PAGANINI, Paganino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PAGANINI, Paganino

Angela Nuovo

PAGANINI, Paganino. – Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo stampatore ed editore, figlio di Gasparo, attivo a Venezia, Salò e Toscolano Maderno tra il 1483 e il 1538.

La famiglia paterna era originaria di Cigole, piccolo paese della bassa Bresciana, perciò Paganini si definì civis Brixiae nei colophon di alcuni libri. Ebbe almeno tre fratelli: Girolamo, Giacomo, che stamparono anche loro a Venezia negli anni Novanta del secolo XV, e Faustino.

Al suo nome si riconducono una sessantina di edizioni nel secolo XV e 16 nel secolo XVI, esclusa la produzione che firmò con il figlio Alessandro nell’ultimo decennio di vita. Nel 1487 fu arrestato con l’accusa di avere dato corso a un ducato falso, ma fu riconosciuto innocente. Nel 1494 abitava a Venezia in parrocchia S. Salvatore, calle delle Ballotte. Sposò Cristina, figlia di Francesco Della Fontana (Franz Renner da Heilbronn), stampatore tedesco attivo a Venezia dal 1471 al 1486, una parentela insolita nel panorama della stampa veneziana, dove la tendenza era a legarsi e imparentarsi secondo la provenienza geografica. Iniziò la sua attività a Venezia nell’inverno 1483-84, in società con il mantovano Giorgio Arrivabene, a sua volta fondatore di un’importante dinastia di editori attivi a Venezia e a Mantova, ma è probabile che entrasse presto nell’orbita di Della Fontana, dato che nel suo primo testamento, nel 1491, Cristina si dichiara moglie di Paganino da tempo; la sua dote ammontava a 1800 ducati. Dal primo testamento di Paganini, dettato nel 1505, egli risulta proprietario di terre in Friuli e nella Riviera di Salò. Il 15 marzo 1538 comprò una casa a Rialto.

Tramite la famiglia dei Renner-Fontana è possibile inserire Paganini in un vasto gruppo professionale e familiare. Nel testamento del 1505 nominò esecutore il cognato Giovanni Bartolomeo da Gabiano (vicino ad Asti), che aveva sposato l’altra figlia di Della Fontana, Isabeta. Gli affari di Paganini sembrano procedere insieme a quelli di Giovanni Bartolomeo, che fu il primo esponente in terra veneta di una dinastia di mercanti e stampatori attivi nel corso del XVI secolo tra Venezia, Lione e il Piemonte. Nel gennaio 1508 i due cognati erano debitori del medico, editore e mercante di libri Giovanni Domenico Del Negro per l’ingente somma di 500 ducati. Comprarono terreni agricoli in società e nel 1522 Giovanni Bartolomeo fu nominato da Paganini suo rappresentante legale in una causa riguardante alcune terre acquistate vicino a Salò, sul lago di Garda.

I settori in cui Paganini fu attivo furono sostanzialmente due: i libri religiosi (soprattutto liturgici) e quelli per l’Università (principalmente giuridici, ma anche medico-filosofici). Vanno ricordate in particolare la collezione completa delle postille di Alessandro Tartagni a Bartolo da Sassoferrato (1488) e il commento al Codice di Baldo degli Ubaldi (1485-86). Quasi assenti i testi in volgare, ma sono da segnalare alcune edizioni di particolare interesse, come il Liber elegantiarum, il dizionario latino-catalano di Joan Esteve, stampato in un volume in folio di 332 pagine datato 3 ottobre 1489.

In continuità con la produzione del suocero, famoso per le sue edizioni della Bibbia e per i libri liturgici di piccolo formato, Paganini pubblicò Diurni e Messali in formati che vanno dall’ottavo al sedicesimo. Ma fu editore soprattutto della grande Bibbia in quattro volumi corredata dal più famoso commento dell’epoca, quello di Niccolò da Lira, uscita il 18 aprile 1495. Si tratta del più imponente incunabolo europeo, di 1571 pagine, per il quale Paganini richiese il 20 settembre 1492 un privilegio decennale.

