ORSINI DEL BALZO, Raimondo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)

ORSINI DEL BALZO, Raimondo

Kristjan Toomaspoeg

ORSINI DEL BALZO (Del Balzo Orsini), Raimondo (Raimondello). – Nacque a Taranto nel 1350-55, secondogenito di Nicola Orsini – condottiero e politico nel Patrimonio di S. Pietro e nel Regno di Napoli, conte di Nola – e di Giovanna di Sabran, figlia di Guglielmo, di un’importante casata provenzale.

Si chiamava Raimondo e il nome Raimondello, attribuitogli dalla tradizione storiografica, è menzionato molto di rado nelle fonti (Kiesewetter, 2001, p. 17; Houben, 2008, p. 195).

Si ignorano del tutto le circostanze della sua infanzia e della prima gioventù, compreso il suo percorso educativo; proveniva dall’ambiente della media-alta nobiltà del Regno, impregnato di principi cavallereschi e non sprovvisto di cultura. Come «Raimundus filius comitis Nolani» appare per la prima volta nelle fonti nel febbraio 1372 (Schäfer, 1937, p. 386), ancora molto giovane, in qualità di scudiero a servizio della corte pontificia di Avignone. Da quel momento condusse la vita di un uomo di guerra, cavaliere errante – portatore di valori come la devozione, la fedeltà, la lealtà e la solidarietà – e insieme mercenario al soldo, cinico e calcolatore.

Le vicende successive sono collegate alla successione della Contea di Soleto, feudo della famiglia provenzale dei Del Balzo (de Baux), cui apparteneva sua nonna paterna, Sveva. Il conte Raimondo Del Balzo, fratello di Sveva, che morì nel 1375, per testamento lasciò la contea a Nicola Orsini a condizione che questi la cedesse al figlio Raimondo, il quale avrebbe dovuto portare il cognome dei Del Balzo. Nicola invece serbò Soleto per sé e mantenne erede il figlio maggiore, Roberto. Raimondo, amareggiato dall’atteggiamento del padre, fu costretto a partire per cercare consolazione e fortuna altrove.

Secondo una diffusa leggenda, si sarebbe recato in pellegrinaggio in Terra Santa, dove avrebbe visitato, tra l’altro, il santuario di S. Caterina d’Alessandria, nel Sinai, fonte d’ispirazione per la chiesa di S. Caterina che più tardi fece costruire a Galatina (Lecce). In realtà, è stato appurato che (Houben, 2008, pp. 196 s.), questo viaggio, come un altro che avrebbe fatto successivamente a Santiago de Compostela, non è documentato.

La sua meta fu in realtà la Prussia dei cavalieri teutonici. Probabilmente si imbarcò a Napoli, nell’inverno 1377-78, con la compagnia guidata da Guido II de Chauvigny, signore di Châteauroux, nell’ambito dei cosiddetti «viaggi di Prussia», periodicamente intrapresi dai nobili europei con l’intento di combattere contro i lituani pagani (Paravicini, 1989, p. 134).

Un soggiorno in Prussia faceva parte a pieno titolo del cursus honorum di un cavaliere e – fatto importante nel caso di Orsini, allora semplice scudiero – era l’occasione per ricevere l’investitura cavalleresca in campo di battaglia. Quindi proprio in Prussia egli divenne cavaliere, nonché confratello e familiare laico dell’Ordine teutonico, con il diritto di portare il mantello sul quale era raffigurata la croce dell’Ordine tagliata a metà (a forma di T). Più tardi, divenuto uomo potente, figurò come protettore e benefattore dei teutonici e si interessò alle vicende della Prussia: non è escluso che fu lui a inviare al gran maestro dell’Ordine la reliquia della manna di S. Nicola da Mira.

L’arrivo di Orsini Del Balzo in Prussia potrebbe essere datato al mese di febbraio 1378, mentre non è noto per quanto tempo rimase nell’area baltica. All’inizio del 1381 risulta di nuovo nel Mezzogiorno italiano, ostaggio di Carlo III di Durazzo, insieme al fratello maggiore Roberto.

