ORSINI D'ARAGONA, Gentil Virginio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

ORSINI D'ARAGONA, Gentil Virginio

Stefania Camilli

ORSINI D'ARAGONA, Gentil Virginio (Gentil Virgilio, Virginio, Virgilio). – Figlio primogenito di Napoleone di Carlo Orsini, signore di Bracciano, e di Francesca di Orso Orsini del ramo di Monterotondo, nacque con ogni probabilità nelle terre paterne intorno al 1445.

La documentazione relativa alla sua biografia giovanile e alla sua formazione è scarsa. Seguendo una tradizione familiare che si conformava pienamente all’immagine guerriera del ceto baronale romano, dovette intraprendere giovanissimo l’apprendistato militare nella compagnia del padre.

Il ramo familiare cui Gentil Virginio apparteneva derivava il nome dall’omonima località situata sulla sponda meridionale del lago sabatino, a nord di Roma, fulcro di un dominio più ampio che si estendeva su una vasta area del patrimonio di S. Pietro in Tuscia e della Sabina. Negli anni della minore età di Orsini si colloca un evento di notevole rilevanza per la storia di questo piccolo Stato: re Ferdinando d’Aragona, desideroso di assicurarsi i servizi dei condottieri Napoleone e Roberto nella guerra di successione al trono napoletano apertasi alla morte di Alfonso il Magnanimo, concesse ai due fratelli le contee di Tagliacozzo e Albe, rispettando così la volontà dell’ultimo conte Giovanni Antonio Orsini, che li aveva designati eredi nel 1456. Gentil Virginio non dovette, per la giovane età, partecipare a quella campagna, le cui conseguenze furono però fondamentali per le sue vicende future. La concessione formale del titolo comitale, avvenuta a guerra finita il 20 marzo 1464, determinò l’inserimento di questo gruppo familiare nella nobiltà del Regno di Napoli e contribuì all’ascesa del ramo di Bracciano ai vertici della consorteria, anche per il contemporaneo declino di rami fino ad allora preminenti (come quello dei principi di Taranto e dei principi di Salerno), che pagarono con la confisca dei beni l’adesione alla causa angioina.

Nel contesto della politica di avvicinamento alla monarchia aragonese portata avanti da Napoleone va inserito anche il matrimonio di Gentil Virginio con la cugina Isabella, unica figlia legittima del principe di Salerno Raimondo Orsini e di Eleonora d’Aragona, figlia di Jaume d’Urgell di Portogallo.

Il contratto matrimoniale, trattato con la mediazione dell’arcivescovo di Trani Giovanni, zio dello sposo, e con l’assenso regio, doveva essere già concluso alla morte di Raimondo avvenuta nel 1459. Tuttavia il problema del mancato pagamento della dote ammontante a 12.000 ducati di carlini gigliati da parte degli eredi di Raimondo fu all’origine di una controversia giudiziaria che si trascinò per decenni, nella quale i coniugi cercarono di far dichiarare nulla la rinuncia di Isabella all’eredità paterna.

Dal matrimonio nacque un solo figlio: Gian Giordano, destinato a ereditare lo Stato paterno e fu avviato al mestiere delle armi. Sono noti altri due figli naturali: Carlo, nato da una gentildonna coniugata, divenne un condottiero di una certa fama, mentre Annibale, di cui non si conosce l’identità della madre, fu avviato alla carriera ecclesiastica.

La prima notizia certa su Gentil Virginio risale all’agosto 1464 quando il padre – allora capitano generale dell’esercito della Chiesa – lo incaricò di recarsi a Spoleto con alcuni armigeri in qualità di commissario per proteggere la famiglia e i beni di Bartolomeo Pierio Piccolomini, governatore della rocca e parente di papa Pio II appena defunto, durante il periodo di sede vacante. Sembra probabile, anche in assenza di documentazione, che in seguito Gentil Virginio abbia partecipato alle campagne militari che videro impegnato Napoleone, sempre al soldo della Chiesa, contro la famiglia rivale degli Anguillara (1465), i Malatesta in Romagna (1466) e, infine, il pontefice Paolo II (1468) quando questi ordinò un attacco ai signori di Tolfavecchia, parenti degli Orsini.

Nel 1469, ricomposta la frattura col pontefice, Gentil Virginio seguì il padre nella guerra di Rimini contro Roberto Malatesta e fu tra i quasi 400 prigionieri caduti nelle mani di Federico da Montefeltro nella battaglia di Cerasolo, presso il fiume Marecchia (31 agosto 1469), durante la quale le truppe pontificie subirono una pesante sconfitta.

Dopo la morte di Paolo II (26 luglio 1471) che si era dimostrato, soprattutto dal 1468 in poi, ostile alla famiglia, gli Orsini poterono contare sul favore del nuovo papa Sisto IV, del quale il cardinal Latino, fratello di Napoleone, fu camerlengo e ascoltato consigliere.

Andato a vuoto in febbraio un tentativo di passare al soldo di Milano, nel maggio 1472 Gentil Virginio ottenne insieme al cugino Giordano di Monterotondo il comando delle milizie inviate dal papa a Volterra in favore dei fiorentini per reprimere la ribellione scoppiata il 26 aprile 1472 a causa dello sfruttamento della miniera d’allume recentemente scoperta in quel territorio; due anni dopo, nel luglio 1474, si trovava ad assediare Città di Castello, in appoggio ad altri condottieri pontifici nella campagna voluta da Sisto IV contro Niccolò Vitelli, signore della città. Falliti alcuni tentativi di passare al soldo di Firenze nel 1477 e ancora nel 1478, partecipò alla guerra di Toscana scoppiata nel settembre di quell’anno in seguito alla congiura antimedicea dei Pazzi, combattendo agli ordini del duca di Calabria Alfonso d’Aragona contro i Medici, suoi parenti.

