PALERMO

Enciclopedia Italiana (1935)

PALERMO (A. T., 27-28-29)

Vincenzo EPIFANIO
Gaetano Mario COLUMBA
Ernesto PONTIERI
Luigi BIAGI
Eugenio ROSSI
Giuseppe CARLOTTI
Tammaro DE MARINIS
Pietro SGADARI di LO MONACO
Adelmo DAMERINI

Città della Sicilia. Il nome ch'essa porta è di schietta origine greca, Πάνορμος, e significa "tutto porto": esso, più che dall'aspetto topografico attuale, è giustificato da quello antico della città, quando il mare penetrava profondamente nella parte più bassa del piano, su cui in seguito è venuto estendendosi l'abitato.

Posizione. - Palermo si trova a 38°6′44′′ lat. N. e a 13°11′58″ long. E. nell'estremo lembo nord-orientale della Conca d'Oro, in una plaga prevalentemente piana, che, con dolce declivio, scende al mare. Occupa la parte più interna dell'arco formato dall'ampia insenatura che è racchiusa tra il M. Pellegrino e il Catalfano - cioè il Golfo di Palermo - con uno sviluppo costiero, nei limiti dell'abitato, di oltre 10 km. Dentro l'ultima cinta la città si stende serrata, in forma quasi rettangolare, da Porta Nuova a Porta Felice, sul mare, e da Porta Maqueda a Porta S. Antonino, coprendo gl'incavi di due grossi torrenti. Questa parte più densa ricopre anche alcuni rilievi di poco conto, sul più importante dei quali s'innalza il palazzo reale (37 m. s. m.). Ma, al difuori della ricordata ultima cerchia, la città sale quasi in ogni direzione; l'abitato si mantiene più fitto verso settentrione, dove presto raggiunge, oltrepassato il grosso e pericoloso torrente di Passo di Rigano, il M. Pellegrino, girandogli intorno per un buon tratto non solo dal lato del mare, ma anche dalla parte opposta, nella quale raggiunge il folto nucleo di San Lorenzo, e quindi si dirada verso la Piana dei Colli. La città ora si prolunga anche, con lunghi e folti rami, verso O. e SO., in direzione di Baida, Boccadifalco, la Rocca, nuclei minori che si allungano alle falde nord-orientali del M. Caputo.

Ma a S. e a SE., raggiunto e superato il fiume Oreto, si spiega in tratti più radi verso altri aggruppamenti, come la Guadagna, Torrelunga, Brancaccio, fino quasi alle falde del M. Grifone, ben visibile nella direzione della grande arteria che per poco meno di 6 km. corre dirittamente dalle rive dell'Oreto alla Piazza che ora ricorda Vittorio Veneto, cioè quasi alle falde del Pellegrino, tagliando ad angolo retto, ai Quattro Canti, l'altra grande arteria che dal mare, dopo oltre 6 km., raggiunge, anch'essa in linea diritta, il M. Caputo, ai piedi di Monreale.

Clima. - Palermo mostra le caratteristiche di un clima prettamente mediterraneo: variabile, ma in genere temperato. È il gennaio di regola il mese delle più alte pressioni: dal gennaio all'aprile, oltre che nei due ultimi mesi dell'anno, la pressione è più variabile; più uniforme nei mesi estivi, dal giugno al settembre. Nei mesi d'inverno e ancora nell'aprile si ha il periodo delle maggiori burrasche: la maggiore tranquillita si verifica tra il maggio e il novembre. A Palermo, non ben riparata dai monti in alcun lato, spirano tutti i venti, ma in particolare, con una certa costanza, di giorno quelli del 1° quadrante (NE. ed ENE.), di notte quelli del 3° (SO. e OSO.) dalla primavera all'autunno e anche nell'inverno, durante il bel tempo. I venti irregolari del 2° e specie quelli del 4° quadrante sono talvolta accompagnati da forti burrasche. Lo scirocco, spirante da SE., con la sua alta temperatura, con i suoi tre giorni di durata, col suo fermo e denso nebbione e col pulviscolo atmosferico, che nuoce anche alla respirazione, è assai raro; meno raro è un vento di SSO., che lascia il cielo sereno ed è più caldo assai, ma più breve, e che impropriamente è detto anch'esso scirocco. Ma nulla hanno a che vedere queste altissime temperature di eccezione con quella normale, che è mite. La media annuale è poco più di 17°, con un massimo alquanto superiore a 30° e un minimo di poco inferiore a 4°. Rara la neve, meno rara la grandine in autunno e in inverno; rarissima la nebbia. La media annua di pioggia, dedotta da varî decenni di osservazione, è di poco meno di 750 mm., con un massimo in inverno di circa 300 e un minimo in estate intorno a 30 mm. E il numero dei giorni di precipitazioni è in media di poco superiore a 110; intorno a 100 sono i giorni sereni. Sono però questi elementi molto variabili del clima, al pari e più dell'umidità dell'aria, maggiore nei mesi invernali (74 circa), ma notevole anche d'estate (63 circa) per i vapori spinti nella Piana di Palermo dalla brezza marina: la media annua è intorno a 68.

Sviluppo topografico e aspetto attuale. - L'antica Panormo ebbe origine e si sviluppò in principio sopra una collina, di forma pressoché ellittica, lunga poco più di 1 km. e larga circa 500 metri, ben rilevata tra il mare - che penetrava, come si è detto, nella terra assai più che ora non si veda, toccandola dalla parte più ristretta rivolta a NE. - e i larghi solchi dei due torrenti che la fiancheggiavano e finivano nell'accennata rientranza. La città nel suo primo nucleo, a SO., fu cinta di mura. In seguito le abitazioni si estesero sul pendio della collina verso il mare, sicché Panormo rimase formata di due città, la vecchia, alta, e la nuova o esterna, più bassa. Anche la città nuova venne munita di mura, le quali formarono un'unica cinta con quelle della vecchia, e le due città erano internamente divise da un tratto delle mura antiche. Il nucleo più antico è ora quasi per intero occupato dal palazzo reale, dalla caserma Calatafimi, dal palazzo arcivescovile e dalla Piazza della Vittoria, col giardino Bonanno, mentre la parte nuova era divisa da una via diritta (detta più tardi Via Marmorea), leggermente obliqua rispetto all'attuale Corso V. Emanuele, la quale giungeva alla porta che si apriva sul mare presso l'incontro con l'attuale Via Roma. Tale estensione dovette avere Panormo fino all'età bizantina: ma nell'età arabo-normanna traboccò fuori dalle vecchie mura, specialmente verso N. e verso SE. Al Cassaro (al-Qaṣr), nome dato dai Musulmani alla parte antica e ora ristretto alla via principale che la taglia in tutta la sua lunghezza, si aggiunsero la Kalsa (al-Khāliṣah), che costituì ad E. la città esterna o nuova, murata anch'essa, e altri quartieri esterni e borghi al di là dei due grossi torrenti, l'uno a SE. detto del Maltempo, l'altro, a NO., del Papireto; sicché già "coronata di sobborghi o meglio forti e superbe città" la disse un viaggiatore, che la vide intorno all'878. I nuovi borghi erano già quartieri bene costituiti nell'età normanna (sec. XI e XII). Cinque se ne contavano dalla fine del sec. XIII, compreso il Cassaro, e un nuovo muro li chiudeva tutti dalla Kalsa alla Cala (la rientranza con l'antico porto) passando all'altezza dell'attuale Piazza del Massimo (P. Verdi). Uno dei quartieri, detto prima Amalfitania e poi della Loggia, era sorto tra il Cassaro e il tratto più interno di quel porto, ormai prosciugato, e vi avevano fondachi e mercati non solo gli Amalfitani, ma anche i Pisani, i Veneziani, i Genovesi.

Nel periodo aragonese si manifestò la necessità di rafforzare le mura che erano state danneggiate dagli Angioini e di chiudere la città con un altro muro anche dalla parte del mare. Questa sulla fine del sec. XV aveva un circuito di circa 7 km. (6700 m.). Terrapieni e bastioni più adatti a difenderla dal pericolo barbaresco furono aggiunti nell'età spagnola e ancora in parte si conservano. Già scomparse in quel tempo le mura della Kalsa, si andavano demolendo quelle del Cassaro: si prolungava da questo sino al mare la Via Marmorea, che poi divenne, con qualche modificazione, la Via Toledo; e un'altra grande via - la Via Nuova o Maqueda - tagliando la prima perpendicolarmente nella piccola ed elegante Piazza Vigliena (i Quattro Canti), centro allora della città, divideva questa in quattro grandi parti. Fu quello un periodo di notevole attività edilizia: si costruirono magnifici palazzi e si cercò di abbellire l'interno della città secondo il gusto dell'epoca. Chiese e palazzi sorsero anche nei secoli XVII e XVIII, dando alla città con la policromia e la ricchezza dei marmi, proprie dell'architettura barocca, quell'impronta che essa ancora conserva nelle parti più caratteristiche. Dopo un primo accenno di sviluppo fuori le mura in varî punti, ma specialmente verso SO., in direzione di Monreale, nell'età borbonica, la città cominciò veramente ad ampliarsi verso N. e NE. dopo il 1860. Essa, che nella superficie fabbricata aveva allora un'estensione di circa 4 kmq., fu divisa in quattro mandamenti interni, corrispondenti alle quattro grandi parti accennate (Tribunali, Palazzo Reale, Monte di Pietà e Castellammare) e, mentre strade ed edifizî si rimodernavano all'interno, e al risanamento dell'abitato si dava più grande impulso (sino dal 1821 era stato demolito il sudicio rione della Conceria, nel quartiere della Loggia), si costruivano o rinnovavano le strade di comunicazione con le borgate vicine.

Il primo piano regolatore, approvato insieme con un complesso di opere di risanamento e di allargamento, dava la spinta al sorgere di nuovi rioni sempre verso N., oltre il Teatro Massimo e quindi oltre il politeama Garibaldi, compiuti l'uno nel 1897 e l'altro nel 1874. In quella direzione la città si orientò risolutamente dal tempo in cui la grande Esposizione Nazionale (1892) diede vita a tutta una vasta contrada, nella quale sorsero i rioni più belli ed eleganti, e segnatamente quello che prende nome dalla Via della Libertà.

Quasi nello stesso tempo, e precisamente nel 1896, fu compiuto l'acquedotto di Scillato, che diede ottima acqua potabile a tutta la città. Altri nuovi rioni dalle strade ampie e decorose, se non eleganti, erano sorti prima e andavano sorgendo, con la demolizione di vecchie porte e di lunghi tratti di vecchie mura, verso O., nella regione del Papireto risanata, e quindi verso SE., in altra regione pure risanata, per la quale la città, col suo denso abitato, s'avvicinava sempre più alle rive dell'Oreto; sicché, alla vigilia della guerra mondiale (1914), essa aveva quasi raggiunto la superficie di 6 kmq. nei rioni interni e più del doppio con gli esterni. Fu ripresa l'attività edilizia dopo la guerra mondiale, all'interno principalmente nei rioni che fiancheggiano la nuova grande arteria - Via Roma - quasi parallela alla Via Maqueda, e all'esterno pressoché in ogni direzione, ma specialmente nell'ultima parte della Via della Libertà, dove nuovi rioni sorgono a formare la "città-giardino" del Littorio; distendendosi più in là, verso le borgate adiacenti al parco reale della Favorita, Palermo tende a congiungersi con l'altra città ancora più elegante, sorta recentemente a NO. del M. Pellegrino, sulla piana - compiutamente risanata - e sul lido di Mondello, una delle più belle spiagge d'Italia.