La confusione in cui versava il Regno durante la lotta tra i due rami della dinastia degli Angiò – durazzesco e francese – si rivelò un contesto molto propizio per uomini come lui, senza patrimonio personale e disposti a concedere la propria spada al miglior offerente, anche se sarebbe errato ridurre le vicende di Orsini Del Balzo a una mera questione di interessi materiali.

In un primo tempo, seguendo la tradizione di famiglia, offrì i suoi servigi di soldato a Luigi I d’Angiò, ma poi nel 1382 si schierò con Carlo III di Durazzo, che lo nominò ciambellano del Regno e capitano di guerra di Barletta, una decisione che conferma il prestigio del quale godeva, per essersi dimostrato ottimo combattente. L’alleanza con i durazzeschi ebbe tuttavia esito negativo a causa di un conflitto con la città di Barletta – che fece appello alla corte di Carlo III, costretto ad ammonire il suo capitano – e delle vicende belliche, al momento più favorevoli a Luigi I che a Carlo III. Orsini Del Balzo tornò dunque nei ranghi francesi e nel settembre 1384 giurò, insieme con alcuni altri cavalieri del Regno, fedeltà a Luigi I, allora morente.

Nel 1385 (tra agosto e ottobre) sposò Maria d’Enghien (1369-1446), figlia del conte Giovanni di Lecce e di Sancia Del Balzo, appartenente a una delle famiglie più illustri del Regno e anche lei dotata di notevoli doti diplomatiche e amministrative.

Dopo la morte del fratello maggiore, Pietro, nel luglio 1384, Maria era divenuta contessa di Lecce, e si era alla ricerca di un marito adatto a lei. La scelta di Orsini Del Balzo fu dovuta al sostegno della corte di Luigi II, che lo contava tra i suoi più fedeli servitori, all’opinione favorevole della famiglia di Maria, partigiana di Luigi I e di Luigi II (Luigi d’Enghien, conte di Conversano, era uno dei più fidati consiglieri del re) e non per ultimo all’insistenza del papa Urbano VI che Orsini Del Balzo aveva liberato, nel luglio 1385, dall’assedio di Nocera, perpetrato da Carlo III.

Il matrimonio fruttò a Orsini Del Balzo la Contea di Lecce, che era passata agli Enghien con il secondo testamento di Gualtieri VI di Brienne, redatto nel 1354, e della quale Maria era l’ereditiera. Anche se egli non divenne conte di Lecce, rimanendo un semplice dominus della Contea accanto a sua moglie, quello fu a tutti gli effetti il primo tassello del suo futuro patrimonio. Tra il 1386 e il 1398, con il sostegno di diverse parti in lotta nel Regno, estese il suo potere su Brindisi, Molfetta, Monopoli, Gallipoli e Martina Franca. Nel 1389, il sostegno di Luigi II d’Angiò gli permise di espropriare al padre e al fratello maggiore la Contea di Soleto, anche se dovette aspettare sino alla morte di Nicola, nel 1399, per ricevere il titolo del conte. Nel febbraio 1399, rendendosi conto della disfatta di Luigi II, compì un altro voltafaccia, facendo atto di sottomissione a Ladislao I di Durazzo, una mossa che gli valse, già nel marzo, la promessa della futura concessione reale del Principato di Taranto. Questa si concretizzò già nell’aprile successivo, dopo la morte del principe titolare, Ottone di Braunschweig-Grubenhagen: la cerimonia di investitura ebbe luogo a giugno.

Con il Principato, il feudo più esteso del Regno in epoca angioina, Orsini Del Balzo ricevette vasti possedimenti nella Terra d’Otranto, concentrati principalmente a Castellaneta, Francavilla Fontana, Gallipoli, Ginosa, Martina Franca, Massafra, Mottola, Nardò, Oria, Ostuni, Polignano (nella Terra di Bari), Taranto e Ugento. Nel dicembre 1392 aveva preso in pegno e poi comprato da Ottone di Braunschweig-Grubenhagen anche dei possedimenti in Campania, ovvero la Contea di Acerra e diversi casali come Marcianise, San Vitaliano e Trentola, mentre in Irpinia deteneva le Baronie di Flumeri-Trevico e Guardia Lombarda. Infine, nel 1401, ottenne la Baronia di Tricase nel Salento.