Il 2 settembre 1480 morì a Vicovaro Napoleone Orsini, l’ultimo dei quattro figli di Carlo di Bracciano (Giovanni, arcivescovo di Trani e abate di Farfa, e il cardinal Latino erano infatti morti nel 1477, Roberto, condottiero aragonese, era morto senza eredi legittimi nel 1479). La successione, avvenuta senza difficoltà, era stata predisposta fin dall’agosto 1477 con una convenzione stipulata tra i fratelli allora viventi. In base a tale accordo, Gentil Virginio, unico maschio legittimo, ricevette il blocco più cospicuo del patrimonio familiare. Al suo esordio sulla scena politica, dunque, si trovò a capo di un dominio che, estendendosi dall’alto Lazio fino alle contee marsicane di Tagliacozzo e Albe, gli dava il controllo delle vie appenniniche che mettevano in comunicazione il Regno di Napoli con lo Stato della Chiesa, Urbino e il resto della penisola. L’integrità del patrimonio ereditato fu presto compromessa: il 15 novembre 1480 con l’aumentare della tensione fra Sisto IV e il re di Napoli la contea di Albe fu sottratta agli Orsini, che avevano allacciato stretti rapporti con il pontefice e i suoi nipoti, per essere concessa a Fabrizio di Odoardo Colonna, il quale si era invece avvicinato a Ferdinando d’Aragona. Orsini rispose stringendo ancor più i legami col pontefice e nel 1481 ricevette l’investitura comitale di Campagnano.

A Roma Orsini e Colonna ripresero a fronteggiarsi dopo che, nella notte del 3 aprile 1482, un attacco guidato da Giorgio Santacroce, alleato degli Orsini, alle case dei Della Valle, fautori dei Colonna, aveva portato all’uccisione di Girolamo Colonna e al mobilitarsi delle due fazioni. Deciso a non tollerare lo sconfinamento delle truppe napoletane nel territorio della Chiesa e a vietare il passo al duca di Calabria diretto alla difesa di Ercole I d’Este contro le minacce della Repubblica di Venezia, il pontefice aprì le ostilità contro i Colonna dando così inizio alla guerra di Ferrara. Orsini, agli ordini del capitano generale Girolamo Riario, fu tra i comandanti papali che si accamparono nella basilica romana di S. Giovanni in Laterano per difendere la città e il territorio circostante dalle truppe del duca di Calabria, penetrato nella Marittima e stanziato a poche miglia da Roma. A causa di tale presa di posizione, nel giugno 1482 perse, sempre a favore dei Colonna, anche la contea di Tagliacozzo. Dopo l’arrivo a Roma di Roberto Malatesta signore di Rimini e generale delle truppe veneziane, accorso in aiuto del pontefice (23 luglio), Orsini si distinse nella battaglia di Campomorto (21 agosto 1482) in cui ebbe il comando di una delle sei parti in cui Malatesta aveva ripartito l’esercito della Chiesa.

Il fatto d’armi, che fu considerato dai contemporanei il più sanguinoso e crudele che si fosse combattuto da molti anni a quella parte, ebbe esito favorevole ai pontifici che costrinsero l’esercito del duca di Calabria a ritirarsi verso Nettuno. Per scongiurare il riaprirsi delle ostilità dopo la morte di Malatesta, sopraggiunta a pochi giorni di distanza dalla vittoria, Sisto IV stipulò, il 28 novembre 1482, una tregua col duca di Calabria che precedette la pace firmata il 12 dicembre 1482 con Napoli, Milano e Firenze. Nell’ambito degli accordi che portarono alla pace fu discussa anche la questione dei contadi di Tagliacozzo e Albe: una clausola prevedeva infatti la riconsegna agli Orsini dei feudi marsicani dietro il pagamento di 14.000 ducati, la conclusione di una condotta congiunta che avrebbe messo Orsini e il figlio Gian Giordano al servizio del pontefice e del re di Napoli e infine il matrimonio dello stesso Gian Giordano con una figlia naturale del sovrano aragonese.

Il matrimonio venne stipulato a Napoli per verba de presenti il 18 gennaio 1486 e la sposa, Maria d’Aragona, raggiunse Bracciano nel novembre 1487, scortata dal fratello Alfonso, duca di Calabria.

Conclusa la pace, Orsini partì per la Lombardia al seguito dell’esercito della Lega impegnato contro Venezia. Fece poi ritorno a Roma, dove le pratiche per la restituzione dei contadi di Tagliacozzo e Albe da parte dei Colonnesi procedevano con difficoltà, e partecipò, il 30 maggio, ai drammatici eventi che portarono all’arresto del protonotario Lorenzo Oddone Colonna; in seguito grazie all’appoggio di Firenze e di Napoli e all’aiuto militare del duca di Amalfi, Orsini riuscì a rientrare in possesso dei territori contesi. Ricevuta il 20 giugno 1484 la nuova investitura delle due contee, il 26 giugno rientrò a Roma dove la campagna contro i Colonna si avviava alla conclusione. Agli inizi di luglio rinnovò la condotta con la Chiesa per la durata di due anni e riprese, insieme a Riario la campagna contro le terre colonnesi: dopo la resa a patti di Cave, Capranica e Montecompatri, i due condottieri dovettero interrompere l’assedio di Paliano difesa da Prospero Colonna a causa della morte di Sisto IV, sopraggiunta il 12 agosto 1484.