Chi ora s'aggira nella vecchia Palermo trova ancora piazze non grandi, ma belle, come le venne foggiando il gusto dal Cinquecento in poi. Ma, a prescindere dai monumenti, il vecchio più caratteristico nel cuore di essa va scomparendo, e molto ne è scomparso con le recenti demolizioni. Gli edifizî raramente vanno oltre il primo e il secondo piano anche nella parte moderna più bella tra il rione del Massimo e la Via della Libertà; ma nelle strade di nuova eostruzione si cominciano a vedere, anche a Palermo, edifizî molto alti. Essa ha molte vie e piazze alberate, belle fontane, molti giardini pubblici dalla flora esuberante: ricordiamo il Foro Umberto I, con l'incantevole passeggiata sul mare, la Piazza Marina col Giardino Garibaldi, Le Piazze Verdi e Castelnuovo, con lo sfondo dei due ricordati teatri, la Villa Bonanno con lo sfondo del palazzo reale e con quello del mare, la Villa Giulia - che incantò il Goethe - il Giardino Inglese e la Favorita, i quali sono tra i più noti. Ma l'odore di zagara che inonda la città per alcuni mesi, anche nei rioni più interni, viene dai giardini che sono in questa parte più bassa della Conca d'Oro e che, col colore cupo delle foglie sempre verdi, costituiscono intorno alla città la caratteristica del paesaggio. E anche qui sono giardini e ville private di grande fama, come la Villa d'Aumale-Orléans, la Villa Tasca, la Villa Florio, la Villa Igea.

Sviluppo demografico. - Intorno a 30.000 ab. dovette avere la città nell'età romana e forse anche per una parte dell'età bizantina. Al meraviglioso sviluppo preso sotto la dominazione musulmana corrisponde un aumento considerevole della popolazione; ma difficilmente questa, secondo i migliori calcoli, poté ascendere ad oltre 100.000 ab. dentro le mura (con altrettanti forse nei dintorni, ricchi di borghi e di mercati), certo non arrivò mai a 300.000, come si scriveva spesso in passato, secondo vecchi computi. Sotto i Normanni, nonostante l'importanza politica ed economica di Palermo, la popolazione tendeva a diminuire, e si ridusse a circa 100.000 abitanti nell'età sveva, così come nel principio dell'età aragonese. Nel più triste periodo di quest'età (sec. XIV), per le guerre esterne e le interne, Palermo si spopolò in guisa da far ritenere assai vicini al vero i 30.000 ab. che le si dànno per quel tempo, saliti a più di 40.000 nell'ultimo periodo aragonese (sec. XV). Da oltre 48.000 nel primo decennio del sec. XVI, quando appaiono i primi dati della natalità e della mortalità, si giunge a poco più di 100.000 nell'ultimo decennio, per la maggiore tranquillità e il maggiore sviluppo del traffico e della vita commerciale. Scarso nel secolo seguente l'incremento della popolazione; più notevole nel XVIII, alla fine del quale essa, secondo i calcoli più recenti, s'avvicinava ai 200.000 ab.; cifra non corrispondente a quelle ottenute dai parroci nelle due numerazioni di anime del 1774 (ab. 220.000) e del 1798 (abitanti 148.138), le quali si dimostrano errate per il loro stesso contrasto.

I primi anni del sec. XIX sono caratterizzati da un'eccessiva mortalità (natalità media annua fino al 1807: 5963; mortalità: 6285); una debole eccedenza si ebbe in media sino al 1818. Dal 1815 al 1830 la popolazione superò di poco, e solo in alcuni anni, la cifra di 210.000 ab. Nonostante la media annua di natalità di 6413, motivi di spopolamento furono allora la notevole mortalità e la forte emigrazione interna, nell'isola, per il nuovo ordinamento dello stato, ed esterna, per le turbolenze politiche. Dal '31 al '47 la situazione non è notevolmente diversa, anche per varie epidemie (tifo, 1831 e 1833; colera, 1837): tuttavia, per errori allora commessi, si ritenne inferiore al vero la popolazione di 173.478 ab. del cosiddetto censimento del 1831. Infine nel periodo 1848-1860 l'eccedenza quasi costante, tolto l'anno del colera (1854), fu spesso superiore ai 2000 abitanti.

Nel primo censimento fatto dopo l'unità (1861) gli abitanti furono 194.463 ed erano cresciuti di oltre 50.000 vent'anni dopo (1881: 244.991, dei quali nella città 205.712), e ancora dopo mezzo secolo (1931) se ne contarono 389.699, di cui nella città 301.166. Delle sezioni interne, in cui vediamo raccolta la popolazione di questa, le più densamente popolate sono Palazzo Reale, Monte di Pietà, Tribunali, Castellammare, Molo e Zisa, meno la Cuba e meno ancora quella che prende nome dall'Oreto. Considerando le frazioni esterne, troviamo nuclei superiori a 10.000 ab. a Uditore, ai Settecannoli, a Resuttana-San Lorenzo, nuclei superiori a 8000 abitanti a Brancaccio, alle Falde-Acquasanta, a Mezzomonreale; e poi uno superiore a 6000, Villagrazia; due superiori a 4000, Altarello di Baida e Tommaso Natale; nuclei ancora minori abbiamo in Pallavicino, in Partanna-Mondello e nei nuovi piccoli centri di recente tolti ai territorî di Monreale (Rocca e Boccadifalco) e di Torretta (Sferracavallo).

I matrimonî negli ultimi anni si sono aggirati intorno a una media annua di 2400, con un massimo nel 1930 (2681) e un minimo nel 1927 (2260).

Nel 1932 furono 2278, cioè 5,8 per 1000 abitanti, e sono cifre basse anche in relazione con quelle delle altre grandi città e anche del Regno (6,4). Più confortante è invece la natalità: i nati vivi furono 10.457 nel '32, cioè 26,7 per 1000 ab., cifra quasi uguale a quella di Napoli (26,3), superiore per Palermo alla media degli ultimi anni (24, 16), più alta ancora di quella delle altre principali città, meno Bari e Catania, e a quella stessa del regno (23,8). Nel '32 i morti furono 6748 (17,2 per 1000), cifra relativamente alta, non solo rispetto alle altre principali città, meno Napoli (18,3), e al regno (14,7) per quell'anno, ma a Palermo stessa per i precedenti, meno il '31 (eccedenza 3709). Nel '32 gli emigrati furono 3925 e gl'immigrati 5467, con un'eccedenza di 1542; sicché l'incremento complessivo fu di 5251 ab. I dati del '33 segnano un miglioramento generale rispetto all'anno precedente: 2303 matrimonî, 10.824 nati vivi; 6023 morti; 5705 emigrati; 8436 immigrati.

Ecco ora i dati dell'anno 1934: matrimonî 2919; nati vivi 10.696; morti 6269; emigrati 6748; immigrati 7946. La popolazione calcolata al 10 gennaio 1934 risultava di 402.894 ab., al 1° gennaio 1935 di 407.838.

Igiene, istruzione, assistenza e beneficenza. - La diminuzione della mortalità, pur contenuta in limiti modesti e con notevoli oscillazioni, è in gran parte dovuta alle migliorate condizioni igieniche della città. Al risanamento edilizio s'accompagna nel popolo una maggiore consapevolezza col diffondersi dell'istruzione (nel 1921 il 26,3% di analfabeti, nel 1931 il 23,1%), mentre più rapida e più vigile è l'assistenza sanitaria, che prima si andava diradando a mano a mano che si procedeva dal centro della città verso le borgate; e più accurati sono ora i servizî di profilassi, congiunti con una maggiore vigilanza igienica nelle scuole. Diminuiscono gli effetti letali delle malattie infettive, e più apertamente quelli della tubercolosi, che, mentre nel 1928 aveva dato 66,4 morti su 100 di malattie infettive, ne diede 62,9 nel 1932. L'istituto antirabbico della città accoglie anche coloro che richiedono le sue cure da ogni parte della Sicilia. Maggiore è stato negli ultimi anni il numero dei malati poveri accolti negli ospedali della città, che ricovera in numerosi istituti di beneficenza orfani e inabili d'ambo i sessi, mentre il comune mantiene refettorî per vecchi e inabili al lavoro e dormitoi pubblici per i poveri senza tetto, integrando l'opera di assistenza delle varie istituzioni del regime, riducendo e quasi eliminando l'accattonaggio.

Sviluppo e condizioni attuali della vita economica. - Ragioni commerciali principalmente dovettero far sorgere questo antichissimo stabilimento fenicio o greco. Ma assai poco si può dire del grado della sua prosperità anche per il periodo meno antico, come il romano. E si può ritenere che nell'età bizantina partecipasse a quella decadenza economica in cui si ridusse allora la Sicilia. La floridezza incomincia, per la città e la conca in cui giace, con la dominazione dei Musulmani, che dedicarono le loro cure più assidue all'agricoltura. La prosperità economica caratterizza pure l'età normanna, quando, a dire di un contemporaneo, a Palermo si potevano credere adunate tutte le ricchezze e le magnificenze del mondo. Difatti Palermo era allora in relazioni commerciali con le città marinare d'Italia e con tutti i porti dell'Africa mediterranea e dell'Oriente europeo; e i suoi mercati erano frequentati dalle genti più diverse. Attivo il commercio anche sotto gli Svevi, specialmente quello del grano, delle frutta e della seta. Le guerre esterne e le lotte interne, che travagliarono l'isola nell'età angioina e aragonese, determinarono anche per Palermo un lungo periodo di decadenza economica, che si accentuò in seguito per lo sfruttamento a cui il paese fu sottoposto dalla Spagna. Sopravvenuta l'economia moderna, coi suoi nuovi bisogni, coi suoi nuovi orizzonti, coi suoi nuovi sistemi, Palermo, per le condizioni generali dell'isola, è andata incontro ai nuovi tempi con un ritmo più lento che altrove nell'Italia continentale. Come Messina e Catania rispecchiano le condizioni economiche della Sicilia orientale, così Palermo dirige il movimento finanziario e ogni attività economica della Sicilia occidentale e di gran parte della centrale, attirando, smaltendo ed esportando i principali prodotti, che spesso assoggetta a trasformazioni industriali. Le crisi frequenti nei suoi due principali prodotti agricoli, gli agrumi e il vino, hanno peggiorato le condizioni del mercato.

