WELLES, Orson

Enciclopedia del Cinema (2004)

Welles, Orson

Altiero Scicchitano

Regista e attore cinematografico e teatrale statunitense, nato a Kenosha (Wisconsin) il 6 maggio 1915 e morto a Los Angeles il 10 ottobre 1985. Geniale inventore di immagini, autore che ha riversato nella sua opera un'inesauribile capacità di sperimentare il linguaggio filmico, di elaborare strutture drammaturgiche e di dar vita, con le sue capacità istrioniche e interpretative, a grandi personaggi cinematografici, W. è considerato uno dei massimi artisti del 20° secolo. Quando la RKO gli propose un contratto mirabolante per il suo primo film, Citizen Kane (1941; Quarto potere), era già una celebrità. Ma dopo l'insuccesso di The magnificent Ambersons (1942; L'orgoglio degli Amberson) riuscì a girare appena una decina di capolavori quali The lady from Shanghai (1948; La signora di Shangai), Macbeth (1948), Othello (1952; Otello) ‒ che ottenne la Palma d'oro al Festival di Cannes ‒, Mr. Arkadin (1955; Rapporto confidenziale), Touch of evil, noto anche come Chimes at midnight (1958; L'infernale Quinlan), Le procès (1962; Il processo) e Campanadas a medianoche (1966; Falstaff).

La madre, pianista e attiva femminista, morì nel 1924; il padre, inventore e industriale, nel 1928. La sua infanzia si svolse in un clima di effervescente creatività artistica. Nel 1926 W. entrò alla Todd School, dove perfezionò le sue doti drammaturgiche. Nel 1931 si recò in Irlanda, dove riuscì a farsi assumere dal Dublin Gate Theatre spacciandosi per un noto attore americano. Tornato negli Stati Uniti, a New York, seguì la troupe di Katharine Cornell e iniziò a lavorare alla radio, collaborando al celeberrimo The march of time, che presentava l'attualità sostituendo con attori i personaggi reali: W. prestò la sua voce polimorfa a decine di personalità. Dal 1936 al 1937 realizzò messinscene teatrali per il Federal Theatre, sovvenzionato dal Work Progress Administration (WPA). Tra le più innovative vanno ricordate quelle di Macbeth (1936), con attori di colore e spostamento della trama a Haiti, e The cradle will rock (1937), la cui prima, vietata dal WPA, fu improvvisata senza scenografie né costumi in un teatro vicino. Assieme a John Houseman fondò il Mercury Theatre. La fama di W. e il successo teatrale di Caesar (1937), adattamento da W. Shakespeare in costumi moderni e con riferimento al fascismo, spinse la CBS ad affidargli una trasmissione settimanale di un'ora, nella fascia serale di massimo ascolto. Ogni puntata in diretta era l'adattamento di un classico della letteratura. The Mercury Theatre on the air iniziò a diffondere l'11 luglio 1938. In tutto W. produsse, realizzò, interpretò e talvolta scrisse 80 puntate. Il repertorio spaziava da Treasure island di R.L. Stevenson a Heart of darkness di J. Conrood. Ogni storia era raccontata in prima persona, il gioco tra dialogo e narrazione e le invenzioni sonore furono portate a livelli tutt'ora insuperati di ingegno creativo. W. passava inuna stessa giornata da uno studio radiofonico all'altro, proseguendo le rappresentazioni teatrali, presenziando a convegni politico-culturali e moltiplicando gli interventi sui giornali. In tre anni, realizzò quel che a malapena un uomo di talento potrebbe compiere in una vita intera. Il 30 ottobre 1938 negli studi della CBS il Mercury Theatre stava preparando l'adattamento di Howard Koch di The war of the worlds di H.G. Wells, quando ci si accorse che si trattava di un brogliaccio improponibile; ma era ormai troppo tardi, bisognava andare in onda. Allora in W. nacque l'idea di ispirarsi al resoconto della catastrofe dell'Hindenburg, improvvisando una nuova sceneggiatura che raccontasse l'invasione dei marziani come un concitato radiogiornale. A quell'ora quasi tutti stavano ascoltando il ventriloquo Edgar Bergen e la sua marionetta nella trasmissione più seguita d'America, The chase and Sanborn Hour, per cui, quando alle 20,12 gli ascoltatori si sintonizzarono sulla CBS, i marziani avevano già occupato il New Jersey, distruggendo l'esercito e l'aviazione, e si stavano preparando a marciare su New York. La trasmissione gettò nel panico 1.750.000 persone. Fu al contempo il più grande scherzo del secolo e il fenomeno che rivelò al mondo il potere delle comunicazioni di massa, di cui The war of the worlds divenne l'emblema e la critica definitivi. Già allora W. era un 'prestigiatore' professionista, ma quella del 30 ottobre 1938 rimase la sua migliore falsificazione. Quel giorno l'America scoprì di aver dato i natali a un genio. E W. aveva appena ventitré anni. W. non raggiunse mai più un simile livello di popolarità, ma all'epoca non poteva immaginare che con l'arrivo a Hollywood la sua carriera avrebbe iniziato a declinare. Nei quarant'anni seguenti, il credito acquisito in meno di un decennio si logorò poco a poco. Una traversata del deserto durante la quale W. consumerà tutta la sua passione per il cinema, imponendosi come uno dei più grandi cineasti di tutti i tempi. Durante l'estate del 1939 la RKO stilò un contratto unico nella storia di Hollywood, che permise a W. di realizzare il suo primo film in condizioni di libertà totale. Quando Citizen Kane fu proiettato in anteprima, la critica era pronta a stroncare la presunzione giovanile del regista, ma il film fu giudicato un capolavoro da quasi tutti. Ciononostante, Citizen Kane fu un fiasco colossale. W. si era parzialmente ispirato a un magnate della stampa, William Randolph Hearst, tanto potente quanto permaloso. Durante le riprese, Hearst affidò a Louella Parsons, maestra del pettegolezzo giornalistico, il compito di orchestrare una campagna negativa violentissima. Tanta ostile perseveranza ottenne l'effetto desiderato: la RKO fu intimorita dalle pressioni, e le minacce e i ricatti fecero cedere i distributori indipendenti. Malgrado i plausi, Hearst riuscì a distruggere il destino commerciale di Citizen Kane. Dire che Citizen Kane è il film che maggiormente influenzò i registi a venire è insufficiente. Sarebbe più esatto affermare che è inammissibile che un cineasta possa debuttare senza averlo visto. In meno di due ore, W. sconvolge la struttura narrativa, le tecniche di ripresa e di montaggio tradizionali. La trama inizia con la morte del protagonista, interpretato dallo stesso W., e procede a ritroso in modo frammentario, alla ricerca del significato dell'ultima parola pronunciata da Kane, "Rosebud": un pretesto per raccontare settant'anni di storia americana attraverso un personaggio emblematico e contraddittorio, in un incrociarsi di opinioni, aneddoti, falsi cinegiornali e pettegolezzi che percorrono tutti i lati possibili della vita di Kane.

