ORSEOLO

Enciclopedia Italiana (1935)

ORSEOLO

Roberto Cessi

. I precedenti e l'influenza nella vita politica veneziana della famiglia Orseolo avanti la crisi del 976, che rovesciò violentemente il governo del quarto Candiano e portò al seggio ducale il primo Orseolo, restano ignoti. Anche il significato della elezione di Pietro I è piuttosto oscuro. Strumento di pacificazione o trionfo di fazione? Il cronista contemporaneo attenua l'asprezza della crisi e, esaltando la bonomia e la santità dell'uomo, avvolge di mistiche finzioni lo sviluppo e la soluzione della crisi stessa. Ma gli odî di parte non ebbero tregua e lo spirito di fronda, che l'unanimità del voto popolare per un istante aveva placato, risorse, nell'intreccio di nuove congiure, ordite dagli esuli vinti, riparati sotto la protezione imperiale con il patriarca Vitale Candiano, e dagli impenitenti faziosi interni, che non disarmarono di fronte alla longanimità e allo sforzo di pia religiosità del governo di Pietro I, intento a opera di pacifica restaurazione spirituale. Spiacque agli avversarî, desiderosi di rivincita; diventò sospetto anche agli amici. Il sentimento di tolleranza che lo ispirava lasciò maturare una situazione sempre più gravosa e insostenibile: sopraffatto da questa, Pietro si decise dopo pochi anni di governo (976-978), e non troppo spontaneamente, al gran rifiuto, ritirandosi in un chiostro, ove la religiosità della sua coscienza poteva finalmente sciogliere un vecchio voto. Morì nel 987 in fama di grande santità e Clemente XII lo canonizzò solennemente nel 1731.

Ma nel 991 ritornavano agli onori di governo gli eredi del primo Orseolo nella persona del figlio Pietro II.

La resurrezione degli Orseolo doveva segnare la fine delle risse interne (v. Venezia: Storia); e così Venezia poteva avviarsi allo sviluppo di una politica esterna, che agli albori del nuovo millennio doveva essere coronata dai maggiori successi nell'Adriatico. Pietro II poteva affrontare gli assillanti problemi delle relazioni con i due imperi, d'Oriente e di Occidente, diventate minacciose per il ducato. Di fronte all'uno e all'altro poteva assumere un contegno dignitoso, ma fermo e risoluto; e in tal guisa il ducato era avviato a spiegare sopra il mare quell'azione di preponderanza, che era nelle sue funzioni e che nel 1000 sarà nettamente affermata con la gloriosa spedizione in Dalmazia. Il titolo di Duca della Dalmazia e della Croazia, aggiunto a quello primitivo di Duca delle Venezie, di cui Pietro II s'insignì, fu la consacrazione non tanto di un dominio territoriale allora appena abbozzato e ancora non consolidato, quanto di un dominio ideale, indistruttibilmente acquisito per l'avvenire.

Fu detto che il successo fece nascere nell'eroico duca l'ambizione di convertire la dignità ducale in un principato personale ed ereditario. La presunta ereditarietà non era che l'attuazione di una vecchia tradizione di trasmissione del potere nell'ambito della clientela familiare per consolidare il predominio di questa nelle funzioni di governo. Del resto la politica del secondo Orseolo era rivolta ad assicurare la continuità del suo indirizzo, non solo designando il figlio Ottone, con il consenso del voto popolare, alla dignità ducale, ma anche investendo gli altri due figli, Orso e Domenico, delle maggiori cariche ecclesiastiche, del patriarcato di Grado e del vescovato di Olivolo, dando al ducato la garanzia di un'armonica collaborazione. Il fasto esteriore adottato era un mezzo, come le relazioni familiari principesche intrecciate, per elevare la dignità e garantire la sicurezza del ducato, senza altre finalità sottintese, che Pietro II forse non coltivò per non distogliersi dalla tradizione nazionale, ch'egli portò al maggior fastigio di splendore in un'atmosfera di sana pacificazione interna. Il figlio Ottone non aveva le qualità del padre. Un po' per volta le conquiste paterne sfumarono, la dignitosa fierezza di fronte alle prepotenze straniere declinò, le contese interne ripresero. La momentanea disgrazia di Ottone nel 1023 spingeva il patriarca di Aquileia, Poppone, a compiere atti di violenza sopra Grado e a rivendicare presunti diritti, che offendevano l'incolumità del ducato. Lo spirito nazionale reagì concorde intorno al suo duca e al suo patriarca, dimenticando per un istante i dissapori interni; ma, dopo la vittoria, le lotte interne ripresero più violente capeggiate da Domenico Flabiano. Il duca Ottone dovette esulare lasciando il fratello Orso, patriarca, a preparare la riscossa; la morte di Ottone, prima di ritornare dall'Oriente, ove era riparato, rese vano e inutile l'interregno ducale del patriarca Orso, instaurato nell'intento di una restaurazione. La crisi era ormai troppo profonda, perché le fortune degli Orseolo potessero risollevarsi.

La parodia dell'elevazione al seggio ducale di un rampollo della stirpe, Domenico, che fu doge nel 1032 per un giorno e una notte, segnava la fine ingloriosa di un governo familiare, che aveva avuto momenti di splendore e aveva creato la fortuna della patria.

Bibl.: H. Kretschmayr, Gesch. von Venedig, I, Gota 1904, p. 115 segg.; R. Cessi, Venezia ducale, II, Padova 1929, pp. 141 segg., 244 segg.

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