CALDERARI, Ottone Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973)

CALDERARI, Ottone Maria

Franco Barbieri

Nato a Vicenza l'8 sett. 1730 da Casimiro, di nobile ma non ricca famiglia - la madre era la veronese Vittoria Serenelli -, soltanto a 25 anni (Diedo, 1811; Magrini) avrebbe maturato la vocazione per l'architettura, contemplando la basilica-palladiana immersa nella luce lunare. Certo il C. fu alla scuola architettonica aperta in Vicenza dal Cerato nel 1748; staccatosene nel 1759, dopo il trasferimento del maestro a Montegalda e poi a Padova, si avvicinò a O. Bertotti Scamozzi, già impegnato a porre le basi dei suoi fondamentali studi critici palladiani. Palladio, assieme all'Alberti e all'antico Vitruvio, sarà del resto fondamento pressoché esclusivo della formazione e della successiva prassi del Calderari.

Residente nella contrada di S. Pietro, il C. condusse, in proverbiale modestia, vita ritirata e tranquilla; conosciamo soltanto qualche sua breve trasferta nelle città limitrofe e un più lungo viaggio a Napoli nel 1762, con rapide puntate a Pozzuoli, Baia, Portici, Ercolano: dove ammirò senza riserve le "anticaglie", ma rimase disgustato dell'edilizia napoletana che, secondo lui, non poteva "essere più maltrattata" (cfr. Relazione di un viaggio a Napoli, in Misc. per nozze Carlotti Sparavieri, Verona 1845, pp. 163-165, con prem. di B. Malacarne: Lettera illustr. delle vita e le opere di O.C.). Per non distogliersi dagli studi prediletti, rimasto scapolo e affidati al fratello gli interessi familiari, rifiutò anche varie commissioni dall'estero: tuttavia si tenne in frequente corrispondenza con Simone Stratico, professore dell'ateneo patavino, con il Selva, il Cagnola e con alcuni artisti francesi.

Morì a Vicenza il 26 ott. 1803.

Oltre a quelle, più facili, degli apologeti locali, ottenne, ancor vivo, le lodi incondizionate del Milizia (1781), e si meritò l'iscrizione a varie accademie: delle Belle Arti di Parma (1758), Olimpica di Vicenza (1762), degli Occulti di Roma e Clementina di Bologna (1762), fino alla nomina per acclamazione (1802) a membro dell'Istituto di Francia. Dopo la morte, il C. fu adeguato al Palladio se non addirittura anteposto (Joachim de Breton; Diedo, 1811; Canova); e il Cicognara (1823), per primo, ne associerà l'azione di scoperto "revival" palladiano a quella, giudicata analoga, del neoclassicismo canoviano a Roma e del Quarenghi a Pietroburgo. Solo il Quatremère de Quincy avanzerà qualche riserva, notando una certa aridità di fantasia. Spetta al Magrini (p. 32) l'aver fissato i contorni ormai stereotipati della figura del C., inteso quale restauratore della sana architettura dopo le nefandezze del barocco e del rococò: un cliché rimasto vivo sino allo spirare del sec. XIX. Solo la moderna valutazione dell'illuminismo e del neoclassicismo ha permesso una completa revisione di questa importante figura.

L'attività dell'artista può essere oggi studiata - oltre che, come è ovvio, mediante l'esame delle opere da lui eseguite - attraverso due gruppi di testimonianze grafiche: le tavole con le "invenzioni" dell'architetto, pubblicate postume da alcuni estimatori (Disegni e scritti di architettura, I, Vicenza 1808; contiene anche, pp. 5-10, l'Elogio recitato nel teatro Olimpico il 29 genn. 1804 da A. I. Arnaldi Tornieri; II, ibid. 1815, con la dedica al Canova); e il corpus degli autografi, suddiviso tra il Museo civico di Vicenza ed un piccolo fondo al veneziano Museo Correr, fondazione Wchowich Lazzari. Due volumi mss. sugli ordini e le teorie architettoniche (Vicenza, Museo civico) nulla aggiungono se non alla pedanteria dello studioso.

