PALAFITTE

Enciclopedia Italiana (1935)

PALAFITTE

Piero BAROCELLI
Renato BIASUTTI

. L'uso di costruire abitazioni su pali non ha, si può dire, limiti né di regione né di tempo, dove ad esso abbiano condotto natura e condizioni di luoghi. Erodoto, ad esempio (V, 16), descrive un villaggio lacustre esistente sul lago Prasia non lungi dalla foce dello Strimone. Tuttora siffatte dimore sono d'uso sporadico nella Bosnia e molto diffuso nelle isole della Malesia, ecc.

Resti di palafitte e, in genere, di stazioni lacustri e palustri preistoriche europee vennero primamente in luce intorno all'anno 1823 sulle rive del lago di Zurigo. Le ricerche sistematiche ebbero inizio negli anni 1853-54 in laghi svizzeri, quando un'eccezionale siccità vi aveva fatto ritirare notevolmente gli specchi d'acqua. Circa il medesimo tempo A. Stoppani ricercava e rinveniva analoghi resti presso le rive dei laghi varesini e, nel 1860, B. Gastaldi scopriva la palafitta di Mercurago nell'anfiteatro morenico del Lago Maggiore.

Le non interrotte ricerche condussero a riconoscere il numero grande delle stazioni lacustri e palustri subalpine, alcune notevolmente estese, alzate in tempi preistorici in Italia, dal Piemonte al Veneto, nella Savoia, nel Giura, in tutti, si può dire, i laghi svizzeri, nell'Austria occidentale, e in Croazia. Resti di stazioni analoghe, ma più o meno isolati, si ritrovarono anche in Inghilterra, in Irlanda, in Svezia, nella Prussia orientale.

Per palafitte propriamente s'intendono le capanne, i gruppi di capanne, i villaggi, il cui pavimento era sostenuto da pali infissi verticalmente sul fondo d'un lago, d'una palude, d'un corso d'acqua, oppure sulla sponda più o meno asciutta, torbosa e soggetta a inondazioni, d'uno specchio d'acqua. Molte volte infatti, per varie ragioni, non è possibile determinare il livello della sponda antica, e conseguentemente riconoscere se la stazione preistorica sorgesse entro l'acqua o al margine di essa.

L'etnografia moderna presenta esempî di ambedue i modi.

La palafitta, come tipo di dimora primitiva, specie se isolata entro un bacino acqueo, pur rispondendo a indubbie ragioni di sicurezza contro nemici e contro fiere, appare soprattutto un adattamento dell'abitato umano alla natura del luogo.

I pali verticali di sostegno delle palafitte erano tronchi d'albero, i quali conservavano la forma tondeggiante e avevano l'estremità inferiore tagliata a punta, per essere infissa nel terreno; spesso convenne rinforzare i pali stessi con cumuli di pietrame. Il tavolato orizzontale che poggiava su essi era di tronchi ancora interi o spaccati o di assi. Le ricerche d'oltralpe portarono a riconoscere che il tavolato talora non si limitava alle singole capanne, congiunte fra loro da ponticelli, ma era unico ed esteso a tutto il villaggio. Al graduale progresso della tecnica costruttiva presso i palafitticoli appaiono dovuti i regolari ponticelli di congiunzione alla terraferma, talora molto lunghi, sostenuti da file di pali verticali, nonché le linee di pali, anch'essi infissi sul fondo, le quali tutt'intorno al villaggio, verso la parte alta del lago, servivano da frangi-onde: in questa cerchia veniva lasciato un passaggio per le piroghe. Ponticelli e frangi-onde appaiono proprî di stazioni emergenti entro gli specchi d'acqua, sia pure a poca distanza dalla sponda, anziché sopraelevate su terreno asciutto.

