 1720 ca.), sposatisi nel 1672.

La famiglia Ferrero era fra le più antiche del patriziato monregalese, attestata sin dal XIII secolo e presto divisasi in diversi rami. Ormea faceva parte del ramo cosiddetto «di Giovan Battista», dal nome del suo capostipite. L’avo Carlo era divenuto presidente del Senato di Nizza nel 1641. Dai suoi tre figli s’erano sviluppati tre rami distinti: il primogenito Leandro aveva originato il ramo dei Ferrero di Sauze, stabilitosi a Nizza, detti poi Ferrero-Thaon; il secondogenito, Gerolamo Marcello (1619-1693), era restato a Mondovì e fu il padre del citato Alessandro Marcello; Giovan Battista (1640 circa-1726), il più giovane, s’era trasferito in Francia, divenendo marchese di St. Laurent. Anna Ferrero apparteneva, invece, al ramo ‘di Luigi’ ed era nipote di Raffaele, senatore di Piemonte. Suo padre, Giovanni Cristoforo (1612-1692), era l’ultimo esponente della sua linea.

Nel 1680 i Ferrero erano stati fra i protagonisti della ribellione della provincia di Mondovì, la cosiddetta ‘guerra del Sale’, così chiamata perché originata dal rifiuto di pagare la tassa sul sale e poi cresciuta, con l’appoggio della Francia, sino a mettere in dubbio lo stesso controllo sabaudo sul territorio. La rivolta fu repressa duramente: nel 1681 Gerolamo Marcello e Alessandro Marcello furono condannati a morte e si misero a stento in salvo in Francia. Dieci anni dopo, nel 1692, nel pieno della guerra franco-sabauda, i Ferrero ebbero ancora un ruolo centrale nella congiura messa in atto dal saviglianese Gian Domenico Trucchi per consegnare Mondovì ai francesi. La congiura fu scoperta e Carlo Marcello, zio di Ormea, fu arrestato e confinato nel Vercellese. Questi eventi segnarono profondamente la giovinezza di Ormea, che si svolse in un contesto politico teso, in cui la sua famiglia era sorvegliata a vista dalle autorità sabaude.

Non è noto se egli abbia studiato nel locale collegio gesuitico, in ogni caso si laureò in legge nell’Università di Mondovì il 1° febbraio 1697. I principali amici di quegli anni, restatigli accanto tutta la vita, furono il padre filippino Giovan Battista Trona (1682-1750), destinato a diventare suo consigliere spirituale, e l’architetto Francesco Gallo (1672-1750), che era suo cugino, essendo la madre Bona Maria Ferrero sorella di quella di Ormea.

Dopo la laurea, fu creato giudice di Carmagnola. A questa nomina non fu probabilmente estraneo Giovan Giacomo Fontana (1673-1751), capo della fazione filosabauda del patriziato monregalese, cui Alessandro Marcello e Ormea s’erano nel frattempo avvicinati. Pare risalire agli stessi anni anche il matrimonio con Maria Caterina Frangia.

La svolta nella vita di Ormea avvenne il 17 giugno 1706. Il giorno prima le truppe francesi avevano iniziato l’assedio di Torino. La duchessa e i suoi due figli avevano fatto appena in tempo a uscire dalla città, prima che le bombe francesi colpissero il palazzo reale, e si erano trasferite a Cherasco. Il 17 fu la volta del duca, che nel raggiungere la moglie, si fermò a Carmagnola. Secondo una tradizione più volte ripetuta, in quella circostanza il duca sarebbe restato colpito dalla vivacità di Ormea e da allora avrebbe iniziato ad affidargli incarichi via via più importanti.

Erano passati solo pochi giorni dall’incontro che il rapporto tra i due fu subito messo a dura prova. Il 22 giugno, infatti, la famiglia ducale si era trasferita a Mondovì, di cui era allora sindaco Carlo Francesco Ferrero, lo zio di Ormea protagonista della congiura del 1691. Questi ricevette dal duca l’ordine di resistere a tutti i costi a un eventuale assalto dei francesi, ma, al contrario, non appena il duca lasciò la città, la consegnò alle truppe del duca de la Feuillade: la duchessa e i suoi figli si salvarono a stento, mentre i principi di Carignano furono fatti prigionieri. Ormea si schierò contro la sua famiglia, tanto che da allora parrebbe aver rotto i ponti con padre e zio. Va collocata in questo quadro la notizia riportata da Alessandro Saluzzo (1818, V, p. 184 n.[a]) per cui Ormea avrebbe avuto dal duca l’ordine di seguire la corte quale intendente della casa delle principesse. Nel frattempo aveva iniziato a ricevere incarichi delicati, volti a testarne capacità e fedeltà: fu, infatti, intendente-referendario di Cuneo e di Aosta. Nel 1711 nacque il suo unico figlio: Alessandro Marcello (1711-1771), cui padrino fu Fontana, a testimonianza del patronage che questi esercitava allora su Ormea.

