ORO

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

ORO (XXV, p. 577; App. II, 11, p. 464; III, 11, p. 324)

Giovanni Magnifico
Mauro Michelangeli

Economia. - I profondi mutamenti che hanno caratterizzato l'evoluzione delle relazioni economiche hanno influito profondamente sul ruolo dell'o. nel sistema monetario internazionale.

Le origini storiche di questo processo vanno collocate alla fine degli anni Cinquanta, quando l'insorgere di ampi squilibri della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti, determinando un notevole aumento della liquidità internazionale, incominciò a ingenerare dubbi circa la possibilità degli Stati Uniti di assicurare la conversione in o. dei saldi in dollari detenuti dalle autorità monetarie estere. Era così confermata la tesi di coloro i quali sostenevano che il tallone o.-divise (gold-exchange standard) era condannato alla crisi perché si sarebbe incrinata la fiducia nel dollaro, o perché la liquidità internazionale sarebbe divenuta insufficiente se gli Stati Uniti fossero riusciti a riequilibrare rapidamente e favorevolmente la propria bilancia dei pagamenti. Una via di uscita si sarebbe potuta trovare se la crescente domanda di liquidità internazionale fosse stata soddisfatta, anziché con l'incontrollato aumento delle passività ufficiali americane, con un adeguato aumento dell'offerta di o. di nuova produzione. L'incremento dei costi di produzione riduceva, tuttavia, la convenienza per i paesi produttori a espandere l'offerta, dato che il prezzo di vendita del metallo rimaneva fissato al livello ufficiale di 35 dollari per oncia di fino. L'aumento della domanda privata, sia per fini industriali, sia per fini speculativi o di tesaurizzazione, riduceva inoltre il margine disponibile per la domanda di o. da parte delle autorità monetarie. In conseguenza di questi fenomeni la quota dell'o. sul totale della liquidità internazionale (definita come la somma di o., valute di riserva e posizione sul Fondo monetario internazionale) è diminuita progressivamente passando dal 67 nel 1948 al 18% nel 1975.

L'esistenza di una domanda di o. da parte delle autorità e di operatori privati eccedente l'offerta, comportando pressioni sul prezzo di mercato, rappresentava una minaccia alla stabilità del sistema: essa indicava che occorreva variare la parità aurea del dollaro, ossia aumentare il prezzo ufficiale dell'oro. La considerazione che gli Stati Uniti non sarebbero stati in grado da soli di ridurre la pressione della domanda attraverso vendite sul mercato, e che, in ogni caso, quanto maggiori le perdite di o. da parte di quel paese tanto maggiore sarebbe stata la perdita di fiducia nel sistema, indusse le banche centrali di 8 paesi (Rep. Fed. di Germania, Regno Unito, Italia, Francia, Svizzera, Olanda, Belgio, SUA) ad accordarsi su un piano di stabilizzazione del prezzo dell'o. (Gold pool, novembre 1961). Con tale accordo, esse s'impegnavano non solo a non acquistare o. sul mercato, ma anche a mettere a disposizione della Banca d'Inghilterra, in qualità di banca agente, l'ammontare di o. (ciascuna in una proporzione prefissata) che risultasse necessario vendere, per evitare che il prezzo sul mercato di Londra superasse 35,20 dollari per oncia di fino. In un secondo tempo, quando il prezzo dell'o. si volse al ribasso, l'accordo fu esteso oltre che alle operazioni di vendita anche a quelle di acquisto. Questa azione concertata fra le banche centrali fu in grado di contrastare la speculazione durante il quinquennio successivo; il prezzo dell'o. infatti rimase abbastanza stabile. Fino al 1966 le operazioni del Gold pool mostrarono, nel complesso, un'eccedenza degli acquisti sulle vendite, sicché le banche centrali partecipanti risultarono acquirenti nette.

Il periodo di relativa stabilità ebbe termine nel 1967, quando la crisi della sterlina, culminata nella svalutazione del novembre dello stesso anno, e la riduzione per la prima volta dal 1953 nell'offerta di o. di nuova estrazione comportarono sul mercato di Londra tensioni della domanda, che nemmeno vendite da parte del Gold pool per un ammontare stimabile intorno a 2 miliardi di dollari riuscirono ad allentare. A seguito di una violenta esplosione di domanda di natura speculativa, fu deciso (15 marzo 1968) di chiudere temporaneamente il mercato di Londra e fu concordato fra i paesi partecipanti l'abrogazione del Gold pool (Washington, 17 marzo 1968). Le ragioni che portarono a quest'ultima decisione si basavano sulla convinzione che il tentativo di contrastare la speculazione avrebbe comportato una riduzione irreversibile nello stock di o. monetario. Le autorità monetarie dei paesi partecipanti s'impegnarono a utilizzare l'o. solo in transazioni con altre banche centrali, e a non effettuare operazioni di acquisto o vendita con il mercato. In pratica, ciò separava il circuito ufficiale dell'o. da quello privato e fu interpretato come un primo passo verso la demonetizzazione del metallo.