Era la prima volta che si pubblicava la Bibbia con il commento impaginato intorno al testo e l’esposizione di Niccolò da Lira. Nella richiesta del privilegio, Paganini si impegnava a mettere in vendita l’opera per 6 ducati (rispetto ai 12 della Bibbia con il commento ordinario più i 5 dell’esposizione di Niccolò da Lira). Il prezzo sarebbe dunque stato un terzo di quanto precedentemente necessario per un’opera del genere, nonostante i costi di ben 4000 ducati che l’editore affermava di dovere sostenere. Alla richiesta di Paganini, seguivano le attestazioni di Bernardino Gadolo, dello spagnolo Eusebio e di Secondo Contarini, tutti e tre maestri di teologia che stavano già lavorando al testo dell’opera.

Nel primo decennio del secolo XVI gli interessi di Paganini si concentrarono sul libro giuridico. Il 16 giugno 1507 presentò una richiesta di privilegio multiplo per la stampa di una lunga serie di opere già pubblicate, ma con aggiunte e postille nuove. Solo il Repertorium di Giovanni Bertacchini fu sicuramente realizzato (in tre volumi nel 1507-08), le altre opere non furono pubblicate da lui (quelle di Bartolomeo Cipolla furono edite dal figlio Alessandro nel 1513). Fondamentali nella carriera di Paganini furono le edizioni di tre opere del matematico Luca Pacioli, stampate con la collaborazione di Alessandro, che disegnò i caratteri tipografici. Nel 1494 si trattò della Summa de arithmetica, uno dei testi-chiave della cultura matematica del Rinascimento, comprendente il De computis et scripturis, prima descrizione del sistema veneziano della partita doppia. Nel 1509 uscì la Divina proportione, contenente silografie tratte dai disegni delle figure dei poliedri di Leonardo da Vinci e l’alfabeto delle lettere maiuscole costruite geometricamente; infine il testo di Euclide curato da Pacioli (1509). Le tre opere erano protette da privilegio quindicennale, richiesto il 19 dicembre 1508 dall’autore.

Nel 1517 Paganini si trasferì a Salò, sul Garda. Il trasferimento si spiega con la necessità o la convenienza di riunire in un medesimo luogo la produzione cartaria, attività nella quale i Paganini risultano inseriti almeno dai primi anni del XVI secolo, e quella tipografica, senza che ciò comportasse una rottura con l’ambiente veneziano. A Salò Paganini collaborò con il francescano Francesco Licheto, priore del convento sull’isola di Garda e futuro generale dell’Ordine, del quale pubblicò in due volumi il commento a Duns Scoto (1517). Insieme con Alessandro risiedette nella vicina Toscolano Maderno, dove possedeva abitazione e bottega in contrada del Porto, oltre ad almeno una cartiera. Qui tornò a pubblicare dal 1527 al 1533 collaborando con il figlio e dando vita a una collana di libri in ottavo, firmata con una sigla enigmatica, l’iscrizione a caratteri epigrafici «P. ALEX. PAG. BENACENSES F. BENA. V.V.», da interpretare «Paganino e Alessandro Paganini benacensi fecero a Benaco vivus vivo», formula, quest’ultima che, nella lapidaria classica, indicava che il dedicatario e il dedicante dell’epigrafe erano entrambi in vita.

Paganini e il figlio furono senz’altro ancora a Venezia tra il 1537 e il 1538, periodo nel quale stamparono, ma senza firmarsi, la prima edizione a stampa del Corano in lingua araba.