La seconda svolta nella carriera fu, però, la nomina il 16 dicembre 1713 a prefetto-intendente di Susa.

La pace di Utrecht aveva segnato il passaggio alla provincia di Susa della valle di Barcellonette, per secoli compresa nel Regno di Francia. I problemi che si presentavano erano complessi: comunità che per secoli avevano liberamente commerciato si trovavano ora in due Stati diversi. Si trattava, quindi, di definire innanzitutto il confine sullo spartiacque alpino e, più in generale, di guidare la nascita della nuova economia di frontiera, consapevoli del contrabbando che certo sarebbe insorto. Vi era poi da approntare la difesa del territorio, per cui Ormea lavorò in stretta intesa con l’ingegnere Antonio Bertola, con cui condivise la decisione di riprendere la costruzione del Forte della Brunetta, a Susa, iniziata nel 1708 e poi restata interrotta.

L’abilità mostrata a Susa indusse il segretario di Stato agli Interni Pierre Mellaréde a proporre al sovrano la nomina di Ormea a capo del gruppo di funzionari che avrebbero dovuto affrontare la delicata questione degli affari ecclesiastici in Sicilia (il cui possesso non era ancora stato riconosciuto dalla S. Sede), ma il sovrano preferì tenerlo in Piemonte. Nel febbraio 1716, anzi, gli affidò l’interim dell’intendenza generale della Savoia, il cui titolare – il conte Palma di Borgofranco – era stato richiamato momentaneamente a Torino. Quando rientrò a Susa, Vittorio Amedeo II lo considerava ormai un funzionario troppo competente per lasciarlo in provincia e il 16 aprile 1717, quindi, lo nominò generale delle finanze. Ormea si trasferì, allora, a Torino, prendendo alloggio a palazzo reale, in un appartamento situato nel cosiddetto palazzo Vecchio (oggi non più esistente), seguendo così l’uso praticato dai ministri sabaudi sino almeno a fine Settecento.

Chiamato alla guida della finanza dello Stato nel momento in cui si stava dipanando una grande ondata di riforme, Ormea si rivelò un collaboratore abile e determinato, capace di interpretare gli ordini del sovrano e di eseguirli con spietata efficienza. Ciò emerse bene in occasione dell’esame dei titoli di possesso dei feudi, decretato il 7 gennaio 1720: un’operazione che colpiva soprattutto la nobiltà più antica, costretta a dimostrare il legittimo possesso dei feudi acquistati nei secoli precedenti. L’azione di Ormea portò all’avocazione al demanio di centinaia di feudi, poi rimessi in vendita e acquistati per lo più dai patriziati delle città del Piemonte meridionale (restati ai margini dello Stato dopo la loro adesione alla causa – perdente – dei principi cognati, durante la Guerra civile fra madamisti e principisti dei 1638-42). Lo stesso Ormea partecipò a tali acquisti, comprando, il 22 settembre 1722, per 55.000 lire di Piemonte, il feudo d’Ormea, detenuto sin allora da un ramo piemontese degli Este. Vi fece impiantare subito un vasto lanificio, affidandone la direzione all’inglese John Coward, e facendone, grazie anche alla protezione del sovrano, una delle principali manifatture dello Stato.

A segnare ulteriormente il suo nuovo rango, Ormea, vedovo da qualche anno, il 22 novembre 1722 si sposò con Claudia Francesca Umberto di Palazzo (m. 1738), anch’ella vedova, esponente di un ramo ‘naturale’ della dinastia sabauda, originatosi nel Seicento da Carlo Umberto (1601-1663), figlio del duca Carlo Emanuele I, e da Virginia Pallavicini. Tale matrimonio si rivelò anche un’eccellente scelta patrimoniale: quando nel 1726 il marchese Giuseppe Ottavio, fratello della sposa, morì senza eredi, sia il marchesato di Palazzo sia il castello di Montaldo Torinese passarono a Ormea. Nel 1723, poi, convinse il sovrano a chiamare all’Università di Torino, per affidargli la cattedra di teologia, il cugino Carlo Vincenzo Maria Ferrero-Thaon (1682-1742), ultimo esponente del ramo nizzardo della famiglia.