Su richiesta del sacro Collegio, Riario e Orsini acconsentirono a fermare l’esercito a Tor di Quinto, fuori dalle mura, e insieme ai nemici Colonna accettarono di lasciare la città per un mese. Una pace di due mesi a cominciare dall’incoronazione del nuovo pontefice avrebbe poi dovuto consentire di riportare la città di Roma a una situazione di normalità.

Con l’elezione di Innocenzo VIII, creatura del cardinale Giuliano della Rovere, si aprì una fase difficile per gli Orsini e per i Riario che avevano goduto dell’appoggio del predecessore.

Nel gennaio 1485 il nuovo papa rese nota la sua insoddisfazione per la condotta congiunta che impegnava Gentil Virginio al servizio del re di Napoli e della Chiesa: avrebbe voluto la persona di Gentil Virginio «libera et non obligata ad altri» (Arch. storico Capitolino, Arch. Orsini, I ser., b. 101, c. 10). La soluzione proposta dal pontefice prevedeva lo sdoppiamento della titolarità della condotta: Gentil Virginio avrebbe ottenuto una condotta per 10.000 ducati dalla Chiesa, lasciando al figlio la condotta di 6000 ducati con Napoli o viceversa. Sebbene un accordo fosse raggiunto nel mese di maggio, la conclusione del contratto venne più volte differita, rifiutando Orsini di essere sottoposto all’autorità del gonfaloniere della Chiesa Giovanni Della Rovere, fratello del cardinale di S. Pietro in Vincoli, suo nemico.

Nell’estate 1485 Orsini fu impegnato ancora una volta contro i Colonnesi per difendere, in questo caso, gli interessi del cognato Girolamo Tuttavilla, figlio del defunto cardinale Estouteville e marito di sua sorella naturale Ippolita. Appena ristabilita la pace tra le due consorterie, gli Orsini vennero ricondotti al servizio della Chiesa. Il contratto, concluso il 31 luglio, prevedeva per Gentil Virginio una nuova condotta congiunta: il papa vi contribuiva per 9000 ducati, mentre altri 6000 ne avrebbe pagati il re di Napoli.

Nonostante l’impegno preso, allo scoppio della rivolta dei baroni napoletani, iniziata con la ribellione dell’Aquila (17 ottobre 1485), Orsini rispose con un rifiuto alla convocazione del papa che intendeva impiegarlo, insieme a Prospero e Fabrizio Colonna e agli altri condottieri pontifici, nella guerra contro il re di Napoli a sostegno dei baroni ribelli che avevano invocato la protezione pontificia. Orsini «dixit se habere foedus cum rege, et propterea se nolle venire contra» (Infessura, 1890, p. 186). Il 2 novembre 1485 stipulò, insieme ai cugini Giulio, Paolo e Vicino, una condotta di due anni più uno a beneplacito con Milano e Firenze, alleate di Ferdinando d’Aragona, che prevedeva per Gentil Virginio il titolo di governatore generale delle genti d’arme della Lega, senza pregiudicare la condotta che aveva con Napoli.

Le trattative erano iniziate verosimilmente già in settembre, alle prime avvisaglie della ribellione aquilana. I termini principali dell’accordo furono stabiliti direttamente tra Gentil Virginio e Giulio Orsini da una parte e Lorenzo de’Medici, saldo alleato della casa d’Aragona, dall’altra, in un incontro segreto avvenuto ai primi di ottobre.

Nel corso delle operazioni militari che si susseguirono in quella guerra, le truppe di Orsini e del duca di Calabria Alfonso giunsero ad assediare la stessa Roma. In risposta, nella notte tra il 30 novembre e 1° dicembre, il palazzo Orsini di Montegiordano a Roma venne dato alle fiamme. Falliti i tentativi di provocare un tumulto all’interno della città, e sfumato il progetto di entrare in Roma a causa del mancato arrivo delle genti d’arme fiorentine, Gentil Virginio fu costretto a retrocedere per l’avvicinarsi delle truppe di Roberto Sanseverino che era stato nominato, il 30 novembre, gonfaloniere della Chiesa. All’inizio del 1486 i collegati dovettero subire il contrattacco delle forze pontificie che riconquistarono il ponte Nomentano e distrussero Mentana di Paolo Orsini, mentre i Colonna, da parte loro, si accingevano a riconquistare, castello dopo castello, tutta la contea di Albe. A questo punto il cardinale Giovan Battista Orsini, che fino ad allora aveva affiancato il duca di Calabria, con un clamoroso voltafaccia si riconciliò col pontefice, cedendogli Monterotondo e altre sue terre appartenenti all’abbazia di Farfa. La defezione del cardinale, seguìto da Giulio Orsini, determinò la precipitosa ritirata di Alfonso d’Aragona e indusse i collegati a dubitare della lealtà degli altri Orsini: Gentil Virginio e il cugino Niccolò di Pitigliano tuttavia rimasero al servizio della Lega.