Industrie caratteristiche sono la fabbricazione di mobili artistici, con case che hanno acquistato una rinomanza nazionale, la costruzione di letti in ottone, rame e ferro, la lavorazione del vetro, la macinazione del sommacco, la produzione delle paste e delle conserve alimentari, la trasformazione dei prodotti della pesca, specie del tonno. Varie centrali idroelettriche e termoelettriche sono in esercizio a Palermo; assai promettenti sono alcune industrie chimiche. Gli agrumi sono la base di varie industrie. Si estraggono e si esportano le essenze, l'agro crudo e cotto; ed è notevole anche la produzione di citrato di calcio e di acido citrico. Ma gli agrumi anche vengono e più venivano esportati freschi. Tale commercio, fonte precipua di ricchezza, decadde col chiudersi quasi dello sbocco americano. L'esportazione dei prodotti di Palermo, e di quelli dell'isola, che fanno capo a questa città, avviene principalmente per mare: da ciò l'importanza del porto di Palermo, che per il movimento è il primo della Sicilia.

Porto e aeroporto. - L'antico porto, aprendosi a NE. della città in una grande e profonda insenatura, della quale l'odierna Cala è un avanzo, si addentrava circa il doppio di questa in lunghezza, da un lato nella bassura della Piazza Nuova (ora soggetta a una profonda trasformazione) sino dove questa s'accostava alla Via Maqueda, e dall'altro giungeva sino alla bassura dei rioni di Lattarini e Piazza della Borsa. La parte più interna si colmò lentamente per l'azione ordinaria dei due ricordati torrenti e per le non rare alluvioni; tuttavia il porto era ancora vicinissimo alle mura di NE. della città (presso la moderna Via Roma), nell'età bizantina. Continuando l'interramento, nell'età arabo-normanna poté sorgere tra le mura anzidette e il porto il ricordato quartiere dell'Amalfitania. Ma solo tra la fine del sec. XIV e il XV il porto si ridusse nei limiti dell'odierna Cala; porto ormai insufficiente e per giunta non ben riparato sino al 1445, quando fu costruito, nell'estrema parte sud-orientale di esso, il primo tratto di molo. Il porto attuale, fuori della Cala, si cominciò nel 1567 con la costruzione del grande molo, lungo 470 m. quasi in direzione NS.: richiese 23 anni di lavoro e per il comune una spesa, con le riparazioni del sec. XVII, di più di 30 milioni. La conca difesa da esso, utile ai bastimenti di allora, apparve insufficiente ai bisogni di un porto moderno. Ma ai lavori necessarî si poté attendere solo dopo il 1860: si allungò il molo settentrionale e se ne costruì un altro - l'Antemurale - a S., allineato col precedente, perché difendesse il bacino della Cala. Ma i due bacini erano ugualmente molestati, attraverso l'ampia bocca (più di mezzo km.), dai venti di E., NE. e SE. Tra il 1871 e il 1883 fu costruito dalla società di navigazione Florio uno scalo di alaggio per i suoi piroscafi, accresciuti di numero (Palermo era sede di compartimento); fu meglio scavato il bacino settentrionale e allungato quel molo, e così ridotta a 420 m. la bocca del porto, che per il commercio e l'emigrazione verso l'America era già uno dei più ricchi di movimento tra quelli del Mediterraneo. Nuovi grandi lavori furono perciò disposti e gradatamente attuati, specie nella parte settentrionale: scali, calate, banchine, luoghi di disinfezione, un importante bacino di carenaggio, coi servizî più moderni, capannoni distinti per merci nazionali ed estere, lunghe diramazioni di binarî, che allargavano la stazione marittima, e finalmente il cantiere navale, opera che si può dire grandiosa. Un consorzio portuale, sorto dopo il 1920, ha affrontato altri problemi: la molesta apertura verso oriente, la difficoltà d'approdo delle più grandi navi moderne, la sistemazione del bacino meridionale davanti al forte di Castellammare. Ha già fatto nuovi e profondi scavi, e dal fondo di più di 30 m. ha fatto sorgere una diga foranea a 300 m. dal molo settentrionale, ha pure demolito il vecchio forte ricordato per dare sfogo ai servizî del cosiddetto Molo trapezoidale.

Intorno a 9000 navi in media all'anno arrivarono e partirono da questo porto dal 1926 al 1928, con un massimo nel 1927: 9535. Nel 1930 la discesa fu sensibile (5553) come l'aumento nel 1931 (10.653), seguito da altra diminuzione nel 1932 (8052). Per il tonnellaggio delle navi, da 5.910.969 di stazza netta (1926) si giunge a 6.781.000 (1932) con un massimo nel 1931 di 7.221.172 tonn.

Per il movimento delle merci, si ebbe un massimo nel 1927: tonnellate 798.171 (sbarcate 650,025; imbarcate 148.146) e un minimo nel 1932: tonnellate 536.000 (sbarcate 407.000; imbarcate 129.000) con graduale ma notevole discesa dal 1929. Gradualmente troviamo pure diminuiti dal 1926 al 1932 i viaggiatori in arrivo, da 109.172 a 74.798 e quelli in partenza da 112.806 a 64.371. Confortanti nell'insieme i dati più recenti del 1933: navi arrivate e partite in complesso 7268; stazza tonnellate 7.090.000; merci sbarcate tonnellate 464.000, imbarcate 151.000; viaggiatori arrivati 70.846, partiti 68.211. I dati relativi al 1934 sono: navi arrivate e partite 7510, stazza tonn. 7.840.000; merci sbarcate tonnellate 578.000, imbarcate 169.000.

In una sezione del porto, vicino a S. Lucia, è sistemato l'idroscalo, a cui fanno capo principalmente due linee regolari di navigazione aerea, la Roma-Napoli-Palermo e la Palermo-Tunisi. Nel 1933 arrivarono e partirono 799 apparecchi, con 3760 passeggeri e 23.265 kg. di posta. L'aeroporto è presso la borgata di Boccadifalco, alle falde del M. Caputo; e il comune lo ha collegato alla città con un bel rettifilo dalla Via Pindemonte.

Amministrazione civica. - Il bilancio di Palermo per il 1933 ha presentato un'entrata complessiva di circa 160 milioni. L'amministrazione ha fatto grandi sforzi per riportarlo al pareggio (era in disavanzo dal 1925) e per dargli un assestamento radicale: ha inoltre dato un migliore assetto alle entrate patrimoniali. Il patrimonio comunale ammonta a L. 110.912.035. Di questa somma poco più della metà (68 milioni) va attribuita ai teatri posseduti dal comune; il resto si riferisce a edifizi, terreni sul M. Pellegrino e altri immobili; ma si sono notevolmente ridotti i redditi di tale patrimonio per l'aggravarsi delle condizioni del mercato delle locazioni. La stessa azienda del gas, che dipende dal comune, ha visto gradualmente e notevolmente ridotto il consumo pubblico e privato (da mc. 33 per abitante, nel 1930, a mc. 24,6 nel 1932, mentre alla diminuzione di consumo nell'uso privato dell'energia elettrica (da kWh. 7.804.701 a 6.878.750) fa riscontro un notevole aumento nell'uso pubblico per i nuovi e moderni impianti nell'illuminazione stradale (da kWh. 855.310 a 2.133.930).

Il comune. - Secondo i dati dell'ultimo censimento, la superficie del comune è di kmq. 158,60, di cui la città, con gli ultimi ampliamenti, occupa a un dipresso la decima parte: si noti però che il vario e vasto complesso poleografico, che dalla città prende nome, tende a occupare tutta la parte piana e bassa della Conca d'Oro, distendendosi quasi da ogni lato lungo le principali arterie che dal centro e dalla periferia del vecchio abitato raggiungono le falde del rilievo circostante. Il territorio del comune, quantunque prevalentemente piano, pure comprende per intero, verso N. e NO., due rilievi ben distinti e isolati tra il piano e il mare - il M. Pellegrino (m. 600) e il M. Gallo (m. 574) - e rilievì più bassi là dove esso confina coi territorî di Torretta, Monreale, Altofonte (Parco) e Belmonte Mezzagno: solo a SE. ; ncontra in piano il territorio di Villabate. Ma due cime principalmente si distinguono dalle altre nei dintorni di Palermo, dominandola in guisa da costituire, oltre al Pellegrino, due elementi caratteristici del suo paesaggio; il M. Cuccio a occidente (m. 1051) e il M. Grifone quasi a mezzogiorno (m. 777).

Steso così il comune nel piano e nella parte più fertile della Conca d'Oro, non ha sentito effettivamente il bisogno d'allargarsi sui monti e oltre i monti che chiudono questa conca, e si è limitato a chiedere ed ha ottenuto qualche zona di territorî vicini, che non gli fanno perdere il suo carattere.

Con r. decreto del 28 marzo 1929 Palermo ha avuto, oltre a Sferracavallo, che apparteneva al comune della Torretta, il tratto del territorio di Monreale comprendente, con le frazioni di Boccadifalco e della Rocca, le pendici nord-orientali del M. Caputo, in cui si sviluppa la strada panoramica che conduce a Monreale e che offre sulla massima parte della Conca d'Oro una vista più ampia di quella che si gode dalle strade che costeggiano il rilievo meridionale e anche dalla più recente che arditamente serpeggia sul fianco ripido del Pellegrino rivolto alla città. La quale mostra di prediligere il piano e le basse colline nella scelta dei luoghi per i suoi parchi, i suoi giardini, i suoi piccoli centri di cura o di svago. A N., infatti, con le sue ville s'arresta alle falde del Pellegrino (il tentativo di salirvi non è riuscito), mentre un po' più a NO. si spinge con esse, per altri 8 km., oltre Resuttana, San Lorenzo, la Piana dei Colli fino a Mondello e a Sferracavallo. Da qualche anno si è volta anche verso il confine occidentale del comune, a Baida; meno signorile, ma non meno importante, dal punto di vista demografico, è lo sviluppo verso S. e SE., tra il fiume Oreto e le pendici del M. Grifone.

Più di 40 milioni ha speso il comune ultimamente per migliorare la viabilità, oltre che nel centro, in ogni direzione del suo territorio, e segnatamente in quei dintorni verso cui tende, con maggiore frequenza, il turismo.

Con le strade nuove o rinnovate è cresciuta la cura per i servizî di trasporto: sono rimodernate anche le vecchie linee tramviarie, che congiungono le frazioni del comune alla città, e integrate nei luoghi più adatti da numerose linee automobilistiche; e luoghi ricercatissimi, ma relativamente lontani, come per esempio Mondello, sono stati avvicinati anche con servizî di lusso. In questo campo l'opera del comune è associata a quella dell'Azienda autonoma del turismo, creata con decreto del 9 settembre 1931, alla quale si devono le più belle iniziative atte ad accrescere il movimento dei forestieri.

