PALETNOLOGIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

PALETNOLOGIA

Franco Biancofiore

La p. è la scienza umanistica e sperimentale che si propone di conoscere i vari mondi storici mediante soprattutto i dati dell'archeologia. Il termine p. (equivalente a paleoetnologia) fu introdotto nel 1875 in Italia da L. Pigorini per indicare lo studio delle civiltà preclassiche, condotto prevalentemente sui dati o i documenti dell'archeologia preistorica (analogo a quello che i Francesi definiscono archéologie préhistorique). Il termine paléoethnologie è stato adoperato in Francia da A. Leroi-Gourhan. Termini quali preistoria e protostoria, usati correntemente, si riferiscono il primo alle età più remote della storia umana (Paleolitico, Mesolitico, Neolitico) e il secondo alle civiltà Eneolitiche (età del Rame), del Bronzo e del Ferro.

Gli studi paletnologici in Italia. - In ambito universitario, il riconoscimento di uno statuto disciplinare alla p. si ebbe nel 1875, allorché ne fu affidata la cattedra a L. Pigorini presso la facoltà di Lettere dell'università di Roma; nello stesso anno, l'insegnamento universitario fu affiancato dal Bullettino di Paletnologia italiana (con Pigorini erano tra i fondatori P. Strobel e G. Chierici) e dalla fondazione a Roma del Museo nazionale preistorico-etnografico, intitolato a Pigorini stesso e allocato nell'edificio dell'ex convento gesuitico in via del Collegio Romano (attualmente è nel quartiere EUR di Roma, in viale Lincoln 1). Pigorini (1842-1925; v. XXVII, p. 270), vissuto in un periodo a cavallo tra due momenti speculativi di vasta e contrapposta risonanza (idealismo e positivismo), elaborò alcuni principi metodologici nel tentativo di far storia in p. soltanto con i dati della ricerca di campo. Intorno a Pigorini si riunì una folta schiera di paletnologi di varia formazione che si dedicarono allo studio delle civiltà preclassiche delle regioni italiane (B. Gastaldi in Piemonte, G. Chierici e altri in Emilia, P. Orsi nella Sicilia orientale, A. Taramelli in Sardegna, G. A. Colini in Abruzzo e l'infaticabile P. Strobel che unì le osservazioni del naturalista a quelle dell'archeologo). I principi di Pigorini dominarono la p. italiana per tutta la prima metà del 20° secolo.

Nel 1929 fu fondato a Firenze l'Istituto Italiano di Paleontologia Umana (IIPU), che aveva per fine "l'esplorazione con metodi ed intendimenti naturalistici di caverne e di giacimenti del Quaternario" (l'analogo Institut de Paléontologie humaine con sede nel Principato di Monaco si dedicò soprattutto alle ricerche sulle civiltà del Paleolitico). Tra gli aderenti all'IIPU si ricordano archeologi classici, glottologi, etnografi. L'utilizzazione dei dati naturalistici divenne indispensabile nella paletnologia. U. Rellini (1870-1943), formatosi alla scuola naturalistica toscana e successore di Pigorini nella cattedra romana di p., costituì nel 1941 a Roma il Museo delle Origini e della Tradizione. Egli basò le sue intuizioni sulla documentazione archeologica, ''letta'' secondo il principio, derivato dalla geologia, della stratigrafia verticale, pervenendo, in seguito a una lunga ricerca sul campo condotta in vari centri abitati antichi dell'Italia centro-meridionale, al concetto di complessi regionali di culture, enunciato nel 1934, nel volume La più antica ceramica dipinta in Italia. Rellini contribuì a indirizzare la ricerca paletnologica verso il principio del pluralismo culturale, base della metodologia storicistica, seguito in ciò da G. Patroni (1869-1951), archeologo classico, il quale sostenne la tesi dell'identità di archeologia e scienze naturali.

È noto che, suggestionati principalmente dalla temperie politica degli anni 1922-43, Pigorini, Patroni e tutti gli studiosi di antichità, soprattutto verso la fine del ventennio fascista, pervennero ad arbitrarie interpretazioni dei risultati della ricerca archeologica, che si possono leggere, per es., nell'opera di Patroni, la quale, come fu più volte rilevato, è inquadrabile nell'irrazionalismo oscurantista del tempo. A questa tendenza corrispose la linguistica storica (o glottologia, nata in clima positivistico) con la massiccia contrapposizione di idiomi indoeuropei sovrapposti agli idiomi del sostrato mediterraneo (anario) con relativa identificazione, da parte degli antropologi fisici, di una razza mediterranea inferiore alla razza indoeuropea. B. Croce aveva più volte trattato della ''preistoria'', della validità conoscitiva delle scienze della natura e della difficile storicizzazione di questi fatti. A tal fine sono da ricordare opere come Logica come scienza del concetto puro (1904-05, 19477) e Teoria e storia della storiografia (1916, 19547), fondamentale per la metodologia storicistica, e ancora La storia come pensiero e come azione (1938, 19784; in particolare i capitoli La natura come storia senza storia da noi scritta e Preistoria e storia), Il carattere della filosofia moderna (1941: il capitolo Storicità della natura), Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici (1952: il capitolo Considerazioni sulla preistoria). Effetto di questa impostazione fu la critica a ogni forma di schematismo nello studio delle civiltà preclassiche derivante dalla rigida applicazione dei principi stratigrafico e tipocronologico (classificazione-tassonomia), di cui ben presto si rese interprete B. Pace, che al i Congresso internazionale di Preistoria e Protostoria mediterranea, promosso nel 1949 a Firenze da P. Graziosi, tenne la relazione Dubbi metodologici e ipotesi di lavoro per la cronologia delle civiltà protostoriche, in cui discusse la validità dei principi della stratigrafia verticale e della tipocronologia per la ricostruzione delle civiltà protostoriche. Nel 1955 M. Pallottino, in una relazione su Le origini storiche dei popoli italici, analizzò, seguendo i principi dello storicismo crociano, il processo di formazione delle etnie italiche. La revisione metodologica più radicale avvenne nell'etnologia ad opera dell'etnologo storico delle religioni E. De Martino (1908-1965), che nel celebre saggio Naturalismo e storicismo nell'etnologia (1941) chiarì come l'etnologia, fino a quel momento ritenuta disciplina naturalistica subalterna, fosse una scienza storica, e come fossero da respingere in etnologia le tesi della scuola storico-culturale di Vienna, da lui definite positivistico-evoluzioniste. Un indirizzo che annovera ancora oggi vari paletnologi soprattutto nei paesi di lingua tedesca, e seguito, in Italia, da studiosi come P. Laviosa Zambotti (1898-1966), docente di Paletnologia nella facoltà di Lettere dell'università statale di Milano, che esaminò su scala ecumenica le origini della civiltà seguendo i principi della scuola storico-culturale. L'interesse per i fatti oggetto di studio della p. è rintracciabile, oltreché nelle opere di De Martino, anche nelle ricerche dell'etnologo V. Lanternari.