Le decisioni di Washington vanno viste alla luce anche del fatto che venivano a compimento in quei mesi i lavori per l'istituzione di un meccanismo internazionale per la creazione di liquidità basato sull'emissione di Diritti Speciali di Prelievo (DSP). Veniva così implicitamente accettata la tesi secondo la quale per evitare le crisi di liquidità che avevano caratterizzato il gold-exchange standard, era necessario sottoporre la creazione di liquidità internazionale al controllo del Fondo monetario internazionale, svincolandola dai disavanzi delle bilance dei pagamenti dei due paesi centri di riserva (Stati Uniti e Regno Unito) o dalle convenienze dei paesi produttori di oro. Veniva di conseguenza rigettata la soluzione alternativa e cioè quella di fornire liquidità aggiuntiva al sistema mediante un'adeguata rivalutazione del prezzo dell'oro. Secondo i fautori di quest'ultima tesi, l'aumento del prezzo, permettendo la rivalutazione delle riserve auree e stimolando un aumento della produzione, avrebbe ridotto il ruolo delle monete di riserva e, quindi, sottratto il sistema monetario internazionale ai condizionamenti esercitati dalle politiche dei paesi centri di riserva. In contrasto, si sosteneva che una rivalutazione del prezzo dell'o. sarebbe stata considerata dal mercato come la prima di una serie di svalutazioni del dollaro; avrebbe comportato una redistribuzione non equa della nuova liquidità, dato che i principali beneficiari sarebbero stati i paesi produttori e i paesi maggiori detentori del metallo; infine, avrebbe dato nuova esca alle tensioni inflazionistiche che si andavano addensando nell'economia mondiale.

La decisione di separare i due mercati poteva considerarsi una soluzione valida solo a condizione che il differenziale fra il prezzo di mercato e quello privato si fosse mantenuto su valori bassi. In effetti il mercato privato mostrò per un certo periodo una sostanziale stabilità, con un differenziale fra prezzo di mercato e prezzo ufficiale che non oltrepassò i 3-4 dollari l'oncia. Il periodo in questione ebbe termine con la dichiarazione d'inconvertibilità del dollaro (15 agosto 1971) che, pur non andando al di là del riconoscimento de Jure di una situazione che de facto esisteva da molti anni, rappresentava un'ulteriore prova della disfunzione di un sistema monetario in cui il rapporto di conversione fra i due principali strumenti di riserva (o. e dollaro) non era lasciato alle forze di mercato ma era rimasto invariato rispetto al livello del 1944. Le due successive svalutazioni del dollaro (18 dicembre 1971, 12 febbraio 1973) che comportarono un tardivo aumento del prezzo ufficiale da 35 a 42,22 dollari per oncia non furono sufficienti per ripristinare un credibile rapporto di cambio fra o. e dollaro. L'accelerazione dell'inflazione a livello mondiale, avvenuta all'inizio degli anni Settanta e culminante nell'esplosione inflazionistica del 1973-74, ha infatti alimentato una domanda di o. per fini sia speculativi sia di tesaurizzazione, che ne ha fatto salire il prezzo sul mercato privato in misura corrispondente essenzialmente all'aumento del livello medio dei prezzi dei principali prodotti primari e industriali.

Tale aumento ha determinato, dal punto di vista monetario, un congelamento della componente aurea delle riserve. Se si accettuano infatti modeste transazioni effettuate con il FMI, le banche centrali si sono astenute, a partire dalla seconda metà del 1971, dall'utilizzare l'o. per il regolamento di saldi debitori. La razionalità di questo comportamento si basava essenzialmente su due motivi. In primo luogo - benché fosse stata più volte ribadita la separazione fra mercato ufficiale e privato - l'andamento del prezzo sul mercato privato non poteva non influenzare le autorità ufficiali. La liquidazione dell'o. a un prezzo molto minore di quello di mercato inevitabilmente è stata ritenuta un'operazione estremamente onerosa per il paese che fosse nella necessità di effettuare la transazione. Inoltre, il divieto di acquistare o. a un prezzo maggiore di quello ufficiale metteva il paese venditore nella virtuale impossibilità di ricostituire la sua scorta aurea.