Storia. - L'antica Panormo ebbe origine fenicia, e fu una delle tre città in cui i Fenici si sostennero dopo l'immigrazione greca. Il nome con cui divenne nota fu dovuto ai marinai greci, che designarono il luogo dalla comodità dell'approdo. Il nome fenicio non ci è noto; ma poiché un'antica moneta porta da un lato il nome greco della città, dall'altro la parola zīz "fiore", si è supposto che il nome fenicio sia questo. Per la forte posizione e l'ampiezza e comodità del porto, Panormo divenne la base militare dei Cartaginesi in Sicilia, nelle guerre contro i Greci.

Nel porto di Panormo si raccolsero le armate puniche nel 480, nel 406 e nel 391. Nel 408 il siracusano Ermocrate sbaragliò le milizie di questa città, ma non osò assalirla. Essa rimase inespugnabile ai Greci sino a Pirro, che riuscì a occuparla, ma per breve tempo, nel 276. Nel corso della prima guerra punica, una flotta romana, comandata da A. Atilio Calatino e da Cn. Cornelio, entrò nel porto di Panormo e investì la città, che fu circondata anche da parte di terra. Aperta una breccia nella torre che dava sul mare, i Romani invasero la città nuova, mentre i cittadini cercavano rifugio nella vecchia.

Ma non erano in grado di sostenere un lungo assedio, e si arresero: 14.000 di essi riscattarono la loro libertà mediante un pagamento; 13.000 furono venduti schiavi (254-3). Panormo fu da quel tempo definitivamente perduta per i Cartaginesi. Nel 250 Asdrubale tentò di ricuperarla di sorpresa, e si avanzò sotto le mura della città con un esercito rafforzato da elefanti da guerra. Ma Cecilio Metello, che la presidiava, gl'inflisse una sconfitta che rimase celebre; gli elefanti furono mandati a Roma, ad adornare il trionfo del vincitore (v. panormo). Pochi anni dopo, Amilcare Barca occupò il monte vicino a Panormo (vedi eircte) e vi si sostenne a lungo, minacciando la città da una parte, le coste d'Italia dall'altra. Ma i Romani fecero buona guardia, e dopo quattro anni Amilcare lasciò quella posizione e si portò sull'Erice.

Panormo aveva sentito sino dal sec. V l'influsso della civiltà greca, che dovette soprattutto farsi notare dopo la vittoria dei Greci a Imera (480). Già in quel secolo essa batté moneta con tipi e leggenda greci. I Romani ne fecero una città libera e immune. Sotto Augusto vi fu dedotta una colonia romana. Vi si parlava il greco, il latino e certo anche il punico. La città batté moneta di bronzo su sistema romano, fino dopo la morte di Augusto.

Panormus, ove già esisteva una diaspora giudaica, appare tra i primi vescovati siciliani. Assediarono e successivamente si impadronirono della città Genserico, Odoacre, Teodorico, Belisario, che nel 535 la restituiva all'impero bizantino e la presidiava, e nell'831 gli Arabi, che di Palermo (Balarm) fecero la capitale dell'emirato musulmano di Sicilia; un nuovo periodo storico incominciò allora per questa città, che assunse l'aspetto d'una delle più popolose, industri e magnifiche metropoli del mondo arabo, gareggiando con Cordova e con il Cairo.

Nel 1072 Ruggiero I d'Altavilla l'assoggettava al suo dominio; il figlio Ruggiero II, cingendo nel Natale del 1130 la corona regia nel duomo di Palermo, la consacrava capitale del regno siciliano; e nessuna città meglio di essa ne rispecchiò lo splendore e la potenza, sia sotto la dinastia normanna, sia sotto quella sveva. Il fasto della corte, il traffico che metteva a contatto gente di tutti i paesi del Mediterraneo, i meravigliosi giardini e le nuove colture introdotte dagli Arabi (palme da dattero, canna da zucchero, indaco, cotone) conferirono a Palermo la fisionomia d'una città quasi orientale. Federico II ne fece un cospicuo centro d'intellettualità, che ebbe il suo focolare nella corte: quivi convenivano trovatori e cavalieri, studiosi di filosofia e di scienza; e mentre vi si poetava in lingua volgare (scuola siciliana), si coltivavano altresì le scienze naturali, la matematica e la filosofia, con tendenze prevalentemente eclettiche.

L'avvento degli Angioini colpì Palermo, poiché gl'interessi politici fecero sì che il centro di gravitazione del regno si spostasse definitivamente sulla parte continentale di esso, e Napoli fosse scelta a nuova capitale. Contro tale minorazione e contro la "mala signoria" di Carlo I, Palermo insorse con la rivoluzione del Vespro (31 marzo 1282): si ordinò a comune, poi invocò la casa d'Aragona e le assicurò il dominio della Sicilia. Era in codesto episodio il germe della forza politica ch'essa avrebbe ulteriormente esercitato sulle sorti del regno.

Gli Aragonesi, nonostante trovassero in Catania la dimora preferita, arricchirono Palermo di privilegi, ma questa patì non poco per le guerre civili che lacerarono la Sicilia nel sec. XIV. In essa la "parzialità latina", che si atteggiava a vindice dell'indipendenza isolana, trovò la base della sua potenza, e ne sono testimonianza i magnifici monumenti nell'arte cosiddetta chiaramontana, dai Chiaramonte, la famiglia che capeggiò quella fazione e che in Palermo si creò una vera signoria.

La dominazione spagnola, se fu incurante delle infelici condizioni delle provincie e se fomentò, a ragion veduta, l'antagonismo fra Palermo e Messina, che ambiva al primato nell'isola, accordò molti favori alla vecchia capitale. Gli accresciuti privilegi le crearono una particolare posizione giuridica; aumentarono artificiosamente la popolazione e il fasto non solo per i numerosi edifici pubblici e privati, ma anche perché i monarchi spagnoli accrebbero il centralizzamento burocratico proprio del loro assolutismo e attirarono nella capitale, rendendolo cortigiano, il grosso potentissimo baronaggio; sicché Palermo, priva d'industrie e di traffici, visse a spese delle provincie.

Tuttavia il popolo palermitano conservò la congenita irrequietezza; irreggimentato in più di settanta corporazioni, rappresentò una forza bruta che non sempre i viceré poterono dominare; ed è rimasta memorabile, fra tutte, la sommossa capeggiata da Giuseppe d'Alessi, ch'ebbe colore sociale e politico insieme (15 agosto 1647).

Nessuna traccia lasciarono il dominio sabaudo (1713-18) e quello borbonico fino al 1799, ove non si vogliano ricordare i brevi soggiorni di Vittorio Amedeo II e di Carlo III di Borbone, che, giurando a Palermo la costituzione del regno, rinfocolarono la coscienza dell'indipendenza politica, sempre viva nel popolo palermitano, onde entusiasticamente esso accolse, nel 1799 e nel 1806, la corte borbonica, costretta dagli eventi a riparare in Sicilia. Palermo si sentì allora la capitale d'uno stato indipendente e credette di partecipare, attraverso i suoi ceti sociali altolocati, alla direzione del paese.

Ma la costituzione del 1812 imposta al Borbone, la soppressione di essa nel 1815 e la conseguente fine dell'autonomia siciliana, che riduceva Palermo alla condizione presso che di città di provincia senza più alcun rilievo, scavarono un solco profondo fra essa e i Borboni e il governo napoletano.

Fiere e violente furono la sommossa antinapoletana del 1820, la rivoluzione, temporaneamente vittoriosa, del 1848, quella del 1860: il 27 maggio di quest'anno Palermo accoglieva esultante Garibaldi, che penetrava fra le sue mura in seguito a un felice strattagemma tattico. Poco dopo, il 6 giugno, costringeva col suo eroico contegno il presidio borbonico a capitolare, e il 21 ottobre proclamava plebiscitariamente la sua annessione al regn0 sabaudo. Da allora la città ha realizzato in ogni campo della sua attività notevoli progressi, spirituali e materiali.

Arte. - Architettura. - Nulla avanza della Palermo fenicia; della romana si hanno resti di un'abitazione scoperti nel 1896 e nel 1905, con ricchi pavimenti a musaico in parte ancora in situ, in parte al museo. Dei primi tempi del cristianesimo rimangono alcune cripte sepolcrali a S. Michele Arcangelo e piccoli avanzi di catacombe a Porta d'Ossuna; niente della dominazione bizantina; di quella araba i ruderi del Castello a mare, ingrandito dai Normanni, alcune parti della Torre Pisana e di quella greca a palazzo reale, e gli avanzi d'una moschea addossati al lato di mezzogiorno della chiesa di S. Giovanni degli Eremiti.

Le chiese costruite dai Normanni mostrano una fusione di elementi bizantini, arabi e latini. Alle porte della città sorge la chiesetta di S. Giovanni dei Lebbrosi, la quale è probabilmente la più antica del periodo normanno, costruita verso il 1071 dal conte Ruggiero, in pianta longitudinale a tre navate con cupoletta sul transetto e tre absidi.

Del periodo di Ruggiero II rimangono: la cappella palatina, dentro il palazzo reale, con pianta risultante dall'innesto di tre navate longitudinali a un santuario cruciforme con cupola su nicchie e tre absidi, adornata di mirabili musaici per opera di maestranze bizantine, con figurazioni di scene bibliche, figure di santi e d'apostoli, coperta da un magnifico soffitto a stalattiti lignee di stile arabo, decorato di pitture.

E, inoltre, la chiesa di S. Giovanni degli Eremiti (1132) con pianta a T e tre cupole su cuffie nel braccio lungo e una cupola e una torre sui corti; la chiesa della Martorana edificata nel 1143 dall'ammiraglio di Ruggiero II Giorgio d'Antiochia, con pianta a croce greca inscritta in un quadrato perimetrale e cupola al centro. Anch'essa adorna di musaici e preceduta da una magnifica torre campanaria a varî piani, la quale in origine era sormontata da una cupola.

Di fronte è la chiesetta di S. Cataldo, già esistente nel 1161, anch'essa rettangolare, divisa all'interno in croce, con tre cupole.

Del 1150 la chiesa della Trinità della Magione fondata da Matteo d'Aiello, di pianta basilicale con tre navate e tre absidi; del 1187 è la più grandiosa "chiesa del Vespro" e infine del 1185 la cattedrale costruita dall'arcivescovo Walter Ophamill (Gualtiero Offamilio) sotto il regno di Guglielmo II. La cattedrale ha subito diversi rimaneggiamenti in varie epoche. In origine era di pianta basilicale a tre navate scompartite da fasci di quattro colonne, e tre absidi; parti della costruzione primitiva sono visibili all'esterno nella parete sud del fianco delle absidi, nella parte inferiore delle quattro torri situate agli angoli. La cripta è del periodo normanno. La facciata mostra forme del sec. XIV e XV, il portico sul fianco meridionale fu aggiunto nella seconda metà del sec. XV. La cupola fu innalzata alla fine del Settecento, nella malaugurata trasformazione dell'interno operata da F. Fuga. Del periodo normanno resta il palazzo reale, edificato sopra un più antico palazzo degli emiri. Il suo centro è occupato dalla cappella palatina che divideva gli ambienti privati del sovrano da quelli destinati a uffici e ad altri servizî. Nei primi sono situati la Torre Pisana e la "Joharia"; vi si ammirano la sala di Ruggiero con bei musaici, la stanza del tesoro con spartimenti architettonici di carattere arabo, la sala dei Venti, ecc.; nell'altra parte sono stati di recente messi in luce ambienti probabilmente destinati a prigioni di stato. Il castello della Favara nei dintorni di Palermo, dell'epoca di Ruggiero II serba ancora notevoli ambienti e una cappella triabsidata con cupola. La Zisa, costruita da Guglielmo I, e la Cuba edificata da Guglielmo II abbellivano l'immenso parco reale. La Zisa conserva in tutto l'aspetto di un edificio arabo, nell'esterno e nel vasto salone terreno con musaici e colonne di granito alle pareti e una fontana nel centro.