Si è parlato molto dei numerosi prodigi tecnici del film: dell'uso di obiettivi, ideati dal fotografo Gregg Toland per l'occasione, che deformano la prospettiva esaltando una profondità di campo dove ogni dettaglio è ugualmente a fuoco in lunghi piani-sequenza; dei soffitti costruiti nei teatri di posa e valorizzati da audaci angolature dal basso, miranti a restituire la megalomania di Kane e insieme a 'schiacciarla'; di una colonna sonora ricchissima, memore dell'esperienza radiofonica. Gli storici hanno provato che ognuno di questi aspetti, preso singolarmente, aveva conosciuto precedenti. La vera violazione delle regole cinematografiche allora vigenti sembra nascondersi nella palese intrusione della macchina da presa come vera protagonista, entità divina mossa da un'ambizione smisurata: raccontare la vita di un uomo. Nelle ultime immagini, W. disvelerà, per il solo spettatore, la 'verità', prima che le fiamme di un gigantesco forno divorino l'oggetto che ne è testimone segreto. Ma in fondo, persino quest'informazione riservata non è che uno dei tanti tasselli sconnessi all'interno del complicato puzzle: che Rosebud fosse lo slittino d'infanzia del magnate non è determinante. Chi fosse realmente Kane non lo sapremo mai. Forse nulla, come suggerisce il fumo nero sprigionato dal forno nell'ultima immagine. A contrastare l'audacia formale di Citizen Kane, W. scelse come secondo film del contratto un romanzo di B. Tarkington, The magnificent Ambersons, classica saga che narra la decadenza di una famiglia di possidenti e l'avvento della civiltà di massa. L'occhio spietato della macchina da presa osserva un mondo decrepito, violento e dilaniato da passioni edipiche, con crudeltà inusitata e raffinata comprensione umana. W. ne curò le riprese di giorno, mentre durante la notte produceva e interpretava Journey into fear (1943; Terrore sul Mar Nero): il sospetto che spesso il regista Norman Foster lo abbia lasciato libero di dirigere questo curioso film di spionaggio è più che lecito. Nel frattempo gli Stati Uniti erano entrati in guerra. Per rafforzare le relazioni interamericane, W. accettò di girare un documentario in tre parti sul Brasile, It's all true. Il 1° febbraio 1942 terminò le riprese di Journey into fear. Il 2 e il 3 era a Miami per dare precise indicazioni a Robert Wise, montatore di The magnificent Ambersons. Finito il montaggio, Wise avrebbe raggiunto W. in Brasile per concludere il lavoro. Il 4 W. andò a Rio de Janeiro. Commise così il più grave errore della sua carriera, rimanendo intrappolato per cinque mesi in Brasile. Wise non riuscì mai a partire, finì da solo il primo montaggio di 132 minuti, che venne presentato al pubblico per una proiezione-test. Citizen Kane era irruento e 'barocco'; The magnificent Ambersons potrebbe essere considerato il suo opposto, una tragedia in apparenza semplice e lineare. L'ultimo atto doveva essere cupissimo: raccontava la fine di ciascun personaggio, votato alla solitudine e alla morte. Insostenibile: così venne giudicato il film dalla maggior parte degli spettatori. La RKO decise allora di rimontare il film, massacrandolo. Nuove sequenze vennero girate da altri e l'ultima parte sostituita con un assurdo lieto fine: il film fu ridotto a 88 minuti. The magnificent Ambersons resta un capolavoro, ma cosparso di ferite aperte. Inutile dire che non ebbe successo. Journey into fear fu un fiasco. It's all true non uscì mai. Parte del materiale fu ritrovato nel 1985 e proiettato nel 1993. Durante la guerra W. partecipò allo sforzo bellico con trasmissioni radiofoniche di propaganda. Nel 1943 interpretò Jane Eyre (La porta proibita) di Robert Stevenson. La carriera d'attore gli sarebbe sempre servita per finanziare i suoi progetti: apparve come protagonista o guest star in decine di film, spesso scrivendo le proprie battute. Si sospetta che in alcuni casi sia passato dietro la macchina da presa per realizzare le scene in cui appare. Dei film interpretati da W., il più importante è The third man (1949; Il terzo uomo) diretto da Carol Reed: la caratterizzazione del trafficante Harry Lime resta il suo più grande successo popolare.