Affini alle palafitte erano le capanne e i gruppi di capanne alzate direttamente sul terreno con una o più impalcature orizzontali di legname sovrapposte, oppure su bonifiche di terreno non completamente asciutto ottenute a mezzo di legname e fascinaggi accumulati; e così pure le capanne sostenute da cumuli di pietrame rinforzati non di rado nel loro interno da qualche palo verticale. Siffatte abitazioni, indubbiamente primitive e frequenti nelle stazioni relativamente arcaiche, continuarono tuttavia a lungo. Evidentemente sorgevano sui fondi torbosi o melmosi, ai margini di specchi d'acqua soggetti a inondazione.

Le più antiche stazioni lacustri e palustri subalpine, al di qua e al di là delle Alpi, sorsero primamente quando ancora dominava la civiltà neolitica (v. neolitica, civiltà); fiorirono durante il successivo Eneolitico (v. eneolitica, civiltà) e le varie fasi della civiltà del bronzo (v.).

Secondo accurate recenti ricerche nei laghi e nelle torbiere transalpine, un periodo climatico asciutto e relativamente caldo vi ebbe inizio fino dai tempi del maggior fiore del Neolitico, e raggiunse il suo massimo durante l'età del bronzo: da ciò sarebbe conseguito un graduale, notevole abbassamento del livello degli specchi d'acqua. Quando presso le loro sponde sorsero le più antiche stazioni, già il livello stesso vi sarebbe stato più basso dell'attuale. Il fatto che le stazioni lacustri e palustri neolitiche sono relativamente frequenti nel settentrione della Svizzera, mentre nel mezzogiorno prevalgono quelle della civiltà del bronzo, unito ad altri indizî, fa pensare che i neolitici penetrassero in quelle vallate dal settentrione. Si fece osservare che dappertutto era allora un solo immenso bosco primitivo, e le sole vie, i soli luoghi atti a dimora erano al margine dei fiumi e degli specchi d'acqua, e questi stessi luoghi erano in genere soggetti a straripamenti: donde la necessità di costruzioni palafitticole o affini, il cui pavimento fosse abbastanza sopraelevato in modo da essere permanentemente all'asciutto.

Nei secoli del Neolitico, come pure in quelli della civiltà del bronzo, la regione svizzera era essenzialmente occupata dalle stazioni palafitticole e da quelle affini lacustri e palustri. Poche, mal note, e in genere ristrette al settentrione, appaiono le stazioni all'aperto in terraferma.

In relazione con l'abbassato livello delle acque, e non con la perfezionata tecnica costruttiva dei palafitticoli, si spiegherebbe il fatto che nei laghi transalpini i resti delle palafitte dell'età del bronzo giacciono molto più discosti dalla sponda attuale che non quelli delle analoghe stazioni neolitiche delle stesse località.

Recenti esplorazioni di P. Vouga nelle stazioni del Lago di Neuchâtel portarono alla conclusione che stazioni lacustri e palustri, ossia palafitte alzate in parte sull'acqua, e per il rimanente in terreno asciutto, vi si ebbero primamente con un Neolitico recente. Le stazioni completamente entro l'acqua si ebbero con la civiltà del bronzo: la sponda era allora molto più bassa dell'attuale e molto più vicina alle stazioni stesse.

Non sembra possano essere revocate in dubbio le accennate condizioni climatiche, per le quali manca ancora conferma in osservazioni che siano state fatte nelle torbiere e nei laghi cisalpini. Si sa soltanto che le stazioni lacustri e palustri al di qua delle Alpi sorsero quando già alla flora delle conifere era successa quella della quercia.