Per trovare monumenti importanti dopo quelli del periodo normanno, bisogna giungere fino al sec. XIV. Del 1302 è il portale restaurato della chiesa di S. Francesco; dei primi del Trecento l'altro meglio conservato della chiesa di S. Agostino: ambedue in forme miste di elementi elaborati nel periodo normanno e di elementi gotici. La stessa fusione si riscontra nei due più cospicui monumenti di quel secolo: il palazzo Chiaramonte e il palazzo Sclafani. Il primo, detto "lo Steri", fu cominciato nel 1307: ha un magnifico prospetto con finestre bifore adorne di decorazioni laviche, un imponente cortile ad arcate e un salone celebrato per le pitture del soffitto a soggetti in prevalenza tolti dai cicli cavallereschi, opera di Cecco di Naro, Simone di Corleone e di altri maestri (1380). A lato del palazzo è una cappella coeva dedicata a S. Antonio Abate. Il palazzo Sclafani, costruito da Matteo Sclafani nel 1330, è adorno sulla facciata e sui fianchi di grandi archeggiature cieche con decorazioni laviche che imitano quelle di alcune chiese normanne. Nel cortile si ammira un grandioso affresco del secolo XV rappresentante il Trionfo della Morte, di autore probabilmente catalano.

Altri resti di architettura gotica, oltre a quelli del duomo, si scorgono nella parte antica della città: il palazzo Conte Federico, alcune case in Salita S. Antonio, un edificio medievale in Via Candelai, i resti dentro il Liceo Umberto.

Le forme gotiche continuano, con influssi catalani, anche nel sec. XV: la chiesa della Gancia e il convento, la chiesetta delle Ree Pentite, il magnifico portico della cattedrale, il palazzo Pietratagliata appartengono a questo periodo. Di Matteo Carnelivari sono il palazzo Abbatelli col magnifico portale a tronchi intrecciati e un bel cortile, il palazzo Aiutamicristo e la chiesa della Catena. Anche nel sec. XVI l'architettura palermitana ha forme miste: alle forme tradizionali si sposano quelle del Rinascimento. S. Maria dei Miracoli con pianta a croce greca e con archi rialzati su colonne e la chiesa di S. Giovanni dei Napoletani sono il più bell'esempio di questo stile. S. Giorgio dei Genovesi è di puro stile Rinascimento. Palermo vide sorgere in questo secolo Porta Nuova, iniziarsi la Porta Felice alla Marina, elevarsi il palazzo Scavuzzo alla Fieravecchia, quello Santa Ninfa sul Corso, ed altri.

Più ricchi e numerosi sono i monumenti barocchi dai quali soprattutto la città prende il suo aspetto anche oggi. Al centro di Palermo sono i Quattro Canti, piccola piazza ricavata smussando gli angoli dei palazzi all'incrocio di via Maqueda con il Corso, iniziati nel 1609 e terminati nel 1620, adorni delle statue delle Sante Vergini protettrici Cristina, Ninfa, Agata e Oliva; dei regnanti spagnoli Carlo V, Filippo II, Filippo III e Filippo IV, e delle quattro stagioni. Numerosi i palazzi barocchi sparsi nella città, tra i quali più notevoli: il palazzo Comitini e il palazzo Costantino in via Maqueda, il palazzo Villafranca in Piazza Bologni, il palazzo S. Elia in via Maqueda, il palazzo Cutò, il palazzo Gangi, il palazzo del principe di Butera e molti altri. Delle chiese, le più importanti sono: quella di S. Matteo, iniziata nel 1633, di S. Giuseppe, dell'architetto Giacomo Besio a tre navi e cupola su transetto (1612), le chiese della Pietà (1689), di S. Teresa alla Kalsa (1686) e quella dei Crociferi, tutte e tre di Giacomo Amato, emule nella loro grandiosità di quelle del barocco romano. Di Paolo Amato sono l'originale chiesa del Salvatore, di pianta ovale, cominciata nel 1682, e, in gran parte, la chiesetta di Valverde. Nel 1690 fu compiuta la chiesa dell'Olivella, la cui facciata adorna di torri laterali, ricorda quella di S. Domenico. Questa fu terminata soltanto dopo il 1750. È una delle più grandiose di Palermo e racchiude le tombe dei più illustri cittadini.

Molte di queste chiese sono decorate internamente, del tutto o in alcune cappelle, da intarsiature marmoree alle pareti, con ricchi effetti ottenuti con marmi e pietre di colore diverso. Sono tutte decorate così le chiese della Casa Professa, di Santa Caterina, della Concezione a Porta Carini, la chiesetta di Valverde, la cappella dell'Immacolata in S. Francesco.

Il neoclassicismo verso la fine del sec. XVIII è rappresentato soprattutto dalle costruzioni innalzate dall'architetto Venanzio Marvuglia, i cui capolavori sono l'Oratorio dei Filippini all'Olivella e il sontuoso palazzo Geraci (1779).

Delle costruzioni moderne sono da ricordare il Teatro Massimo dell'architetto G. B. F. Basile e il politeama Garibaldi in stile pompeiano, di G. Damiani Almeida.

V. anche angelo, III, p. 301; avancorpo, V, p. 602; basile, VI, pag. 284; carnelivari, IX, p. 97; città, X, tav. CXXII; fatimiti, XIV, tavv. CL e CLI; fontana, XV, tavv. CXXIII e CXXXIII; italia, XIX, tavv. CLI e CLXVIII; legno, XX, tav. CXVIII.

Scultura. - Notevoli alcuni sarcofagi romani e dei primi secoli del crìstianesimo che si conservano nella cripta della cattedrale: del periodo normanno sono da ricordare il candelabro per il cero pasquale della Palatina, le sculture in porfido del sarcofago di Federico II, alcuni capitelli nelle chiese e poche altre cose. Prima del Rinascimento non si trova altro di notevole.

Di Francesco Laurana sono i bassorilievi della cappella Mastrantonio in S. Francesco eseguiti insieme con il lombardo Pietro de Bontade, il busto di Eleonora d'Aragona al Museo Nazionale, una Madonna col bambino nel duomo. A Domenico Gagini appartengono il portale di S. Agostino, i capitelli della chiesa dell'Annunziata, ad Antonello Gaginì: la Madonna della Scala al duomo, la grande ancona marmorea in S. Cita, le statue oggi disseminate all'esterno del duomo le quali facevano parte della decorazione del cappellone, ecc. Varie altre opere degli altri Gagini sono in diverse chiese della città.

Occupa il centro della Piazza Pretoria una grande fontana dei fiorentini Francesco Camilliani e Michelangelo Nacherini (1576). Del Seicento mancano sculture notevoli. Mirabili invece di freschezza e di vivacità quelle dello stuccatore settecentesco Giacomo Serpotta. Sono opera sua le decorazioni con figure allegoriche, storie in bassorilievo e giocondi putti, degli oratorî di S. Francesco, di S. Caterina all'Olivella, del Rosario, della congregazione di S. Cita, e le statue che si vedono in S. Agostino, in S. Francesco al Giusino e in altre chiese.

Pittura. - Di opere di pittura oltre ai musaici e alle altre già ricordate sono da notare: di Iacopo di Michele, detto Gera da Pisa, un trittico nella chiesa dell'Annunziata; di Antonio da Venezia una tavola in S. Nicolò lo Gurgo; di Riccardo Quartararo la S. Cecilia nella cattedrale; di Vincenzo da Pavia opere nella Gancia e alla Martorana; di Pietro Novelli gli Eremiti nel deserto e il S. Filippo di Argirò alla Casa Professa, affreschi nella chiesa del Cancelliere, nella Badia Nuova, ecc.; di Michelangelo da Caravaggio il Presepio in S. Lorenzo; di A. van Dyck la Madonna del Rosario nella congregazione del Rosario; di Carlo Maratta la Madonna del Rosario nella congregazione di Santa Cita. L'oratorio del Rosario a S. Domenico contiene inoltre quadri di M. Stomer, del Novelli, di Luca Giordano.

Delle opere dei numerosi frescanti settecenteschi sono da ricordare quelle di Vito d'Anna (cupola di Santa Caterina, soffitto di San Matteo, cupola del Salvatore) e quelle di Guglielmo Borremans, fiammingo, nella Martorana.

Di Giuseppe Velasquez (1750-1827) quadri nella chiesa della Concezione e nel duomo (L'Assunta).

Musei. - Il Museo Nazionale, derivato dal Museo Universitario (1823), crebbe più per doni che per assegni governativi. Dal 1860 ebbe mezzi e doni cospicui; si aggregò altri musei (Astuto, Salnitriano, Etrusco Casuccini di Chiusi), piccole raccolte e il frutto degli scavi statali in 4 provincie della Sicilia. Abolite nel 1866 le corporazioni religiose, crescevano le opere d'arte (Museo Martiniano), donde la necessità di una più ampia sede che fu la ex-casa dei padri dell'Oratorio dell'Olivella. Il museo contiene numerose e importanti collezioni che offrono un quadro completo della storia delle arti figurative in Sicilia.

Le raccolte greche, meritamente famose, comprendono fra i monumenti più notevoli: le sculture selinuntine tra le quali le quattro magnifiche metope arcaiche del tempio C (sec. VI a. C.), le metope del tempio E, raffiguranti: la lotta di Eracle con le Amazzoni, le nozze di Zeus e Era, Atteone punito da Artemide, combattimento fra Pallade e un Gigante - dei primi decennî del sec. V a. C. - e altre quattro metope di un altro tempio dei primi del sec. VI a. C., di cui la più famosa rappresenta Europa sul toro. Fanno parte delle antichità greche anche le superbe maschere leonine del tempio dorico d'Imera e altri frammenti di architettura e di statuaria. Dagli scavi di Selinunte proviene anche una ricca collezione di suppellettile funeraria e di terrecotte figurate, da altre regioni dell'isola una raccolta di numerosi oggetti di scavo, che forma la sezione topografica siceliota. Fra le antichità greche è infine da ricordare la ricchissima collezione di ceramiche, che comprende esemplari dal sec. VIII a. C. fino ai più tardi prodotti dell'industria pugliese e lucana. Della plastica ellenistica in bronzo sono begli esemplari il gruppo di Eracle col cervo e l'Ariete di Siracusa, che decorava il Castello Maniace a Siracusa. Repliche romane di esemplari greci sono un busto di Dioniso e la statua prassitelica del satiro che versa da bere. La sezione etrusca comprende numerose urne e oggetti scavati a Chiusi (raccolta Casuccini) e una raccolta di buccheri. Fra le antichità romane sono notevoli i musaici pavimentali del sec. I e del II d. C. provenienti da Piazza Vittoria e i monumenti raccolti nella Sicilia occidentale e meridionale. Le antichità medievali comprendono frammenti di sculture e frammenti architettonici del periodo gotico, numerosi monumenti epigrafici e prodotti di arte industriale degli Arabi di Sicilia tra cui il famoso vaso ispano-arabo a riflessi metallici da Mazara. Il Rinascimento è rappresentato nella scultura da opere di Domenico e di Antonello Gagini e dal magnifico busto di Eleonora di Aragona di Francesco Laurana.