L’esercito pontificio comandato da Sanseverino fu sconfitto a Montorio il 7 maggio 1486. La battaglia, benché non risolutiva, aprì la strada a una soluzione diplomatica del conflitto e l’oratore aragonese Giovanni Albino fu incaricato di condurre le trattative per assoldare Fabrizio e Prospero Colonna e Nicola Caetani in cambio della cessione immediata di Albe a Orsini, il quale, da parte sua, avrebbe dovuto ottenere che Tuttavilla cedesse Lanuvio, Nemi e Genazzano ai Colonna.

In seguito alla conclusione della pace tra Ferdinando d’Aragona e il pontefice, stipulata l’11 agosto 1486, Orsini si apprestò a inseguire Sanseverino nella sua ritirata verso nord. Con il riaccendersi della ribellione dei baroni napoletani lasciò la Romagna e si diresse verso il Regno di Napoli. Dopo la pace del 26 dicembre, occupò un posto d’onore nella cavalcata trionfale per le vie di Napoli con cui Alfonso d’Aragona intese celebrare la vittoria sui baroni ribelli. Come ricompensa per i servigi prestati, nell’aprile 1487 il sovrano aragonese lo insignì dell’Ordine dell’Ermellino e gli concesse il privilegio dell’uso del cognome e delle armi della casa reale di Aragona.

Orsini si trattenne a Napoli fino al 25 aprile, impegnato in varie pratiche, tra cui le trattative per la conclusione di due importanti parentadi che avrebbero consolidato la sua posizione nei confronti di Firenze e del papato. Nei primi mesi dell’anno, infatti, intervenne negli accordi per le nozze tra Franceschetto Cibo, figlio di Innocenzo VIII, e Maddalena de’ Medici, figlia di Lorenzo e Clarice Orsini, nozze che furono celebrate il 20 gennaio 1488. L’appoggio prestato al progetto matrimoniale, che rafforzava l’influenza medicea sul pontefice e per questo contraddiceva la volontà del cardinale Giuliano della Rovere, offrì a Orsini l’opportunità di guadagnarsi la riconoscenza di Innocenzo VIII. Nello stesso periodo si preoccupò di stringere buoni rapporti con lo stesso Franceschetto, divenuto una delle figure di riferimento alla corte romana, aiutandolo nell’acquisto di Cerveteri e Monterano da Bartolomeo Giubba della Rovere. Durante il soggiorno napoletano Orsini fu anche impegnato a rafforzare la propria alleanza con i Medici attraverso le nozze di sua cugina Alfonsina di Roberto Orsini e Piero de’ Medici, figlio di Lorenzo.

Lasciata Napoli il 25 aprile, fece ritorno in terra di Roma, con l’incarico di tenere sotto controllo le mosse del cardinale Giuliano della Rovere. In luglio e agosto, ormai tornato nelle grazie del papa, fu coinvolto insieme a Lorenzo de’ Medici nel difficile tentativo di comporre la questione dei censi dovuti alla Sede apostolica dal re di Napoli. In autunno si aprì un contenzioso intorno al rinnovo della condotta con la Lega: in tempo di pace Ludovico il Moro non intendeva sostenere la spesa di ricondurre gli Orsini né questi, da parte loro, erano disposti ad accettare la riduzione di un quarto della loro condotta proposta da Milano.

Lorenzo de’ Medici scorse nel mancato rinnovo un grave pericolo per la quiete d’Italia, prevedendo che gli Orsini si sarebbero accordati al servizio della Chiesa, dando così al papa la possibilità di spostare il conflitto con Napoli dal piano diplomatico a quello militare. Grazie all’intervento di Lorenzo nelle trattative con Milano la condotta fu rinnovata alla fine di marzo 1488. La crisi di Romagna, apertasi in primavera con l’uccisione di Girolamo Riario a Forlì (14 aprile) e l’assassinio di Galeotto Manfredi, signore di Faenza (31 maggio), non vide la partecipazione di Gentil Virginio.

Da Pisa, dove aveva ricevuto l’ordine di stanziarsi, Orsini intervenne in modo indiretto in molte delle sollevazioni che si verificarono nelle città dello Stato della Chiesa tra il 1488 e il 1489 come conseguenza della situazione di debolezza politica e militare in cui si trovava il pontefice. In ottobre, quando si riaccesero le lotte tra le fazioni che si contendevano il potere a Perugia, agendo in stretto collegamento con Ferdinando d’Aragona e con Lorenzo de’ Medici prese posizione in favore di Guido e Rodolfo Baglioni contro la parte avversa degli Oddi che fu cacciata dalla città (30 ottobre 1488). Nei tumulti scoppiati a Todi in dicembre tra le fazioni degli Atti e dei Catalani intervennero invece Bartolomeo d’Alviano e Ludovico degli Atti, uomini d’arme al servizio rispettivamente di Orsini e di Niccolò di Pitigliano (e quindi al soldo dei fiorentini). Sebbene i due condottieri dichiarassero la loro estraneità ai fatti, Innocenzo VIII li ritenne responsabili e fece pressione su Firenze affinché ordinasse loro di punire i personaggi coinvolti. Nel gennaio 1489 su richiesta di Firenze Orsini fece opera di mediazione nella questione della restituzione ai senesi della fortezza di Montacuto, occupata dal nipote Ludovico Orsini di Pitigliano.