Era dunque principe di Taranto, conte di Soleto, dominus della Contea di Lecce, di Veglie, barone di Acerra, Altamura, Lavello, Locorotondo, Minervino Trevico e Tricase, e signore di diritto o di fatto di una serie di altri feudi e località. A questi titoli si aggiunsero gli incarichi amministrativi a lui concessi dalla corona napoletana (sia durazzesca sia francese) e dal Papato: fu capitano di guerra in diverse zone del Regno (Terra d’Otranto, Terra di Bari, Terra del Lavoro), dal 1399 capitano generale della Terra d’Otranto, portava il titolo di cittadino di Bari, allo stesso tempo era gonfaloniere della Chiesa romana e ciambellano del re. Era considerato l’uomo più potente del Regno dopo il re (Paravicini, 1989, p. 107).

Nei suoi vasti possedimenti, in particolare nel nucleo principale del patrimonio, la Terra d’Otranto, si comportò come un principe prerinascimentale, governando in completa autonomia e dando grande rilievo all’arte e alla cultura. Il suo potere, vista la debolezza della corona durazzesca, era pressoché illimitato, e i redditi che traeva dai propri possedimenti dovevano essere vicini, se non superiori, alle entrate di Ladislao I anche grazie alla detenzione di alcuni diritti della corte reale, come quelli sulla dogana di Lecce. Sarebbe tuttavia scorretto rappresentare il suo patrimonio, soprattutto il Principato di Taranto, come uno Stato nello Stato, come talvolta si è affermato.

Uno dei maggiori esponenti della mentalità cavalleresca, benché passasse la sua vita in battaglie e spedizioni militari, la sua cultura si fondava sull’esempio della nobiltà europea. Era membro dell’Ordine cavalleresco della Nave (Ordre de la Nef) che Carlo III aveva fondato a Napoli nel 1381 seguendo l’esempio degli ordini di S. Giorgio ungherese, della Giarrettiera inglese, dell’Ermellino di Bretagna e altre simili congregazioni. Commissionò opere architettoniche e artistiche, tra le quali la chiesa di S. Caterina di Galatina, completata dalla moglie e dal figlio Giovanni Antonio che la munirono di un importante ciclo di affreschi, il campanile di Soleto (la cosiddetta ‘guglia di Raimondello’) e una torre eretta nel 1404 a Taranto (demolita nel XIX secolo).

Da Maria d’Enghien Orsini Del Balzo ebbe quattro figli. Giovanni Antonio, il primogenito, riuscì solo dopo lunghi anni di lotte, negli anni Venti, a succedergli nei suoi feudi. Né questi, sposato con Anna Colonna, né il fratello Gabriele (1404-1453/54), sposato con Giovanna Caracciolo, ebbero eredi maschi, cosa che comportò l’estinzione della linea dinastica. Le due figlie, Maria (moglie di Antonio II Acquaviva) e Caterina (moglie di Tristano di Chiaramonte), nate intorno al 1400, ebbero morte precoce, rispettivamente nel 1413 e 1429.

Già pochi anni dopo l’investitura, i rapporti fra Orsini Del Balzo e Ladislao I si guastarono per ragioni non documentate, ma che si possono inquadrare nella situazione di reciproca minaccia tra loro e tra Ladislao e il papa. Nel 1405, quando Ladislao I entrò in conflitto con Innocenzo VII, Orsini Del Balzo si mise a capo di un’alleanza anti-durazzesca, composta tra gli altri da Giacomo Del Balzo, Pietro Orsini e Pietro d’Enghien, e concesse un indulto ai seguaci di Luigi II d’Angiò.

Il 9 gennaio 1406 il papa esortò gli alleati a resistere a Ladislao I, dichiarandolo deposto dal trono, ma pochi giorni dopo, il 17 gennaio, Orsini Del Balzo morì improvvisamente, mentre il re era ancora all’oscuro del suo cambio di fronte.