L'incertezza circa il ruolo dell'o. nell'ambito del sistema monetario venutasi a creare dopo la dichiarazione d'inconvertibilità del dollaro, indusse la comunità internazionale ad affrontare nel suo complesso il problema della riforma del sistema monetario. La ricerca di un consenso sulla questione dell'o. non appariva semplice dato che, ancora prima che il Comitato dei venti. (C-20) - l'organo per lo studio della riforma del Sistema monetario internazionale (v. in questa Appendice) - iniziasse i suoi lavori, erano affiorati disaccordi circa la funzione monetaria dell'oro. Secondo alcuni paesi l'o. avrebbe potuto continuare a essere uno strumento di riserva. La sua importanza, tuttavia, avrebbe dovuto diminuire gradualmente, non precludendo la possibilità di un crescente utilizzo non monetario del metallo. Secondo altri paesi, invece, l'o. avrebbe dovuto mantenere un ruolo centrale in quanto esso è l'unico strumento di riserva che non rappresenta una passività di un'altra autorità monetaria ed è, quindi, pienamente controllabile dall'autorità che lo possiede.

Nel corso dei lunghi negoziati in seno al C-20 la Francia, che da tempo aveva sostenuto la tesi di un ritorno all'o. mediante un'adeguata rivalutazione del prezzo ufficiale, si dichiarò in favore della cosiddetta "banalizzazione" del metallo, ossia dell'introduzione di un regime in cui esso sarebbe trattato alla stregua di una qualsiasi merce. Quest'ultima tesi in effetti non rappresentava un cambiamento della posizione francese quanto piuttosto un suo adeguamento in relazione al mutato regime dei tassi di cambio. Mentre in un regime di tassi di cambio fissi il mantenimento dell'o. come numerario del sistema e la rivalutazione del prezzo ufficiale costituivano infatti condizioni necessarie per preservare le caratteristiche monetarie del metallo, in un regime generalizzato di cambi flessibili - quale si era venuto a determinare a partire dal febbraio 1973 - la fissazione di un nuovo prezzo ufficiale, oltre ad avere scarso significato dal punto di vista operativo, non costituiva, data l'accentuata dinamica dei valori tanto delle valute che delle merci, una soluzione per garantire all'o. la sua funzione di riserva di valore. Tale funzione poteva essere preservata solo abolendo la dicotomia esistente fra prezzo ufficiale e prezzo di mercato lasciando che il valore del metallo venisse determinato tenendo in maggior conto le indicazioni del mercato. Sebbene in seno al Comitato dei Venti si sia pervenuti a un accordo di principio sul punto che i Diritti speciali di prelievo debbano costituire il fulcro del sistema monetario riformato, le implicazioni della crisi petrolifera (autunno 1973) hanno indotto la comunità internazionale a rimandare l'applicazione di tale principio. La necessità di utilizzare tutti gli strumenti di riserve disponibili per finanziare i forti disavanzi delle bilance dei pagamenti dovuti alla quadruplicazione del prezzo del petrolio ha contribuito infatti a rendere l'obiettivo della mobilizzazione dell'o. prioritario rispetto a quello della sua demonetizzazione. Così, nel progetto di riforma presentato alla fine dei lavori del Comitato dei venti, mentre da una parte si affermava che "non è stato ancora deciso quale tipo di accordo sull'oro sia il migliore nell'ambito del sistema riformato, tenendo il dovuto conto degl'interessi di tutti i paesi membri", dall'altra si riconosceva che "le riserve auree sono un'importante componente della liquidità, che dovrebbe essere utilizzabile per finanziare i disavanzi delle bilance dei pagamenti".