Nell’estate 1489, le difficoltà incontrate nell’ottenere i propri stipendi gli offrirono il pretesto per abbandonare il servizio dei fiorentini, senza che questo compromettesse i rapporti con Lorenzo de’ Medici. Lasciata Pisa per Bracciano alla fine di giugno, Orsini si adoperò per evitare che le terre appartenute a Domenico Anguillara (morto agli inizi del mese di luglio) cadessero nelle mani di Giuliano della Rovere, dei Colonna o dei loro alleati Savelli. Inviò sul posto un contingente di armati al comando dello stesso Gian Giordano per fare in modo che Anguillara pervenisse nelle mani di Franceschetto Cibo, cosa che in effetti avvenne pochi giorni dopo.

Maturavano intanto nuovi contrasti fra il re di Napoli e il pontefice che, l’11 settembre 1489, dopo averlo ripetutamente citato in giudizio per insolvenza e contumacia, lo scomunicò e lo depose dal trono. Pochi giorni prima, il 5 settembre, Gentil Virginio aveva assunto il grado di capitano generale dell’esercito aragonese; il 27 ottobre gli fu consegnato il bastone del comando. Il 18 agosto 1490 si avviò alla volta di Napoli per far visita al re, alla regina e al duca di Calabria, con cui si intrattenne fra banchetti, cacce e fitti colloqui politici fino al 25 del mese. In settembre, al peggiorare delle condizioni di salute di Innocenzo VIII, si tenne pronto ad agire in caso di morte del pontefice per condizionare l’andamento del conclave secondo i desideri di Ferdinando d’Aragona.

Durante i mesi estivi del 1491 alla testa delle armate aragonesi si portò nelle Marche, dove gli ascolani, incoraggiati dal re di Napoli, avevano assaltato Fermo e la vicina Offida, dando avvio a una ribellione che Innocenzo VIII non fu in grado di reprimere. Nessuno dei potentati italiani si attivò a sostegno del papa, che, vedendosi isolato, fu poi costretto a trovare un’intesa con il re.

Nel maggio 1492 Orsini ricevette l’ordine di recarsi a presidiare le coste abruzzesi minacciate dal pericolo turco. Tuttavia, due mesi dopo, una nuova grave malattia di Innocenzo VIII convinse Ferdinando a cambiare gli ordini dati e a stanziare il condottiero nel territorio di Tagliacozzo e Avezzano in modo che fosse pronto a intervenire sullo scenario romano. Contemporaneamente fu trovata un’intesa con i Colonna: a Roma, il 22 luglio Gian Giordano Orsini, Prospero Colonna e altri baroni e cittadini eminenti riuniti nel palazzo dei Conservatori, dichiararono di essere tra loro concordi e offrirono i propri servizi al Collegio cardinalizio e al popolo romano in caso di sede vacante.

Morto Innocenzo VIII il 25 luglio, Orsini e i condottieri Colonna avvicinarono le loro truppe a Roma, incaricati da Ferdinando d’Aragona di sostenere la candidatura di Giuliano della Rovere. La mossa non ebbe gli effetti sperati e l’11 agosto 1492 fu annunciata l’elezione di Rodrigo Borgia, cardinale vicecancelliere, col nome di Alessandro VI.

Temendo di non riuscire a mantenere i territori acquistati col favore del padre, Franceschetto Cibo cedette alle pressioni esercitate da Piero de’Medici e da Giuliano della Rovere e vendette, il 3 settembre 1492, la contea di Anguillara e i castra di Cerveteri, Monterano e Viano a Gentil Virginio. La transazione preoccupò oltremodo Alessandro VI che, scorgendovi, forse a torto, un maneggio del re di Napoli per aumentare la propria influenza sullo Stato della Chiesa, dichiarò nulla la vendita, avvenuta senza il suo consenso, e insistette perché la questione fosse rimessa al giudizio di un tribunale ecclesiastico.

Preoccupato dell’appoggio che Napoli e Firenze sembravano offrire a Orsini nella questione di Anguillara e Cerveteri, il papa si decise a cercare un’alleanza con Milano e Venezia: il 25 aprile 1493 venne stipulata la Lega di S. Marco in funzione antiaragonese. Il sostegno delle due potenze, tuttavia, si rivelò presto poco convinto, tanto che Alessandro VI si mostrò disposto a ripensare la sua linea politica. Su imposizione di Ferdinando d’Aragona, desideroso di lanciare un segnale distensivo, nel luglio 1493, Gentil Virginio e Giuliano della Rovere si riconciliarono con il pontefice e furono incaricati di definire i termini dell’intesa fra il papa e il re. Nel mutato clima politico anche la questione di Anguillara e Cerveteri si avviò a una soluzione: il 17 agosto 1493 Alessandro VI accettò di riconoscere il passaggio dell’intero feudo a Orsini in cambio del pagamento di 35.000 ducati alla Camera apostolica come corrispettivo del riconoscimento papale.

Tra aprile e maggio dell’anno successivo Orsini fu impegnato in qualità di mediatore a rinforzare l’alleanza tra Alessandro VI e il nuovo re di Napoli Alfonso II, salito al trono dopo la morte del padre Ferdinando (28 febbraio 1494). Insieme a Luigi da Casalnuovo ebbe l’incarico di negoziare le concessioni territoriali e le gratifiche che il re avrebbe dovuto elargire al duca di Gandìa e a don Jofré Borgia, figli del pontefice. Al termine degli accordi fu ricompensato con la concessione della la prestigiosa carica di gran connestabile del Regno di Sicilia, uno dei sette grandi Uffici del Reame.