Fu sepolto nella chiesa di S. Caterina di Galatina, dove è collocato l’imponente monumento funerario realizzato per ordine di Maria d’Enghien.

Definito una delle figure più importanti nella storia del Mezzogiorno tra il XIV e il XV secolo (Kiesewetter, 2001, p. 17), Orsini Del Balzo rimane, paradossalmente, poco noto. Questo fatto si spiega soprattutto con la scomparsa degli atti della sua amministrazione a Taranto e nel Regno in generale (sono noti solo sei documenti): probabilmente una damnatio memoriae ordinata da Ladislao I. Manca tuttora una biografia esaustiva e solo i recenti lavori (Kiesewetter, 2001; Id., 2005) offrono una utile e documentata sintesi dei suoi percorsi.

Fonti e Bibl.: Ph. Crasullus, Fragmentum annalium de rebus tarentinis, a cura di A. Pelliccia, in Raccolta di varie croniche, diarii ed altri opuscoli così italiani, come latini appartenenti alla storia del regno di Napoli, V, Napoli 1782, pp. 109-125; A. Profilo, La Messapografia ovvero memorie istoriche di Mesagne, II, Lecce 1875, p. 205; L. de Barthélemy, Inventaire chronologique et analytique des chartes de la maison de Baux, Marsiglia 1882, p. 485; N. Barone, Notizie raccolte dai registri di cancelleria del re Ladislao di Durazzo, in Archivio storico per le province napoletane, XIII (1888), p. 7; Acta et diplomata Ragusina, I, a cura di J. Radonić, Belgrado 1934, pp. 196-198; Le carte di Altamura, 1232-1502, a cura di A. Giannuzzi, Bari 1935, pp. 353 s.; Die Ausgaben der apostolischen Kammer unter den Päpsten Urban V. und Gregor XI. (1362-1378), a cura di K.H. Schäfer, Paderborn 1937, pp. 386 s.; G. Beltrani, Gli Orsini di Lecce e di Taranto durante il regno di Giovanna II, in Archivio storico per le provincie napoletane, n.s., XXXVI (1957), pp. 93-125; I Diurnali del Duca di Monteleone, a cura di M. Manfredi, in Rerum Italicarum Scriptores, XXI, 5, Bologna 1958,ad ind.; M.A. Visceglia, Territorio, feudo e potere locale. Terra d’Otranto tra Medioevo ed Età moderna, Napoli 1988; C. Massaro, Territorio, società e potere, in Storia di Lecce dai Bizantini agli Aragonesi, a cura di B. Vetere, Bari 1993, pp. 251-343; S. Pollastri, La noblesse napoletaine sous la dinastie angevine. L’aristocratie des comtes (1265-1435), Tesi di dottorato, Université de Paris-X Nanterre 1994; W. Paravicini, Die Preußenreisen des europäischen Adels, Sigmaringen 1989, pp. 107, 134; F. Allegrezza, Organizzazione del potere e dinamiche familiari. Gli Orsini dal Duecento agli inizi del Quattrocento, Roma 1998; S. Morelli, Tra continuità e trasformazioni. Su alcuni aspetti del principato di Taranto alla metà del XV secolo, in Società e storia, XIX (1996), pp. 487-505; A. Kiesewetter, Ricerche e documenti per la signoria di R. Del Balzo O. sulla contea di Lecce e sul principato di Taranto (1385-1399/1406), in Bollettino storico di Terra d’Otranto, XI (2001), pp. 17-30; Id., Problemi della signoria di R. Del Balzo O. in Puglia (1385-1406), in Studi sul Principato di Taranto, a cura di G. Carducci - A. Kiesewetter - G. Vallone, Bari 2005, pp. 7-88; Dal Giglio all’Orso. I Principi d’Angiò e Orsini del Balzo nel Salento, a cura di A. Cassiano - B. Vetere, Galatina 2006; H. Houben, R. del B. O. e l’Ordine Teutonico, in L’Ordine Teutonico tra Mediterraneo e Baltico: incontri e scontri tra religioni, popoli e culture, a cura di H. Houben - K. Toomaspoeg, Galatina 2008, pp. 195-212.

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