La metodologia paletnologica italiana era ormai indirizzata verso una finalità storicistica, decisamente orientata a risalire agli aspetti socio-culturali delle comunità preclassiche. Nel contesto di una copiosa produzione ricca di dati emergono le ricerche di E. Sereni (1907-1977) e di S. M. Puglisi (1912-1985). In Comunità rurali dell'Italia antica (1953) Sereni analizzò l'origine e lo sviluppo delle comunità rurali nella Liguria antica e, per le comunità preclassiche, trattò su basi storico-materialistiche l'occupazione del suolo (analisi delle varie tecniche seguite da quelle società per i vari tipi di suolo) nel Neo-eneolitico, utilizzando anche i dati linguistici "sulla denominazione del paesaggio ligure" e "il processo di insediamenti dall'età del bronzo all'età del ferro" (capitolo 11°). In tal modo egli ricostruì l'unitarietà del processo storico fino ai secoli dopo Cristo, pervenendo a individuare "la degradazione del paesaggio nella Liguria antica". L'ampia, documentata discussione e l'analisi critica (da vedere la valutazione storica dei dati paleobotanici nel capitolo 14°, paragrafo 18), oltreché una fondamentale lezione di metodo, ci indicano la pluralità di attività economiche come struttura delle comunità della Liguria antica. Sereni ebbe peraltro il merito d'introdurre definitivamente la paletnobotanica nelle ricerche paletnologiche. Puglisi, successore di Rellini alla cattedra di p. dell'università di Roma (1965), in La civiltà appenninica (1959) delineò il profilo storico-etnologico delle comunità pastorali durante il 2° millennio a.C. attraverso l'elaborazione critica dei dati ergologici, etnografici, linguistici e naturalistici disponibili (per. es., la paleofauna).

In quegli anni la p. italiana fu influenzata dalle ricostruzioni storiche e dalle sintesi metodologiche di V. G. Childe (1892-1957), le cui opere principali furono tradotte in Italia tra il 1949 e il 1964. P. Graziosi (1906-1988), professore di Antropologia e di Paletnologia nell'università di Firenze, fondò l'Istituto italiano di preistoria e protostoria, e la Rivista di scienze preistoriche (i, 1946) affiancata dalla collana di monografie Origines (dal 1955). L'indirizzo naturalistico di base della scuola toscana di p. è seguito nell'università di Pisa ad opera di A. Radmilli, professore di Paleontologia umana nella facoltà di Scienze, e da A. Palma di Cesnola, professore di Paleontologia umana e Paletnologia nella facoltà di Scienze dell'università di Siena.

Intorno agli anni Sessanta lo storicismo crociano, che era stato punto di ampio riferimento nel dibattito filosofico e storiografico italiano, ebbe, tra l'altro, anche la funzione di aprire la ricerca storica verso la dottrina marxiana, con approcci a scuole storiografiche straniere (come quella francese delle Annales) e con collegamenti con le scienze economiche, sociali e antropologiche (Pietro Rossi). La p. nell'ultimo quindicennio si è diffusa nei nostri atenei e nell'amministrazione delle Antichità. È insegnata, oltreché nelle citate università, nelle facoltà di Lettere di Genova, Pisa, Trento, Sassari, Tor Vergata di Roma, Bari, Venezia, Milano (statale), Sassari, Cagliari, Trieste. La p. è indirizzata a ricerche su scala regionale nelle cattedre universitarie all'università di Cagliari e Sassari (Antichità sarde), o verso civiltà continentali come Protostoria europea (università ''La Sapienza'' di Roma), Preistoria del Vicino Oriente (ivi), Etnografia preistorica dell'Africa (ivi), Protostoria euroasiatica (Trieste), Preistoria e protostoria dell'Asia (università di Napoli), Archeologia e antichità egee (università di Catania). La p. attraverso il metodo interdisciplinare ha inciso tra l'altro sulle conoscenze mediche con lo studio delle paleopatologie e della paleonutrizione agganciando le varie conoscenze odierne a quelle delle comunità preclassiche al cui mondo storico sono continuamente attinti dati utilizzati dalle tecnologie odierne, spesso industrializzati.

Discipline, tecniche e tecnologie della ricerca paletnologica. - La conseguenza più rilevante del dibattito summenzionato è stata quella di introdurre nella ricerca storica le tecnologie elaborate in seguito al notevole incremento delle conoscenze scientifiche. Si può dire che a partire dagli anni Settanta l'integrazione della documentazione culturale con i dati forniti dalle scienze della natura è divenuta corrente, per cui la ricerca paletnologica sempre più si fonda su una interdisciplinarità attiva cui concorrono varie tecnologie che ora esporremo.

L'analisi di un suolo antropizzato di un abitato capannicolo o grotticolo inizia sempre con la ricognizione topografica, che oggi si serve dei vari sistemi di rilievo quali l'aerofotografia (riprese da varie quote o da satellite), le prospezioni geofisiche, la sismica, la geopedologia, la petrografia e mineralogia, la paletnobotanica, la paletnozoologia, la paleoantropologia. Il rilievo inizia anzitutto con la quadrettatura dell'area interessata dai reperti superficiali; di ogni quadrato si segnalano i vari tipi di manufatti con relativa statistica; attualmente il rilievo, quasi sempre plano-altimetrico, è eseguito con un apparecchio elettronico. L'aerofotografia permette di rilevare, osservando allo stereoscopio le tonalità del grigio, la presenza di vari resti monumentali a vista; dalla foto aerea si ottiene il rilievo grafico con il restitutore. È in uso anche la sonda fotografica (detta periscopio Nistri) specialmente per le tombe a camera.