Nel frattempo, aveva rotto ogni rapporto col padre, che nell’aprile 1725, ormai settantenne, s’era risposato segretamente con Angelica De Rossi di Ceva, esponente d’una famiglia della nobiltà monregalese. Da allora, i due si parlarono solo tramite padre Carboneri Volpengo, priore di S. Lorenzo e curatore degli interessi d’Ormea a Mondovì. Quando il padre morì, il 10 novembre 1732, Ormea non si recò ai funerali, e ottenne dalla matrigna un atto con cui questa rinunciava a ogni diritto sul patrimonio paterno. Inoltre, fece espungere il suo nome dalle genealogie della famiglia.

Godeva ormai della più ampia fiducia da parte del sovrano, il quale nel 1724 gli affidò l’incarico di recarsi a Roma per comporre la rottura diplomatica fra i due paesi e permettere così le nomine a vescovati e abbazie, interrotte da decenni. Vi giunse nel marzo 1725 e vi restò sino all’ottobre 1728.

Grazie a una notevole abilità diplomatica, che gli permise non solo di guadagnarsi la figura di Benedetto XIII, ma anche d’inserirsi nel complesso gioco delle politiche cardinalizie (cui lo Stato sabaudo era tradizionalmente estraneo), riuscì a ottenere prima il riconoscimento di Vittorio Amedeo II come re di Sardegna (9 dicembre 1726) e poi un concordato che stabiliva i diritti sabaudi nelle nomine ecclesiastiche (29 maggio 1727). Ottenne anche la nomina del cugino Ferrero-Thaon a vescovo di Alessandria (30 luglio 1727). Si fermò a Roma ancora per un anno così da poter guidare il nuovo ambasciatore – il conte Francesco Giuseppe Armano di Gros – nella complessa l’applicazione del nuovo concordato; in questo periodo riuscì a far trasferire alla sede di Osimo il vescovo di Casale Pier Secondo Radicati di Celle (1671-1729), che era stato il principale oppositore della politica ecclesiastica di Vittorio Amedeo II. Fondamentale fu il suo giudizio per la scelta di Alessandro Albani come cardinal protettore del Regno di Sardegna

Durante il suo soggiorno seguì anche le commissioni che Filippo Juvarra aveva affidato ad artisti attivi a Roma per la corte torinese: si trattava, fra gli altri, di Francesco Trevisani e Sebastiano Conca, cui Ormea commissionò opere per il proprio appartamento, tra cui una pala raffigurante s. Vincenzo Ferreri (che la tradizione genealogica voleva della sua stessa famiglia) affidata a Trevisani e un amorino commissionato a Conca. L’appartamento a corte di Ormea era arredato sontuosamente, ricco di pitture del ‘bambocciante’ Pietro Olivero (1679-1755), di cui era amico e protettore, e dei migliori pittori italiani.

Rientrato a Torino nell’estate del 1728, riprese il suo lavoro alle Finanze. Intanto, però, a Roma, approfittando della malattia del pontefice, aveva ripreso forza il partito di coloro che si opponevano al concordato raggiunto. Ormea non aveva mai smesso, in realtà, di seguire i rapporti con Roma. Proprio in quei mesi, anzi, aveva ottenuto su questo terreno un nuovo successo, convincendo Vittorio Amedeo II a proporre come cardinale ‘di corona’ (il primo concesso dal papato a casa Savoia) Ferrero-Thaon. Con la scusa di ringraziare personalmente il papa, nell’agosto 1729 tornò a Roma, dove il 22 dicembre assistette alla consegna della berretta cardinalizia al cugino (che il giorno dopo fu promosso alla cattedra di Vercelli, una delle più antiche e prestigiose d’Italia). La morte del papa, il 21 febbraio 1730, spinse Vittorio Amedeo II a ordinare a Ormea di restare per coadiuvare il cugino nell’imminente conclave. Se i due non riuscirono a promuovere l’elezione di un pontefice amico, almeno evitarono l’elezione di Pietro Corradini, capo degli ‘zelanti’ e principale avversario delle richieste sabaude: per la prima volta al conclave vi fu una fazione savoiarda, animata dai cardinali Alessandro Albani e Prospero Lambertini e in cui era anche, ovviamente, Ferrero-Thaon. L’elezione, il 12 luglio 1730 di Lorenzo Corsini come Clemente XII, emanazione dei cardinali che s’erano opposti al concordato, rese di nuovo tesi i rapporti fra le due corti.

