ORO

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

ORO (XXV, p. 577; App. II, 11, p. 464)

Giovanni MAGNIFICO

Economia. - Le politiche monetarie e finanziarie perseguite dai varî paesi sul piano nazionale e su quello internazionale hanno determinato gli sviluppi verificatisi nella produzione, nella distribuzione e nei prezzi di quello che permane il metallo monetario per eccellenza: l'oro.

Per quanto riguarda la produzione, il trascorso decennio è stato caratterizzato da due fasi nettamente distinte. Durante la prima, che si è chiusa verso la fine del 1953 e che è succeduta alla lunga parentesi di flessione produttiva durante gli anni dal 1938 al 1948, la produzione è rimasta a un livello quasi stazionario. Tra il 1953 e il 1954 ha avuto inizio, invece, una fase di espansione ancora in corso. La domanda di fattori produttivi, postulata dal processo postbellico di ricostruzione, non ha consentito nei primi anni del dopoguerra di destinare una frazione cospicua di tali fattori all'incremento della produzione di oro. In effetti, anche dopo che la ricostruzione fu ultimata, la circostanza che nei varî paesi industriali è prevalsa in generale una situazione di pieno impiego delle risorse produttive ha limitato l'ampiezza della ripresa della produzione aurea, iniziata nel 1954. In tale situazione, pertanto, non solo è rimasta limitata la disponibilità di risorse utilizzabili per la produzione di oro, ma ne è anche aumentato il prezzo di tali fattori, con la conseguenza che è sensibilmente salito il costo di produzione di una "merce", il cui prezzo ufficiale non è stato modificato fin dal 1934.

Sebbene l'oro non possa essere considerato alla stregua di una qualsiasi altra merce, è certo che il costante e ampio aumento dei costi di produzione ha determinato la cessazione dello sfruttamento di giacimenti auriferi da parte di un notevole numero di imprese marginali. La circostanza che l'espansione produttiva intervenuta più di recente è dovuta all'incremento della produzione aurea dell'Unione Sudafricana è significativa a questo riguardo. Infatti, in tale paese l'incremento nel costo dei fattori produttivi è stato più che compensato, nel complesso, dall'aumento nei profitti lordi conseguente allo sfruttamento di nuovi giacimenti, in cui il minerale aurifero si presenta misto ad uranio. Tra le miniere appartenenti all'Associazione mineraria del Transvaal e dell'Orange, la produzione di quelle che sono a un tempo produttrici di oro e uranio, essendo ammontata a 8,7 milioni di once, ha superato per la prima volta nel 1957 quella delle miniere che producono solo oro (8,4 milioni di once). L'incremento produttivo nelle miniere a produzione congiunta di oro e di uranio ha largamente compensato la flessione dovuta alla chiusura di quelle più vecchie, dove si produceva solo oro. D'altra parte, in alcuni paesi la produzione è stata incoraggiata con sovvenzioni statali, per quanto, in linea di principio, il Fondo Monetario Internazionale sia contrario a tale politica, che potrebbe mascherare una svalutazione delle monete in termini di oro.