La prima opera del C. è il disegno per la facciata vicentina di S. Girolamo degli Scalzi (1756), poi adattato da A. Piovene (1821-1830 c.) alla chiesa dei filippini: esercitazione scolastica decisamente orientata nella scoperta ripresa di modelli palladiani, in abile compromesso tra S. Giorgio Maggiore e S. Francesco della Vigna. Dopo un infelice progetto (1758) di tempio rotondo per l'Accademia di Parma, quelli per le chiesette di Pietro Rossi presso Marostica (1758) e di Luigi Monza a Breganze (1760) sono due autentici gioielli, lontani dai più fragorosi e pericolosi esempi palladiani e vicini semmai a cose minori del maestro (le veneziane Zitelle e S. Lucia). Nel 1769 era delineata la chiesa della Madonna di Monte Berico ai Pilastroni di Vivaro, eseguita tra il '74 e il '76, certo il capolavoro delle fabbriche religiose del Calderari. La facciata riprende lo schema degli Scalzi, ma più serrato, mentre l'interno mostra scioltezza di fantasia nello sfondamento ottico delle pareti. L'assieme è di estrema raffinatezza anche per la felice decorazione scultorea e pittorica (Leoni, Lorenzi, Guidolini, Ciesa) diretta dallo stesso architetto.

Del 1777 è il progetto per il terripio votivo di Santorso, alle pendici del Summano, iniziato solo nel 1780 e finito assai tardi (1848) con qualche inopportuna modifica. Pur nella ripresa della pianta centrale, al C. va qui il merito di aver evitato la trita rievocazione del Pantheon, sostituita da una struttura esterna a volumi organicamente scanditi intorno al tiburio, ben in linea con certi effetti di massa predominanti nella nuova architettura illuminista europea. L'interno risulta purtroppo in parte deludente per una grazia un po' fragile non compensata dal relativo dinamismo dei risalti angolari (cfr. O. Calderari, Templi in Sancto Ursio ad Summani montis constituendi, Vicenza 1777; F. Cataldi, Il santuario di S. Orso in Vicenza, in L'Architettura, X[1965], pp. 624-631). E con la parrocchiale di Longare, cominciata nel 1796 ed eseguita da G. Fontana, il C. propone una netta cristallizzazione di forme oculatamente ricavate da precedenti palladiani, scamozziani e, in senso largo, cinquecenteschi: fortunata impostazione eclettica che persiste nel Vicentino fin quasi allo spirare del sec. XIX.

Nell'edilizia civile, il C. svolge abili varianti sui prediletti temi palladiani. Dal palazzo del Palladio per i Thiene a S. Stefano vengono i progetti calderiani per i Quinto (1772: non eseguito) e per i Salvi (1784: iniziati soltanto il lato orientale del cortile e una parte dell'atrio), cui si ricollega il progetto per i Loschi (1780), nella simile movenza del corpo centrale, mentre si attutisce però la forza del bugnato. Ne fu compiuto uno stralcio verso il Corso: l'atrio si modella sul palladiano per Iseppo Porto e nel cortile le logge sovrapposte derivano dal palazzo Chiericati. Del 1773 è il rimodernamento delle vecchie case Bonin, in angolo tra le contrade del Quartiere e di porta Nuova. Dovunque, se ammiriamo la disinvoltura con cui si effettua la contaminatio delle fonti, stupisce la noncuranza degli inopportuni interventi urbanistici che sostituivano alla spontanea stratificazione del tessuto cittadino le implacabili "architectures moralisées" dei pesanti edifici monumentali, ancorati tra l'altro, in un mal inteso feticismo palladiano, a una arcaica disposizione planimetrica cinquecentesca senza tener conto - al contrario di un Quarenghi o di un Selva - delle nuove esigenze di vita associata. Un caso limite è in tal senso quello del progetto commissionato al C. nel 1774 da Carlo Cordellina, austero tradizionalista principe del foro veneziano, per la sua residenza vicentina di contra' Riale.

Disponendo qui di un'area vastissima, il C. immagina, sullo spunto della tavola palladiana per Iseppo Porto nei Quattro Libri, un corpo di fabbrica attestato tra due cortili che avrebbe dovuto costituire il nucleo centrale di una enorme organizzazione differenziata, a corpi staccati per l'abitazione, la rappresentanza ed i servizi.

Pur concedendo alla "invenzione" Cordellina accensioni fantastiche dalle compiacenze quasi epiche, non può dimenticarsi che la previstane attuazione totale - fortunatamente non avvenuta - avrebbe costretto a demolire quasi tutto un vecchio quartiere per affacciare un prospetto laterale sul largo antistante la lontana chiesa di S. Lorenzo. D'altronde, la stessa parte eseguita (1776-1790) s'inserisce di prepotenza entro il contesto di contra' Riale, del tutto inadeguato a riceverla: simpatica invece, anche in questo caso, la decorazione sia degli interni sia dell'esterno (sempre il Guidolini e il Ciesa, forse il Lorenzi e il Bendazzoli). Così oggi avvertiamo che il dramma del C. è proprio nella mancata presa di coscienza dei tempi nuovi: da un lato, la sua robusta interpretazione neopalladiana commuove nella disperata volontà di ancorarsi al crepuscolo di un mondo; dall'altro, la innegabile nobiltà dei propositi non impedisce che i mezzi formali prescelti, riesumati a dispetto del clima sotto tanti aspetti contrastante dell'Illuminismo e del più evoluto neoclassicismo, si esauriscano troppo spesso in esiti tanto fragorosi quanto velleitari.