Le prospezioni geofisiche (la cui applicazione all'archeologia costituisce oggi una disciplina, Prospezioni archeologiche, presente in quasi tutte le università italiane e straniere) consistono nella misurazione del paleomagnetismo mediante magnetometro a protoni che, a seconda della maggiore o minore resistività, indica la presenza nel sottosuolo di strutture murarie e di altri oggetti. I risultati delle prospezioni sono riportati nel rilievo e spesso offrono una rappresentazione del sottosuolo tanto fedele che, talvolta, esime dal compiere materialmente lo scavo. La rilevazione sismografica consente di osservare se gli strati hanno subito pieghe orizzontali o verticali. La geopedologia, che si occupa dei vari tipi di suoli (comunemente detti terreni), in questo caso viene applicata a suoli antropizzati o archeologici. Si opera mediante il ''carotaggio'', cioè l'estrazione dal suolo archeologico, mediante una trivella tubulare (del diametro di 10÷15 cm) azionata a mano, di una sezione cilindrica di terreno (''carota'') dello spessore massimo di 10 cm, contenente resti di suolo in stratigrafia verticale. L'analisi della porzione di suolo carotato è condotta in laboratorio. L'esame sedimentologico accerta il rapporto percentuale tra argilla, sabbia e limo, che serve a stabilire, in base alle tre percentuali, il tipo di clima, l'origine dei sedimenti e infine le condizioni dell'habitat (elementi essenziali dell'ecosistema). L'analisi geochimica consente di accertare la presenza e la relativa percentuale di calcio, calcare, potassio, sodio, magnesio e fosforo inorganico e organico, e la conducibilità elettrica del suolo: si tratta di dati fondamentali, perché, per es., calcio, calcare e conducibilità giustificano un habitat favorevole alla presenza di determinate specie animali, come per es. i chiocciolai (le chiocciole sono utili all'uomo che le usò per i propri bisogni), mentre la presenza e quantità di fosforo inorganico nella roccia e di quello organico derivante dai resti organici, indica la consistenza della frequentazione umana e animale. L'esame geopedologico è integrato da quello petrografico, per conoscere il tipo di rocce utilizzate dall'uomo, e da quello mineralogico per conoscere l'eventuale presenza e quantità di minerali di origine vulcanica (per es., augite), marina (per es., montmorillonite) o lagunare. Un'ulteriore analisi è quella della collazione dei semi (mediante la tecnica della flottazione; v. in questa Appendice) che vanno esaminati in laboratorio al fine di conoscere le specie vegetali presenti nel periodo di formazione del suolo rilevato in quella carota. L'analisi dei pollini, di cui si occupa la palinologia, è anch'essa importante perché consente di tracciare il diagramma della vegetazione relativa al periodo del suolo rilevato nella carota, il che a sua volta dà importanti indicazioni sulle caratteristiche e l'evoluzione del clima di quel periodo (paleoclima). Inoltre va compiuta la collazione dei resti faunistici per individuare le specie e per ricavare indicazioni sulle classi di età, sulle tecniche di macellazione, sui sistemi di allevamento e simili. Di fondamentale importanza è anche l'analisi malacologica, che consente d'individuare sia la presenza che le abitudini dei raccoglitori di molluschi, la cui attività è collegata, nel caso di molluschi marini, ai movimenti delle maree e quindi alle fasi lunari, nel caso di specie lagunari, alla presenza di lagune. Attraverso l'attenta analisi di tutti gli elementi rilevati nella porzione di suolo carotato si comincia dunque a comprendere, in linea di massima, l'ecosistema nel quale si è sviluppata l'azione dell'uomo. Analoga analisi va ripetuta per ciascuna porzione di suolo successivamente estratta con ulteriori carotaggi, fino a raggiungere la roccia di base, dove termina la sedimentazione. Il carotaggio geopedologico è effettuato per ogni quadrato o gruppi di quadrati segnati in planimetria. I resti organici carotati sono oggetto di radiodatazione (v. oltre).

Le predette tecnologie applicate alla ricerca storica rimangono valide per qualsiasi periodo (dal Paleolitico all'età moderna e postmoderna). Da questa preliminare conoscenza degli elementi che caratterizzano la sequenza stratigrafica verticale, emersi dal carotaggio geopedologico e uniti ai dati rilevati con la ricognizione topografica, si ottengono i primi orientamenti per passare all'esecuzione dell'analisi stratigrafica orizzontale. Quest'ultima, seguendo le indicazioni di stratigrafia verticale fornite dalle carote, inizia a porre in evidenza il paleosuolo corrispondente alla prima carota, e così di seguito. L'analisi di paleosuoli è un'operazione che tiene conto della distribuzione orizzontale dei reperti. La distribuzione nell'ambito della superficie del paleosuolo in esame ha, secondo A. Leroi-Gourhan, importanza perché vi residuano testimonianze del modo di vita degli uomini (Le vie della storia, 1988, p. 59). Si possono ricordare, per es., i seguenti paleosuoli: il giacimento di Torre in Pietra, Roma, Paleolitico antico (A. C. Blanc); di La Pineta-Isernia (Paleolitico antico); di Cala Colombo presso Torre a Mare, Bari, Neolitico (A. Geniola); della grotta dell'Uzzo, Trapani, Mesolitico (M. Piperno); di Scamuso, Bari-Torre a Mare, Neolitico (F. Biancofiore e altri).

Poiché il paleosuolo riflette, nella natura dei reperti e nella loro distribuzione e disposizione, l'azione umana, ne consegue la necessità di esaminare gli strumenti litici (se si tratta di comunità che praticavano la litotecnica), i manufatti in osso, i frammenti di fauna, i resti paleobotanici, il vasellame, la struttura geochimica del ''fondo'' di capanna nonché, in tal caso, l'esame dei componenti l'incannucciato (determinazione della specie di Typha, dei residui di paglia impiegata, tipo di argilla del cosiddetto intonaco, studio della forma dei frammenti d'intonaco, che danno indicazioni utili per una possibile ricostruzione dell'abitazione, ecc.) e degli eventuali resti botanici contenuti nell'intonaco (analisi palinologica).

