CENTURIONE, Ottavio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 23 (1979)

CENTURIONE, Ottavio

Giovanni Nuti

Appartenente al ramo degli Oltramarini, nacque a Genova in data imprecisabile del sec. XVI da Cristoforo, banchiere attivo a Siviglia e legato da rapporti finanziari con Filippo II, e da Luchinetta di Vincenzo Negrone. Proseguendo l'attività paterna, il C. si mise in luce nel corso del sec. XVII per varie operazioni finanziarie che gli permisero di assicurarsi, insieme con altri genovesi, il controllo delle entrate della monarchia spagnola. Nel 1602 prese parte ad una vasta operazione che ebbe come protagonista Carlo Spinola e in cui sottoscrisse per una quota pari a 250.000 scudi. Quando nel 1627 venne creata, dopo altri tentativi sfortunati, una banca centrale in Spagna, il C. ne fu uno degli otto governatori, tutti genovesi. Inoltre, come testimonia Raffaele Della Torre nel suo Tractatus de cambiis, egli anticipò al sovrano in una sola volta la favolosa somma di 10.000.000 di scudi, attraverso un asiento.

In tal modo si concludeva il processo, iniziato nel secolo precedente, di penetrazione del capitale genovese nei territori della monarchia spagnola, in stato di endemica necessità finanziaria. I banchieri genovesi poterono ottenere la concessione di vari appalti di dazi e gabelle che permisero loro di ammassare immense fortune, spesso investite nell'acquisto di feudi in Spagna e nei domini italiani. Il ramo degli Oltramarini, inoltre, già da tempo impegnato in Spagna in attività commerciali e finanziarie, finì col trapiantarvisi partecipando alla vita politica e militare di quella corte, anche se i legami con Genova non furono mai del tutto interrotti.

Il C., divenuto primo marchese di Monasterio e duca nel Regno di Napoli, risiedette stabilmente in Spagna, secondo l'obbligo imposto dalle leggi feudali e ricoprì cariche di prestigio, quali quella di tesoriere generale delle fortezze e frontiere di Spagna, membro del Consiglio di guerra, colonnello generale della fanteria, maggiordomo maggiore della regina Isabella d'Austria, commendatore dell'Ordine di Calatrava. Queste importanti cariche non impedirono, tuttavia, al C. di svolgere per la Repubblica di Genova delicate missioni diplomatiche. Già nel 1613 gli era stato affidato il compito di studiare, insieme con altri, la questione del Finale. Nel 1630, essendo stato richiamato da Madrid l'ambasciatore G. B. Saluzzo, con lettera del 28 gennaio il governo nominava incaricato temporaneo di affari il C., che ottenne poi il titolo di gentiluomo incaricato di affari.

In questo periodo, le relazioni tra Genova e la Spagna erano assai tese: le sospensioni del pagamento dei debiti alle quali il re cattolico ricorreva frequentemente tanto da spingere nel 1629 le case genovesi in Spagna sull'orlo del fallimento, e le conseguenti crisi economiche in città, esasperarono il popolo che dimostrò in modo aperto le sue simpatie per la Francia, mentre l'atteggiamento filospagnolo delle classi dominanti conosceva serie incertezze. Il C. dovette giustificare i motivi che portarono all'accoglimento in città del signor di Sabran quale agente del governo francese, fatto che la Spagna vedeva con preoccupazione, premendo affinché la pratica venisse bloccata. Dovette, inoltre, far presente la posizione del governo genovese, intransigente nel mantenere la condanna all'esilio di quei ribelli che avevano preso parte alla congiura del Vachero, mentre il duca di Savoia insisteva perché essi venissero riammessi in città. La Spagna si offrì come intermediaria e il C. venne incaricato di comunicare al re l'assenso del suo governo a tale azione mediatrice. Con l'arrivo a Madrid dell'ambasciatore Giovanni Francesco Lomellini, nell'ottobre, questa prima missione diplomatica del C. terminava.