Nel frattempo, Vittorio Amedeo II, che aveva deciso di abdicare, l’8 agosto nominò Ormea primo segretario di Stato all’Interno, in sostituzione di Pietro Mellarède, morto il 19 marzo. Il 3 settembre abdicò con una cerimonia al Castello di Rivoli e si trasferì a Chambéry. Ormea era stato tenuto all’oscuro e così non poté esser presente alla cerimonia. Rientrato a Torino, il suo primo atto fu recarsi in Savoia per raccontare a Vittorio Amedeo II quanto accaduto durante la sua missione e per congedarsi dal sovrano che aveva servito per un trentennio.

Era ormai il principale ministro sabaudo, e in breve tempo riuscì a privare quasi di ogni reale potere anche il potente marchese Ignazio Solaro del Borgo, segretario di Stato agli esteri dal 1717, conquistando un ascendente pressoché assoluto sul sovrano. Questo suo potere si rivelò decisivo nel settembre 1731, quando Vittorio Amedeo cercò di tornare sul trono. Ormea fu inflessibile nel sostenere le ragioni e l’azione di Carlo Emanuele III in un drammatico consiglio dei ministri la sera del 26 settembre. Fu, anzi, egli stesso – con fredda spietatezza – a dirigere le operazioni dell’arresto del vecchio sovrano e a seguirne la detenzione, sino alla morte il 31 ottobre 1732.

Nel frattempo, il 18 marzo 1732 Carlo Emanuele III nominò Ormea anche primo segretario di Stato agli esteri: con il controllo sulle due Segreterie di Stato e la dismissione di Ignazio Solaro del Borgo (nominato Gran ciambellano), egli era ormai de facto il primo ministro dello Stato e tale sarebbe rimasto sino alla morte, per una dozzina d’anni. Lo stesso anno, il re gli conferì anche la carica di segretario dell’Ordine dell’Annunziata, che per tradizione veniva assegnata al segretario di Stato agli esteri, e cinque anni dopo, il 19 marzo 1737, ne fu fatto cavaliere.

Da questo momento la biografia politica di Ormea si confonde con quella dello Stato.

L’alleanza filofrancese nella guerra di successione polacca (1733-37), decretata col trattato di Torino del 26 settembre 1733, e quella austro-inglese nella guerra di successione austriaca (1742-48), sancita con la ‘convenzionale provvisionale’ del 1° febbraio 1742 e col trattato di Worms del 13 settembre 1743, furono da lui patrocinate e volute. La ‘convenzione provvisionale’, in particolare, fu un vero capolavoro diplomatico: in essa Carlo Emanuele III e Maria Teresa si alleavano contro la Spagna, ma era previsto che se il primo fosse stato costretto a un’altra alleanza il trattato avrebbe perso valore, a patto che egli ne avvertisse la regina un mese prima. Si trattava di una clausola senza precedenti, che sembrava sancire il diritto sabaudo a scegliere il miglior offerente fra Impero e Francia.

Ormea non abbandonò poi l’interesse verso Roma. A fronte dell’ostilità di Clemente XIII, ribadiva la propria linea politica, mirante a mostrare che le concessioni ottenute col concordato del 1727 erano del tutto congrue a un paese in cui il cattolicesimo era difeso a oltranza. A questo scopo nel 1736 non esitò a far rapire con l’inganno e a imprigionare lo storico napoletano Pietro Giannone, profondamente inviso al papato per il suo fiero giurisdizionalismo. Nemmeno quest’atto odioso, che valse alla corte sabauda e a Ormea le critiche di mezz’Europa, servì però a sbloccare la situazione. Solo la morte di Clemente XIII, nel 1740, e l’elezione al soglio del cardinale Lambertini (Benedetto XIV), grande amico di Ormea, permisero la ripresa delle trattative e la stipula di un nuovo concordato, il 5 gennaio 1741. Altro importante successo diplomatico fu la ripresa delle relazioni diplomatiche con la Repubblica di Venezia, concretizzata con l’arrivo a Torino dell’ambasciatore Foscarini, il 21 gennaio 1742.