Nel corso degli anni, per finanziare i suoi film W. fece di tutto, dalle pubblicità agli spettacoli di magia, dalla voce narrante in cartoni animati ad apparizioni televisive nel Muppets show, da audiocassette di testi letterari per il Giappone a incisioni della propria voce su dischi di musica heavy-metal. Durante il 1944 W. partecipò alla campagna presidenziale scrivendo discorsi per F.D. Roosevelt. Nel 1946 investì buona parte dei suoi guadagni per realizzare una rappresentazione di Around the world in 80 days. Malgrado il successo di pubblico, i fondi per la tournée vennero a mancare e W. perdette personalmente 320.000 dollari. Così iniziarono i suoi problemi fiscali. Nello stesso anno cercò di convincere Hollywood a lasciargli girare una storia lineare rispettando i preventivi: a eccezione di un paio di sequenze, The stranger (Lo straniero) è il suo film meno interessante. Nel 1943 W. aveva sposato Rita Hayworth che tre anni dopo avrebbe ammaliato gli spettatori in Gilda: a cristalizzare l'oggetto dei desideri era stata la lunga chioma rossa dell'attrice. Ormai separato dall'attrice, W. volle realizzare con lei The lady from Shanghai, imponendole di tagliarsi i capelli cortissimi e di ossigenarli. Le offrì il ruolo di una perfida assassina che abbindola un inverosimile marinaio irlandese e la lasciò morire da sola in una galleria di specchi infranti. Il pubblico non apprezzò, ma il finale entrò nell'antologia ideale dei cinefili.Nel 1948 riuscì a ottenere una cifra irrisoria dalla Republic Pictures Corporation per realizzare Macbeth in ventitré giorni. Il film sconcertò: rivestiti di grezze pellicce, i personaggi si muovono tra dense nebbie i cui vapori nascondono una cavernosa scenografia di cartapesta. Il testo shakespeariano si trasforma in dramma primordiale dove Macbeth e la sua corte sembrano esseri preistorici, armati di lance nodose come clave e soverchiati da forze ctonie.