Gli esemplari dell’edizione erano ritenuti tutti perduti già nel XVI secolo. Ne è stato ritrovato uno nel 1987 a Venezia, nella Biblioteca dei frati minori di S. Michele in Isola, sul quale è leggibile la nota di possesso di Teseo Ambrogio degli Albonesi, unico in Occidente ad aver lasciato testimonianze precise (nella sua Introductio in Chaldaicam linguam…, Pavia 1537) dell’esistenza di questa edizione, fornendo sufficienti notizie per poter attribuire la stampa ai Paganini e datarla tra il 9 agosto 1537 e il 9 agosto 1538. Nessun altra testimonianza è nota fino al 1620 quando il grande orientalista Thomas Erpenius (1584-1624) faceva riferimento nella sua opera Rudimenta linguae Arabicae a un «Alcoranus Arabice circa annus 1530. literis Arabicis», ma aggiungeva: «sed exemplaria omnia cremata sunt». Da questa affermazione prese avvio la leggenda totalmente infondata che gli esemplari di questa stampa fossero stati tutti bruciati, ed essendo stata formulata in ambiente protestante, molti dedussero che responsabile del rogo dovesse essere la Chiesa di Roma.

In realtà, l’edizione non era destinata ai dotti europei. Essa fu progettata come prodotto di esportazione per il mercato arabo-turco, per i popoli di religione islamica che ancora non possedevano la stampa tipografica. Gli stampatori a Venezia superarono difficoltà tecniche eccezionali: si è calcolato che per le caratteristiche della scrittura araba fossero necessari fino a 600 caratteri tipografici diversi. Non è noto con chi i Paganini abbiano collaborato per realizzare questo Corano in caratteri mobili. Certamente dovevano essere in contatto con personaggi nati o vissuti nel mondo arabo, indispensabili come maestranze in officina. Tuttavia, fino a oggi nulla è documentato al riguardo e nessun contatto può essere ipotizzabile con le stampe arabe precedentemente realizzate in Italia a causa della totale difformità del carattere.

Vari studiosi hanno sottolineato numerose carenze relative alla grafia e veri e propri errori, sufficienti per ritenere che l’impresa fosse destinata all’insuccesso. È stata fatta anche l’ipotesi che l’esemplare superstite fosse una bozza di stampa. Tuttavia la qualità della carta è eccezionalmente alta, non solo ancora bianca e robusta, ma addirittura cerata, mai usata in precedenza dai Paganini. Emerge dunque l’intenzione di produrre un libro di lusso, che una volta giunto a destinazione in fogli sciolti, sarebbe stato miniato e rilegato lussuosamente.

La parentela di Paganini, brillante tecnico della tipografia, con i Gabiano, grandi editori e mercanti di libri, fornisce un contesto in cui la stampa del Corano può trovare una giustificazione. Oltre all’attività a Venezia, Lione e nelle Fiandre, Giovanni Bartolomeo Gabiano dimostrò uno spiccato interesse per il Levante. Sposò una figlia di Nicola Della Vecchia (Vucovič), figlio di Bozidar (Dionisio), uno stampatore originario di Podgorica, nel Montenegro, attivo a Venezia e specializzato nella stampa di libri liturgici in slavonico destinati ai serbi ortodossi. La rete commerciale dei Vucovič si estendeva dalla Dalmazia all’Albania, dall’Ungheria alla Romania e soprattutto alla Turchia. Da parte loro, i Gabiano proprio in questi anni avevano procuratori a Pera e Costantinopoli. L’impresa del Corano può essere dunque inquadrata in una società commerciale che disponeva di partner nelle zone in cui il Corano doveva essere venduto ed era specializzata nella produzione di libri liturgici e religiosi in alfabeti non latini.

Paganini morì a Venezia tra il 27 giugno (data dell’ultimo testamento) e l’11 agosto 1538 (quando risulta morto in un altro attodello stesso notaio, in cui la vedova rinuncia all’eredità). Nell’ultimo testamento nominò erede universale il figlio naturale Alessandro.

Di Alessandro si ignora il luogo e la data di nascita, oltre che il nome della madre. Esordì curando la parte tecnica delle edizioni di Euclide in volgare e della Divina proportione di Luca Pacioli stampate dal padre nel 1509. Sin dall’inizio si dimostrò un abile disegnatore e incisore di caratteri tipografici, ma la sua creatività si espresse anche nella ricerca di nuovi formati librari. Iniziò la sua attività nel 1511, succedendo al padre che si ritirò allora dalla produzione tipografica pr dedicarsi a quella editoriale.