Meno d’un mese dopo, il 12 febbraio, Carlo Emanuele nominò Ormea Gran Cancelliere, la massima carica del Regno, seconda solo al sovrano. A differenza dei suoi predecessori, ebbe non solo le insegne di toga, ma anche quelle di spada: un privilegio dovuto anche alla scelta di mantenere la carica di segretario di Stato agli esteri (mentre cedette quella all’Interno).

Nel 1739 acquistò il feudo di Pianfei, una piccola borgata di Mondovì. Per quanto fosse ormai lontano dal luogo natio, egli restava una presenza forte nella città, dove agivano suoi uomini, come Giuseppe Mondino, suo procuratore, ma anche segretario comunale, e quindi più di tutti a conoscenza del governo locale. In quegli anni Ormea fu determinante nella costruzione del nuovo duomo di Mondovì, affidata al cugino Francesco Gallo nel 1739. Nel 1740 acquistò anche il feudo di Beinette, sempre nel Monregalese, dove fece impiantare una cartiera, affidata a lavoranti genovesi, che in breve fu in grado non solo d’imporre i suoi prodotti all’interno, ma anche di esportarli all’estero. Nello stesso tempo, valorizzando al massimo il lago che si trovava nel feudo, Ormea diede nuovo impulso ai mulini del territorio, sviluppando una fitta rete di canali. Possedeva ormai tre castelli: a Montaldo Torinese, giuntogli nel 1722 tramite la seconda moglie; a Cavoretto, sulla collina della capitale, acquisito nel 1732; a Beinette, acquistato col feudo. Inizialmente, si dedicò alla ristrutturazione del castello di Cavoretto, affidandone il progetto a Gallo, ma dall’inizio degli anni Quaranta privilegiò agli altri due. Montaldo fu restaurato fra 1743 e 1745 e divenne la principale residenza extratorinese dei marchesi d’Ormea. I restauri a Beinette furono effettuati nel 1744, quando Ormea era impegnato nelle campagne militari della guerra di successione austriaca e aveva bisogno di una base da cui guidare l’azione delle milizie da lui approntate nel Monregalese.

Nella primavera del 1742, allo scoppio della guerra di successione austriaca, Ormea fu inviato da Carlo Emanuele II a Modena per convincere il duca Francesco III a schierarsi con l’Impero. A fronte del suo rifiuto, le truppe austro-sabaude, che già avevano occupato il ducato di Parma e Piacenza, occuparono il Ducato. In tale occasione, Ormea incontrò Ludovico Antonio Muratori e cercò invano di convincerlo a entrare al servizio sabaudo. Portatosi poi a Bologna, ne approfittò per commissionare opere ad artisti come Giuseppe Maria Crespi e Donato Creti. Mentre seguiva il sovrano nelle sue campagne militari, giunse la notizia della morte, il 9 dicembre 1742, del cardinale Ferrero-Thaon. Poiché la corona sabauda non aveva rappresentanti nel Sacro Collegio e sembrava imminente la nomina di un nuovo cardinale ‘di corona’, si sparse voce che proprio Ormea fosse scelto per tale carica. Non è chiaro se questi vi ambisse veramente, ma il progetto non andò in porto e ciò fu interpretato da molti come un segnale che il potere del ministro iniziasse ad avere qualche crepa. Quando il Piemonte fu invaso dalle truppe francesi, nel 1744, Ormea si portò nel Monregalese, organizzando milizie armate, che combatterono contro gli invasori. Questo impegno, unito a una salute già compromessa, minò però il suo stato fisico.

Morì a Torino il 29 maggio 1745 e fu sepolto nella chiesa parrocchiale di Cavoretto.

Per la sua qualità di Gran Cancelliere, l’Università di Torino gli tributò solenni funerali nella chiesa di S. Francesco di Paola. A testimonianza del legame che li unì, Carlo Emanuele III volle che fosse raffigurato nel bassorilievo della battaglia di Guastalla, che ne orna il sepolcro alla Basilica di Superga.

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