Alla fine del 1948 W. lasciò l'America. Nello stesso anno iniziò a girare Othello, in condizioni talmente avventurose da spingerlo a dedicarvi un documentario, Filming Othello (1979). Le riprese in Marocco e in Italia durarono un anno e mezzo. L'attrice che interpretava Desdemona fu sostituita, si dovette ricominciare daccapo, il lavoro venne interrotto per mancanza di fondi, alcuni attori non furono più disponibili, si dovette ricorrere a controfigure per quasi tutti i controcampi. I costumi per l'assassinio di Rodrigo vennero a mancare e la scena fu improvvisata in un bagno turco. Con due anni di lavoro in sala di montaggio, W. riuscì a sfruttare l'eterogeneità del materiale, conferendo al film un ritmo rapidissimo, con bruschi tagli di montaggio e inquadrature espressive, spesso oblique e dal basso. Otello esce da un palazzo veneziano e si trova in una piazza di Mogador, parlando con Iago i cui primi piani sono girati a Viterbo. Più che un adattamento, l'Otello di W. è un incubo ispirato a Shakespeare, e del sogno possiede l'ubiquità e il segreto rigore degli eventi, la cui successione obbedisce meno alla logica che a un movimento inesorabile di volti, pietre, luci. In Mr. Arkadin l'ubiquità diventerà metafora del Potere. Come Citizen Kane il film inizia dalla fine: un aereo senza pilota né passeggeri vola alla deriva. È il jet privato di Arkadin, un ricco armatore che è ovunque e in nessun luogo, tutti e nessuno. Simulando un'amnesia, il vecchio e potente Arkadin manipola un losco individuo, Van Stratten, affinché investighi sul proprio passato. Le indagini portano Van Stratten in giro per il mondo per rintracciare i testimoni di un'oscura biografia, i quali poi finiscono uccisi uno dopo l'altro. È a partire da Mr. Arkadin che W. usò sistematicamente il 18,5 mm, un obiettivo che accresce la profondità di campo deformando smisuratamente la prospettiva. Nel 1955 iniziò a lavorare su una riduzione per lo schermo del Don Chisciotte di M. de Cervantes, progetto che porterà avanti per vent'anni. Il film rimarrà incompiuto e frammenti del materiale girato comporranno più di un film di montaggio. È il suo più celebre progetto irrealizzato, la cui lunga lista comprende il thriller The deep, l'adattamento del racconto di K. Blixen The dreamers e The other side of the wind, satira del mondo hollywoodiano che continuerà a girare e montare fino alla morte.