L'analisi degli strumenti litici si compie per rilevare in essi le tracce d'usura e risalire così all'uso che se ne faceva, per es., per il taglio di varie specie vegetali cui si riferiscono corrispondenti tracce d'usura rilevabili con l'impiego del microscopio elettronico. Si può definire litotecnologia in quanto concerne la selezione di rocce adatte alla fabbricazione degli strumenti. Per utensili levigati erano usate la lidite (per farne asce), la selce (anche per le asce levigate diffuse presso le culture megalitiche nord-europee), gli scisti e loro varietà (utilizzati prevalentemente nei paesi ove difetta la selce), le rocce verdi (fibrolite, giadeite e cloromelanite di uguale densità [3, 4] e durezza [7, 2], nefrite, serpentina), ciottoli scelti per il colore rosso o nero (porfido, serpentina zonata, pietra paesina), per le gemme (cristallo di rocca e sue varietà, ametista, calcedonio, opale, turchese, topazio, ecc.). I manufatti in ossidiana sono stati sottoposti ad analisi chimico-fisiche per chiarirne la provenienza, individuando così le zone ricche di questo vetro vulcanico. Ricerche in tal senso sono diffuse soprattutto all'estero, mentre in Italia le analisi sono limitate a esemplari locali. L'ossidiana è nota in Sardegna, Palmarola, Lipari, Pantelleria e, nel Mediterraneo orientale, nelle isole di Milo e di Gyali (presso Coo). La circolazione dei prodotti in ossidiana in Italia è stata ben evidenziata dai lavori di J. E. Dixon, J. R. Came e C. Renfrew e, per quanto riguarda i procedimenti chimico-fisici, da Z. Goffer. I manufatti in osso vengono analizzati per riconoscere la specie animale da cui sono tratti anche al fine di accertare il tipo di utilizzazione delle specie rinvenute nei resti del paleosuolo. L'analisi delle specie animali ha lo scopo di stabilire la percentuale delle singole specie per conoscere se si tratta di allevamento domestico o su larga scala, di semplice uso commestibile, o di sfruttamento per impieghi diversi a vantaggio dell'uomo. Per le faune del Paleolitico e del Mesolitico interviene la paleontologia (cioè lo studio degli animali fossili); ad essa si deve per es. la conoscenza delle varie specie di cavallo, da quello pleistocenico (sterminato negli esemplari più recenti dai cacciatori dell'ultimo Glaciale 16.000÷15.000 anni fa) a quello domestico (cioè l'Equus caballus di Linneo) che discende da una specie selvatica "che immigrò in Europa dall'Asia verso l'inizio del Pleistocene medio, poco meno di un milione di anni fa... Ai piccoli cavalli della fine del periodo Glaciale era succeduta una razza di media statura: è da questa razza che sono discesi i nostri cavalli domestici europei" (A. Azzaroli 1972).

I resti vegetali vengono analizzati su base statistica onde determinare la percentuale delle varie specie, e fornire così ulteriori dati che, integrati con tutti gli altri, offrono un quadro il più possibile globale dell'economia della comunità. Un settore specifico della paletnobotanica è lo studio degli anelli annuali di accrescimento degli alberi: dal loro numero si può infatti conoscere l'età degli alberi (dendrocronologia); dal loro spessore si possono individuare le condizioni climatiche verificatesi durante la crescita dell'albero (dendroclimatologia), nonché l'andamento delle precipitazioni in quella zona (dendroidrologia). Le sequenze dei cerchi annuali sono valide per la datazione di eventi geologici e di reperti archeologici risalenti a oltre 8000 anni.

Quanto al vasellame, la sua analisi tecnologica, che in Italia iniziò dall'immediato secondo dopoguerra con lo studio di ceramiche indigene e micenee, ha avuto notevole incremento estendendosi a ogni tipo vascolare (fino all'età moderna). Essa si propone di conoscere il tipo di giacimento delle argille impiegate e, comparandole con i prodotti finiti, di stabilire se il vasellame è fabbricato in loco oppure è importato; inoltre si propone d'individuare il procedimento di fabbricazione per approfondire il rilievo produttivo che l'artigianato vascolare assume nel contesto socio-economico della comunità.

Al pari del vasellame, la metallotecnica ha rappresentato un costante interesse degli storici di ogni comunità umana. A tal fine si è fatto uso dell'analisi chimico-fisica per lo studio dei prodotti metallici. Questo tipo d'indagine ha attualmente raggiunto un livello tale di raffinatezza da consentire di conoscere non soltanto la distribuzione territoriale dei giacimenti della materia prima, ma anche il tipo di elaborazione propria dei vari gruppi culturali specialmente nell'Eurasia, e, in particolare, sia pure in misura minore, in Italia, dove l'analisi tecnica dei metalli è scarsamente sviluppata per mancanza di laboratori specializzati. Questo fatto è lamentato nell'opera di S. Jughans, E. Sangmeister e M. Schroeder (1960), nella quale la campionatura italiana di manufatti in rame risulta appunto esigua mentre per i paesi europei è assai cospicua, tanto da aver potuto stabilire gruppi culturali diversi sulla base del tipo di rame impiegato, proprio attraverso l'analisi chimica quantitativa degli elementi contenuti nel manufatto. Nell'opera citata sono infatti indicate le principali correnti commerciali di rame e di bronzo nell'Europa del 3° e 2° millennio a.C. In concreto, risulta scontata la fondamentale importanza che lo studio scientifico degli antichi oggetti metallici riveste per i più diversi aspetti della conoscenza storica (economia, ethos, tradizioni magico-rituali, ecc.). Va inoltre notato che l'indagine chimico-fisica è condotta anche con metodi di analisi non distruttiva (v. in questa Appendice), cioè con l'impiego dello spettroscopio che appunto non comporta la benché minima distruzione dell'oggetto, specie se di metallo.