Nel 1638, mentre risiedeva a corte, il C. venne incaricato dal governo genovese di proseguire, come gentiluomo, le pratiche che la malattia dell'ambasciatore straordinario Luca Giustiniani aveva interrotto.

Negli anni compresi tra la prima e la seconda missione del C., le relazioni tra Genova e la Spagna si erano ulteriormente aggravate. Nel 1637 alcune navi olandesi cariche di mercanzie dirette a Genova erano state catturate da una flotta spagnola al largo di Diano, in acque territoriali genovesi, e scortate a Napoli. Genova aveva inviato a Madrid il Giustiniani, ma alcuni suoi non felici atteggiamenti fecero fallire la missione, benché poi egli si lamentasse col governo per un intervento intempestivo del C. che gli avrebbe impedito di essere ricevuto sollecitamente da Filippo IV. In realtà, nella corte madrilena occorreva muoversi con grande abilità, perché ogni minimo passo falso era sfruttato dai ministri spagnoli per ostacolare le missioni degli ambasciatori genovesi. Un altro grave conflitto scoppiò quando i Protettori di S. Giorgio decretarono la confisca di una tartana al servizio del re di Spagna, rea di aver trasgredito alle leggi della Casa, provvedendo a venderla in asta pubblica. Il governatore di Milano, marchese di Leganés, ordinò per ritorsione la confisca delle rendite che i Protettori avevano nello Stato milanese per un valore pari a quello della tartana: si trattava di una grave decisione, perché mirante a impedire ai magistrati genovesi il libero esercizio delle loro funzioni. Altro motivo di ostilità fu l'incarcerazione ordinata dal Leganés di Stefano Balbi, mercante genovese residente a Milano e già utilizzato dalla Repubblica come suo agente, per ritorsione alla cattura di un finalino che il governo genovese accusava di contrabbando di sale, mentre la Spagna non riconosceva più il monopolio della Casa di S. Giorgio su tale commercio nel Finale. Queste violenze avevano lo scopo non solo di spingere Genova ad una alleanza più stretta col re cattolico, costringendola a recedere dal suo atteggiamento neutrale nel conflitto tra Spagna e Francia, ma anche di intaccare la libertà che la Repubblica gelosamente difendeva.

Il C., ormai da anni lontano dalla patria e forse poco al corrente delle ragioni storiche che avevano portato alla decisione di porre termine alla tutela spagnola, aveva avuto modo di sperimentare le continue provocazioni spagnole nella sua attività di banchiere. Probabilmente è un suo agente a Genova l'anonimo autore della lettera rinvenuta tra le carte del C., vero atto di accusa contro la Spagna. Avendo ricevuto uno scritto nel quale il C. manifestava il suo sdegno "sopra delle male satisfattioni" che si pretendono dalla Repubblica, l'anonimo intende rendere chiaro con la sua risposta al C. "l'artificio con il quale si sta procurando interessare la nostra Repubblica in cose nelle quali ella non vi ha che fare e che l'intrigarsene sarebbe direttamente contrario alla propria convenienza". Segue poi un puntiglioso elenco di imputazioni contro la monarchia spagnola, accusata di voler umiliare Genova e impoverire i privati per obbligarli a sottomettersi (Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, Lettere ministri Spagna 32/2441, 15giugno 1637). Dello scritto fu ritenuto responsabile il nipote del C., Agapito, che respinse l'accusa in una lettera all'ambasciatore spagnolo a Genova, difendendo anche lo zio che per quarant'anni aveva servito fedelmente il re cattolico e con dispendio delle sue sostanze. D'altra parte, anche la corte spagnola nutriva profondo risentimento verso la Repubblica: come notava l'ambasciatore veneto a Madrid, Alvise Contarini, i Genovesi erano odiati al maggior segno, nonostante si cercasse di dissimulare il più possibile i non sopiti desideri di vendetta per le ingiurie che gli Spagnoli ritenevano di aver dovuto sopportare.