In questo contesto si pose la decisione, presa nel novembre 1973, di abrogare gli accordi di Washington del 1968. Con questa decisione veniva meno l'impegno per le banche centrali a non avvalersi della facoltà sancita dall'art. IV sez. 2 dello statuto del FMI, di vendere o. sul mercato privato a un prezzo superiore a quello ufficiale. In pratica, mentre permaneva il divieto di transazione fra autorità monetarie a un prezzo diverso da quello ufficiale, si dava ad esse la possibilità di finanziare parte dei loro disavanzi mediante vendite sul mercato privato. Di fatto nessuna banca centrale si è avvalsa di questa facoltà. Il rischio che una componente aggiuntiva dell'offerta, di ampia dimensione, potesse provocare un crollo del prezzo di mercato, con conseguenti perdite in conto capitale ha indotto i paesi della CEE a ricercare nelle sedi internazionali soluzioni concordate che permettessero la mobilizzazione della componente aurea e che minimizzassero gli effetti negativi sul prezzo. In particolare i ministri delle Finanze e i governatori della Comunità, riuniti a Zeist (23 aprile 1974), si accordarono sul principio che le banche centrali dovessero essere lasciate libere di effettuare, a prezzi correnti, transazioni in o. (acquisti e vendite) tra di loro e con il mercato. Questo accordo che già in ambito comunitario era stato raggiunto con difficoltà, incontrò un'opposizione notevole al di fuori della comunità. La controversia fu in parte risolta nel giugno del 1974; durante una riunione informale del Gruppo dei 10 fu riconosciuta la liceità di operazioni di prestito fra banche centrali contro pegno di o., valutato a un prezzo correlato a quello di mercato. In conseguenza di questo accordo la Banca d'Italia stipulò un prestito con la Deutsche Bundesbank per un ammontare di 2 miliardi di dollari, valutando l'o. all'80% del prezzo di mercato. Un ulteriore passo verso il componimento della controversia fu rappresentato dalle conclusioni raggiunte nel corso dell'incontro tenuto alla Martinica (dicembre 1974), fra il presidente degli stati Uniti e quello della Francia. In quella occasione, infatti, le autorità americane dichiararono di non essere contrarie a che i paesi, che lo desiderassero, contabilizzassero le riserve auree a un prezzo diverso da quello ufficiale. Questo atteggiamento americano non significava, tuttavia, una rinuncia all'obiettivo, più volte ribadito, di demonetizzare l'oro. In questo contesto s'inseriva infatti la decisione del Tesoro americano di vendere o. mediante aste aperte ai privati ma non alle banche centrali. Lo scopo del provvedimento era fra l'altro quello di soddisfare in questa maniera la domanda dei residenti americani che, dopo un divieto durato 41 anni, sono stati di nuovo autorizzati, in base a una decisione del Congresso, ad acquistare o. a partire dal 1° gennaio 1975. La notizia dell'apertura di un mercato delle proporzioni di quello americano aveva comportato, negli ultimi mesi del 1974, un aumento della domanda, che aveva fatto salire il prezzo fino a quasi 200 dollari l'oncia. La tendenza al rialzo subì tuttavia una drastica inversione nel corso del 1975. Infatti, la domanda da parte degli operatori americani si dimostrava inferiore al previsto, mentre il rallentamento dell'inflazione mondiale contribuiva a deprimere in generale la domanda per scopo di tesaurizzazione. Allo stesso tempo, le incertezze circa le decisioni sull'o. che sarebbero state prese nell'ambito del Comitato interinale del FMI (l'organo che aveva sostituito il Comitato dei venti nella gestione della riforma) tendevano a rendere più cauti gli operatori.

L'ampio dibattito in seno al Comitato interinale, conclusosi con la riunione di Giamaica (gennaio 1976), è stato ispirato dall'esigenza di pervenire a una soluzione, che permettesse nel più breve tempo possibile di raggiungere l'obiettivo della mobilizzazione della componente aurea senza pregiudicare quello di ridurre, nel più lungo periodo, il ruolo dell'o. nell'ambito del sistema monetario internazionale.