Sebbene in quasi tutti i paesi norme di legge disciplinino la proprietà e il commercio dell'oro da parte dei privati, la loro restrittività presenta sfumature molto diverse da paese a paese, in dipendenza fra l'altro dell'esistenza di mercati dell'oro con vocazione internazionale, di un'eventuale tradizionale propensione al tesoreggiamento aureo, dell'importanza nazionale dell'oreficeria, dell'eventuale circolazione di monete auree a corso legale, ecc. In particolare, la proprietà e il commercio dell'oro non sono ammessi negli S.U.A., eccetto che a scopi industriali e artistici. In tale paese il divieto di possedere oro è stato esteso nel gennaio 1961 anche ad eventuali disponibilità detenute al di fuori del territorio nazionale dalle persone fisiche e giuridiche sottoposte alla giurisdizione S.U.A. (ancora consentiti sono, invece, la proprietà e il commercio di monete coniate anteriormente al 1933). Nel Regno Unito (per quanto riguarda i residenti dell'area della sterlina), nell'Australia, nell'Unione Sudafricana e in tutti i paesi del blocco orientale (ad eccezione della Polonia, dove è permesso ai privati di possedere oro) la proprietà e il commercio privati dell'oro non sono ammessi che in alcuni casi espressamente previsti dalla legge. Al di fuori del blocco sovietico, la facoltà di possedere soltanto il metallo in questione è prevista in Austria, Israele, Iugoslavia, Norvegia, Spagna, ecc. Il gruppo più numeroso è costituito, comunque, da quei paesi in cui la proprietà e il commercio interni sono consentiti, mentre non sono ammesse liberamente l'esportazione e l'importazione (Danimarca, Finlandia, Francia, Olanda, Portogallo, Svezia e Turchia; Cile, Colombia, Messico, Venezuela, ecc.; Birmania, Corea, India, Iraq, Laos, Pakistan, Tailandia, ecc.; Egitto, Etiopia, Libia, Marocco, Sudan, ecc.). In un altro gruppo di paesi (Brasile, Grecia, Hong Kong, Iran, Vietnam, ecc.) solo l'esportazione non è ammessa liberamente. Infine, la proprietà e il commercio interno ed estero (di importazione e di esportazione) sono liberamente ammessi nei seguenti paesi: Belgio, Repubblica Federale Tedesca, Lussemburgo, Regno Unito (per i non residenti dell'area della sterlina) e Svizzera; Canada, Argentina, Bolivia, Ecuador, Panamá, Paraguay, Perù, e Uruguay; Arabia Saudita, ecc. In Italia il commercio interno dell'oro è libero; il commercio estero (di importazione ed esportazione) dell'oro monetario (compreso quello in lingotti) è affidato in esclusiva all'Istituto italiano dei cambî; quello dell'oro lavorato e per uso industriale o contenuto in opere di oreficeria è sottoposto a licenza.

Il ripristino di una ragionevole stabilità finanziaria interna ed esterna non ha mancato di riflettersi nell'andamento dei prezzi sui mercati liberi dell'oro. A seguito della svalutazione della sterlina e delle altre principali valute europee, nel 1949 ebbe inizio un declino che continuò finché i prezzi toccarono, nella prima metà del 1950, un livello aggirantesi intorno al prezzo di acquisto praticato dal Tesoro S. U. A. (34,9125 dollari per oncia di fino). Lo scoppio del conflitto coreano e l'ondata inflazionistica cui esso dette luogo fecero salire i prezzi del 20-30% in pochi mesi. Ma, essendosi esaurita l'ondata ascendente del ciclo coreano, a partire dalla seconda metà del 1951 i prezzi ripresero a discendere, finché tra il 1953 e il 1954 essi si stabilizzarono intorno a un livello che, in quasi tutti i mercati occidentali, non superava di molti centesimi il prezzo di 35 dollari per oncia:

Nei mercati dell'Estremo Oriente, pur essendo stata simile l'evoluzione (dopo i massimi toccati nel 1951 vi fu un declino negli anni fino al 1957, allorché ha avuto inizio una nuova ripresa), i prezzi si sono mantenuti a un livello molto più elevato. A Bombay, che per volume di transazioni costituisce il principale mercato asiatico dell'oro, l'equivalente in dollari del prezzo in rupie, convertite al tasso di cambio libero, non è mai sceso dall'inizio del 1951 al di sotto di 43 dollari per oncia (medie mensili); inoltre, nell'aprile 1959 esso, essendo asceso a 64 dollari per oncia, ha toccato il livello più alto dal luglio 1950.

Le monete auree hanno continuato a far premio sull'oro in lingotti. Nel 1959, il prezzo dell'oro monetato è oscillato intorno ai 40 dollari per oncia, in Europa e negli S. U. A., e a 46 dollari, nell'Estremo Oriente. Le punte più alte sono state segnate ancora una volta da Bombay, dove però lo scarto è stato minimo rispetto all'oro in lingotti, dato l'altissimo prezzo registrato da quest'ultimo.