L'uso della radioattività e delle tecniche nucleari ha segnato una nuova fase nell'applicazione delle scienze sperimentali e delle relative tecnologie all'archeologia. Gli isotopi importanti per le ricerche sono argon-40 (per la datazione al potassio-argon), carbonio-13 e carbonio-14 (per la relativa datazione), cesio-137 (per la radiografia gamma), ossigeno-16 (per le paleotemperature), ossigeno-18 (per determinare la provenienza dei marmi), potassio-40 (per la datazione al potassio-argon). La radiografia a raggi-gamma è molto diffusa: per es., è stata sperimentata per l'esame dei blocchi di Stonehenge (1957) e per la piramide di Chephren di cui s'individuarono le camere funerarie gentilizie. La termoluminescenza si usa per datare ceramiche, per accertare l'autenticità degli oggetti e per il restauro dei marmi. La datazione chimica di ossa e fossili consiste nell'esame dei vari componenti il tessuto osseo, tra i quali la fluorina la cui quantità permette di fissare l'età dell'osso relativamente a quella degli altri rinvenimenti dello stesso sito. In Italia, la concentrazione di fluoro è stata determinata sui reperti umani e sul terreno dello strato corrispondente dell'ipogeo Neolitico di Cala Colombo presso Torre a Mare (Bari).

Anche la determinazione della quantità di uranio radioattivo (235, 238) nei resti ossei umani e animali può essere usata per distinguere ossa più antiche da quelle più giovani dello stesso sito. Bisogna tener presente che la concentrazione di uranio è diminuita dal processo di fossilizzazione; sembra che l'uranio sia assorbito dalle ossa durante il decadimento del materiale organico e che si perda una volta cessato tale decadimento. Se è possibile conteggiare la perdita, i resti scheletrici sono accuratamente databili. La determinazione dell'azoto, componente basico del collagene delle ossa, si aggiunge a quelle del fluoro e dell'uranio; l'analisi è possibile perché il collagene delle ossa scompare molto lentamente dopo la morte. Il tasso di decadimento è strettamente connesso alle condizioni fisiche, chimiche e batteriologiche dell'ambiente in cui è avvenuta la sepoltura. L'età relativa dell'osso risulta comparando i rispettivi contenuti di collagene. Per la datazione delle ossa si opera anche con la racemizzazione degli amminoacidi, metodo che utilizza i mutamenti che si verificano nelle proteine delle ossa. Spesso i risultati sono confrontabili con le datazioni ottenute con radiocarbonio presente nel collagene.

Per la cronologia, il metodo di datazione al radiocarbonio è quello diffuso dal 1952 (W. F. Libby) e, sebbene sia efficace limitatamente agli ultimi 50.000 anni, riscuote ancora successo. Il metodo del K-Ar è applicato per le datazioni del Pleistocene perché copre un ampio raggio cronologico. L'isotopo 40K è radioattivo e decade in 40Ar (isotopo stabile non radioattivo). Il 40K è presente in molti minerali; è nota la sua costante di decadimento fino a giungere al suo prodotto finale 10Ar, la cui misura consente di datare l'età di formazione del minerale. Con tale metodo sono stati datati in Italia vari giacimenti con resti delle civiltà paleolitiche; si ricordano la datazione delle più antiche cave del vulcano laziale a 700.000 anni, prima delle quali abbiamo l'industria su ciottoli calcarei di Colle Marino (Anagni) attribuibile a 800.000 anni (Günz-Mindel=Cromeriano), il giacimento di Fontana Ranuccio (Anagni) risalente a 458.000 anni (la più antica industria Acheuleana dell'Italia centrale), presso Pofi (Pontecorvo) depositi piroclastici con manufatti su lava del Paleolitico inferiore datati sulla base della colata lavica a 400.000 anni, il livello acheuleano della surricordata località Torre in Pietra risalente a 200.000÷260.000 anni; il livello inferiore di Loreto, Venosa (Paleolitico inferiore arcaico), risalirebbe intorno ai 500.000 anni (inizio della glaciazione Mindel; relazionato alle datazioni della stratigrafia vulcanica del Vulture); l'industria litica delle ghiaie sottostanti ai più antichi prodotti vulcanici noti del Vulture, presso Irsina (Matera), risale a 800.000 anni (riferibile all'Interglaciale Günz-Mindel; A. G. Segre). È da ricordare, infine, l'abitato a cultura del Paleolitico inferiore di Isernia-La Pineta (Molise) datato col K-Ar a 736.000 anni, confermati dal paleomagnetismo: si tratta della più antica datazione assoluta per le civiltà paleolitiche italiane, collegata a un abitato di Homo erectus in Italia. L'abitato di Isernia-La Pineta è ritenuto "il sito emblematico del popolamento iniziale in Italia e si pone così tra le prime fondamentali e complesse testimonianze dei più antichi abitanti d'Europa" (C. Peretto, M. Piperno). Si ricordano due scoperte di eccezionale importanza: la prima è la grotta ''della maternità'' in S. Maria di Agnano presso Ostuni (Brindisi), così denominata perché si è rinvenuto uno scheletro di donna in fase di preparto di età Gravettiana (24.410±320 da oggi); la seconda, il rinvenimento di un uomo fossile del tipo intermedio (?) tra Homo neandertalensis e Homo erectus nel giacimento in località Lamalunga presso Altamura (Bari), nel profondo di una camera ipogeica alla quale si accede per mezzo di un inghiottitoio largo cm 50, essendo la camera un fenomeno carsico alla profondità di m 8 dal piano di calpestio.

Il metodo dell'uranio-torio (238U-230Th) è utile per datare stalagmiti e travertino puri e conchiglie, dà una cronologia da circa 10.000 a 500.000 anni e si basa sul dosaggio dell'uranio. Sulla disintegrazione dell'uranio-238 si fonda il metodo delle ''tracce di fissione'' che residuano nei minerali: il campione va analizzato al microscopio binoculare ed esposto a un raggio di neutroni. Alle ricerche sui centri di provenienza dell'ossidiana si aggiungono quelle per la quarzite, per il marmo, per l'ambra, di cui è stata ampiamente studiata la provenienza in base all'analisi chimico-fisica (mediante spettroscopio di massa, raggi X, ecc.), per il turchese. Si analizzano inoltre i materiali da costruzione, i vetri, le vernici e gli smalti nonché le monete e la loro metallurgia.