Nella pinacoteca, oltre ad opere di maestri siciliani del Trecento si notano i quadri di Tommaso de Vigilia, quelli di Riccardo Quartararo e di Pietro Ruzzolone, pittori del Quattrocento siciliano e, gemma della raccolta, l'Annunciata di Antonello da Messina. Pregevoli opere del Rinascimento straniero sono il trittico di Jan Gossaert detto Mabuse e una Madonna col bambino e angeli già attribuita al Memling. Del tardo Rinascimento la pinacoteca conserva opere di scuola locale; del Seicento una notevole serie di quadri di Pietro Novelli, di Matteo Stomer, e opere del Solimena, di Mattia Preti e d'altri; del Settecento notevoli pittore di scuola locale e bei mobili. Del più grande artista siciliano di questo secolo, dello stuccatore Giacomo Serpotta, si conservano nel museo le statue provenienti dalla demolita chiesa delle Stimmate.

Il museo comprende anche notevoli raccolte di oreficerie, di gemme, un medagliere del Rinascimento, una collezione di monete, altre opere d'arte industriale, tra le quali una notevole collezione di maioliche, in gran parte siciliane, dei secoli XVII e XVIII.

Nel tesoro della cattedrale sono importanti oggetti di oreficeria e di arte decorativa di diversi periodi; ricordiamo: la corona di Costanza, moglie di Federico II, un reliquiario del sec. XV, un codice con miniature del sec. XV, una pace d'argento con decorazioni al modo di Iacopo Sansovino (la parte centrale con la Pietà è aggiunta posteriore), e infine un magnifico paliotto d'arte spagnola del sec. XVI in seta, corallo e perle, con smalti senesi del secolo XIV, e una mitria del secolo XVI.

Anche nel tesoro della Palatina sono importanti oggetti: una cassetta civile bizantina del sec. X, una cassetta arabo-sicula con figurazioni dipinte del sec. XII, un cofano intarsiato del sec. XIII, numerose pergamene, tra le quali anche il diploma di fondazione del 1140.

Istituti di cultura e biblioteche. - R. Università. - Gli studî superiori in Palermo, promossi nel sec. XIII da Federico II, decaddero durante la signoria angioina e di nuovo rifiorirono nel Quattrocento sotto Alfonso d'Aragona. In Palermo, nel convento di S. Domenico, si apriva allora il cosiddetto Studio generale, che ebbe fra i più celebri lettori, nel sec. XVI, il medico G. Filippo Ingrassia da Regalbuto, discepolo del Vesalio, Tommaso Fazello, ecc. Alla fine del sec. XVI l'istruzione pubblica passò in Palermo nelle mani dei gesuiti, chiamati dal viceré Giovanni de Vega, amico di S. Ignazio da Loyola: nel loro collegio fiorì ogni sorta di studî sino al 1767, anno della loro espulsione dalla Sicilia. Il voto dei Palermitani, che anche Palermo, come Catania e Messina, avesse una completa università, comincio ad essere esaudito il 5 novembre 1779, quando nel palazzo del Collegio Massimo ex-gesuitico, s'inaugurava la R. Accademia degli studî con venti cattedre di scienze superiori, fra le quali quella di economia, agricoltura e commercio, terza in Italia dopo la napoletana del Genovesi e la milanese del Beccaria. Solo nel 1805, trasferita nella sede attuale dell'ex convento dei Teatini a S. Giuseppe, l'accademia ottenne il grado d'università. Alla facoltà di scienze fisico-matematiche è annessa, dal 1860, una Regia Scuola d'ingegneria, compresa dal 1923 tra gl'istituti d'istruzione superiore. Dall'università dipendono il R. Orto botanico, il R. Osservatorio astronomico, il museo di geologia, il circolo giuridico Luigi Sampolo (istituito nel 1868, che ha una biblioteca di 50 mila volumi e pubblica il periodico: Il circolo giuridico), ecc.

Accademie, società eulturali. -1. Accademia delle scienze mediche: deriva dall'Accademia della Notomia fondata nel 1621; ebbe nel 1830 il titolo attuale e un nuovo statuto. 2. R. Accademia di scienze, lettere e arti: trae la sua lontana origine dall'Accademia degli Accesi sorta in Palermo nel 1568, rivissuta col nome di Riaccesi nel 1622; da essa derivò l'Accademia del buon gusto (1718), che si fuse nel 1818 con l'Accademia siciliana, prendendo più tardi (1832) il titolo di Reale Accademia di scienze e belle lettere, e dal 1884 il titolo attuale. Divisa in 3 classi, provvede alla pubblicazione annuale dei suoi Atti e di un Bollettino trimestrale. 3. Accademia fisicochimica italiana: fondata nel 1904 per promuovere l'incremento e il progressivo perfezionamento delle scienze fisiche e chimiche in tutte le loro applicazioni. 4. Circolo matematico di Palermo: società internazionale, fondata nel 1884 da G. B. Guccia; pubblica Rendiconti, Supplementi ai rendiconti e un Annuario biografico. 5. Società siciliana di storia patria: nata nel 1873 con 82 soci, pubblica dal 1876 l'Archivio storico siciliano e i Documenti per servire alla storia di Sicilia. 7. Società di scienze naturali ed economiche: deriva dall'Istituto d'incoraggiamento, di agricoltura, arti e manifatture istituito con r. decr. 9 novembre 1831; nacque nel 1864 col nome di Consiglio di perfezionamento annesso al R. Istituto tecnico di Palermo, e nel 1876 assunse il titolo attuale.

Biblioteche. -1. R. Biblioteca Nazionale nell'antico palazzo del Collegio Massimo dei gesuiti: deriva dalla biblioteca che essi vi lasciarono nel 1767. Ampliata con i libri di altri conventi soppressi e annessa alla Reale Accademia degli studî, fu inaugurata il 5 novembre 1782 col nome di Biblioteca dei regi studî. Ceduta ai gesuiti al loro ritorno nel 1805 e fino a che non furono espulsi nuovamente (1860), ebbe dal governo dittatoriale della Sicilia un nuovo organico e molte accessioni dai conventi soppressi. Hora circa 350.000 volumi e opuscoli, più di 1600 manoscritti (tra i quali 30 arabi e 37 greci) e preziosi autografi, 980 incunabuli. 2. Biblioteca comunale: promossa da Alessandro Vanni, principe di S. Vincenzo, ebbe origine verso il 1760 e nell'attuale sede della Casa Professa dei gesuiti fu inaugurata il 25 aprile 1775; crebbe presto per preziosi abbondanti lasciti ed ebbe un periodo di vera floridezza da quando, nel 1818, ne fu eletto deputato amministratore Domenico Scinà. Dopo il 1860 si arricchì di libri di conventi soppressi (oltre 50.000). Possiede ora circa 184.000 volumi, 3357 manoscritti, 859 incunabuli.

Altri istituti di cultura. -1. R. Archivio di stato: ha la sua sede nell'ex-convento dei Teatini, ma ha depositi anche nei grandi locali dell'ex-convento della Gancia in Via Alloro. Istituito nel 1814, fu organizzato definitivamente solo nel 1844 col nome di Grande Archivio; le numerosissime scritture ivi raccolte comprendono atti a cominciare dal sec. XIII: ricchissimi tabularî contengono 5474 pergamene in lingua latina, greca e araba, a cominciare dal sec. XI. 2. R. Museo Nazionale (v. sopra). 3. R. Liceo Artistico: fondato nel 1879 per iniziativa dell'allora ministro della Pubblica istruzione F. P. Perez, ebbe nel 1886 il titolo di R. Accademia di belle arti. 4. Istituto superiore di scienze economiche e commerciali: aperto nel 1920, conferisce anche un diploma speciale di studî coloniali, dopo un corso di perfezionamento. 6. R. Istituto Nautico Gioeni Trabia: nacque nel 1789 e con esso la marina mercantile siciliana, per opera di Giuseppe Gioeni dei duchi d'Angiò, munifico benefattore, e del pilota Giovanni Fileti. Ampliato a spese del comune nel 1866, era ritenuto allora il primo istituto marittimo d'Italia.

L'Accademia di scienze filosofiche (già Biblioteca filosofica) fu fondata nel 1910 dalla "Società per gli studi filosofici" costituita per iniziativa di Giuseppe Amato-Poiero con la cooperazione di cultori delle più varie discipline. Essa diede forma stabile e valore giuridico a un circolo di studî e discussioni liberamente sorto fin dal 1888 in Palermo nella casa del medesimo Amato, presso cui si riunivano filosofi e scienziati italiani e stranieri; fra i più assidui: G. Vailati, C. Guastella, Franz Brentano, W. Lutoslawsky, A. Faggi, p. G. Semeria. L'Accademia si propone di diffondere l'interesse per gli studî in generale e in specie per le discipline filosofiche e scientifiche, e di contribuire al ravvicinamento della filosofia con le scienze particolari. A tal fine essa ha raccolto circa 15 mila volumi e un centinaio di riviste in tutte le lingue. Questo istituto ha esercitato un notevole influsso sul movimento scientifico e filosofico, specialmente italiano; in esso sono state fatte da G. Gentile le prime comunicazioni al pubblico sull'idealismo attuale; si è elaborata la "Biotipologia" per opera di G. Viola e N. Pende. L'Accademia dopo la cessazione del suo Annuario (tre volumi 1912-14), pubblica i suoi atti nella rivista Logos. Dal 1927 per concessione del Ministero della pubblica istruzione ha trasferito la sua sede nel palazzo reale. Nel suo seno, oltre a conferenze e letture del più largo interesse, si svolgono anche studî e comunicazioni relativi a speciali problemi, onde vi si sono costituiti un circolo di studî religiosi, uno di scienze economiche, giuridiche e sociali, uno di psicologia e metapsichica, ecc.

In seguito ad accordo intervenuto con l'università di Palermo, dal 1927 vi si tengono corsi di perfezionamento per i laureati della medesima università.