Il ritorno dei varî mercati (eccezion fatta di quelli dell'Estremo Oriente) a una situazione di maggiore normalità è stato facilitato dalla riapertura del mercato dell'oro di Londra, avvenuta il 22 marzo 1954, ossia a distanza di quasi quindici anni da quando, nel settembre 1939, ne fu disposta la chiusura, a causa dell'inizio del secondo conflitto mondiale. Nonostante numerose restrizioni valutarie ne abbiano limitato la libertà di funzionamento, specialmente fino a che nel dicembre 1958 non fu ripristinata la convertibilità della sterlina per i non residenti, il mercato di Londra ha di nuovo riconquistato il primo posto nella graduatoria mondiale. Il valore medio giornaliero delle transazioni ivi svolte si aggira attualmente su 3 milioni di dollari U. S. A.; ma la sua importanza è dovuta forse maggiormente alla circostanza che quello di Londra è, in condizioni normali, soprattutto un "mercato di banche centrali". Esso è alimentato principalmente dalla produzione sud-africana, che la South African Reserve Bank vende ivi nella quasi totalità, utilizzando la IBanca d'Inghilterra come agente (per altro, a partire dall'aprile 1959, il Sud Africa ha cominciato ad effettuare vendite dirette all'estero, ossia senza passare per la Banca d'Inghilterra; nel 1960, oltre la metà della produzione aurea sud-africana è stata collocata in tal modo). Seguono, a grande distanza, alcuni altri paesi dell'area della sterlina e dell'America Latina, nonché il Canada, il Congo, ecc. L'importanza dell'URSS è venuta di recente rapidamente crescendo, le sue vendite sul mercato di Londra essendo passate da un livello di circa 2 milioni di once l'anno fino al 1955, a circa 7,3 milioni nel 1959. Essa, quindi, occupa il secondo posto tra i paesi esportatori di oro nel Regno Unito.

Mentre la vendita di oro a Londra non è soggetta a restrizioni da parte britannica, l'acquisto è consentito soltanto ai non-residenti dell'area della sterlina, contro il pagamento di sterline di "conto estero", la sola categoria in cui, a seguito del ripristino della convertibilità, sono stati riuniti i conti in sterline, per pagamenti correnti, dei non residenti. In linea di principio, quello di Londra è un mercato libero, ossia senza limiti di prezzo. Infatti, ivi il prezzo può variare liberamente, in dipendenza di un'eccedenza della domanda sull'offerta, e viceversa. I rappresentanti delle cinque ditte autorizzate si incontrano quotidianamente per procedere al cosiddetto "fixing", ossia alla determinazione del prezzo al quale si effettua la compensazione delle rispettive posizioni nette. In effetti, però, il prezzo fisso di 34,9125 dollari per oncia, al quale il Tesoro S. U. A. acquista fin dal gennaio 1934 tutto l'oro che gli viene offerto per la vendita, costituisce il limite inferiore del campo di variazione dell'equivalente in dollari U.S.A. del prezzo sul mercato di Londra. Infatti, esso non è mai sceso, da quando tale mercato fu riaperto, al di sotto di 34,92 dollari per oncia. La circostanza, poi, che il prezzo si è mantenuto in prevalenza relativamente elevato è una delle ragioni principali per cui sia i paesi produttori, sia varie banche centrali, hanno preferito utilizzare il mercato di Londra per le loro vendite.

Per quanto riguarda i movimenti al rialzo, poiché Londra è normalmente un "mercato di banche centrali", ogni qualvolta il prezzo in dollari tende ivi a superare il livello di 35,0875 dollari per oncia, prezzo al quale il Tesoro S.U.A. è pronto ad effettuare vendite alle banche centrali, queste ultime, compatibilmente con i criterî di dislocazione delle riserve auree seguiti nei rispettivi paesi, hanno interesse a trasferire i loro acquisti su New York. Peraltro, il prezzo di vendita del Tesoro S. U. A. non segna un limite invalicabile alle possibilità di variazione del prezzo a Londra, in quanto le autorità americane non effettuano vendite ai privati e, nei confronti delle stesse banche centrali, si riservano una certa discrezionalità, con la clausola che gli acquisti di oro da parte delle medesime debbano essere effettuati "per scopi monetarî legittimi". Se, prima dell'autunno del 1960, il prezzo dell'oro a Londra non ha mai superato il livello di 35,16 dollari per oncia, ciò è stato dovuto a un forte predominio delle banche centrali (nei cui riguardi, un prezzo solo lievemente maggiore di quello fatto dal Tesoro S. U. A. deve essere considerato un limite effettivo, anche in virtù degli impegni assunti dalla maggior parte dei paesi nell'ambito del Fondo Monetario Internazionale) sul lato della domanda, e all'influenza stabilizzatrice esercitata dalla Banca d'Inghilterra, sul lato dell'offerta. Gli interventi della banca centrale inglese sono postulati, oltre che dalla circostanza che essa ha avuto almeno fino al 1959 il monopolio di vendita dell'oro di produzione sud-africana, dagli impegni che, in materia di cambio, il Regno Unito ha assunto in sede internazionale.