Per lo studio dell'ecosistema si è pervenuti alla conoscenza delle paleotemperature in relazione al paleoclima. A questo servono, oltreché l'analisi pollinica con il connesso diagramma della vegetazione, gli isotopi dell'ossigeno 16O, 17O, 18O, che variano secondo le sorgenti. 16O è la più comune varietà, che si coglie agevolmente nell'evaporazione che si verifica alla superficie dei mari e degli oceani. Si è potuto stabilire che durante l'età glaciale, per es., la temperatura dell'acqua diminuisce in quanto l'acqua residuale diventa ricca in 18O; ciò è dovuto a due fattori: la perdita di acqua marina evaporata e l'azione dell'acqua dolce sul ghiaccio. Questo scambio si riflette nella composizione isotopica del carbonato di calcio precipitato durante questo periodo. Va ricordato infine che la radiodatazione è eseguita con l'acceleratore elettrostatico e lo spettrometro di massa, adoperato per campioni mille volte più piccoli di quelli richiesti dalle tecniche tradizionali. La radiodatazione con l'acceleratore ha permesso in paleografia di datare frammenti di pergamene medievali, rivelando anche contraffazioni. Il costo della datazione con tale strumento è superiore a quello della datazione eseguita con metodo tradizionale. La datazione con acceleratore non va oltre 20.000÷25.000 anni. In Italia è in funzione per es. presso l'istituto di Fisica dell'università di Napoli. Col metodo tradizionale del radiocarbonio si è potuta elaborare una cronologia dettagliata del Neolitico italiano.

Oggi la p. si può ben definire antropologia storica: dalla vastissima documentazione collazionata specie dal secondo dopoguerra in poi si nota come l'interesse si concentri essenzialmente sull'uomo e la sua storia totale. Si sono ricordati come punto di partenza per una visione storico-antropologica Croce e De Martino, ai quali sono seguiti gli studi fenomenologici di R. Cantoni (Il pensiero dei primitivi, 1963), di C. T. Altan (Lo spirito religioso del mondo primitivo, 1960), di V. Lanternari, di G. Lilliu (Religione della Sardegna prenuragica, in Bullettino di paletnologia italiana, nuova serie, 66, 1957, e La civiltà dei Sardi, 1988), di A. Seppilli (Sacralità dell'acqua e sacrilegio dei ponti, 1977) e, per la storiografia antropologica, quello di G. Galasso (L'altra Europa. Per un'antropologia storica del Mezzogiorno d'Italia, 1982).

Bibl.: Manuali essenziali: P. Barocelli, Guida allo studio della Paletnologia, Roma 1948; M. Boule, H. Vallois, Les hommes fossiles, Parigi 19524; R. Furon, Manuel de Préhistoire générale, ivi 1958 (trad. it., Manuale di preistoria, Torino 1961); F. Marquez Miranda, Siete arqueologos siete culturas, Buenos Aires 1959 (recensione in Rivista di Antropologia, 47 [1960], pp. 321-24); S. Piggott, Ancient Europe, Edinburgo 1965; G. Camps, Manuel de recherche préhistorique, Parigi 19813; Id., La Préhistoire, ivi 1982: a pp. 121-22 discute il contenuto del termine paléoethnologie indicandone i limiti per taluni aspetti della ricostruzione storica, e i pregi per la litotecnologia (analisi delle tracce d'usura degli strumenti litici) che chiariscono con certezza la funzione dello strumento; A. Galley, L'archéologie demain, Parigi 1983; A. Guidi, Storia della paletnologia, Bari 1988 (recensione in Rivista di Antropologia, 66 [1988], pp. 277-80); A. Cazzella, Manuale di archeologia, ivi 1989 (con bibliografia); Italia preistorica, a cura di A. Guidi e M. Piperno, ivi 1992.

Per i principi metodici di L. Pigorini v. Id., La scuola paletnologica italiana, in Nuova Antologia, s. 2, 45 (1884), pp. 434 ss.; Id., Il Museo preistorico-etnografico di Roma (Lettera al senatore Mantegazza), Roma 1877 (Il Museo preistorico-etnografico in Roma, in Nuova Antologia, 34 [1891], estr.); Id., Preistoria, in Cinquantanni di vita italiana (1860-1912), a cura dell'Accademia dei Lincei, Roma 1911. Per l'analisi di tali principi, accenni in F. Biancofiore, Funzione etica della Paletnologia, in Rassegna di cultura e vita scolastica, 1955, 4; discussione in Id., Classificazione e storia nella Paletnologia: sguardo retrospettivo e prospettive di metodo, in Annali della Fac. Lettere e filosofia dell'Università degli studi di Bari, 7 (1961), pp. 10 ss. (estratto), con bibliografia; Id., Attuali indirizzi di metodo in Paletnologia, in Studi di Antichità in onore di Guglielmo Maetzke, Roma 1984 (con bibliografia).

La tesi di Patroni è esposta in Id., Appunti di etnologia antica: due parole di programma. ii, Le origini dei Cretesi secondo Beloch, in Archivio per l'Antropologia e l'Etnologia, 41 (1911), 4, pp. 340 ss. (è la prolusione al corso di Archeologia classica tenuto da Patroni nel 1911 all'università di Pavia); Id., La Preistoria, 2 voll., Milano 1937. Per quanto riguarda l'aspetto irrazionalistico-oscurantista della prima metà del secolo 20° si rinvia per l'ideologia della razza in p. a V. G. Childe, I frammenti del passato (trad. it. di Piecing togheter the past, Londra 1956), Milano 1960, pp. 36 ss.; la genesi dell'ideologia della razza è ben chiarita da G. Lukács, La distruzione della ragione, Torino 1970 (trad. it. di Die Zerstörung der Vernunft, 1959). Ne tratta F. Biancofiore, La Paletnologia in Puglia nel primo ventennio di questo secolo, Brindisi 1979, pp. 15 ss. (ed. a cura del Museo archeologico ''F. Ribezzo'' di Brindisi, "Ricerche e studi", 12). Nel primo decennio del secondo dopoguerra giungono a compimento i temi della p. prebellica: v. P. Laviosa Zambotti, Origini e diffusione della civiltà: introduzione alla storia universale, Milano 1947, la quale segue i principi della scuola storico-culturale di Vienna, che a sua volta E. De Martino (in Naturalismo e storicismo nell'etnologia, Bari 1941) definì antistorica; sul citato studio di Laviosa Zambotti v. anche B. Croce, Considerazioni sulla preistoria, in Id., Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Bari 1952, p. 177, nota 1. Di De Martino v. inoltre Il mondo magico, Torino 1948; Morte e pianto rituale nel mondo antico. Dal lamento pagano al pianto di Maria, ivi 1958; Sud e magia, Milano 1959; La terra del rimorso, ivi 1961; Furore simbolo valore, ivi 1962; Magia e civiltà, ivi 1962; La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, Torino 1977. Di Lanternari v. Il culto dei morti e della fecondità-fertilità nella paletnologia della Sardegna, alla luce del folklore sardo e dell'etnologia, in Bullettino di paletnologia italiana, n.s., 64 (1954-55), pp. 9-46 (ivi bibliografia); Preistoria e folklore, Sassari 1984.