Alla fine del 1955 tornò negli Stati Uniti per allestire King Lear che, a causa di un incidente, interpretò su un trono a rotelle. Riallacciò i rapporti con Hollywood, recitando in film minori dove dondolava, straordinario gigione, la sua crescente corpulenza. Il 26 dicembre 1956 la Universal contattò l'attore Charlton Heston per chiedergli di recitare con W. in un film poliziesco. Heston rispose che pur di lavorare sotto la direzione del regista avrebbe accettato qualsiasi cosa. I produttori pensavano a W. solo come attore, ma era troppo tardi per chiarire il malinteso. W. riscrisse in cinque giorni la sceneggiatura e in poco più di un mese terminò le riprese del film. Dopo due mesi di montaggio, Touch of evil era pronto. I produttori non erano preparati alla violenza visiva del film: nominarono un nuovo montatore, fecero girare da altri scene aggiuntive, imposero i titoli di testa sulla scena iniziale, rovinando uno straordinario piano-sequenza. Il film uscì nel 1958, tagliato di una ventina di minuti. Fortunatamente il regista aveva scritto un disperato 'memo' dove il suo montaggio era scrupolosamente dettagliato e nel 1998 fu quindi possibile ricostruirlo in una nuova edizione. In Touch of evil, W. offrì forse la sua prova d'attore più riuscita: trasudante grasso, Quinlan è un ispettore psicopatico, razzista e omicida, che regna indisturbato su una cittadina di frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti. Un essere diabolico, pronto a fabbricare prove per incastrare i colpevoli. Convinto che lo stato di diritto debba sempre prevalere sull'arbitrio, il regista non ha tentennamenti nel tratteggiare la figura di un mostro; ma come attore, il suo talento evita la facile condanna di Quinlan, che un tempo era stato un poliziotto esemplare. Una contraddizione che fa di Touch of evil un'insuperabile riflessione sul Bene e il Male, con un ritmo incalzante ottenuto grazie a un alternarsi di piani-sequenza e brevissime immagini. Accompagnato dal rock latino di Henry Mancini, Quinlan attraversa il film come un bolide impazzito, tra bodegas che spacciano droga, commissariati da dittatura sudamericana, squallide stanze d'albergo, vicoli oscuri e strade immerse nel sole del deserto. Finirà abbattuto in una lurida pozzanghera, mentre lontana risuona la pianola meccanica della chiromante zingara, un'irriconoscibile Marlene Dietrich con la sigaretta perennemente tra le labbra. Touch of evil non è un film poliziesco; è un'allucinazione morale. Le procès, girato a Zagabria, Monaco, Roma e nella Gare d'Orsay di Parigi, esalta la poetica frammentaria di Othello. Il romanzo di F. Kafka è cadenzato nell'andamento di un incubo burocratico-legale dove gli spazi chiusi si compenetrano come scatole cinesi: Josef K. esce dalla sala del tribunale varcando una porta la cui maniglia è a tre metri dal suolo, attraversa corridoi di archivi, finisce in una gabbia di legno, entra in una cattedrale barocca e quando esce si ritrova nel quartiere romano dell'EUR. Un universo solo in apparenza eterogeneo, dove la varietà degli interni configura uno spazio-tempo la cui coerenza opprimente fa pensare ai campi di concentramento nazisti. Girato tra il 1964 e il 1965, Campanadas a medianoche è il miglior film della trilogia dedicata a Shakespeare, dalla cui opera il regista estrapola reinventandolo il personaggio di Falstaff, interpretato dallo stesso Welles. Come The magnificent Ambersons, anche Campanadas a medianoche racconta la fine di un mondo: la merry England, rappresentata da Falstaff e la sua allegra brigata di 'favoriti della luna', ossia di ladri. Ma a differenza della cadaverica pseudoaristocrazia statunitense, il mondo di Falstaff è chiaramente quello in cui W. avrebbe amato vivere. Falstaff è un gradasso ubriacone, grasso e vigliacco, ma è l'ultimo esempio sia pur degenerato degli ideali cavallereschi, un dolceamaro Don Chisciotte che crede solo alla fedeltà nell'amicizia. Per la prima e l'ultima volta, il regista interpreta un personaggio positivo a tutto tondo, 'buono come il pane', stando alle parole dello stesso W., e suo segreto autoritratto. E quando, nel tumulto di una battaglia che ricorda i dipinti di Paolo Uccello, Falstaff cerca solo un cantuccio dove scolarsi la sua bottiglia, nasce il sospetto che nei tempi moderni la viltà possa essere, a volte, l'ultima patetica maschera del coraggio e della generosità.

Negli anni seguenti W. tentò di realizzare un film basandosi su due racconti di K. Blixen. Riuscirà a girarne solo uno: Une histoire immortelle (1968; Storia immortale), dove W. è un ricco mercante di Macao che prima di morire tenta di dar vita a una leggenda di marinai. Un delirio di onnipotenza assai simile a quello del regista, che esplora il rapporto tra realtà e falsificazione, tema presente in tutti i suoi film precedenti e al centro di F for fake, noto anche come Vérités et mensonges (1973; F per falso ‒ Verità e menzogne), strano esperimento di montaggio che mescola verità e menzogna. F for fake alterna immagini girate da François Reichenbach sul falsario Elmyr De Hory, considerazioni su Howard Hughes, numeri di magia, riflessioni di W. sulla propria carriera e un appassionato monologo davanti alla cattedrale di Chartres, esempio supremo di arte senza autore.

Bibliografia

A. Bazin, Orson Welles, Paris 1972; P. Bogdanovich, This is Orson Welles, New York 1972 (trad. it. Milano 1999²); Y. Ishaghpour, Orson Welles cinéaste, une caméra visible, Paris 2001.

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