PADOVA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1963)

Vedi PADOVA dell'anno: 1963 - 1996

PADOVA (Patavium)

B. Forlati Tamaro

Città situata a O della laguna veneta, sul fiume Bacchiglione e prossima al fiume Brenta in posizione particolarmente favorevole al traffico. Vuole la leggenda immortalata da Virgilio (Aen., i, vv. 241-249) che i Veneti illirici fondassero Παταύιον sotto la guida di Antenore (cfr. anche Livio, i, 1 e Mela, ii, 6o), eroe troiano allevatore di cavalli, giunto nel "golfo illirico" (Serv., ad Verg., i, 247) con altri esuli, leggenda ripetuta non solo dagli antichi scrittori (Strab., v, 212, 213; Iust., xx, 1, 8; Luc., vii, 192; Martial., iv, 25; Sil. It., viii, 604), ma anche nelle iscrizioni (C. I. L., v, 2787). Secondo invece le moderne ricerche archeologiche la città sorse in età più tarda rispetto al centro veneto di Este e in mezzo alle paludi, dall'unione di vari pagi paleoveneti con sopravvivenze delle più antiche popolazioni euganee: il suo stesso nome sarebbe collegato con la radice del nome Padus dato dai Celti alla parte inferiore del grande fiume (detto invece nella sua zona sorgiva Bodincus o Bodencus) oppure ἀπὸ τοῦ πέτασται, dal trarre cioè augurio dal volo degli uccelli.

Lo sviluppo di Patavium è attestato nel cosiddetto III periodo atestino (V-IV sec. a. C.) dall'estensione e dalla discreta ricchezza delle necropoli delle vie Ognissanti e Loredan. Il centro commerciale e religioso sembra essere stato Prato della Valle. Gli Atestini furono forse attirati dai colli alla pianura dalla possibilità offerta da questa all'allevamento dei cavalli; il "celere destriero veneto" è ricordato già nella metà del sec. VII da Alcmane (Parthenia, 5, strofe E′, 50-51). Mediatori però degli scambî commerciali tra Veneti e Greci sembrano essere stati gli Etruschi, tramite Spina e Adria. Con i Greci i Patavini ebbero un contatto diretto solo allorché Cleonimo, re spartano alleato di Taranto, sospinto dai venti nell'alto Adriatico, tentò di penetrare nella laguna interna risalendo il Medoacus (Brenta) e ne fu scacciato. Il racconto che ne fa Livio (x, 2) ha tutto l'aspetto di cosa veritiera, ciò che denota come i Patavini stessero sempre vigili in armi per difendersi dai Galli ormai stanziati tutti intorno alla zona veneta: ne fa testimonianza tra l'altro una stele funeraria, in cui è raffigurata la lotta fra un cavaliere patavino e un fante gallico e il racconto di Polibio (ii, 18, 3) secondo il quale i Galli desistettero dall'assedio di Roma perché i Veneti invasero le loro terre.

La Patavium paleoveneta godeva già allo scorcio del sec. IV a. C. di una florida condizione dovuta allo sviluppo della pastorizia e dell'agricoltura. Dirette influenze greche si notano nella scultura, accanto ad influenze paleovenete riscontrabili nelle situle, nei bronzetti, fra cui le tipiche figurette di cavalli, le palette rituali e le lamine votive.

Diretti rapporti con Roma si ebbero nel III sec. a. C., intensificati al tempo della grande insurrezione gallica e della seconda guerra punica: Patavium ci appare come un centro amico di Roma, ma con un proprio governo autonomo. Infatti Aquileia, colonia di diritto latino, fu fondata nel 181 a. C. extra Venetorum angulum. Ciò non esclude la presenza sempre più massiccia dell'influenza romana e il conseguente dividersi della città in fazioni con l'intervento di proconsoli, sia per metter pace fra esse, sia per dirimere questioni di confine fra le città vicine. È il momento anche della costruzione della via Postumia (148 a. C.) che congiungeva Genova ad Aquileia e che da Vicenza era unita a Padova da una diramazione. Passava invece direttamente per la città la via Annia, prosecuzione della Popilia (Rimini-Adria) sino ad Altino, Concordia, Aquileia (128 a. C.).

Questo processo storico ebbe il suo naturale sbocco nella trasformazione di Padova in municipium con propria autonomia amministrativa, ma partecipe del ius romano (era iscritto alla tribù Fabia) in seguito alla Lex Iulia Municipalis (49 a. C.). E tale rimase fino alla riforma dioclezianea.

