OTRANTO

Federiciana (2005)

Otranto

HHubert Houben

Dopo essere stato nell'Alto Medioevo il porto pugliese più importante per i collegamenti con Bisanzio e con la Palestina, Otranto ‒ la cui sede vescovile era stata elevata nell'892 a sede metropolitica (greca) autocefala e nel 968 a sede metropolitica con cinque diocesi suffraganee (Acerenza, Gravina, Matera, Tricarico, Tursi) ‒ in età sveva divenne di nuovo un porto di secondaria importanza, superato innanzitutto da quello di Brindisi. Ripristinato, dopo la conquista latina, il rito latino (1067), Otranto divenne nel sec. XII sede metropolitica latina con le diocesi suffraganee di Castro, Gallipoli, Lecce, Leuca e Ugento, però anche in età sveva continuò a mantenersi vivo il rito greco; sembra infatti che all'epoca dell'arcivescovo Gionata (1163-1179), committente del celebre mosaico pavimentale della cattedrale (consacrata nel 1088), qui si cantassero canti liturgici anche in greco. Del resto, non lontano dalla città, era attivo il monastero greco di S. Nicola di Casole, il cui abate Nicola-Nettario accompagnò a Bisanzio nel 1205-1207 e nel 1214-1215, come interprete, i legati pontifici Benedetto di S. Susanna e Pelagio Galvani. A Otranto esisteva anche una notevole comunità ebraica, che contava, verso il 1170, secondo Beniamino di Tudela, circa cinquecento unità. Significativa è la frase del rabbino Jacob Tam: "Da Bari verrà la Torah e da Otranto la parola di Dio".

Nel 1203, quando si diffuse la falsa notizia della morte di Innocenzo III, Otranto, come altre città della Puglia, si ribellò contro il dominio di Gualterio di Brienne. All'epoca di Federico II, Otranto era un centro di contatti culturali latino-greci. L'abate Nicola-Nettario tradusse opere teologiche e liturgiche dal greco in latino e l'arcivescovo Tancredi (1219-1235) intrattenne una corrispondenza amichevole con il metropolita di Corfù, Giorgio Bardanes, il quale si fermò verso il 1235-1236 a Otranto per condurre, nel monastero di S. Nicola di Casole, una discussione sul purgatorio con il francescano Bartolomeo.

L'arcivescovo Tancredi, probabilmente originario di Lecce, dove nel monastero dei Ss. Nicolò e Cataldo più tardi fu commemorata la sua morte, godette della stima sia dei papi Onorio III e Gregorio IX, che gli conferirono diversi incarichi, sia di Federico II. Fu probabilmente l'arcivescovo otrantino Tancredi che partecipò al grande concilio lateranense del 1215 ed è menzionato in lettere pontificie del 1216 e del 1218. A favore di questa ipotesi (Kamp, 1975, p. 717) parla il fatto che l'arcivescovo otrantino, nel 1215-1216, ottenne un esito a lui favorevole in un processo relativo alla sottomissione alla sua autorità del monastero greco di S. Nicola di Casole e che l'abate dello stesso monastero prestò più tardi a Tancredi il giuramento di obbedienza.

Tancredi si recò nel giugno 1219 presso la corte di Federico II a Norimberga. Qui il giovane re gli confermò diritti e privilegi della Chiesa otrantina ottenuti dai suoi predecessori. Nel relativo documento viene messa in rilievo la "fidem puram, devocionem laudabilem et valde grata servicia, que maiestati nostre animo sincero attentius exhibuit et que in antea mente non ficta poterit exhibere". Infatti, il presule otrantino, malgrado non avesse ottenuto dall'imperatore la nomina a familiaris, a differenza dell'arcivescovo brindisino Peregrino che l'aveva accompagnato nel viaggio in Germania, dovette godere della fiducia di Federico II, che lo incaricò ripetutamente di difficili missioni diplomatiche. Così lo inviò nel maggio 1224 presso Onorio III per caldeggiare la nomina del notaio imperiale Giovanni da Traetto nella sede arcivescovile di Brindisi. Il presule otrantino non riuscì però a convincere il papa ad acconsentire alla richiesta di Federico II. Precedentemente, nel 1222, il papa aveva incaricato Tancredi, insieme all'arcivescovo di Brindisi, Peregrino, e ai vescovi di Melfi e di Bitonto, di giudicare la fondatezza di una protesta di Federico II nei confronti di un candidato vescovo che era stato eletto.

L'imperatore, partito per la crociata l'8 settembre 1227 dal porto di Brindisi, a causa di una malattia fu costretto a fermarsi a Otranto, dove l'11 settembre morì il langravio Ludovico di Turingia che l'aveva accompagnato. Federico stesso si recò da Otranto a Pozzuoli per curarsi nei bagni termali locali. "Qualche settimana prima, verso la metà di agosto, aveva accompagnato sua moglie, Iolanda di Brienne, a Otranto" (Riccardo di San Germano, 1936-1938, p. 147). Il motivo per cui l'imperatore fece trasferire Iolanda a Otranto nelle fonti non è specificato; probabilmente si trattò di una misura precauzionale per sottrarla al pericolo di infezione dell'epidemia che a Brindisi si cominciò a diffondere tra i crociati. Federico stesso non esitò a tornare a Brindisi per guidare personalmente la partenza dei crociati, ed è probabile che, proprio in questi giorni, vi abbia contratto la malattia che l'avrebbe poi costretto a interrompere la crociata.