Ma, quando la domanda privata è particolarmente attiva - come succede nei casi in cui la minacciata stabilità finanziaria dei paesi più importanti dà luogo a una forte tendenza al tesoreggiamento privato - e le autorità monetarie principalmente interessate ritengono di non intervenire direttamente o indirettamente per soddisfarla, il prezzo a Londra può superare il prezzo del Tesoro S. U. A. Ciò si è appunto verificato nell'ottobre del 1960, allorché il primo ha superato di 4-5 dollari il secondo. Questo aumento, senza precedenti, è stato dovuto alla forte domanda privata di natura speculativa, stimolata fra l'altro dalle ricorrenti voci di aumento del prezzo dell'oro.

La forte ripresa del tesoreggiamento privato di oro, intervenuta nella seconda metà del 1960 contrasta con la tendenza prevalsa nei precedenti dieci anni. Infatti, sulla scorta di dati abbastanza attendibili, durante il periodo menzionato detto tesoreggiamento risulta essere aumentato solo lievemente (in Francia, poi, che fra i paesi europei è quello dove il fenomeno riveste l'importanza maggiore, esso sarebbe addirittura diminuito). Conseguentemente, la frazione di oro di nuova produzione affluita nelle riserve monetarie ufficiali è andata via via aumentando, essendo passata da una media di 400 milioni di dollari l'anno nel quadriennio 1949-52 a 600 milioni annui nei quattro anni successivi e a 700 milioni nel triennio 1957-59. Nel 1959, in particolare, l'incremento delle riserve auree ufficiali è ammontato, grazie anche alle vendite per oltre 200 milioni di dollari effettuate dall'URSS sul mercato di Londra, a ben 800 milioni. Nel 1960, invece, dei 1.400 milioni di dollari di oro nuovo (produzione corrente e vendite da parte dell'URSS), meno di 400 milioni sono affluiti nelle riserve ufficiali, a seguito della recrudescenza della domanda privata per tesoreggiamento, nell'autunno del 1960. Tale domanda si è mantenuta a un livello anormalmente alto fin verso l'inizio del 1961; ciò è indicato fra l'altro dalla circostanza che solo nel febbraio il prezzo sul mercato di Londra è tornato al livello normale, aggirantesi intorno a 35 dollari per oncia.

Come il rallentamento della tendenza a tesoreggiare oro da parte dei privati nel periodo 1949-59 era coinciso con il processo di consolidamento della stabilità finanziaria nei più importanti paesi del mondo occidentale, così la forte ripresa del tesoreggiamento nel 1960 si è verificata in concomitanza con un indebolimento della posizione internazionale del dollaro U. S. A. e di alcune altre importanti valute. Tale indebolimento, per altro, non solo si è ripercosso sulla domanda di oro da parte dei privati, miranti a proteggersi contro il rischio dell'inflazione e di un'eventuale svalutazione delle monete in termini di oro, ma ha anche diminuito la propensione delle autorità monetarie a detenere dollari, invece di oro, come riserva di liquidità esterna.

Com'è noto, nel periodo in rassegna il dollaro S. U. A. si è conquistato il primo posto quale valuta di riserva. I forti disavanzi registrati dalla bilancia dei pagamenti americana, riflettenti la "politica di buon creditore" perseguita dagli S. U. A., che almeno fino a pochi anni or sono godevano di una vantaggiosissima posizione concorrenziale rispetto alle altre economie del mondo libero, hanno costituito invero il fattore più importante di creazione di mezzi liquidi internazionali. Dal 1950 al 1956, infatti, le autorità monetarie dei varî paesi incrementarono le loro disponibilità a breve termine in dollari di ben 4,5 miliardi, contro un aumento di soli 3,5 miliardi delle loro scorte auree. Conseguentemente, in tali anni, notevoli progressi furono compiuti verso l'instaurazione di quel sistema monetario internazionale che si suole designare con la locuzione gold exchange standard, il contributo dato dal dollaro S. U. A. all'incremento della liquidità internazionale essendo passato da circa un quarto a oltre un terzo delle riserve ufficiali totali di oro e dollari, detenute al di fuori degli S. U. A. A partire dal 1956, tuttavia, tale rapporto si è sensibilmente abbassato, l'incremento globale di 8,5 miliardi delle riserve in questione avendo riguardato per 6 miliardi la componente aurea e per 2,5 miliardi soltanto le disponibilità ufficiali estere in dollari a breve termine. L'accresciuta preferenza per l'oro recentemente mostrata dalle autorità monetarie dei varî paesi è stata potuta soddisfare sia assorbendo quella porzione di oro nuovo che annualmente affluisce nelle riserve ufficiali, sia riducendo considerevolmente la consistenza della scorta aurea americana, la quale è passata da 22,9 miliardi di dollari alla fine del 1957 a 17,8 miliardi al 31 dicembre 1960. Infatti, le autorità monetarie di varî paesi, pur essendosi astenute dall'effettuare conversioni massicce in oro dei dollari già accumulati, hanno nel complesso convertito in oro nell'ultimo triennio un'alta percentuale dei dollari guadagnati correntemente, a seguito dei persistenti ampî disavanzi della bilancia dei pagamenti S. U. A.