Grazie agli estesi lavori di sistemazione dei bacini lacustri, con i quali rimasero spesso all'asciutto resti di stazioni lacustri e palustri, la conoscenza di questi abitati transalpini è maggiore di quelli analoghi cisalpini. Oltre a gruppi di poche capanne, erano villaggi i quali, gradualmente e più o meno irregolarmente, erano venuti estendendosi di molto, specialmente durante alcune fasi recenti. Le capanne d'abitazione delle vere e proprie palafitte transalpine apparvero di solito rettangolari, in conseguenza, pare, dell'impiego prevalente di legname lungo. Accanto a queste erano costruzioni circolari più piccole, utilizzate con ogni verosimiglianza per le varie esigenze di lavoro giornaliero, non escluso l'allevamento del bestiame. Il Vouga ritrovò varî strati sovrapposti, anche in quelle stesse stazioni del Lago di Neuchâtel, che non raggiunsero l'età del bronzo. A Robenhausen, sul lago di Pfäffikon, sono stati riconosciuti i resti di tre villaggi, anteriori tutti, sembra, alla civiltà del bronzo, ricostruiti l'uno sopra l'altro in seguito ad avvenuti incendî. Ben 100.000 circa erano i pali di questa stazione, la quale diede pure uno dei più cospicui esempî di ponticelli di comunicazione con la terraferma. Alcune stazioni del Lago di Costanza si stendevano parallele alla riva, lunghe da m. 400 ad 800 circa, larghe da 30 a 75 circa. La "Grande stazione" di Morges (Lago di Ginevra) della piena età del bronzo, larga da m. 30 a 45, si allungava per circa 360 metri, difesa verso l'alto lago da una delle più belle palizzate frangi-onde finora note. Il ponticello di comunicazione della palafitta di Möringen, sul lago di Biel, vissuta fino a fasi molto recenti, era lungo m. 300 e largo 4. La palafitta di Wollishofen della piena età del bronzo, sul Lago di Zurigo, è citata per l'accuratezza e la regolarità dei congiungimenti del tavolato e dei pali.

È stato notato, ma non ancora bene spiegato, il fatto che le stazioni lacustri svizzere disparvero quasi completamente durante le prime fasi dell'età del bronzo. Ripresero nuova vita nelle ultime fasi dell'età stessa.

In Italia, ai piedi delle Alpi e nella bassa Lombardia, numerose erano le stazioni sui laghetti, sulle paludi e sui corsi d'acqua non regolati. Dopo l'abbandono delle stazioni lacustri e palustri, i secoli trasformarono i laghetti, o interamente o solo in seni marginali, in torbiere. Dallo sfruttamento delle quali, avvenuto specie fra gli anni 1850 e 1880 circa, uscirono in luce, per grandissima parte, i resti delle stazioni preistoriche.

Questo sfruttamento tumultuario, e altrove l'essere le vestigia delle stazioni lacustri tuttora immerse nell'acqua, non permisero spesso i rilievi che sarebbero stati desiderabili. Come principali luoghi di ritrovanento si ricordi la torbiera di Trana nell'anfiteatro morenico di Rivoli (Dora Riparia), le torbiere di San Martino o San Giovanni dei Boschi, Alice, ecc., in quello di Ivrea (Dora Baltea), di Oleggio Castello, Mercurago, Lagozza, ecc., in quello del Lago Maggiore; quella di Coldrerio nel Canton Ticino. Segnatamente numerosi i resti di stazioni sulle sponde dei laghi e nelle adiacenti torbiere del Varesotto e del Comasco (Isola Virginia, Bodio, Cazzago, Brabbia, Bardello, Biandronno, ecc., sul Lago di Varese; Sabbione e Occhio sul lago di Monate; laghetto di Varano; lago Pusiano, torbiera di Bosisio, ecc. nella Brianza). Procedendosi a oriente, la torbiera di Iseo; Bor, Pacengo, Peschiera, Mincio, Polada, S0lferino, ecc., sulle sponde meridionali del Lago di Garda e nell'anfiteatro morenico omonimo. Nella bassa Lombardia, la palafitta di Santa Caterina presso Cremona, quella dei Lagazzi e del Campo Castellaro presso Vho di Piadena. Nel Veneto i laghi di Fimon e di Arquà Petrarca.