L'arcivescovo Tancredi di Otranto fu chiamato nel luglio 1232 a Rieti da papa Gregorio IX, in gravi difficoltà in seguito alla rivolta dei romani, per ricevere alcune lettere in cui il pontefice chiedeva l'aiuto di Federico II. Nell'estate del 1234 Tancredi accompagnò l'imperatore a Rieti, dove questi si consultò con il papa su come procedere contro i romani. In seguito Tancredi rimase alla corte imperiale fino all'aprile 1235 quando Federico II partì per la Germania. Prima di partire, l'imperatore istituì un consiglio di reggenza composto, oltre che da Enrico di Morra e dal conte Tommaso di Acerra, anche dagli arcivescovi di Palermo, di Capua e di Otranto. Non si conoscono dettagli sull'attività svolta da Tancredi in questo collegio, perché egli morì già nell'agosto del 1235 o del 1236.

Dopo che la carica arcivescovile di Otranto era rimasta vacante per parecchi anni, nel 1253 papa Innocenzo IV elevò al soglio arcivescovile idrontino Matteo de Palma, cappellano del cardinale vescovo di Ostia Rinaldo (il futuro papa Alessandro IV), ma questi poté raggiungere la sua nuova sede soltanto nel 1255. Negli anni della vacanza della sede arcivescovile e delle crescenti difficoltà del potere regio, particolarmente dopo la morte di Federico II, a Otranto sembrano essersi manifestate aspirazioni a una maggiore autonomia. Papa Alessandro IV concesse il 5 settembre 1256 al "popolo civitatis Idrontine fidelibus nostris" di essere in futuro amministrato da un podestà, da un rettore o da consoli ("liceat vobis deinceps potestatem, rectorem seu consules ad vestre regimen civitatis assumere dummodo fideles et devotos ecclesie assumatis"). Nello stesso documento si parla, a proposito delle prestazioni militari dovute dalla città, anche di podestà e "comune" ("et potestati ac comuni civitatis ipsius super hiis pareant et intendant") e si ordina l'espulsione dalla città ("sint ab ipsa civitate perpetuo forbanniti") dei sostenitori di Manfredi e dei loro figli ed eredi (Documenti, 1940, pp. 262 ss.).

Otranto quindi inizialmente non riconobbe Manfredi e rimase fedele al papa, ma nella primavera del 1257 si sottomise finalmente allo Svevo. A differenza dell'arcivescovo Peregrino di Brindisi, che pagò la sua partecipazione alla ribellione antisveva con la prigionia, il presule otrantino Matteo fu risparmiato, probabilmente grazie all'intervento di suo fratello Guglielmo, che era passato nelle file dei sostenitori di Manfredi. Sotto il suo regno, l'arcivescovo otrantino ridusse al minimo indispensabile la collaborazione con il nuovo sovrano evitando, per esempio, di presenziare all'incoronazione dello Svevo, avvenuta a Palermo il 10 agosto 1258. Eseguì però, nonostante il papa l'avesse scomunicato e avesse lanciato l'interdetto su Otranto, gli ordini di Manfredi, "crudelitatem ipsius metens", come si scusò più tardi. Matteo, e con lui Otranto, riuscirono quindi a superare indenni il passaggio dalla dinastia sveva a quella angioina.

In età federiciana Otranto continuò a essere sede di prospere attività economiche. Il privilegio concesso da Federico nel 1219 all'arcivescovo Tancredi mostra il legame della città con la produzione agricola dell'entroterra che forniva soprattutto vino, olio, frumento, orzo, frutta, legumi e verdura. Altre attività importanti per l'economia cittadina, attestate da questo documento, furono l'allevamento, che procurava soprattutto formaggio e lana, la pesca e la coltivazione del lino praticate nella zona dei laghi Alimini. A Otranto furono anche prodotti (o importati) tessuti di seta che vengono menzionati in poesie francesi dei secc. XII-XIII. Il porto continuò a essere frequentato da mercanti veneziani, attestati in documenti del 1247, 1255 e 1259. Tuttavia in età sveva il porto di Otranto non riuscì più a sostenere il confronto con gli altri centri portuali pugliesi, ritornando al ruolo ricoperto in età classica, cioè quello di semplice scalo ausiliario di Brindisi. "Ciò viene anche indirettamente confermato dal minore interesse di Federico II per il castello di Otranto che nel 1240 aveva urgente necessità di essere riparato perché due sue torri rischiavano il crollo 'ex maris percussione continua'" (Il registro, 2002, p. 711).

fonti e bibliografia

Riccardo di San Germano, Chronica, in R.I.S.2, VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938, p. 147.

Documenti tratti dai Registri Vaticani, I, Da Innocenzo III a Nicola IV, a cura di D. Vendola, Trani 1940, nr. 336, pp. 262-263.

Il registro della cancelleria di Federico II del 1239-1240, a cura di C. Carbonetti Vendittelli, Roma 2002, pp. 709, 711.

N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I, 2, München 1975, pp. 717-723.

B. Vetere, Brindisi, Otranto, in Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle decime giornate normanno-sveve (Bari, 21-24 ottobre 1991), a cura di G. Musca, Bari 1993, pp. 427-449.

V. von Falkenhausen, Friedrich II. und die Griechen im Königreich Sizilien, in Friedrich II. Tagung des Deutschen Historischen Instituts in Rom im Gedenkjahr 1994, a cura di A. Esch-N. Kamp, Tübingen 1996, pp. 235-262.

G. Gianfreda, Otranto e Federico II, Lecce 1996. N. Kamp, Otranto, in Lexikon des Mittelalters, VI, Stuttgart-Weimar 1999, col. 1562.

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