Dello stesso equivoco restano denuncia le soluzioni offerte per le ville. A un'economia rurale che, tra difficoltà sempre crescenti, si avvia ormai alla catastrofe, di rado il C. risponde adeguatamente con qualche decoroso centro di vita agricola (villa Bonin a Ponte Alto, 1785) o qualche modesto soggiorno signorile suburbano (villino Todaro a Campedello, 1785). Quando la sua scaltrita sintassi si allea alla pericolosa albagia di certi commirtenti, si affrontano purtroppo avventure acropoliche di dubbia specie, da villa Porto ai Pilastroni di Vivaro (1776-1778: eretta solo nella residenza padronale, a sua volta incompiuta; cfr., del C., Palazzo del nobile sig. conte Ant. Maria Porto, ms. conserv. nella Libreria Gonzati della Bibl. Bertoliana di Vicenza) al rifacimento di villa Trissino a Trissino (1803: rimasto, per fortuna, lettera morta). Fuor di retorica, le cose oggi più valide del C. sembrano essere, oltre alle già viste cappelline di Breganze e Marostica, alla chiesetta di Vivaro, al tempio di Santorso ed a qualche brano del progetto Cordellina, alcuni inserti urbani di una rara quanto efficace discrezione, quali casa Fontanella in contra' Lodi (1799: ma su precedente disegno del 1766), palazzetto Capra sul Corso (1803) e la affine casa Zanchi di Padova, la facciata posteriore prevista (1802 c.) per villa Disconzi a monte Berico, il progetto di "casino villereccio" per S. Anti (1772) alle Mure del Pallamaio, specie nei minori edifici di servizio: cose tutte coerenti e in certo qual modo aggiornate nelle loro evidenti aperture illuministiche. Ancora, intelligenza e buon gusto sorressero il C. in interventi di restauro e integrazione, sia su edifici monumentali (palazzo della Ragione [cfr. F. Barbieri, La basilica palladiana, Vicenza 1968, pp. 93, 1181, palazzo Trissino-Baston), sia del tutto correnti (casa Savi Paulotto alle Fontanelle: 1780 c.). Su questa strada, in coscienziosa umiltà, poteva perfino riuscirgli di adattare allo stile tardogotico della cattedrale vicentina una riquadratura in pietra per la porta maggiore (1792), stupefacentemente abile nella sua finezza (cfr. F. Barbieri, in Il duomo diVicenza, Vicenza 1956, p. 102); o di erigere, con sensibilità quasi camosa della materia, il bellissimo portale nel parco di villa Salvi, sul monte Berico, (pure iniziata su suo disegno, 1784): di una violenza chiaroscurale che può ricordare Piranesi. Ed anche nella annosa controversia sul soffitto del teatro Olimpico palladiano, dibattutasi per mezzo secolo, il parere del C. risulta, in fondo, ben più equilibrato di quello del suo diretto antagonista, l'Arnaldi: auspicava un soffitto uniforme a velario che, realizzato poi dal Malacarne nel 1827-1828, verrà purtroppo sciaguratamente sostituito nel 1914 dalla deprecabile soluzione attuale.