Era in fiore la civiltà neolitica quando vissero le palafitte della Lagozza di Besnate, le stazioni della palude Brabbia e di Bardello (Lago di Varese); sembra anche quelle del lago di Monate, dove ognuna delle capanne, tre o quattro metri discoste l'una dall'altra, era sostenuta da un cumulo di ciottoli rinforzato spesso da un palo centrale interno. Uno di questi villaggi di Monate, detto del Sabbione, esteso in lunghezza m. 98 circa e in larghezza 21 circa, apparve cinto verso l'alto lago da una palizzata frangi-onde. Pure la palafitta veneta di Fimon, nella quale i pali che sostenevano l'impalcatura erano rafforzati da mucchi di ciottoli, cessò di esistere prima dell'inizio dell'Eneolitico. Eneolitici furono gli ultimi tempi dei villaggi di Arquà Petrarca, di capanne sostenute da bonifiche fatte con legname, fascinaggi e pietrame, dell'Isola Virginia e dei Lagazzi di Vho. Ai Lagazzi le capanne circolari, isolate l'una dall'altra, occupavano gran parte del laghetto (oltre 200 m. di lunghezza). Tre sono ivi gli strati sovrapposti delle singole capanne, effetto di ricostruzioni seguite ad incendî. Non si possono accertare le possibili origini neolitiche dei villaggi di Trana, San Giovanni dei Boschi, Mercurago, Bodio, Iseo, Bor, Pacengo, Mincio presso Peschiera, ecc., donde si ebbe esiguo numero di oggetti di rame e di bronzo. A Bodio cumuli di pietrame, ancora, sostenevano le capanne. Mercurago era vera e propria palafitta. Nella torbiera Barche di Solferino bene si riconobbero i pali verticali e le impalcature orizzontali sovrapposte; a Polada due linee di pali fecero pensare a un ponticello di collegamento con la sponda. L'uno e l'altro villaggio sono di fasi dell'età del bronzo alquanto più antiche, sembra, di quello del Campo Castellaro presso Vho di Piadena. Nel quale, entro un'insenatura dell'antico corso dell'Oglio, le capanne circolari, del diametro di m. 7 circa, isolate, separate da spazî interposti anche asciutti, avevano l'impalcata sovrapposto a pali verticali. La palafitta del lago di Ledro era estesa: circa 17.000 i pali verticali. La palafitta del porto di Peschiera fiorì durante le fasi recenti dell'età del bronzo; in essa si raccolse anche la primitiva fibula ad arco di violino; altre stazioni lacustri e palustri cisalpine avevano già cessato di esistere, salvo forse qualche eccezione. Trana poté, sembra, vedere la fine dell'età del bronzo: notevole la forma di fusione per un oggetto di bronzo raccoltovi, rappresentante la croce sormontata da un cigno: raro documento di culto solare preistorico.

Il villaggio di capanne palafitticole di Santa Caterina presso Cremona aveva cessato di vivere, secondo G. Patroni, mentre andava trasformandosi in terramara, munendosi cioè dell'argine esterno di cinta, e dei muri divisorî interni di terra battuta, e ciò a motivo, secondo il Patroni, del rincrudimento del clima e dell'accresciuta portata delle inondazioni. Le terremare della bassa Lombardia e dell'Emilia, le quali nella Valle Padana rappresentano le fasi più recenti dell'età del bronzo, ci presentano una grande perfezione della tecnica costruttiva con legname (gabbioni di sostegno dell'argine, ecc.).

Questa accuratezza e perizia nella costruzione in legname appare diffusa durante la piena età del bronzo: serva d'esempio il rivestimento d'un pozzo di acque salutari alla Panighina di Forlì.