Contemporanea all'istituzione del municipium è la trasformazione urbanistica della città secondo la classica pianta delle città romane. Ancora alla fine dell'età repubblicana si costruiscono due ponti sul corso interno del Medoacus, oggi accessibili benché interrati: quello di S. Lorenzo in corrispondenza del decumanus maximus, che continuando verso O passava anche il corso esterno del fiume sul ponte Corvo (ancora conservato), poi il ponte Altinate in corrispondenza di un decumanus minor. Il cardine massimo era invece unito al Ponte Molino, ponte a cinque arcate, ricostruito sulle vecchie fondazioni nel 1830. Tra i due primi ponti si stendeva il grande mercato e il porto fluviale della ricchissima Patavium (Strab., ii, 5-3; v, 1, 7, 8, 12) di cui scavi recenti hanno messo in luce gli importanti edifici-mercato di varie epoche fino a Diocleziano.

Non si hanno invece finora tracce sicure del Foro e degli edifici ad esso connessi, che dovevano sorgere presso l'attuale duomo. Scomparso anche il teatro là ove ora sorge il Prato della Valle e di cui si sono scoperte le fondazioni nel '700: non molti i resti dell'anfiteatro. Numerosi invece i ritrovamenti di mosaici di case private. Non è escluso che piuttosto che a un tempio, si riferiscano ad una grande domus i resti trovati negli scavi di S. Sofia, fra cui vi è anche la quasi sicura presenza di un mitreo.

Importanti centri religiosi furono in P. il culto di una dea locale poi assimilata nella romana Giunone e quello del dio delle acque Aponus, cui era legato l'oracolo di Gerione nell'antico centro religioso e termale di Montegrotto (Mons aegrotorum) ricordato ancora dal poeta alessandrino del IV sec. d. C. Claudiano, e da Cassiodoro.

Ricca di stele ed edicole, talune con ritratti, è anche la scultura funeraria romana.

A P. si afferma pure la religione cristiana, ma per trovare una chiesa gerarchicamente costituita, si deve arrivare al sec. IV d. C. Protoepiscopo di P. fu S. Prosdocimo, considerato uno degli evangelizzatori della Venetia. Di lui si conserva memoria nell'oratorio cruciforme absidato e preceduto da un atrio annesso alla basilica di S. Giustina: nei recenti restauri è tornata in luce, sopra il sarcofago, una lastra con un busto entro il clipeo, con iscrizione che ricorda il santo e che viene datata tra il V e il VI sec. d. C., cioè contemporanea della basilica dedicata alla martire Giustina e ricostruita forse dopo l'invasione degli Unni (anno 452) dal patrizio Opilione, che fu, con ogni probabilità, il console del 524 (C. I. L., v, 3100). Rimangono altresì preziosi resti della pergula e l'iscrizione dedicatoria. Altri edifici paleocristiani di cui si sono trovati resti sono nel sito ove poi sorse la chiesa di S. Eufemia, ora demolita, un ospizio forse nato da una domus suburbana. Sotto l'ala nuova del Palazzo Municipale fu ricuperato parte di un pavimento a mosaico cristiano del sec. IV.

Dinanzi alle scorrerie e alle invasioni barbariche gli abitanti di P. si rifugiano sempre più numerosi nelle zone lagunari. Il colpo di grazia dopo le tragiche vicende della feroce guerra goto-bizantina venne dalla invasione e dall'assedio dei Longobardi: i civili con il Vescovo si rifugiano nella laguna, da Malamocco a Chioggia, i militari a Ravenna e la città viene data alle fiamme; ex iussu regis Agilulfi ad solum usque destructa est (Paol. Diac., Hist. Lang., iii, 23). E solo con Carlomagno essa potrà risorgere.

Bibl.: C.I.L., V, 1872, p. 263 ss.; E. Pais, Suppl. Ital., I, 1884, nn. 592 ss.; 1246 ss.; H. Philipp, in Pauly-Wissowa, XVIII, 1949, c. 2114-18, s. v. Patavium; G. B. Pellegrini, Divinità paleovenete, in La Parola del Passato, VI, 1951, p. 81 ss.; R. Battaglia, Dal paleolitico alla civiltà atestina, in Storia di Venezia, I, Venezia 1957, p. 77 ss.; R. Cessi, Da Roma a Bisanzio, ibid., p. 179 ss.; P. Fraccaro, Il sistema stradale romano intorno a Padova, in Atti Accad. Patavina, 25-26 aprile 1959; C. Gasparotto, Patavium dalle origini al 601 d. C., in Padova, Guida ai Monumenti e alle Opere d'Arte, Venezia 1961 (con ampia bibliografia).