Dopo aver scortato Jofré Borgia nel suo viaggio verso Napoli per sposare Sancia d’Aragona e aver preso parte alla cerimonia di incoronazione di Alfonso II (8 maggio 1494), il 12 luglio seguente ospitò nel suo castello di Vicovaro l’incontro tra Alessandro VI e Alfonso II che concordarono una comune strategia di difesa in vista della discesa di Carlo VIII. Tornato a Roma, Orsini convinse il papa a intraprendere una campagna militare contro i Colonna e i Savelli, pianificata per gli inizi di ottobre. Con il procedere dell’avanzata francese nel territorio italiano si sforzò di mantenere saldo il pontefice nella coalizione filoaragonese, tuttavia il suo operato militare di questi mesi risulta inefficace, se non ambiguo: sebbene già all’inizio di ottobre il suo esercito fosse pronto a sferrare l’attacco contro i Colonna, una volta ricevuto l’ordine dal papa di assediare la fortezza di Marino non aprì, di fatto, le ostilità. Né riuscì a soccorrere in tempo Viterbo dove, alla fine di novembre, dopo la fuga del governatore pontificio, gli abitanti avevano spontaneamente aperto le porte agli invasori. Insieme al conte di Pitigliano, indietreggiò fin dentro Roma, ordinando però al figlio Carlo, rimasto al governo di Bracciano, di patteggiare il passo sulle sue terre all’esercito francese. Il 19 dicembre, Carlo VIII pose il suo quartier generale nella stessa Bracciano.

Il giorno di Natale 1494, Gentil Virginio, insieme agli altri Orsini rimasti fedeli alla parte aragonese, lasciò Roma al seguito del duca di Calabria Ferrandino d’Aragona con un magro esercito composto da 22 squadre di uomini d’arme e 1500 fanti. Pochi giorni dopo, il 31 dicembre, il re di Francia entrò, acclamato, nella città.

L’abdicazione di Alfonso II a favore di Ferrandino non valse a risollevare le sorti dell’esercito aragonese che, nei primi mesi del 1495 fu costretto a retrocedere ulteriormente: Gentil Virginio, il conte di Pitigliano e Gian Giacomo Trivulzio si attestarono alla difesa del passo di S. Germano (Cassino), arretrando poi fino a Capua. Quando, all’approssimarsi dell’armata francese, i Capuani decisero di capitolare con gli invasori, Trivulzio passò al campo avversario e i due Orsini lasciarono la città con le genti aragonesi rimaste per riparare a Nola, terra del conte di Pitigliano. Il 19 febbraio, lo stesso giorno in cui Carlo VIII faceva il suo ingresso a Capua, i due cugini furono raggiunti da alcuni soldati francesi e vennero fatti prigionieri. Trattenuti dapprima a Castellammare, furono poi condotti a Napoli, caduta in mano francese il 22 febbraio, con la garanzia di Prospero Colonna.

Sebbene protestassero di «non esser presoni, ma presi sotto la fede data a loro di bocca di Soa Majestà, licet non fusse in scrittura» (Sanuto, 1883, p. 264), i due non riuscirono a ottenere licenza, temendo il re che potessero tornare a militare contro di lui. Nella sua risalita attraverso l’Italia per ritornare in Francia, Carlo VIII li portò con sé, ma i due Orsini riuscirono a fuggire durante la battaglia di Fornovo (6 luglio). Gentil Virginio riparò a Bologna presso Giovanni Bentivoglio (6 agosto) e quindi a Milano, prima di rientrare nei suoi possedimenti.

Nell’autunno 1495 fallito un tentativo allestito dagli Sforza con il favore di Alessandro VI di mettere fine al regime savonaroliano e filofrancese di Firenze per reinsediare l’esule Piero de’Medici, con le truppe ormai ridotte a mal partito Orsini maturò il proposito di passare alla parte francese: lo esasperava il venir meno del sostegno economico da parte della Lega e lo irritava il fatto che, nell’estate del 1495, i Colonna dopo aver abbandonato lo schieramento francese per passare al servizio dei collegati italici, avessero avuto confermato dal re di Napoli il possesso delle contee di Tagliacozzo e Albe. Le trattative, svoltesi negli ultimi mesi del 1495 con la mediazione di Camillo Vitelli, portarono alla stipula di una condotta, firmata ad Asciano il 2 febbraio 1496, che prevedeva l’ingaggio di Gentil Virginio, Paolo e Giulio Orsini, con 600 uomini d’arme per 80.000 ducati, e l’invio del figlio di Orsini, Carlo, come ostaggio.

Nonostante Gentil Virginio avesse giustificato la sua scelta in una lettera ad Alessandro VI, questi, desideroso di procurare una base territoriale al duca di Gandìa, intraprese il primo passo contro lo Stato degli Orsini accusando il condottiero di ribellione e confiscando i suoi beni con una sentenza che, per il momento, ritenne opportuno non pubblicare. Orsini, benché ammalato, aveva intanto attraversato l’Abruzzo con le milizie dei Vitelli al soldo della Francia; giunto in Puglia, con l’intento di riscuotere le entrate della dogana, fu sconfitto presso Sansevero e dovette ritirarsi nella terra di Atella, ultimo avamposto francese nel regno di Napoli. Il 20 luglio 1496, non potendo sostenersi oltre, i francesi furono costretti a capitolare.