Nella Savoia e nella Svizzera alcune palafitte fiorivano ancora durante quella piena civiltà del bronzo, la quale corrispose agli albori della civiltà cisalpina del ferro, nei secoli più remoti del primo millennio avanti Cristo. Eccezionali e di piccola estensione quelle che raggiunsero i primi tempi della civiltà del ferro transalpina o di Hallstatt. Sono di questa fase i due villaggi di cui di recente si videro i resti presso l'Alpenquai di Zurigo, dalle capanne alzate, sembra, tutte su cumuli di pietrame. Ma la distruzione e l'abbandono non tardò: causa verosimile il rincrudimento di clima che fece alzare notevolmente gli specchi d'acqua.

Fuori dalle vere e proprie palafitte e dalle terremare, era pure diffuso l'uso di legname e fascinaggi, misti sovente a pietrame, per alzare il livello del suolo o per parziale bonifica di terreno paludoso. Così nel deposito eneolitico della caverna della Bocca Lorenza (Vicenza). Per l'età del bronzo si possono citare il villaggio di Offida (Piceno) nel quale le capanne posavano su un deposito di tronchi collocati orizzontalmente e di fascinaggi, e la grotta del Farneto nel Bolognese. Una parte della grotta di Pertosa (Salerno), sede d'un culto di acque salutari, dove il suolo era occupato dall'acqua aveva un impalcato orizzontale di tronchi, sopraelevato, sostenuto da pali di non grande altezza. Incisioni rupestri di Lemno in Val Camonica presentano figure di capanne sostenute da pali: non si hanno dati per determinarne l'età approssimativa, preistorica o protostorica.

Stazioni palafitticole, o di costruzione affine, si ebbero in Europa pure in tempi protostorici. La palafitta di Ripač (Bosnia), sorta almeno durante l'età del bronzo, sembra abbia visto l'alba dei tempi romani: la stazione è nota anche per una via lasciata sull'impalcato fra le capanne. A Donja Dolina (Sava) la palafitta, sorta con ogni verosimiglianza nel sec. VII circa a. C., risaliva con terrazzi la sponda. Sull'altipiano del Renon a Collalbo presso Bolzano, entro uno stagno antico, in tempi che non si possono determinare, verosimilmente più recenti di quelli del bronzo, una capanna era alzata su un cumulo di pali orizzontali sovrapposti; altre capanne poggiavano su gabbioni, di pianta rettangolare, fatti di lunghi tronchi orizzontali sovrapposti e congiunti con grandissima cura e regolarità, e riempiti di terriccio di riporto. Non può essere collocata fra le stazioni palafitticole e affini quella svizzera di La Tène, della seconda età del ferro o gallica, dove larghissimo fu l'uso di legname (v. la tène). Potrebbero invece essere addotti i Crannogs dell'Irlanda e della Scozia, isole mezzo sommerse, consolidate con pali e con accumulamento di tronchi d'albero, fascinaggi e pietrame. I Crannogs ebbero inizio durante la seconda età del ferro; erano abitati ancora durante il sec. XVII.

Presso gli abitatori delle stazioni lacustri e palustri che sorgevano ai piedi delle Alpi, a mezzogiorno e a settentrione di esse, furono in fiore, specie durante la civiltà del bronzo, la pastorizia, l'agricoltura, l'arte del tessere. La conoscenza tecnica della fabbricazione delle armi, degli utensili e degli ornamenti personali di bronzo si fa sempre più diffusa: lo dimostrano le matrici per fondere questi oggetti, ritrovate, si può dire, un po' dappertutto.

Segnatamente gli oggetti di bronzo dimostrano la frequenza, sempre maggiore con il passare dei secoli, delle relazioni commerciali attraverso ai passi alpini, e la molta influenza culturale esercitata dalle genti cisalpine su quelle transalpine.