Fonti e Bibl.: Oltre alle fonti consuete a ogni argomento di storia artistica vicentina e agli scritti in genere sul periodo, si tengano specificamente presenti: il ms. presso la Bibl. Bertoliana di Vicenza, Libreria Gonzati:Arnaldo I Arnaldi Tornieri, I passeggi suburbani fuori dalle porte della città di Vicenza, canto IV, c. 45, sulla villa Porto ai Pilastroni di Dueville; nonché J. T. Faccioli, Dichiarazione sulla chiesa della Vergine di Monte Berico nella campagna di Vivaro, ms. conservato nel coretto a destra di detta chiesa; J. de Breton, Sur la vie et les ouvrages de Monsieur O. C…, elogio letto nella tornata del 1º ott. 1808 dell'Inst. de France: copia nella Bibl. Bertoliana di Vicenza, Miscellanea Trissino.Per le opere a stampa si veda: O. Bertotti Scamozzi, Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio raccolti e illustrati, II, Vicenza 1778, prefazione, p. 7; [E. Arnaldi-L. Buffetti-O. Vecchia], Descrizione delle archiretture, pitture e scolture di Vicenza, a cura di P. Baldarini, II, Vicenza 1779, specie alle pp. 47 s., 60; P. Calvi, Biblioteca e storia di scrittori così della città come del territorio di Vicenza, V, Vicenza 1779, p. CXV; O. Bertotti Scamozzi, Il forestiere istruito delle cose più rare di architertura e di alcune Pitture della città di Vicenza, Vicenza 1780, pp. 61 s.; F. Milizia, Mem. degli architetti antichi e moderni, II, Parma 1781, pp. 395-399; G. B. Velo, Vivaro ossia la villa Porto Vicenza 1791; [G. B. Fontanella], Memorie intorno la vita di C. Cordellina, Vicenza 1901; S. Antisola, Un dolente tributo di versi a O. M. C., Vicenza 1804; G. Tornieri, In morte dell'imparegg. archit. co. O. M. C., Vicenza 1804; A. Diedo, Discorso sull'architettura, Venezia 1805; Id., Elogio di O. C. vicentino architetto, in Discorsi letti nella R. Accademia di Belle Arti, Venezia 1811, pp. 41-78; A. Canova, Lettera 28 marzo 1813 all'abate P. Meneghelli per l'edizione delle opere di architettura di O. C., e lettera 17 maggio 1814 agli editori delle opere medesime, in Miscellanea per nozze Carlotti-Sparavieri, Verona 1845, p. 175 s.; G. Maccà, Storia del territorio vicentino, IV, Caldogno 1813, pp. 189 s.; XII, 2, ibid. 1815, p. 153; L. Cicognara, Storia della scultura in Italia, VII, Venezia 1818, pp. 221, 230; Id., Vita del Canova, Venezia 1823, p. 10; B. Gamba, O. C., in Gall. dei letterati ed artisti delle provincie venez. nel sec. XVIII, Venezia 1824, pp. non num.; F. Milizia, Lettere al conte Francesco di Sangiovanni, Bruxelles-Paris 1827 (lett. 2 maggio 1778); A.-C. Quatremère de Quincy, Diz. stor. di architettura, I, Mantova 1842, sub voce;A. Magrini, Dell'architettura in Vicenza, Padova 1845, pp. 33, 39 s. ed app.; S. Rumor, Ilpal. Cordellina architettato dal co. C., in Ann. del R. ist. mag. D. G. Fogazzaro, Vicenza1928, pp. 3-10; F. Barbieri, Ilneoclassicismo vicentino: O. C., in Arte veneta, VII(1953), pp. 63-78; R. Cevese, Disegni ined. di O.C., in Atti del XVIII Congresso intern. di storia dell'arte, Venezia 1956, pp. 391-393; Id., L'architettura neoclassica vicentina e O. C., in Bollettino del Centro internaz. di studi di architettura Andrea Palladio, V(1963), pp. 144-151; G. M. Pilo, L'architettura nell'età neoclassica a Treviso, Castelfranco e Bassano, ibid., pp.228-238; R. Cevese, O. C. e il neoclassicismo a Vicenza, in OpusMusivum. Een bundel studies aangeboden aan Professor Doctor M. D. Ozinga, Assen 1964, pp. 345-355; R. Cevese, Palladianità di O. C., in Odeo Olimpico, V (1964-65), pp. 45-53; A. Cavallari Murat, Alcuni contributi di Simone Stratico alla storia del "Re Aedificatoria" dell'Alberti, in Atti e rassegna tecnica della Società degli ingegneri e degli architetti in Torino, XX(1966), 10 (in app. una lettera dello Stratico al C. in data 1º genn. 1901 sul trattato dell'Alberti); R. Cevese, Chiese neopalladiane a Vicenza, a Santorso e ad Arsiero, in Vicenza economica, XXII(1967), pp. 617-620; L. Puppi, C. Cordellina committente d'artisti, in Arte veneta, XXII(1968), pp. 212-216; Illuminismo e architett. del '700veneto (catal.), Resana di Treviso1969, pp. 163-166; C. Semenzato, L'architettura veneta dell'illuminismo, in Arte veneta, II(1969), p. 305; Id., Il Palladio e l'architettura veneta dell'età neoclassica in Boll. del Centro internaz. di studi di architettura Andrea Palladio, XII (1970), pp. 135 s.; R. Cevese, Ville della provincia di Vicenza, I-II, Milano 1971, ad Indicem;F. Barbieri, Illuministi e neoclassici a Vicenza, Vicenza 1972, pp. 93-144 (con ampia bibl.); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, pp.382 s.

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