Secondo i patti, qualora gli assediati non avessero ottenuto gli attesi rinforzi entro 30 giorni, avrebbero dovuto lasciare la località agli aragonesi e avviarsi protetti da salvacondotto «parte per mar e parte per terra fino in Franza, overo le loro case» (Sanuto, 1879, I, col. 275). Orsini «dubitando de non haver mai bon amor ni da Ferando, ni dal papa, [...] dicea volleva andar con Francesi in Franza», credendo «de non haver mai bon amor ni da Ferando, ni dal papa» (ibid., col. 264). Secondo Notar Giacomo(1845, p. 206),invece, avrebbe cercato il perdono di Ferrandino che, sulle prime, lo avrebbe accolto benevolmente, ma avrebbe in seguito mutato atteggiamento.

Contrariamente agli accordi, alla fine di settembre Gentil Virginio, Paolo e Gian Giordano vennero condotti nella fortezza di Castel dell’Ovo a Napoli e lì trattenuti su richiesta del papa. Alessandro VI che sperava, per questa via, di indurre l’altro figlio di Orsini, Carlo, a rinunciare alla difesa del suo Stato, dovette rimanere deluso. Dalla sua prigionia, benché minacciato di morte, Orsini si rifiutò di ordinare ai suoi parenti di cedere all’esercito pontificio che aveva nel frattempo sferrato l’attacco al suo dominio, li incitò anzi alla vendetta.

Non poté assistere, tuttavia, al fallimento dei propositi dei suoi avversari, che furono sconfitti da una coalizione di alleati degli Orsini riuniti sotto le bandiere della Francia nella battaglia di Soriano del 24 gennaio 1497. Pochi giorni prima, il 17 gennaio, infatti, morì a Castel dell’Ovo 1497 in circostanze che parvero sospette ai contemporanei.

La versione che fu accolta nella memoria familiare e in numerose cronache dell’epoca lo dice avvelenato da re Federico d’Aragona per volere di Alessandro VI. Di un processo, che sarebbe stato ordinato da Federico per discolparsi dall’accusa di aver provocato la morte del condottiero, non sembrano essere rimaste tracce negli archivi napoletani.

Il corpo di Orsini fu concesso ai figli affinché, da Napoli, lo riportassero nelle loro terre. Dopo essere stato esposto nella basilica di S. Paolo fuori le Mura a Roma, il feretro proseguì il viaggio verso Bracciano dove gli furono tributate esequie solenni. Fu infine traslato a Cerveteri per la sepoltura.

La storiografia riconosce negli anni di Gentil Virginio il momento di maggior splendore vissuto dal suo casato, che raggiunse un livello di potenza e di influenza politica mai più toccato nei secoli a venire. I rapporti politici e dinastici intrecciati con le principali case regnanti italiane, il protagonismo diplomatico e militare e il mecenatismo nei confronti di artisti e umanisti fanno di Orsini un personaggio di primo piano nel panorama dell’Italia del Rinascimento. Ebbe fama di signore magnifico, razionale e prudente, ma anche di uomo ostinato e uso a promettere più di quanto non fosse in grado di mantenere. I debiti da lui contratti con diversi banchieri, come i Rucellai e soprattutto i Medici per sostenere le sue acquisizioni territoriali e la sua politica di potenza, gettarono come un’ombra sui destini della famiglia che si trovò ad affrontare, depauperata di mezzi economici, la situazione politica del primo Cinquecento, in cui gli spazi di autonomia e di manovra delle casate baronali romane si fecero progressivamente sempre più stretti.