Nella Svizzera e nell'attigua Savoia le stazioni lacustri e palustri presentano uno sviluppo continuo proprio: la civiltà caratteristica e dominante nell'età neolitica vi è appunto la palafitticola. Ma incerta permane la questione etnica. Pochissime sono le tombe note di palafitticoli, ed esse presentano il rito dell'inumazione. I caratteri antropologici furono osservati con molto maggiore copia di osservazioni nei sepolcreti di inumati attribuibili ai quasi ignoti villaggi di terraferma: si tratterebbe di gente venuta sempre più mescolandosi, nel corso dei secoli, con nuovi elementi, forse Ligures nominati dagli autori classici quale substrato etnico antichissimo. Ai Liguri si suole attribuire in modo generico la civiltà neolitica al di qua e al di là delle Alpi.

Per la Cisalpina, di recente R. Battaglia e G. Patroni, in relazione soprattutto con le strette analogie industriali nelle singole regioni, dimostrarono come molto probabile essere stati gli abitatori delle stazioni lacustri subalpine delle stesse genti, almeno in gran parte "liguri", dei villaggi all'aperto del Cremonese (Cella Dati, Calvatone, ecc.) e dei ripari sotto roccia del Veronese. Le osservazioni antropologiche si riducono alla constatazione di pochi individui brachicefali nel sepolcreto eneolitico di Remedello Bresciano in mezzo ai molti dolicocefali. Nessuna tomba nella Cisalpina è stata accertata di palafitticoli, la quale, col rito, dia indizio di provenienza etnica. È dubbio se le tombe di cremati della piena età del bronzo nella Lombardia occidentale (Monza, Scamozzina, Coarezza, ecc.) e nel Veneto spettino a discendenti di palafitticoli, i quali avrebbero abbandonato i laghi e le paludi. Con queste tomnbe, e con i vasti sepolcreti pure di cremati dei terramaricoli, con maggiore possibilità si può parlare di nuove genti sopravvenute (v. italia: Preistoria).

Bibl.: Art. Pfahlbau, in Ebert's Reallexikon der Vorgeschichte, X, Berlino 1927; R. Munro, The Lake-Dwellings of Europe, Londra 1896 (trad. francese di P. Rodet, Les stations lacustres de l'Europe, Parigi 1908).

Per le palafitte svizzere: Pfahlbauberichte, in Mitth. antiq. Gesell. in Zürich, dal 1854; H. Gams-R. Nordhagen, Postglaciale Kilmaänderungen und Erkrustenbewegungen in Mitteleuropa, Monaco 1923; O. Tschumi, Urgeschichte der Schweiz, Lipsia 1926; id., W. Ritz e I. Favre, Sind die Pfahlbauten Trocken oder Wassersiedlungen gewesen?, in XVIII.Bericht der römisch-germanischen Kommission, Francoforte 1928; P. Vouga, Les stations lacustres du lac de Neuchâtel, in Anthropologie, XXXII (1923); E. Vogt, Les céramiques suisses de la fin de l'âge du bronze et leur chronologie, in Mémoires de la Société helvétique des sc. nat., LXVI, Zurigo 1930; K. Keller Tarnazzer, Probleme der Zugerischer Pfahlbauforschung, in Zuger Neujahrsblatt, 1931; i periodici Anzeiger für schweizerische Altertumskunde, Zurigo, e Genava, Ginevra.