Il C. verificò, come diplomatico, lo stato di tensione esistente tra i due Stati. Negli anni in cui rimase in carica (dal 1637 al 1641), fucostretto da solo a sobbarcarsi un estenuante lavoro di anticamera per ottenere il riconoscimento dei diritti genovesi.

Nella corrispondenza inviata al governo, il C. espone i suoi frequenti colloqui col conte duca e col segretario Pedro d'Arse, i continui cavilli sollevati per rendere vane le sue richieste, gli ostacoli frapposti alla sua missione (Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, Lettere ministri Spagna, 35/2444). Dopo lunghe insistenze ottenne la scarcerazione del Balbi, che fu tuttavia costretto alla residenza coatta in Milano, mentre non riuscì a far liberare le navi olandesi: quando la corte di Madrid si decise ad emettere parere favorevole, il viceré di Napoli rifiutò qualsiasi collaborazione, adducendo sempre nuovi pretesti. Altri incidenti, poi, mantennero tese le relazioni tra i due Stati: nel porto di Savona due navi spagnole si rifiutarono di salutare il forte secondo l'uso; la cattura di altri contrabbandieri finalini provocò a Milano una nuova rappresaglia sui beni genovesi; la Repubblica si rifiutò di consegnare alle autorità spagnole alcuni esuli portoghesi rifugiatisi in città. Anche di questi problemi il C. fu costretto a interessarsi, nonostante la richiesta di essere sollevato dall'incarico, che il governo genovese respinse seccamente.

La nomina di Costantino Doria ad ambasciatore straordinario, avvenuta nel 1640,permise al C. di porre termine alla sua missione, che si protrasse ancora per alcuni mesi dell'anno seguente in attesa dell'arrivo del Doria. Nel 1644 il governo lo incaricava di far pressioni a Madrid perché si revocasse a Napoli la decisione di obbligare gli assegnatari forestieri sopra gli arrendamenti di quella corte a permutarli sopra la dogana di Puglia. Questa fu anche l'ultima missione del C., che morì nel 1653.

Aveva sposato una genovese, Batina di Agostino Doria, dalla quale ebbe Clara, andata sposa al cugino Domingo; il marchesato di Monasterio passò dapprima alla nipote Anna Maria (1637-1655) e poi allo stesso Domingo.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto, Lettere ministri Spagna, 27/2436; 32/2441; 34/2443; 35/2444; Arch. di Stato di Genova, Registri litter.,n. 119/1895, pp. 20-86; n. 123/1899, pp. 240-253; n. 124/1900, pp. 188-302; n. 125/1901, pp. 126-152; n. 127/1903, pp. 119-159; n. 128/1904, p. 75; R. De Turri, Tractatus de cambiis, Francofurti 1645, disputatio III, quaestio XIV, n. 78, p. 327; Istruzioni e relazioni di ambasc. genovesi, a cura di R. Ciasca, Roma 1951-55, I, p. 388; II, pp. 268, 283, 286, 289, 323; III, pp. 66 s., 70-74, 77 s., 112, 145, 237; P. Peragallo, Cenni sulla colonia ital. in Portogallo nei secc. XIV, XV e XVI, in Misc. di storia ital.,XI, (1904), p. 448; A. Carraffa, Enciclopedia heraldica y genealogica hispano-americana, XXVI,Madrid 1926, p. 36; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LXIII (1934), pp. 175 s.; R. Ciasca, Affermazioni di sovranità della Repubblica di Genova, in Giorn. stor. letter. della Liguria, XVI (1938), p. 168; V. Vitale, La diplomazia genovese, Milano 1941, p. 40; C. Verlindten, Le influenze ital. neila colonizzazione iberica, in Nuova Riv. stor., XXXVI(1952), p. 268; F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, I, Torino 1953, p. 523; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, I,Genova 1955, p. 274; R. Ehrenberg, Le siècle des Fugger, Paris 1955, pp. 85, 171, 312.

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