Fonti e Bibl.: Il nucleo più corposo della documentazione riguardante la vita e l’attività di Gentil Virginio Orsini è conservato nel fondo familiare presso l’Archivio storico Capitolino. È da segnalare in particolare la sua corrispondenza: circa 1100 lettere conservate nei volumi 101 (anni 1467-88) e 102,1-3 (anni 1489-95) della I serie del Fondo Orsini. L’elencazione che segue si riferisce ai documenti effettivamente utilizzati nella realizzazione della voce e non è da considerarsi esaustiva. Città del Vaticano, Archivio segreto Vaticano, Archivum Arcis, Arm. I-XVIII, b. 790; Archivio di Stato di Firenze, Dieci di Balia, Responsive, reg. 34, c. 173r; Archivio di Stato di Milano, Sforzesco, Potenze estere, Roma, cart. 69 (Nicodemo [Tranchedini], 26 febb. 1472); Archivio di Stato di Roma, Collegio dei Notai Capitolini, Camillo Benimbene, 175, cc 581r-582v; 176, c. 744r; Roma, Archivio storico Capitolino, Archivio Orsini, II, A, XVII, 72; XVIII, 21; XIX, 25, 26 e 42; I ser. b. 101, cc. 10, 11, 73, 235, 267; 102,3, c. 584. La bibliografia sul personaggio è ricca quanto dispersa. Per la committenza e gli aspetti storico artistici si vedano i contributi raccolti nel volume Bracciano e gli Orsini. Tramonto di un progetto feudale (catal.), a cura di A. Cavallaro - A. Mignosi Tantillo - R. Siligato, Roma 1981. Si vedano inoltre: M.A. Sabellico, Historia rerum Venetarum ab urbe condita libri XXXIII, Basileae 1556, p. 979; F. Sansovino, Historia di casa Orsina, Venetia 1565, passim; Lettere, istruzioni ed altre memorie de’ re aragonesi, in Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell’istoria generale del Regno di Napoli, a cura di G. Gravier, V, Napoli 1769, pp. 108 s.; Diario anonimo dall’anno MCXCIII sino al MCCCCLXXXVII, pubblicato in Raccolta di varie Croniche, Diarj, ed altri opuscoli così italiani, come latini appartenenti alla Storia del Regno di Napoli, I, Napoli 1770, p. 143; A. Burriel, Vita di Caterina Sforza Riario, contessa d’Imola e signoria di Forlì, Bologna 1795, p. 161; C. de’ Rosmini, Dell’istoria intorno alle militari imprese e alla vita di Gian Iacopo Trivulzio, Milano 1815, II, p. 113, 143-146; Cronica di Napoli di Notar Giacomo, a cura di P. Garzilli, Napoli 1845, pp. 162, 180, 182, 186, 206, 213; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura, III, Torino 1845, p. 296; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, Orsini, Milano 1848, tav. XXVII; Cronaca della città di Perugia dal 1309 al 1491 nota col nome di Diario del Graziani, a cura di A. Fabretti, in Archivio storico italiano, XVI (1850), p. 655; A. Cappelli, Lettere di Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico conservate nell’Archivio Palatino di Modena, con notizie tratte dai carteggi diplomatici degli oratori estensi a Firenze, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, I (1863), p. 42; Codice aragonese, a cura di F. Trinchera, II, 1, Napoli 1868, p. 92, 142 s., 147 s., 169, 382-384; M. Sanuto, I Diarii, I, Venezia 1879, ad indicem; Id., La spedizione di Carlo VIII in Italia, a cura di R. Fulin, Venezia 1883, p. 264; S. dei Conti da Foligno, Le storie dei suoi tempi dal 1475 al 1510, a cura di E. Racioppi, Roma 1883, I, pp. 132-134, 141, 188-195, 219 s.; II, 84 s., 158 s.; J. Leostello, Effemeridi delle cose fatte per il duca di Calabria (1484-1491), a cura di G. Filangieri di Satriano, Napoli 1883, p. 42, 121, 133, 360 s.; J. Burchardi, Diarium, sive rerum urbanarum commentarii (1483-1506), a cura di L. Thuasne, Paris 1883-85, I, pp. 16 s.; N. Barone, Notizie storiche raccolte dai registri Curiae della Cancelleria Aragonese, in Archivio storico per le province napoletane, XIII, 4 (1888), p. 770; XIV, 1 (1889), p. 9; S. Infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, Roma 1890, pp. 90, 94, 96 s., 100-102, 106, 116 s., 161, 167-169, 178, 180-183, 186 s., 189, 192 s., 198, 206 s., 215, 227, 245, 253, 276, 292, 296; Ph. de Commynes, Mémoires, a cura di B. de Mandrot, Paris 1901-1903, II, pp. 369 s.; Il Diario romano di Jacopo Gherardi da Volterra…, a cura di E. Carusi, in Rer. Ital. Script., II ed., XXIII, 3, Città di Castello 1904, pp. 24, 70; Il diario della città di Roma di Antonio de Vascho, a cura di G. Chiesa, ibid., pp. 502, 508, 511 s.; G. Nicasi, La famiglia Vitelli di Città di Castello e la Repubblica fiorentina fino al 1504, in Bollettino della Regia Deputazione di storia patria per l’Umbria, XV (1909), pp. 137-317, 449-578; I. Burchardi Liber notarum, a cura di E. Celani, in Rer. Ital. Script.,XXXII, 1, Città di Castello 1906, I, pp. 12, 530 s.; II, p. 14; Regis Ferdinandi I instructionum liber, a cura di L. Volpicella, Napoli 1916; G. Paladino, Per la storia della congiura dei baroni. Documenti inediti dallArchivio Estense, 1485-1487, in Archivio storico per le province napoletane, XLIV (1919), pp. 336-367; XLV (1920), pp. 128-151, 325-351; XLVI (1921), pp. 221-265; XLVIII (1923), pp. 219-290; R. Orsi, De obsidione Tiphernatum liber, a cura di G. Magherini Graziani, in Rer. Italic. Script., II ed., XXVII, 3, Città di Castello 1922, p. 10; E. Fiumi, L’impresa di Lorenzo de’ Medici contro Volterra, Firenze 1948, p. 129; A. Sansi, Storia del Comune di Spoleto, II, Perugia 1972, p. 61; Lorenzo de’ Medici, Lettere, III, a cura di N. Rubinstein, Firenze 1977, p. 98; VII, a cura di M. Mallett, Firenze 1998, p. 288; IX, a cura di H. Butters, Firenze 2002, p. 11; Giovanni Santi, La vita e le gesta di Federico di Montefeltro duca d’Urbino, a cura di L. Michelini Tocci, II, Città del Vaticano 1985, p. 379; Carteggi delle magistrature dell’età repubblicana. Otto di Pratica, I, Legazioni e commissarie, Regesti a cura di Paolo Viti, Firenze 1987, I, registro n. 7, regesto n. 268 e passim; M. Pellegrini, Ascanio Maria Sforza. La parabola politica di un cardinale-principe del Rinascimento, Roma 2002, ad ind.; C. Shaw, The political role of the Orsini family from Sixtus IV to Clement VII. Barons and factions in the Papal States, Roma 2007, pp. 173, 242, 248; A. Serio, Una gloriosa sconfitta. I Colonna tra papato e impero nella prima età moderna, Roma 2008, p. 28; S. Camilli, G.V. Orsini. Un barone condottiero del Quattrocento, tesi di dottorato, Università degli studi di Firenze, 2012.