Per le palafitte italiane: P. Barocelli, Materiali paletnologici della torbiera di Trana, in Atti della Società piemontese di archeologia, IX, 1918; id., Storia e bibliografia della paletnologia piemontese, in Bollettino della predetta Società, anni II-III-IV, 1918-1920; id., Il Piemonte dalla capanna neolitica ai monumenti di Augusto, in Biblioteca della Società storica subalpina, CXXXI (1933); G. Baserga, La stazione preistorica palustre di Coldrerio ed il periodo neolitico, in Rivista archeologica della prov. di Como, 1924, fasc. 86-87; R. Battaglia, Intorno alle origini ed alla età delle più antiche stazioni lacustri dell'Alta Italia, in Rivista di Antropologia, XXI (1916-17); G. A. Colini, La civiltà del bronzo in Italia, in Bull. di paletnol. italiana, XXIX (1903; si veda ivi l'elenco bibliografico delle opere di P. Castelfranco, S. De Stefani, ecc.); P. Castelfranco, Cimeli del Museo Ponti nell'isola Virginia (lago di Varese), Torino 1913; E. Ghislanzoni, Stazione preistorica di Collalbo, in Notizie scavi, 1928; H. M. R. Leopold, La sede originaria dei terramaricoli, in Bull. di paletnol. italiana, LXIX (1929); id., Le sale del Museo preistorico "L. Pigorini" contenenti oggetti di palafitte e di terramare della Valle Padana, ibid., L-LI (1931); R. Munro, Palaeolitic Man and Terramara-Settlement in Europe, Edimburgo 1912; G. Patroni, La stazione all'aperto di Cella Dati presso Cremona, in Bull. di paletnol. ital., XXXIV (1908); id., La stazione palustre di Campo Castellaro presso i Vho di Piadena, in Monumenti Lincei, XXIV; id., La terramara di Santa Caterina presso Cremona, in Rendiconti Istituto lombardo di scienze e lettere; LVIII (1925), fasc. 6-10; id., Il paese delle terremare nei rispetti delle inondazioni, in Historia, VI (1932); O. Montelius, La civilisation primitive en Italie, I, Stoccolma 1895 (tavole 1-10); U. Rellini, La civiltà enea in Italia, in Bollettino paletnologico italiano, LIII (1933); Rivista archeol. di Como.

Etnologia.

La maggiore frequenza attuale, o accertata modernamente, delle costruzioni su pali, sollevate dal suolo, s'incontra nella zona tropicale umida. Si è già detto a proposito dell'abitazione (v.) che la costruzione su pali si presenta in tale regione climatica, e soprattutto nell'area di diffusione delle forme tipiche maleo-melanesiane, anche nelle strutture più primitive: tettoie su piattaforma, ecc. È probabile pertanto che proprio in tale regione si debba vedere il centro d'origine sia delle capanne quadrangolari, sia delle abitazioni su palafitte. È chiaro inoltre che, sempre nella regione maleo-melanesiana, lo scopo essenziale della struttura su pali è d'evitare l'umidità del suolo e i danni delle acque dilavanti, e l'abitazione costruita sulle rive dei fiumi o del mare, con i pali confitti nell'acqua, è piuttosto l'eccezione che la regola. Sono eccezionali anche le capanne costruite su pali molto alti, nelle quali si può vedere aggiungersi uno scopo di difesa dagli animali e dagli uomini: infatti esse sono piuttosto frequenti nei gruppi a cultura più primitiva.

Nella casa melanesiana si distinguono due tipi di struttura: quello nel quale una capanna costituita da due spioventi è costruita sopra una piattaforma sorretta dai pali (stile "a barla") e quello nel quale i pali di sostegno salgono a formare l'intelaiatura verticale delle pareti della capanna. Dell'una e dell'altra forma ci sono esempî molto semplici, ma sembra che in complesso si possa considerare come più arcaica la prima, che è diffusa specialmente nella zona orientale della Melanesia. Omologa ad essa è anche la capanna rotonda o ovale su pali, della quale si trovano residui nell'Indonesia (Nicobare, Nias, Engano, Timor). Alcune strutture molto elementari dell'Australia settentrionale sono da attribuire invece a contatti melanesiani.

La zona maleo-melanesiana è la sola nella quale la struttura su pali sia applicata a tutte le costruzioni (abitazioni, magazzini, case degli "spiriti", ecc.) e a tutti gli stili e rappresenti una forma normale di architettura adattata a qualsiasi condizione topografica. Essa comprende una parte dell'Indocina, quella che presenta anche in altri oggetti le maggiori affinità indonesiane, ed è stata portata dai coloni indonesiani sino a Madagascar. Residui sporadici della casa maleo-melanesiana sono anche quelli sparsi nell'area polinesiana.