Firmò una produzione di circa un centinaio di titoli dal 1509 al 1538. Il catalogo non abbandona i settori tradizionali di produzione, ma presenta punte innovative sia nei contenuti sia nelle forme editoriali. Accanto a titoli tradizionali, come dizionari e trattati giuridici, messali e offici, iniziò a manifestarsi una inedita curiosità: nella Precatio di Agostino Giustiniani, del 1513, stampò qualche linea di ebraico. L’anno di svolta fu il 1515, quando iniziò a pubblicare una serie di libri tutti distinti dallo stesso formato, quasi ignoto prima di allora, il minuscolo ventiquattresimo (lo specchio di stampa è di mm 84 x 39), e dallo stesso carattere tipografico, un ibrido tra romano e corsivo da lui ideato e disegnato. In questa innovativa veste, stampò alcuni testi fondamentali della letteratura volgare coeva: Petrarca, gli Asolani di Bembo, l’Arcadia di Sannazaro. È evidente l’ispirazione manuziana dell’operazione, principiata nello stesso anno della morte di Aldo (1515) e imitata nel costume umanistico dell’aggiunta di dediche e testi introduttivi al lettore. Seguiranno le opere filosofiche di Cicerone, il De remediis utriusque fortunae di Petrarca, la Commedia di Dante; dal 1516 i testi latini prevalsero su quelli volgari con le opere di Giovenale, Persio, Marziale, Catullo, Properzio, Tibullo e Terenzio, insieme però con il Corbaccio di Boccaccio e la Cerva bianca di Antonio Fileremo Fregoso (questi ultimi due curati da Castoro Laurario).

Nel 1517, appena prima di trasferire la produzione sul lago di Garda, Alessandro pubblicò la prima edizione dei Macaronices libri di Teofilo Folengo. Del 1521 è l’edizione dell’Opus macaronicum di Folengo, la seconda redazione di quest’opera stampata da Paganini, detta Toscolanense, prodotta probabilmente con la collaborazione dell’autore, data la presenza negli esemplari superstiti di varianti introdotte durante il processo di stampa. Notevole è anche la serie delle 53 silografie a piena pagina, tutte inedite e tutte mai più utilizzate. Negli stessi anni Alessandro portò a termine la collezione in 24°, pubblicando però testi meno interessanti di quelli proposti a Venezia. Tra le edizioni di questo periodo, si annoverano alcuni libri di ricamo, testi grammaticali e giuridici, l’opera completa di Ovidio con vignette silografiche e commenti, la riedizione con un nuovo carattere della Summa de arithmetica di Pacioli (1523). Nel 1531 Paganini pubblicò a Venezia un’edizione precoce di una novità come le Rime di Sannazaro, ripetuta a Toscolano l’anno successivo.

Sposò Daria, figlia dello stampatore di origine comasca attivo a Milano Giorgio Rusconi. Da lei ebbe diversi figli: Agnesina (sposata con Marco di Comincioli, cartaio a Toscolano), Marta (sposata con il tipografo Giovanni Varisco), Gaspare, Paganino, Camillo, Orazio e Scipione, che tennero bottega all’insegna della Sirena a Venezia, e insieme con il cognato Varisco svilupparono un’intensa attività editoriale nella seconda metà del XVI secolo.

Alessandro era ancora vivo nel 1556, ma certamente morto nel 1566 perché in quest’anno la ditta dei suoi figli Gasparo, Paganino, Camillo, Orazio e Scipione è detta «quondam Alessandro Paganino» (Arch. di Stato di Venezia, Dieci savi alle decime in Rialto. Condizioni. Redecima 1566, condizione 117).