Arte della stampa. - In Sicilia nel sec. XV l'arte tipografica fiorì principalmente a Messina, ma essa fece forse la sua prima apparizione in Palermo con le Consuetudines urbis Panormi di Giovanni Naso, impresse da Andrea Wyel di Worms nel 1478 con i tipi forniti dal palermitano Francesco Padella. In questo prezioso volume (Bibl. naz. di Napoli) il mese non è indicato, mentre il primo libro stampato a Messina reca la data del 15 aprile 1478.

Bibl.: D. Marzi, I tipografi tedeschi in Italia durante il sec. XV, Magonza 1900, p. 43; A. Boselli, Cenni di storia tipografica d. Sicilia, in Atti Congresso Biblioteche, Roma 1934.

Vita teatrale. - Nel basso Medioevo Palermo, che fu importante centro politico e culturale, dovette conoscere i giullari e le loro esibizioni teatrali, al pari delle altre città medievali. Risulta, anzi, che fino dal regno di Guglielmo I il Malo, esisteva a Palermo, e precisamente sotto il palazzo reale, un'aula verde" o "Theatrum imperialis Palaci", come la chiamano cronisti e viaggiatori, destinata a pubblici spettacoli. Ibn Giubair, che fu in Sicilia nel 1184, si esprime in termini pieni d'ammirazione per la sua grandezza e bellezza. Detta aula però nel sec. XV non esisteva più.

Nei secoli successivi si ha notizia di farse, laudi, sacre rappresentazioni, ecc. Però per parlare di rappresentazione vera e propria, bisogna giungere al 1538, anno in cui fu data per la prima volta nella chiesa di S. Maria la Pinta, per ordine del viceré don Ferrante Gonzaga, la Rappresentazione della creazione del mondo e dell'incarnato Verbo, detta appunto L'atto della Pinta, che Teofilo Folengo, allora residente nel monastero di San Martino delle Scale presso Palermo, scrisse, traendola dal suo poema La Palermitana. L'Atto della Pinta fu ripetuto diverse volte fino al 1601 con sempre maggiore sfarzo e ricchezza di scenario.

Le prime commedie profane furono recitate nella chiesa di S. Nicolò nel 1545 in occasione delle nozze del figlio del viceré Gonzaga, e da allora, sempre per feste, nozze, celebrazioni, numerose furono le recite sia in chiese, sia in piazze, e in palazzi privati.

Palermo, dopo Ferrara, Mantova, Venezia e Roma, fu una delle prime città che ebbero un teatro stabile; esso fu costruito dal senato palermitano, sotto il viceré Marcantonio Colonna, nell'antica chiesa dello Spasimo e fu inaugurato il 22 febbraio 1582 con il Pazzo assennato di Antonio Usodimare. Contemporaneamente i gesuiti facevano recitare nel proprio collegio i loro drammi sacri. Dalla fusione dell'antica sacra rappresentazione, ormai in piena decadenza, con la cultura umanistica si affermò in Sicilia la tragedia sacra classicheggiante in cui, malgrado il soggetto sacro, era imitata la forma del dramma classico. Esempio tipico di questa interessante evoluzione è Il martirio di Santa Caterina del canonico Bartolo Sirillo. Nel Seicento tale forma di tragedia, oltre che argomenti sacri, trattò anche argomenti profani, storici, cavallereschi, ma sempre ispirandosi a puri principî di morale e di austerità. Massimo esponente ne fu Ortensio Scammacca, nato a Lentini nel 1562, morto nel 1648, autore di ben quarantasei tragedie, per massima parte recitate nel teatro dello Spasimo a cura dell'Accademia degli Agghiacciati. Nello stesso periodo la commedia dell'arte con i suoi comici e le sue maschere fece la sua comparsa e invase Palermo. Essa ebbe grande influenza sulle molte commedie letterarie scritte e rappresentate a Palermo nel Seicento, quale La notti di Palermu di Tommaso Aversa. Nel 1693 sorse il teatro Santa Cecilia, nel 1726 il teatro Santa Lucia che, distrutto e rifatto completamente nel 1808 col titolo di Teatro Carolino, in onore della regina Maria Carolina, è ancora in efficienza sotto il nome di teatro Bellini; sorsero pure il teatro Sant'Anna e il teatro S. Ferdinando, ora teatro Umberto.

Malgrado la preferenza del pubblico per gli spettacoli musicali e il pieno trionfo del melodramma, l'arte drammatica continuò a prosperare. Alla fine del Seicento e al principio del Settecento ebbe largo favore la tragicommedia, ispirata al teatro spagnolo, principalmente per opera del fecondissimo Pietro Mancuso (1636-1712). Per tutto il Settecento si ha notizia di numerosissime compagnie di prosa venute a recitare a Palermo.

Nell'Ottocento e nel secolo XX, Palermo, inquadrata nella vita artistica italiana, ha avuto una fervida attività teatrale. Nel 1874 sorse il grande politeama Garibaldi (arch. G. Damiani Almeida); nel 1903 il teatro Biondo (arch. N. Mineo) inaugurato da Ermete Novelli, dove ebbe luogo la famosa prima rappresentazione della Gioconda di D'Annunzio; nel 1914 il Nazionale (arch. E. Basile); nel 1920 il Finocchiaro.

Anche il teatro popolare ebbe vita fervida. Fino dal 1500 si ha notizia di farse recitate per il popolo. Nel 1786 fu creata la Compagnia delle Vastasate diretta da Biagio Perez e formata da popolani. Attore principale ne fu Giuseppe Marotta creatore del tipo di Nofriu. Il successo fu tale anche presso il pubblico colto che per la compagnia del Perez fu fabbricato appositamente il già citato teatro S. Ferdinando. A Nofriu succedette per tutto l'Ottocento Pasquino, interpretato successivamente da varî artisti, ultimo dei quali, Salvatore Tomasino.

Con lui e con I mafiusi di la Vicaria di Giuseppe Rizzotto, opera rappresentativa del teatro realistico, ebbe fine il teatro popolare palermitano.

Vita musicale. - Le più precise notizie riguardanti la musica in Palermo si confondono con la storia della lirica provenzaleggiante del tempo di Federico II e di suo figlio Manfredi e della lirica popolaresca, rappresentata da canzoni d'amore e strambotti. Del resto fra il sec. VI e l'XI fiorirono innodie, si ha notizia di laudi fino dal sec. XIV, e certe processioni che assumevano spesso carattere di vere azioni drammatiche o sacre rappresentazioni, risalgono, a quanto afferma il Sorge e contrariamente all'opinione di A. D'Ancona, almeno al secolo precedente al Rinascimento, e cioè al 1400.

Nel Cinquecento fu coltivata la musica polifonica. Si ricordano due importanti compositori palermitani: il monaco benedettino Mauro Chiaula, nato nella prima metà del Cinquecento e morto nel convento di S. Martino nel Seicento, autore di Sacrae cantiones (Venezia 1590) e di madrigali a 5 voci pubblicati nella raccolta Gli infidi lumi, madrig. posti in musica da diversi autori siciliani (Palermo 1603) e Sigismondo D'India, autore di madrigali, villanelle, Sacri concentus, e noto anche a Venezia, a Roma, a Firenze. Ma nello stesso secolo anche la musica teatrale profana appare nella forma degli "Intermedî" che prepararono il melodramma. Intermedî venivano introdotti anche nelle rappresentazioni sacre. Il primo melodramma apparso in Palermo fu il Serse (di P. F. Cavalli) scritto a Venezia nel 1654 per festeggiare la vittoria sui Turchi, e rappresentato a Palermo nel 1658 a cura dell'"Accademia dei musici". Il più antico teatro della città fu fondato nel 1582 entro la chiesa dei Padri di Monte Oliveto, detta "dello Spasimo". Questo teatro, costruito per volontà del senato di Palermo, alla fine del Seicento era divenuto quasi inservibile. Teatri provvisorî furono impiantati intorno al 1669 nella casa di Pietro Rodinò e, sembra, in un magazzino appartenente alla famiglia Valguarnera alla Calata dei Giudici.

Ma due teatri ebbero particolare importanza nei secoli passati: il S. Cecilia e il S. Caterina. Il teatro di S. Cecilia fu costruito nel 1693, vicino alla Fieravecchia, nel luogo dove era la chiesetta di S. Cecilia, a iniziativa dell'Unione dei Musici, associazione sorta nel 1674, che riuniva quanti amavano o coltivavano la musica e a cui facevano capo tutte le esecuzioni sacre e profane, pubbliche e private. Questo teatro, che accoglieva principalmente opere serie, fu inaugurato il 28 ottobre 1693 con L'innocenza penitente ovvero la Santa Rosalia, poesia di Vincenzo Giattino e musica di Ignazio Pollice, entrambi palermitani. Il teatro di S. Caterina (detto anche di S. Lucia) sorse verso il 1726 ed era destinato d'ordinario a opere comiche; e siccome gli antichi artisti buffi venivano chiamati "Travaglini" da questo nome derivò al teatro un nuovo soprannome. I due teatri si aprivano in carnevale insieme con molti altri privati, tra i quali quello del Conservatorio del Buon Pastore. Tra il S. Cecilia e il S. Lucia vi fu lotta accanita poiché il primo mirava a deprimere l'altro fino a sopprimerlo, senza però riuscirvi. Causa il fortissimo terremoto del 1726 i due teatri rimasero chiusi, il primo fino al 1737, il secondo fino al 1742; però nel frattempo (1732) era stato costruito lungo la spiaggia un teatro estivo provvisorio. Il teatro di S. Cecilia fu ricostruito nel 1787 e oggi è ormai in stato di completo abbandono; il teatro di S. Lucia si trasformò più tardi nel Teatro Reale Carolino e nel 1860 prese il nome attuale di teatro Bellini. L'attuale teatro massimo Vitt. Emanuele fu fondato nel 1875 e terminato nel 1897.

Fra i melodrammi, almeno fino al primo quarto del Settecento, furono preferiti, per l'esecuzione, quelli di autori palermitani e rari furono, fino a quest'epoca, gli operisti scelti fuori di Palermo. Si ricordano, oltre ad A. Scarlatti, F. Scarlatti suo fratello, G. Amendola, A. F. Pistocchi, celebre maestro di canto, M. Palota, M. Martellari, F. Piticchio, ecc. Tra gli operisti posteriori sono palermitani o della provincia, S. Auteri-Manzocchi, G. Villafiorita, E. Petrella, S. Donaudy, G. Marinuzzi, G. Mulè. Fra i musicisti non operisti nati in Palermo sono degni di essere ricordati, nel secolo XVII, gli scrittori G. Pietro Buono, O. D. Caramella, V. Navarra, il compositore G. Palazzotto-Tagliavia; nel secolo XVIII, M. Barbici (1710-1790) che inventò l'Arpone, specie di pianoforte verticale, lo scrittore A. Pisani; nel sec. XIX, i pianisti S. Caggegi, F. Bajardi, B. Geraci, il celebre clarinettista G. Labanchi, il famoso arpista F. Labano, il baritono M. Sammarco, il tenore Roberto Stagno (Vincenzo Andrioli), il baritono M. Stabile, ecc.