Già R. Bianchi Bandinelli aveva criticato l'archeologia evoluzionista (in La Critica d'arte, i [1935-36], pp. 152 ss.), linea che andò sempre più approfondendo (partendo dallo storicismo crociano) in Introduzione all'archeologia, Bari 1976 (con bibliografia; per la p. osservazioni a pp. xxi ss. della Prefazione). Di Childe v. inoltre: Il progresso nel mondo antico, Torino 1949; L'uomo crea se stesso, ivi 1952; L'evoluzione delle società primitive, Roma 1964 (trad. rispettivamente di: What happened in history, 1941; Man makes himself, 1936; Social evolution, 1951). Da P. Rossi, Lo storicismo tedesco contemporaneo, Torino 1971, è tratto il concetto riferito nel testo; v. pure Id., ''Cultura'' e ''civiltà'' come modelli descrittivi, in Rivista di filosofia, 48 (1957). Su M. Pallottino, Le origini storiche dei popoli italici, in Atti del X Congresso internazionale di scienze storiche, vol. 2°, Storia dell'antichità, Firenze 1955, v. la recensione in Bullettino di paletnologia italiana, n.s., 65 (1956), 2; di A. Leroi-Gouhran, v. Le vie della storia prima della scrittura, in AA.VV., Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia, a cura di J. Le Goff e P. Nora, Torino 1988 (trad. it. di Faire de l'histoire, Parigi 1974).

Per Torre in Pietra, v. A. C. Blanc, Giacimento ad industria del Paleolitico inferiore (Abbevilliano superiore ed Acheuleano) e fauna fossile ad Elephas a Torre in Pietra presso Roma (Nota preliminare), in Rivista di Antropologia, 41 (1954). Per Cala Colombo, v. A. Geniola, V. Pesce Delfino, C. Giove e altri, La comunità neolitica di Cala Colombo presso Torre a Mare (Bari), Bari 1977 ("Documenti e monografie della Società di Storia patria per la Puglia", 42). Per la grotta dell'Uzzo (Trapani), v. M. Piperno, S. Tusa, I. Valente, Campagne di scavo 1977 e 1978 alla Grotta dell'Uzzo (Trapani), in Sicilia archeologica, 13 (1980), 42. Sul cavallo, v. A. Azzaroli, Origine e storia del cavallo domestico, in Le Scienze, dicembre 1972, pp. 108 ss. Per Scamuso, v. F. Biancofiore e altri, La comunità neolitica di Scamuso (Nota preliminare), in Rivista di Antropologia, 64 (1986).

Per le tecnologie, è da tenere presente il Journal of Archaeological Science, Londra, vol. 1 (1974) e ss. Inoltre v. S. A. Semenov, Prehistoric technology, Bath 1973. Per le applicazioni della chimica analitica alla ricerca archeologica, v. Z. Goffer, Archaeological chemistry, New York 1980. Utile anche AA.VV., La riscoperta della preistoria, Milano 1978.

Da ricordare la messa a punto al 1983 dei risultati dell'ultimo decennio di studi in Archeometria nel convegno promosso dal Centro Linceo interdisciplinare di scienze matematiche e loro applicazioni tecniche (maggio 1983). Per i rapporti con l'astronomia v. E. Proverbio, Archeoastronomia. Alla ricerca dell'astronomia preistorica, Segrate 1989. Per l'ossidiana, v. J. E. Dixon, J. R. Cam e C. Renfrew, L'ossidiana e le origini del commercio, in Le Scienze, settembre 1968, pp. 76 ss. Ricerche del ''Laboratorio per ricerche radiometriche applicate alla geocronologia e alla paleoecologia'' del CNR presso l'università di Pisa: Relazione sull'attività scientifica per il 1972, pp. 10 ss. Inoltre, Z. Goffer, Archaeological chemistry, cit., pp. 80 ss.

Per la metallotecnica, oltre a S. Jughans, E. Sangmeister e M. Schroeder, Metallanalysen kupferzeitlicher und frühbronzezeitlicher Bodenfunde aus Europa, Berlino 1960 (sulla quale v. recensione di F. Biancofiore, La metallurgia del rame nell'antica Europa e il suo significato storico, in Emilia preromana, n.s., 1964, pp. 417 ss.), si rinvia a Z. Goffer, Archaeological chemistry, cit., pp. 197 ss.

Per l'analisi dei suoli antropizzati è utile S. Limbrey, Soil science and archaeology, Londra 1973: interessanti i capitoli 10, per le regioni mediterranee, e 15, per i suoli antropizzati. Per l'Italia v. P. Principi, Geopedologia, Roma 1964; A. Comel, Il terreno, Bologna 1978; F. Mancini, Breve commento alla carta dei suoli d'Italia, Firenze 1966; Id., Carta dei suoli d'Italia, ivi 1966. Per il Quaternario occorre riferirsi a J. K. Charlesworth, The Quaternary Era, 2 voll., Londra 1966.

Per l'integrazione delle scienze sperimentali con la storia si ricorda per es. D. Moreno, P. Piussi e O. Rackhom, Boschi: storia e archeologia, "Quaderni storici", 49 (1982), 1 (per tale integrazione, v. in particolare il capitolo introduttivo a cura di D. Moreno, Storia e archeologia forestale).

