ORSINI DEL BALZO

Enciclopedia Italiana (1935)

ORSINI DEL BALZO

Alessandro CUTOLO
Ernesto PONTIERI

. Famiglia nobile, il cui capostipite è Raimondo o Raimondello Orsini, secondogenito di Niccolò Orsini conte di Nola e d'una donna di casa Sabran, nato nella seconda metà del sec. XIV. Per eredità del conte di Soleto, Raimondo del Balzo, fratello dell'ava Sveva del Balzo, ne doveva ereditare i beni; ma, contravvenendo a ciò, Niccolò Orsini fece succedere in quei feudi il primogenito Roberto, onde Raimondo, sdegnato, abbandonò la patria per recarsi a combattere gl'infedeli. Ritornato dopo qualche tempo nel regno, occupò a viva forza, non solo la contea di Soleto, ma anche altre terre del padre. Per memoria verso l'antenato, antepose al suo cognome l'altro dei Del Balzo, e con lui ebbe così inizio questo ramo della famiglia. A vincerne l'urto, il padre si rivolse (maggio 1382) a re Carlo III di Durazzo, ma questi, impegnato nelle lotte con Luigi I d'Angiò, non solo non punì Raimondo, ma lo volle al suo fianco per combattere l'Angioino.

Ribellatosi poco dopo a Carlo III, Raimondo passò al servizio di Luigi I d'Angiò, sposò (1384), sotto gli auspici di lui, Maria d'Enghien, contessa di Lecce, che gli portò in dote questa contea e altre terre in Puglia, e, morto Luigi I (20 settembre 1384), fu tra i più accaniti sostenitori dei diritti del figlio di lui, Luigi II. Minacciato papa Urbano VI in Nocera dalle armi di Carlo III, Raimondo accorse all'appello di lui (marzo 1385) e riuscì a farlo riparare in Genova. Quando poi gli parve che la parte angioina fosse per soccombere, tentò varie volte di riavvicinarsi ai Durazzeschi, e, per essi, al nuovo re Ladislao, e quando quest'ultimo mosse contro Luigi II (1398), passò a lui, combatté sotto le bandiere dei Durazzeschi e, investito del principato di Taranto al quale egli aspirava per i diritti che gli venivano dai Del Balzo, antichi signori di quel feudo, lo conquistò, entrando in Taranto il 18 giugno 1399. Quivi promosse le arti, la giurisprudenza e le lettere, e visse in buona armonia con la corte, fino al 1405, quando, spinto a ciò dal pontefice Innocenzo VII, si ribellò a Ladislao che mosse a sottometterlo. Nel frattempo Raimondo morì (17 febbraio 1406) e fu sepolto a Galatina, nella chiesa di Santa Caterina, da lui resa adorna di molte opere d'arte. Lasciò quattro figli: Caterina, Maria, Giovannantonio e Gabriele, e di essi gli successe nel principato Giovannantonio quando, morto Ladislao che aveva sposato la vedova Maria d'Anghien e s'era insignorito in tal modo del principato di Taranto, e successagli la sorella Giovanna II, questa rimise la cognata e i figli di lei in possesso dei loro feudi. La primogenita Maria aveva sposato il figlio del duca d'Atri; Caterina, Tristano di Chiaromonte; Giovannantonio sposò (1417) Anna Colonna nipote di papa Martino V; Gabriele, Giovanna Caracciolo.

Non avendo potuto affermare il suo dominio a corte, nel 1433 Giovannantonio si ruppe con Giovanna II e mosse contro Luigi III d'Angiò, assunto a suo erede dall'incostante regina. Prese quindi le parti di Alfonso d'Aragona, e insieme combatterono a Ponza, dove entrambi caddero prigionieri e furono condotti a Milano presso Filippo Maria Visconti (1435). La prigionia e la comunione dei propositi strinsero il principe di Taranto e l'Aragonese. Il quale divenuto Alfonso I re di Napoli, concesse al Del Balzo la città di Bari con licenza d'esportare ciò che gli piacesse, lo nominò gran connestabile del regno con l'appannaggio di 100 mila ducati, destinati alle paghe delle lance che gli fu consentito di tenere a sua disposizione.

Qualche ombra tra l'Aragonese e Giovannantonio non mancò; ma il matrimonio tra la nipote di lui, Isabella di Chiaromonte, col duca di Calabria, Ferdinando, parve cementasse con altri vincoli la casa regnante col più potente ceppo feudale indigeno. Invece Ferdinando d'Aragona, successo al padre nel 1458, non lo imitò nell'arrendevolezza verso il baronaggio: egli già meditava di debellarlo. Tali propositi e le fatali conseguenze intuì presto il Del Balzo, che, abbandonata la corte, si trasferì a Taranto, vi si fortificò e si pose a capo dei baroni insorti contro il sovrano. E poiché si aveva bisogno d'un personaggio, dietro cui i baroni mascherassero i loro piani affatto particolaristici e spesso criminosi, fu lui, dopo il rifiuto del re d'Aragona, a invitare alla conquista del regno Giovanni, figlio del defunto Renato d'Angiò. Ma, battuto a Troia, dovette domandare la pace, mentre l'Angioino prendeva la via del ritorno in Francia.

Secondo alcuni, un vero trattato sarebbe stato conchiuso tra l'Aragonese e il Del Balzo, al quale sarebbero stati riconosciuti e riconfermati, in tutta la loro estensione, possessi, uffici ed emolumenti, che egli godeva nel regno. Comunque, rientrò a Taranto, e quivi, qualche anno dopo, nel 1465, morì, a 70 anni, non senza sospetto di veleno, fattogli propinare da Ferdinando d'Aragona. Il quale si recò subito a Taranto e, lungi dal rispettare le disposizioni testamentarie del Del Balzo e quelle della vedova, Anna, incamerò il principato nel demanio regio e s'impadronì di tutte le ricchezze, fatte ascendere a più d'un milione di ducati.

Bibl.: N. F. Faraglia, Storia della regina Giovanna II, Lanciano 1904; id., Storia della lotta tra Alfonso V d'Aragona, e Renato d'Angiò, ivi 1908; E. Nunziante, I primi anni di Ferdinando d'Aragona e l'invasione di Giovanni d'Angiò, Napoli 1896; G. M. Monti, La condizione giuridica del principato di Taranto, Bari 1928; G. Noblemaire, Histoire de la Maison de Baux, Parigi 1923; A. Cutolo, Maria d'Enghien, Napoli 1929.

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