Nel Sei e Settecento si svilupparono a Palermo anche l'oratorio e la cantata. Già nel 1593, viyente S. Filippo Neri, era stato fondato l'Oratorio dei Filippini nella chiesa di S. Pietro Martire. I primi esempî di oratorio musicale li abbiamo dopo il 1650 e risentono già del melodramma, essendo dialogici senza narrazione e privi quindi dello "Storico". Sotto questo aspetto gli esempî palermitani precedono quelli della Spagna, alla quale gli storici ascrivono l'invenzione di tale tipo d'oratorio. Infatti il primo oratorio di tale genere fu Debora eseguito nel 1656, mentre a Palermo già nel 1650 si faceva rappresentare dai gesuiti, nella loro chiesa della Casa Professa, un Abramo mancante della parte narrativa. La cantata fu pure coltivata a Palermo insieme con quella forma che la precedette: il duetto da camera. Ogni evenienza sacra e profana era celebrata con cantate che fiorirono a centinaia e nelle quali si dava molta importanza all'orchestra (la quale giunse fino a 66 strumenti ne La gara concorde dell'universo fatta eseguire nel 1701 dal viceré duca di Veraguas).

Nel 1681 fu costruito in via Colonna fuori Porta Felice (l'attuale Foro Umberto I) di fronte alla cappelletta di S. Ninfa, un teatrino per concerti musicali all'aperto, concerti che consistevano principalmente in esecuzioni di cantate e di "nobilissime sonate". Fra gli autori di oratorî si ricordano Montecchi, Michelangelo Falvetti, E. Biffi, B. Aliotti, A. Benitti, G. Salina, F. Baiada, P. Passalacqua, I. Pollice, N. Filomena, G. Natoli, G. Spina, G. Dia, V. Naro, P. À. Fidi, A. Foti, G. Statella, A. Sperandeo, ecc. Fra gli autori di cantate da camera del Sei e Settecento: G. Signorile. F. M. Bello, G. Valentino, D. Labisi, M. Gino, B. Baldi, I. De Carlo, R. Tonna, G. Gelardi, P. Spataro, A. Puleio, L. Gilberto, G. B. Lampugnani, ecc.

Un centro importante di attività artistica fu il Conservatorio di musica. Esso fu fondato nel 1617 come "Pia casa degli spersi" nei locali dell'antica chiesa della reale confraternita della SS. Annunziata di porta S. Giorgio. L'apertura della casa avvenne il 3 giugno 1618. Lo studio della musica fu introdotto nell'aprile del 1721 con il coro, cui fu più tardi aggiunto il violino e, più tardi ancora nel 1740, furono aggiunti altri strumenti (violoncello, contrabbasso, corno, oboe). Dopo varî periodi d'alta e bassa fortuna l'istituto ricevette una prima efficace sistemazione nel 1830 per opera del barone P. Pisani, che lo riordinò, e istituì nell'insegnamento musicale la scuola di contrappunto e il posto di direttore. A questi posti fu chiamato il rinomato contrappuntista P. Raimondi che fece costruire il teatrino tuttora esistente, nel quale si eseguivano e si eseguono le opere dei migliori allievi di composizione. Al Raimondi seguirono i seguenti direttori: F. Bracci, P. Platania, G. Miceli, G. Zuelli, A. Favara, F. Cilea, G. A. Fano, G. Mulè, A. Savasta.

V. tavv. IX-XX.

La provincia di Palermo.

Comprende a N. la regione costiera che incomincia dal torrente Finocchio, nella parte orientale del Golfo di Castellammare, bassa e cosparsa di dune; continua con le sporgenze del M. Gallo e del M. Pellegrino e poi con le insenature dei golfi di Palermo e di Termini, separate dal M. Catalfano, che si protende alto sul mare, e finisce, oltre Cefalù, presso la foce dal fiume Pollina, con coste quasi sempre alte. Il territorio, prevalentemente piano e collinoso nella parte occidentale, si solleva gradatamente verso mezzogiorno, fino a culminare nell'altipiano di Corleone e di Chiusa con la Rocca Busambra (m. 1615) e col Barraù (1451), e più manifestamente s'innalza verso oriente, ove dominano le Madonie. Tra i piani il più importante è quello della Conca d'Oro, a cui tiene dietro la "Sala" o Piana di Partinico. Il contrasto fra la zona costiera e quella interna è più evidente in questa provincia che nelle altre dell'isola, non solo per la natura e l'aspetto del suolo, ma anche per i varî tipi di coltura e per ogni manifestazione della vita economica e sociale. Prevale nella regione costiera, e segnatamente nella Conca d'Oro, la piccola proprietà, con la coltivazione degli agrumi, delle viti, degli olivi; all'interno il latifondo con la cerealicoltura e la pastorizia.

Secondo i dati corretti del censimento del 1931, la provincia ha una superficie di kmq. 4977 e una popolazione presente di 843.742 abitanti, divisa in 76 comuni. La densità media (170 ab. per kmq.) è di molto superiore a quella del regno (133) e a quella della Sicilia stessa (152); ma la popolazione è inegualmente distribuita. Più della metà (436.799 ab.) è nella pianura, cioè in un quindicesimo circa del territorio; quasi un quarto (208.557) è nella zona di collina (un terzo circa del territorio) e il resto (198.386) è nella zona di montagna (più della metà circa del territorio). La vasta zona collinosa interna è la più desolata. Notevole è anche nella provincia lo squilibrio tra la popolazione agglomerata (825.391) e la sparsa (18.351), squilibrio che è molto più accentuato nelle zone interne, meno felici anche per le condizioni di viabilità e, fino a poco tempo addietro, di sicurezza. Molto inegualmente distribuita è anche la popolazione nei 76 comuni: in 19 essa non è superiore ai 3000 ab., in 45 va da oltre 3000 a 10.000 ab., in 11 da oltre 10.000 a 25.000 ab. e in uno soltanto va oltre i 100.000 abitanti. Occupazione prevalente nella provincia è l'agricoltura, con 117.378 ab., circa 1/7 della popolazione (cens. del 1931). All'industria sono addetti 81.842 ab. (1/10 circa), al commercio 28.347 (quasi 1/30), ai trasporti e in genere alle comunicazioni 23.927 (1/35 circa): in proporzioni minori è distribuito il resto negli impieghi, nelle arti e nelle professioni. Le condizioni morali della classe lavoratrice sono in notevole progresso; l'analfabetismo, efficacemente combattuto, dal 37%, nel 1921, si ridusse al 30,7% nel 1931.

Bibl.: Oltre le storie generali della Sicilia, si vedano: A. Baronio, De majestate Panormitanae ecclesiae, Palermo 1630; L. Biagi, Palermo, Bergamo 1929; M. De Vio, Privilegia urbis Panormi, Palermo 1706; S. di Bartolo, Monografia sulla cattedrale di Palermo, ivi 1903; N. Inveges, Palermo antica, ivi 1649; Palermo e la Conca d'Oro, vol. pubbl. in occasione del VII Congresso geografico italiano, Palermo 1911; F. Maggiore-Perni, Il Senato e l'amministrazione municipale di Palermo, ecc., ivi 1862; G. Pitrè, La vita in Palermo cento e più anni fa, voll. 2, ivi 1904; F. Pollaci-Nuccio e D. Gnosso, Gli atti della città di Palermo dal 1311 al 1410, ivi 1892; P. Ranzato, Delle origini e vicende di Palermo, a cura di G. di Marzo, ivi 1864.

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Per la vita culturale: A. Salinas, Del real Museo di Palermo. Relazione, Palermo 1873; F. Evola, V Novembre MDCCCLXXXII. Primo centenario della Biblioteca nazionale di Palermo. Cenni storici, ivi 1882; F. Pignocco, Cenni storici sulla R. Accademia delle scienze mediche, ivi 1882; F. Maccagnone, Delle vicende dell'Accademia di scienze, lettere ed arti. Discorso, in Atti R. Acc. di sc., lett. e arti di Palermo, n. s., I; L. Sampolo, La R. Accademia degli studi di Palermo, Palermo 1888; A. Sansone, Storia del R. Istituto nautico Gioeni-Trabia, 1789-1892, ivi 1892; Circolo matematico di Palermo, XXX Anniversario della fondazione della Società: Note statistiche (14 aprile 1914), ivi 1914; A. Sansone, Mezzo secolo di vita intellettuale della Società siciliana per la storia patria (1873-1923), ivi 1923; V. Piazza Martini, Per la storia della università di Palermo, I, ivi 1924; P. Dotto, Il R. Conservatorio di musica di Palermo, in Musica d'oggi, a. XI, nn. 6 e 7 (giugno-luglio 1929).

Per la musica e il teatro: G. B. Basile, Il teatro massimo Vitt. Em. in Palermo, Palermo 1896; L. Majorca Mortillaro, Il R. teatro S. Cecilia in Palermo e le sue vicende, ivi 1909; G. Pitrè, La vita di Palermo cento e più anni fa, ivi 1904-1905; R. Starabba, Sul teatro in Palermo nel sec. XVIII, in Arch. stor. sicil., n. s., II; G. Sorge, I teatri di Palermo nei secoli XVI-XVIII, ivi 1906; P. Dotto, Il R. Conserv. di musica, in Musica d'oggi, XI, 7.

Per la geologia e geografia: O. Fortino, De natura et salubritate aeris panormitani, Palermo 1704; S. Morso, Descrizione di Palermo antico ricavata sugli autori sincroni e i monumenti de' tempi, ivi 1827; D. Scinà, Topografia di Palermo, ivi 1818; id., Rapporto sulle ossa fossili di Maredolce e degli altri contorni di Palermo, ivi 1831; V. Di Giovanni, Il Palermo restaurato (Opere storiche inedite sulla città di Palermo, I), ivi 1872; I. La Lumia, Palermo, il suo passato, il suo presente, i suoi monumenti, ivi 1875; G. Cimino, Il porto di Palermo e la sua sistemazione, ivi 1875; Schubring, Historische Topographie von Panormos, Lubecca 1879; R. Salvo di Pietraganzilli, Palermo, ivi 1886; V. Di Giovanni, La topografia antica di Palermo dal sec. X al XV, voll. 2, ivi 1889-1890; F. Maggiore-Perni, La popolazione di Sicilia e di Palermo dal sec. X al XVIII, Palermo 1892; id., La pop. di Sicilia e di Palermo nel sec. XIX, ivi 1897; G. De Lisa, Note sul clima di Palermo, ivi 1895; G. M. Columba, I porti della Sicilia (Palermo), in Monografia storica dei porti dell'antichità nell'Italia insulare (Ministero della Marina), Roma 1906; id., Per la topografia antica di Palermo, in Scritti di filologia e storia araba, di geografia ecc. per il centenario di M. Amari, II, Palermo 1910; G. Pardi, Storia demografica della città di Palermo, in Nuova rivista storica, III (1919); Il porto di Palermo, in Opere marittime eseguite nell'ultimo ventennio, Palermo 1926; L. Montemartini, Sull'attività del R. Giardino coloniale di Palermo negli anni 1929-32, ivi 1932.

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