Nelle altre parti della zona tropicale le costruzioni del genere rispondono invece di regola a particolari condizioni topografiche: sono per lo più abitazioni di regioni soggette a inondazioni, o abitazioni rivierasche di pescatori. Raramente perciò sono diffuse su distretti ampî. Nell'Africa negra, per es., l'abitazione su pali è più spesso associata alle strutture cilindriche a tetto conico che non alle strutture quadrangolari e pare che lo stesso si possa dire per l'America tropicale. Certo si è che tanto nell'Africa quanto nell'America tropicale, nell'area principale di diffusione della capanna quadrangolare con tetto a spioventi, le palafitte sono del tutto eccezionali.

Una seconda serie di costruzioni su pali ci viene presentata dalla zona temperata umida settentrionale. Anche in questo caso l'elemento determinante della distribuzione sembra essere quello topografico, sia che si tratti di case di pescatori (palheiros del Portogallo, vecchie case della costa norvegese, capanne di pescatori della costa NO. dell'America), sia invece che si abbia a che fare con zone soggette a inondazioni o a un intenso disgelo (capanne estive dei Ghiliaki e dei Camciadali nell'Asia nord-orientale). In varî territorî europei e asiatici le strutture su pali, o comunque sollevate dal suolo, sono molto usate per i granai, i fienili o i magazzini di provviste. Anche in questo caso è difficile dire quanto tali forme possano rappresentare, come è stato detto da qualche autore, i residui di antiche abitazioni su palafitte. Parrebbe, per ragioni intuitive, di poter concludere piuttosto per una loro origine indipendente. I magazzini ostiachi o quelli degli Ainu non hanno, per es., alcuna relazione stilistica con le capanne su pali del Camciatca o dell'Amur. Ma non è forse senza significato il fatto che alcuni dei territorî di attuale diffusione di queste forme sono quelli, o sono prossimi a quelli, per i quali sono segnalati i villaggi storici o preistorici su palafitte (Alpi, Bosnia, Caucaso). E in qualche caso c'è in essi effettivamente la sporadica persistenza della costruzione su pali usata, almeno in certe circostanze o stagioni, anche come abitazione. I granai su pali sono comuni pure nell'Africa negra, dove anzi mancano soltanto nei casi in cui il granaio è collocato su una piattaforma costruita entro la capanna, e se ne è pure osservata una piccola zona di diffusione nell'America Meridionale, dove però la loro origine è con ogni probabilità postcolombiana.

Concludendo, il fattore climatico e topografico pare che abbia una parte preponderante nel determinare la diffusione delle costruzioni su pali, per abitazione o per la custodia delle provviste. Perciò è di regola anche l'adattamento di tale particolare costruttivo allo stile architettonico prevalente nelle varie regioni, l'adattamento, per es., alla capanna a cupola, o conica o d'altra forma. Una regione della zona tropicale, che va dall'Indocina alla Melanesia, ha sviluppato peraltro il tipo su pali come forma esclusiva e generale e anche la sua applicazione alle abitazioni su pali confitti sott'acqua (palafitte in senso proprio). Né è da escludere che l'influsso diretto delle costruzioni maleo-melanesiane possa esser giunto anche nell'Africa e nell'America tropicale, sebbene manchino di ciò indizî sufficientemente probativi. Più probabile, per il concorso di evidenze basate su altri elementi culturali, sono le connessioni fra l'area maleo-melanesiana e la diffusione della cosiddetta civiltà lacustre dell'Europa preistorica.

Bibl.: J. Lehmann, Die Pfahlbauten der Gegenwart, in Mitt. der anthrop. Gesells., XXXIV, Vienna 1904; L. Scherman, Wohnhaustypen in Birma und Assam, in Archiv für Anthropologie, n. s., XIV, Brunswick 1915.

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