La forte riduzione della scorta aurea americana e il simultaneo aumento delle disponibilità globali dell'estero in dollari a breve termine, che alla fine del 1960 superavano di circa 5 miliardi di dollari l'oro posseduto dagli S. U. A., hanno posto il mondo occidentale di fronte a un problema di non facile soluzione. Da una parte è chiaro, infatti, che gli S. U. A. non possono continuare a registrare disavanzi nei loro conti con l'estero, a meno di compromettere quella stabilità che è il requisito essenziale perché il dollaro possa conservare la sua funzione di principale valuta di riserva. Dall'altra, il ripristino dell'equilibrio nella bilancia dei pagamenti americana comporta l'esaurimento di una fonte importante di integrazione delle riserve di liquidità internazionale, le quali difficilmente potrebbero mantenere il passo con l'aumento del valore degli scambî mondiali, ove divenisse necessario fare affidamento soltanto sull'offerta di oro nuovo. Tale eventualità è paventata particolarmente da coloro i quali ritengono che, già nella situazione attuale, il livello della liquidità internazionale è insufficiente e che tale circostanza è suscettibile di provocare, a scadenza più o meno ravvicinata, una crisi del commercio e dei pagamenti internazionali e, conseguentemente, una depressione economica mondiale.

A questo riguardo, è da osservare, per altro, che la nozione di un livello appropriato della liquidità internazionale non è facile da stabilire, in quanto tale nozione è una funzione complessa, nella cui determinazione si deve tener conto, oltre che del valore degli scambî mondiali, della distribuzione delle riserve fra i varî paesi; dell'ampiezza e della persistenza nella stessa direzione dei disavanzi; del ruolo giocato da quelle poste della bilancia dei pagamenti, che non riguardano gli scambî di beni e servizî; della misura di controlli amministrativi cui si fa, o si è disposti a fare, ricorso; del grado di coordinamento delle politiche monetarie e finanziarie dei principali paesi e della disposizione di questi ultimi a osservare le "regole del gioco".

A scopo largamente indicativo ed esemplificativo, si può rilevare, comunque, che in una prospettiva di lungo periodo i disavanzi della bilancia dei pagamenti americana sembrano aver corretto, piuttosto che aggravato, la maldistribuzione delle riserve esistente tra i paesi industriali alla fine della seconda guerra mondiale. Infatti, la consistenza della scorta aurea americana, commisurata alle importazioni annuali, risultava pari a 0,9 volte il loro ammontare nel 1928, a 3,6 volte nel 1937, a 3 volte nel 1948 e a 1 volta nel 1960. D'altra parte per l'insieme dei paesi europei continentali, il rapporto delle riserve ufficiali di oro e divise alle importazioni annuali, che era aumentato dal 46 all'80% fra il 1928 e il 1937, nel 1948 era del 34% soltanto, donde è risalito al 58% nel 1960. Quindi, i rapporti delle riserve di liquidità esterna alle importazioni annuali, negli S. U. A. da una parte e nell'Europa continentale dall'altra, i quali fra il 1928 e il 1948 avevano fortemente aumentato il divario esistente fra loro, successivamente hanno mostrato la tendenza a un rapido avvicinamento, su posizioni non molto diverse da quelle del 1928. Inoltre, considerato che fra il 1948 e il 1960 il valore delle importazioni si è approssimativamente raddoppiato, sia nel caso degli S. U. A. sia in quello dell'Europa continentale, ne deriva che l'avvicinamento di detti rapporti è stato causato da una redistribuzione delle riserve, orientata in un senso che meglio rispecchia la rispettiva importanza dei paesi in questione nel commercio internazionale. L'evoluzione è stata alquanto differente per quanto riguarda il Regno Unito, il quale per varî motivi costituisce un caso a sé (un altro paese industrializzato al di fuori dell'Europa, il Giappone, ha in questi ultimi anni considerevolmente migliorato la propria posizione di liquidità esterna).