La soluzione raggiunta a Giamaica si articola in una serie di decisioni riguardanti l'abolizione del prezzo ufficiale dell'o., la restituzione di un sesto dell'o. del FMI ai paesi membri e la vendita di un altro sesto in favore dei paesi in via di sviluppo. Con l'abolizione del prezzo ufficiale dell'o. il metallo viene a perdere de jure la funzione di numerario del sistema; ma, come si è già accennato, la nozione di prezzo ufficiale aveva de facto perso ogni rilevanza con il passaggio a un regime di fluttuazione generalizzata (febbraio 1973) e con la decisione del giugno 1974 di utilizzare come numerario il DSP, definito in termini di un paniere di monete. La decisione della contemporanea restituzione dell'o. e della vendita a favore dei paesi in via di sviluppo rappresenta una soluzione di compromesso. Se, infatti, la restituzione ai paesi membri rispecchia in certa misura la tesi della banalizzazione sostenuta dalla Francia, la vendita dell'o. del FMI sul mercato può essere interpretata come un primo passo verso la demonetizzazione. L'inserimento di una norma nello statuto del FMI, che prevede la possibilità per i paesi membri di decidere con una maggioranza dell'85% ulteriori vendite e/o restituzioni, se evidentemente non esclude la possibilità di perseguire nel lungo periodo il processo di demonetizzazione, lo rende assai difficile in quanto la maggioranza prescritta consente un diritto di veto sia alla CEE, sia agli Stati Uniti. Un ulteriore segno della volontà dei paesi di pervenire a una soluzione che non fosse incompatibile con gli obiettivi prefissati è rappresentato dall'accordo auto-limitativo concluso fra i paesi del Gruppo dei Dieci e recepito dal Comitato interinale. Le banche centrali dei paesi partecipanti si sono impegnate a non prendere iniziative per stabilizzare il prezzo del metallo e a non effettuare transazioni che comportino un aumento dello stock complessivamente detenuto da esse e dal FMI. Peraltro, tale accordo ha durata biennale e alla sua scadenza potrà essere rinnovato, modificato, o abrogato del tutto.

In conclusione si può asserire che, nell'attuale stadio dell'evoluzione del sistema monetario internazionale, l'o. rappresenta una partita ancora aperta. Molte incertezze permangono circa il suo futuro ruolo. Va notato, comunque, che anche se l'abolizione del prezzo ufficiale ha fatto perdere all'o. una delle tre caratteristiche della sua natura monetaria, esso è ancora in grado di svolgere una funzione importante come mezzo di pagamento e come riserva di valore. Nell'attuale stato dei rapporti monetari internazionali, che continuano a essere caratterizzati da una sostanziale asimmetria per quanto riguarda i metodi di creazione di liquidità, l'effettiva mobilitazione della componente aurea potrebbe costituire uno strumento per riequilibrare il sistema e per ridare "una riserva di libertà" ai paesi detentori che non verrebbero più a dipendere, per i loro fabbisogno di liquidità, dai disavanzi della bilancia dei pagamenti dei paesi centri di riserva. A tale scopo è necessario che, nella scia degli accordi raggiunti alla riunione della Giamaica, siano adottate soluzioni, che permettano alle banche centrali di operare in o. a un prezzo derivato da quello di mercato, nel quadro di un sistema amministrato per salvaguardare la funzione di quel metallo come conservatore di valore.

Infine, è auspicabile che i paesi membri della CEE saranno in grado di adottare, nel rispetto delle regole internazionali, provvedimenti i quali consentano di volgere il problema dell'o. a beneficio del processo di unificazione. Il trasferimento dell'o. al Fondo europeo di cooperazione monetaria, quale collaterale per ottenere crediti in unità di conto europee, da una parte condurrebbe a una messa in comune de facto di questa componente delle riserve, dall'altra promuoverebbe l'evoluzione della menzionata unità di conto verso una vera e propria moneta europea. Alla luce della recente esperienza, passi siffatti sembrano indispensabili per la realizzazione di un'area europea, integrata dal punto di vista tanto economico che monetario.

Bibl.: P. B. Kenen, International liquidity and the balance of payments of a reserve-currency country, in Quarterly journal of economics, nov. 1960; R. Triffin, Gold and the dollar crisis, New Haven 1960; R. Harrod, Reforming the world's money, Londra 1965; J. Rueff, F. Hirsch, The role and the rule of gold: An argument, Princeton 1965; Monetary reform and the price of gold, a cura di R. Hinshaw, Baltimora 1967; M. A. Kriz, Gold: barbarous relic or useful instrument?, Princeton 1967; M. Gilbert, The gold dollar-system: conditions of equilibrium and the price of gold, Princeton 1968; F. Hirsch, Money international, Harmondsworth 1969; Reform of international monetary system. A report by the executive directors to the board of governors (International Monetary Fund), Washington D. C. 1972; G. Magnifico, Some prospective changes in the international monetary system, in Aussenwirtschaft, vol. 29, 1974; I; id., The european and international currency problem, in The new mercantilism, a cura di H. G. Johnson, Oxford 1974; Outline of Reform - Report to the board of governors of the international monetary fund by the committee on reform of international monetary system and related issues (International Monetary Fund), Washington D. C. 1974; Gold 1975 (Consolidated gold fields limited); si vedano anche le annate precedenti.

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