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscellanea atti diversi manoscritti, b. 91-lettera P (Lettere di vari scritte a Gio. Bartolomio da Gabiano), passim; R. Fulin, Documenti per servire alla storia della tipografia veneta, in Archivio veneto, XXIII (1882), pp. 104 s., 133 s., 162, 169 s., 178; U. Baroncelli, La stampa nella riviera bresciana del Garda nei secoli XV e XVI, Brescia 1964, pp. 5-61; M. Nallino, Una cinquecentesca edizione del Corano stampata a Venezia, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CXXIV (1965-66), pp. 1-12; L. Balsamo, I corsivi dei Paganini, in Origini del corsivo nella tipografia italiana del Cinquecento, a cura di L. Balsamo - A. Tinto, Milano 1967, pp. 79-101; Id., Intorno a una rara edizione di Terenzio (Venezia, 1506) e allo stampatore Alessandro Paganino, in Contributi alla storia del libro italiano. Miscellanea in onore di Lamberto Donati, Firenze 1969, pp. 11-26; C. Marciani, I Vuković tipografi-librai slavi a Venezia nel XVI secolo, in Economia e storia, XIX (1972), pp. 342-362; Id., I Gabiano, librai italo-francesi del XVI secolo, in La Bibliofilia, LXXIV (1972), pp. 191-213; A. Nuovo, La parte veneziana della collezione in 24esimo di A. Paganino (1515-1516), in I primordi della stampa a Brescia 1472-1511, a cura di E. Sandal, Padova 1986, pp. 81-106; Id., Il Corano arabo ritrovato, in La Bibliofilia, LXXXIX (1987), pp. 237-271; Id., A. Paganino (1509-1538), Padova 1990; Id., A lost Arabic Koran rediscovered, in The Library, XII (1990), pp. 273-292; M. Borrmans, Observations à propos de la première édition imprimée du Coran à Venise, in Quaderni di studi arabi, VIII (1990), pp. 3-12; Id., Présentation de la première édition imprimée du Coran à Venise, ibid., IX (1991), pp. 93-126; H. Bobzin, Jean Bodin über den Venetianer Korandruck von 1537/38, in Wiener Zeitschrift für die Kunde des Morgenlandes, LXXXI (1991), pp. 95-105; B. Richardson, Le edizioni del Corbaccio curate da Castoro Laurario, in La Bibliofilia, XCIV (1992), pp. 165-169; Luca Pacioli e la matematica del Rinascimento, a cura di E. Giusti - C. Maccagni, Firenze 1994, pp. 41-66, 72, 89 s.; A. Nuovo, Introd. a Edizione “toscolanense” (1521) delle opere macaroniche di Teofilo Folengo: ristampa anastatica, a cura di A. Nuovo et al., Volta Mantovana-Mantova-Bassano del Grappa 1994; Id., Maestri tipografi tra Venezia e il Garda: i Paganini, in Cartai e stampatori a Toscolano..., a cura di C. Simoni, Brescia 1995, pp. 81-98; G. Vercellin, Venezia e l’origine della stampa in caratteri arabi, Padova 2001, pp. 28-33; D. Fattori, Democrito da Terracina e la stampa delle Enneades di Marco Antonio Sabellico, in La Bibliofilia, CV (2003), pp. 28-48; A. Sangster, The printing of Pacioli’s Summa in 1494: How many copies were printed?, in Accounting Historians Journal, XXXIV (2007), pp. 125-146; Senza ammenda e con più vaghezza: Alessandro Paganini tipografo a Toscolano 1517-1538. Catalogo della mostra, Maina Inferiore 2008; Pacioli 500 anni dopo. Atti Convegno di studi ..., a cura di E. Giusti - M. Martelli, Sansepolcro 2009; A. Nuovo, Una lettera di Michele Tramezino a Giovanni Bartolomeo Gabiano (1522), in La Bibliofilia, CXV (2013), pp. 147-156; Id., The booktrade in the Italian Renaissance, Leiden-Boston 2013, pp. 74-80; Id., La scoperta del Corano arabo, ventisei anni dopo: un riesame, in Nuovi Annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari, XXVII (2013), pp. 9-23.

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