Quanto precede, pur non potendosi ritenere per le ragioni più sopra accennate pienamente dimostrativo della tesi dell'adeguatezza delle attuali riserve internazionali, certo non può essere invocato per sostenere quella, opposta, della loro assoluta insufficienza.

Indubbiamente, difficoltà si sono recentemente palesate nel sistema dei pagamenti internazionali. Ma esse, almeno a breve scadenza, non postulano necessariamente l'adozione di soluzioni drastiche, quali l'istituzione di una "superbanca" centrale su scala mondiale o una variazione del prezzo ufficiale dell'oro. Quest'ultima soluzione è stata a più riprese proposta nel decennio trascorso, per fronteggiare una situazione invero diametralmente opposta a quella determinatasi più di recente. Infatti, fino ad alcuni anni or sono, la principale giustificazione addotta a sostegno della tesi favorevole a un aumento del prezzo ufficiale dell'oro era costituita dal disavanzo nei pagamenti del resto del mondo nei confronti degli S. U. A. e dalla conseguente scarsità di dollari (dollar gap). Attualmente, la situazione si è rovesciata, ma il riproposto aumento del prezzo ufficiale dell'oro incontra pur sempre le obiezioni valide che non lo rendevano consigliabile allora. Tali obiezioni, a parte la questione della ripartizione dei benefici che un provvedimento del genere non assicurerebbe nella maniera più equa, fanno perno in ultima analisi sulla considerazione che un aumento del prezzo dell'oro potrebbe porre le premesse di una nuova ondata inflazionistica nel mondo e che tale metallo affinché possa continuare a svolgere la sua funzione di metallo monetario per eccellenza deve rimanere un metro stabile e, quindi, suscettibile di variazioni solo in situazioni di estrema ed eccezionale gravità, che non ammettano soluzioni alternative. Ciò anche allo scopo di non penalizzare quei paesi i quali detengono una parte più o meno sostanziale delle loro riserve nella forma di attività a breve sui paesi che sono centri di riserva e di salvaguardare, pertanto, il funzionamento del gold exchange standard, attualmente in vigore. Un'ulteriore obiezione si riferisce, infine, alla circostanza che soluzioni meno radicali possono essere adottate - e, in effetti, sono attualmente in corso di esame da parte dei paesi principalmente interessati - nell'ambito di un rafforzamento della cooperazione internazionale nel settore monetario, nonché di accordi "tecnici" al livello delle autorità monetarie centrali.

Bibl.: L. Federici, La moneta e l'oro, Milano 1943; W. J. Busschau, The measure of gold, New York-Londra 1950; C. Kindleberger, The dollar shortage, New York-Londra 1950; M. A. Kriz, The price of gold, in Essays in international finance, N. 15, Princeton, N. J., 1952: id., Gold in world monetary affairs today, ibidem, N. 34, Princeton, N. J., 1959; C. Rist, Défense de l'or, Parigi 1953; Fondo Monetario Internazionale, The adequacy of monetary reserves, in IMF Staff Papers, ottobre 1935; id., International reserves and liquidity, Washington 1958; F. M. Tamagna e M. Garber, The private demand for gold, 1931-1953, in Federal Reserve Bulletin, settembre 1954, Washington; O. Morgenstern, The validity of international gold movement statistics, Special papers in International Economics, N. 2, novembre 1955; O. Altman, A note on gold production and additions to international gold reserves in IMF Staff Papers, aprile 1958; J. Lepidi, L'Or, Parigi 1958; F. H. Klopstock, The international status of the dollar, in Essays in international finance, N. 34, Princeton, N. J., 1957; F. Pick, Gold, how and where to buy and hold it, New York 1959; id., Pick's currency yearbook, 1960, New York 1960; R. Triffin, Gold and the dollar crisis. The future of the convertibility, New Haven 1960; Mocatta e Goldsmid, Annual Circular, 1960, Londra 1960; S. Montagu e Co. Ltd., Annual Bullion Review, 1960 (e anni precedenti), Londra 1961.

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