Per il Carbonio-14 v. W. F. Libby, Radiocarbon dating, Chicago 19552. Per l'Italia v. F. Biancofiore, Il nuovo metodo per la datazione delle civiltà antiche, in La Parola del Passato, 63 (1958), e Id., Alcune osservazioni sulla cronologia isotopica delle civiltà preistoriche e protostoriche, in Rivista di Antropologia, 45 (1958). Per la problematica storica culturale, v. C. Renfrew, L'Europa della preistoria, Bari 1987 (trad. it. di Before civilization. The radiocarbon revolution and prehistoric Europe, Cambridge 1979). Per la cronologia K-Ar v. A.G. Segre, Alcune considerazioni sulla cronologia relativa e assoluta per il Pleistocene medio in Italia, in C. Peretto, M. Piperno, Introduzione alla problematica del Pleistocene inferiore italiano, nel Catalogo della Mostra 1984 I primi abitanti d'Europa, 1.500.000-100.000 anni, Roma 1984. Varie datazioni K-Ar si trovano in Rendiconti della Società italiana di Mineralogia e Petrologia, 40 (1985), pp. 7 ss.

Per la datazione con acceleratore e spettrografo di massa, v. R. e M. Hedges, Radioisotope clocks in archaeology, in Nature, 281 (settembre 1979), n. 5725; R. e M. Hedges, J. A. J. Gowlett, La datazione archeologica con acceleratore, in Le Scienze, 211 (marzo 1986), pp. 90 ss.

Per la cronologia del Neolitico, v. L. Allegri, C. Cortesi, A. Radmilli, La cronologia neolitica in base al radiocarbonio, in Atti della XXVI riunione scientifica dell'Istituto italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze 1985, Firenze 1987. Sulla paleonutrizione, v. E. S. Wing, A. B. Brown, Paleonutrition (Method and theory in prehistoric food ways), Londra 1979. Sulle paleopatologie, v. G. Alciati, M. Fedeli, V. Pesce Delfino, La malattia dalla preistoria all'età antica, Bari 1987. Ulteriori discussioni in Atti Simposio internazionale in Roma (5-8 ottobre 1987) in Physical Anthropology and Prehistoric Archaeology, in Rivista di Antropologia, Supplemento, vol. 66 (1988). Riesame della civiltà neolitica in F. Biancofiore, Origini e sviluppo delle comunità rurali nella Puglia preclassica, in Rivista di Archeologia, 53 (1966), pp. 43 ss., con bibliografia.

Sui rapporti tra tecnologie e storia, v. di L. Bulferetti, Storia dell'uomo e storia della natura, in Cultura e scuola, 7 (1963), pp. 98 ss., Storia della scienza e storia della cultura, ibid., 8 (1963), pp. 257 ss.; Storia della tecnica e storia dell'economia, ibid., 10 (1964), pp. 260 ss. La posizione di Camps è espressa in La Préhistoire, cit., p. 122. Una critica alla tipologia (classificazione, tassonomia) era già in J. Brew, The use and abuse of numerical taxonomy, in The archaeology of Alkali Ridge, Southern Utah, in Peabody Museum of Archaeology and Ethnology. Papers, 21 (1946), pp. 44-65; v. inoltre D. Thomas, The use and abuse of numerical taxonomy, in Archaeology and Physical Anthropology in Oceania, 7 (1972), pp. 31-49, e il saggio di J. M. Kelley e M. P. Hassen, Archaeology and the methodology of science, Albuquerque 1988. V. inoltre V. Bianchi, in Storia dell'Etnologia, Roma 1965, p. 212. Per l'antropologia economica, v. F. Biancofiore, Origini e sviluppo delle comunità rurali, 1966, cit.; Id., La necropoli eneolitica di Laterza, in Origini, 1 (1967); K. Polanyi, Economie primitive, arcaiche e moderne, Torino 1980 (trad. it. di Primitive archaic and modern economics, 1968); M. Sahlins, L'economia dell'età della pietra, Milano 1980 (trad. it. di Stone age economics, 1972); F. Biancofiore, Note di antropologia economica delle comunità neolitiche della Puglia centro-settentrionale, in Atti del 5° Convegno sulla Preistoria e Protostoria della Daunia, San Severo (Foggia) 9-11 dicembre 1983, San Severo 1987, pp. 25 ss.; D. Miller, C. Tilley, Ideology, power and prehistory, Cambridge 1983; J. Gasco, Les installations du Quotidien. Structures domestiques en Languedoc du Mésolithique à l'Age du Bronze, ecc., Parigi 1985; I. Hodder, Reading the past, Cambridge 1986; AA.VV., L'origine dell'uomo, Napoli 1987 (ampia discussione sull'antropologia); I. Hodder, The archaeology of contestual meanings, Cambridge 1987; Id., Archaeology as long-term history, ivi 1987; L. Binford, Preistoria dell'uomo. La nuova archeologia (trad. it. di In pursuit of the past, Londra 1990).

Per l'arte del Paleolitico: C.L. Ragghianti, L'uomo cosciente. Arte e conoscenza nella paleostoria, Bologna 1981; F. Biancofiore, Contributi alla conoscenza delle relazioni paleostoriche tra l'Italia sud-orientale e i paesi balcanici occidentali, in Archivio storico pugliese, 48 (1990); Id., Sismologia e archeologia, in Origini, 15 (1990-91; è una recensione del vol. di E. Guidoboni, I terremoti prima del Mille in Italia e nell'area mediterranea: storia, archeologia, sismologia, Bologna 1989); E. Biancofiore, Le nuove tecnologie per la ricerca storica, in Annali della Pubblica Istruzione, 37 (1991). Va visto anche G. Gembillo, Croce e il problema del metodo, Napoli 1991.

Per l'era glaciale: A. Malatesta, Geologia e paleobiologia dell'era glaciale, Roma 1985.

Per la Palinologia: N. Théobald, Fondaments géologiques de la Préhistoire, Essai de chronostratigraphie des formations quaternaires, Parigi 1972; J. Tixier, Préhistoire de la pierre taillée. Terminologie et technologie, Valbonne 1980; F. Poplin, La faune et l'homme préhistorique, Parigi 1983; P.R. Giot, L. Langouet, La datation du passé, Rennes 1984; Palynologie archéologique, CNRS, Centre de recherches archéologiques, a cura di J. Renault-Miskovsky, Bui-Thi-Mai e M. Girard, Parigi 1985; Terremoti e civiltà abitative, nuove discipline e applicazioni: dieci anni di ricerche, Convegno dell'Accademia dei Lincei e dell'Istituto nazionale di Geofisica, Roma 27-29 ottobre 1993, Roma 1993.

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